Il ricorso è complessivamente infondato.
1. Quanto al primo motivo, va premesso che, sebbene l’atto di appello proposto nell’interesse di B.V. richiamasse l’art. 598-bis cod. proc. pen., ciò nondimeno seguitava ad applicarsi la disciplina emergenziale di cui agli artt. 23 e 23-bis D.L. n. 137 del 2020, per effetto della estensione del loro vigore con diversi provvedimenti legislativi di proroga succedutisi nel tempo.
La disciplina in questione prevedeva che la richiesta di discussione orale fosse formulata per iscritto dal difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell’udienza e trasmessa alla cancelleria della Corte di appello per via telematica.
Di conseguenza, l’istanza di discussione orale presupponeva che fosse stata già fissata la data di udienza (come, del resto, è previsto anche nell’art. 598-bis cod. proc. pen.) e che da quella data dovesse calcolarsi a ritroso il termine di quindici giorni liberi prima dei quali quale doveva presentarsi l’istanza (che adesso l’art. 598-bis cod. proc. pen. individua invece nel termine di quindici giorni dalla notifica del decreto di citazione).
Il ricorrente sostiene che anche una richiesta di discussione orale presentata ancor prima della fissazione dell’udienza, e segnatamente nello stesso atto di appello, debba essere presa in considerazione dalla Corte d’appello, che non potrebbe esimersi dal disporre che l’udienza si svolga con la partecipazione delle parti.
Si tratta, come è evidente, di una conclusione in nulla confortata dal dato testuale delle norme applicabili, che, collocando temporalmente la possibilità di chiedere il rito partecipato ad un momento successivo alla fissazione dell’udienza, evidentemente escludono che la richiesta possa essere contenuta sin dall’inizio nell’atto di impugnazione o quantomeno che, ove presentata in queste forme, debba essere esitata.
La previsione della formulazione della richiesta con una successiva istanza autonoma risponde alla ratio di consentire la migliore organizzazione delle udienze (Sez. 5, n. 34695 dell’11/7/2024, Spalluto, Rv. 286932 – 01, in motivazione).
Per vero, con tale ratio non confligge irrimediabilmente la presentazione della richiesta di rito partecipato con lo stesso atto di appello. Tanto è vero che la stessa Relazione illustrativa della riforma c.d. Cartabia (p. 168), nella parte dedicata al rito camerale “non partecipato” in appello (che con il d.lgs. n. 150 del 2022 è appunto divenuto la regola nel giudizio di appello, in sostanziale continuità con la normativa emergenziale per il contrasto alla pandemia da Covid-19 che ne aveva determinato la genesi), afferma espressamente che ‹‹resta invece affidata alle “prassi virtuose” l’eventuale soluzione di far precedere la citazione in giudizio da un “interpello”, ove ritenuto utile ai fini di una più ordinata calendarizzazione delle udienze››.
Dunque, richiesta di partecipazione antecedente alla fissazione dell’udienza e salvaguardia delle esigenze organizzative della Corte d’Appello non sono, nella stessa visione del legislatore, tra loro incompatibili.
Resta, tuttavia, il fatto che, da un lato, l’auspicio della Relazione illustrativa sopra richiamata non si sia tradotto in una apposita previsione normativa e, dall’altro, che in ogni caso esso era limitato alla fase intercorrente tra l’impugnazione e la fissazione dell’udienza.
La ragione per cui il legislatore, nemmeno nella più limitata prospettiva dell’instaurazione di prassi funzionali a una maggiore efficienza della funzione giurisdizionale, abbia preso in considerazione l’inserimento nell’atto di appello della richiesta di trattazione orale può essere probabilmente meglio compresa proprio se si guarda alla vicenda oggetto del ricorso.
Dal fascicolo risulta, infatti, che nell’atto di appello depositato nell’interesse di B.V. la richiesta di trattazione orale e di partecipazione all’udienza fosse contenuta in un piccolo riquadro dell’atto stesso, prima dell’esposizione dei motivi di appello, in cui era scritto che il difensore ‹‹chiede, fin d’ora, la discussione in presenza con richiesta di partecipazione personale all’udienza si sensi del comma 2 del citato articolo 598 bis c.p.p.››. L’istanza in questione non veniva più richiamata nelle richieste finali e, quindi, restava confinata nella premessa dell’atto di appello.
Come si vede, una richiesta formulata in tal modo non appare oggettivamente rispondente alla ragione che dovrebbe ispirare una prassi di utile collaborazione tra il giudice e le parti, la quale presuppone la possibilità di una precisa possibilità di confronto su dati resi chiaramente riconoscibili.
Resta inalterata, pertanto, la necessità che la richiesta di rito partecipato, conformemente al dettato legislativo, sia proposta con un’istanza separata dall’atto di appello e dopo la fissazione dell’udienza.
Questo non comporta che di per sé la richiesta avanzata con lo stesso atto di appello sia irricevibile e che la Corte d’Appello non ne possa per ciò solo tenerne eventualmente conto.
Tuttavia, va affermato, al riguardo, il principio secondo cui l’appellante che, differentemente da quanto previsto dalla legge, chieda il rito partecipato con l’atto di appello si espone al rischio che l’istanza non sia esaminata e assume su di sé l’onere – ove sulla stessa non si sia provveduto, senza che ne derivi alcuna sanzione processuale – di riproporla con atto autonomo nei termini decorrenti dopo la fissazione dell’udienza: ciò che, peraltro, nel caso di specie il ricorrente non ha fatto, pur avendo ricevuto l’avviso della fissazione dell’udienza privo della disposizione che si procedesse con la partecipazione delle parti.
Il primo motivo, pertanto, è da considerarsi infondato.
2. Il secondo motivo, relativo alla doglianza di omessa motivazione sul motivo d’appello concernente la pena e le circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato.
La Corte d’Appello ha ragionevolmente osservato che il trattamento sanzionatorio non fosse suscettibile di ulteriore riduzione rispetto al primo grado di giudizio, in quanto la pena era stata già determinata nel minimo edittale ed era stata ancora diminuita per effetto della avvenuta concessione delle circostanze attenuanti generiche nella loro massima estensione.
Di conseguenza, il motivo è inammissibile, in quanto, oltre che generico, non sorretto da alcun interesse concreto dell’imputato ad impugnare.
3. Alla luce di quanto fin qui osservato, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
Cass. pen., I, ud. dep. 19.08.2025, n. 29593