5. L’appello è fondato.
6. Come anticipato in fatto, la sentenza appellata ha basato l’accoglimento del ricorso di primo grado sostanzialmente su due argomentazioni.
6.1. Da un lato, ha ritenuto fondate le censure mosse ai provvedimenti impugnati stante il divieto assoluto di sepoltura delle salme di estranei all’interno della cappella contenuto nell’atto di concessione, al quale è principalmente affidata la disciplina del possibile utilizzo delle cappelle cimiteriali, di famiglia o gentilizie, nel Comune di Barletta, ritenendo che non assuma, invece, valenza immediata, in relazione alla possibilità di inumazione di soggetti estranei alla famiglia, la disciplina dell’art. 93 del d.P.R. n. 285/1990, data l’ assenza di regolazione normativa di secondo grado dell’ente locale.
6.2. Dall’altro lata, ha considerato irrilevanti le autorizzazioni alla tumulazione delle salme di soggetti estranei nella cappella di famiglia contenute nelle dichiarazioni sostitutive di atto notorio: sia perché l’assenso alla tumulazione non proveniva dal concessionario, cioè dal fondatore della cappella (l’unico che avrebbe potuto fare richiesta di sepoltura di estranei legati da rapporti di convivenza o per particolari ragioni di benemerenza), sia perché le predette dichiarazioni sostitutive, così come l’autorizzazione del maggio 2017, sono state disconosciute dall’odierno appellato; non contava perciò il fatto che vi fossero allegati i documenti di identità del ricorrente e dei suoi figli, anche perché tale documentazione era stata prodotta soltanto in copia e non in originale, peraltro priva di protocollo e data di ricezione da parte del Comune.
6.3. Per queste ragioni la sentenza ha ritenuto illegittimo l’operato del Comune resistente che, pur a fronte di specifica istanza da parte del ricorrente, in qualità di familiare ed erede diretto dell’originario concessionario, volta a ripristinare il diritto di uso esclusivo di una cappella privata, riservato dalla concessione alla persona del concessionario ed a quelle della propria famiglia, non ha attivato i propri poteri di polizia demaniale, mortuaria e di autotutela esecutiva, nonché quelli inerenti al disconoscimento di autenticità di dichiarazioni sostitutive di atto notorio, al fine di scongiurare un probabile uso improprio o contrario alla concessione della c.d. cappella di famiglia.
7. Rileva il Collegio che nessuna delle ragioni fondanti la decisione impugnata può essere condivisa.
8. Sono, invece, fondati i motivi di appello mediante i quali il Comune censura, per un verso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 214 c.p.c. recante la disciplina sul disconoscimento formale delle scritture private, per altro verso la violazione della disciplina recata dall’art. 93, comma 2, del d.P.R. n. 285/1990.
9. In primo luogo, deve osservarsi che, sebbene l’art. 130 del Regolamento comunale di Polizia mortuaria della città di Barletta per le concessioni rilasciate anteriormente all’entrata in vigore del D.P.R. n. 803/1975 (ora abrogato) preveda espressamente che nella cappella gentilizia “è consentita la tumulazione di salme o di resti mortali di parenti ed affini del concessionario, in tutti i gradi e linee, sempre che l’atto di concessione non disponga diversamente” e l’atto di concessione rechi, invece, “[l’] assoluto divieto di tumulare persone estranee alla famiglia”, ciò non basta a rendere illegittimo il comportamento del Comune, alla luce delle peculiarità del caso di specie.
9.1. Infatti, se è vero che, coerentemente alla ratio della concessione a edificare la cappella familiare sul suolo cimiteriale e all’esigenza di vietare la commercializzazione (anche indiretta) di porzioni di aree demaniali, è l’atto di concessione a stabilire quali siano i confini dei possibili utilizzi delle cappelle de quibus, nei limiti temporali di validità della stessa concessione, è anche vero che nella risalente convenzione regolante il rapporto concessorio il divieto di tumulazione nella cappella privata delle salme di persone estranee alla famiglia era posto a solo carico del concessionario.
Tanto si ricava dall’art. 92 del d.P.R. n. 285 del 1990 – norma sopravvenuta applicabile, per quanto si dirà, alla presente fattispecie – il quale, al comma 3, prevede che “Con l’atto della concessione il comune può importare ai concessionari determinati obblighi […]” e, al comma 4 stabilisce che “Non può essere fatta concessione di aree per sepolture private a persone […] che mirino a farne oggetto di lucro e di speculazione” (e, nello stesso senso, si esprimevano l’art. 70, commi 2° e 3°, del r.d. 21 dicembre 1942, n. 1880, e anche l’art. 93, comma 4°, del d.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803).
9.2. Pertanto, poiché la regola della concessione che vieta la tumulazione di non familiari è posta a favore del Comune e a tutela di interessi generali, eventuali violazioni possono essere fatte valere solo dall’Amministrazione comunale.
9.3. Ne consegue, ulteriormente, che, se il Comune ha successivamente consentito, su richiesta dell’avente titolo, la tumulazione di salme di non familiari ciò non configura alcuna illegittimità, tenuto conto che la stessa concessione, al punto primo, rinvia alla normativa anche sopravvenuta.
9.4. Nel caso di specie, successivamente alla instaurazione del rapporto concessorio, con varie dichiarazioni sostitutive di atto notorio a firma dell’attuale appellato e dei relativi discendenti (alle quali erano allegate le fotocopie dei documenti di identità, nonché le relative tessere sanitarie di tutti i dichiaranti) è stata nel tempo autorizzata la tumulazione nella cappella cimiteriale edificata dell’originario concessionario di salme di non familiari. Quindi, acquisite illo tempore le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, corredate dai relativi documenti, di assenso da parte del ricorrente e di suoi familiari alla tumulazione di salme di soggetti estranei, null’altro il Comune era tenuto a fare.
9.5. L’Amministrazione comunale non aveva, infatti, a quel tempo ragionevole motivo di dubitare dell’autenticità delle sottoscrizioni apposte alle predette dichiarazioni sostitutive di atto notorio, anche perché nella direzione della genuinità delle predette dichiarazioni e della stessa scrittura del maggio 2017, ovvero della loro provenienza dai discendenti dell’originario concessionario, convergevano diversi elementi (valutabili anche ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.).
9.6. A ciò si aggiunga che nella fattispecie non risulta essere stata presentata alcuna querela di falso circa l’addotto contenuto apocrifo degli atti di assenso consegnati dalla parte agli uffici competenti. Né i sottoscrittori delle predette dichiarazioni hanno denunciato all’Autorità giudiziaria competente la sottrazione o l’uso illecito da parte di terzi dei propri documenti di identità e delle tessere sanitarie, allegati alle predette dichiarazioni sostitutive.
9.7. Deve, quindi, rilevarsi innanzitutto la fondatezza del primo motivo di appello con cui si lamenta l’erronea applicazione da parte della sentenza impugnata della disciplina di cui all’art. 214 c.p.c. in quanto la fattispecie concernente la produzione in copia di un documento è regolata dalle previsioni dell’art. 2719 cod. civ., sicché il disconoscimento ai sensi di quest’ultima norma non impedisce di accertare la conformità della copia all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.
9.8. Rileva al riguardo il Collegio che per consolidato indirizzo giurisprudenziale il disconoscimento formale deve avvenire, a pena di inefficacia, “attraverso una dichiarazione che evidenzi in modo chiaro ed univoco sia il documento che si intende contestare, sia gli aspetti differenziali di quello prodotto rispetto all’originale” (Cass. civ., Sez. I, 13 settembre 2021, n. 24634).
Non è quindi sufficiente un generico disconoscimento della conformità delle copie dei documenti prodotti dall’Amministrazione rispetto agli originali per precluderne l’utilizzabilità.
Tale disconoscimento, ai sensi dell’art. 2719 c.c., non ha infatti gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 214 c.p.c., in quanto non preclude al giudice di accertare la conformità delle copie agli originali anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. civ., Sez. V, ordinanza, 1° luglio 2024, n. 18022; Cass. civ., Sez. V, 18 gennaio 2022, n. 1324).
Nel caso di specie, nel giudizio di primo grado il ricorrente si è limitato a contestare la produzione in copia dei documenti da parte dell’Amministrazione comunale (che non implica di per sé disconoscimento delle scritture), senza offrire alcun elemento di distonia delle scritture stesse rispetto all’originale.
Opera, dunque, pienamente il regime di cui all’art. 2719 c.c. che consente al giudice di accertare la conformità delle copie prodotte all’originale, anche per presunzioni.
9.8.1. Oltre a quanto già evidenziato in merito alla mancata presentazione di querela di falso o di denunce relative all’uso indebito da parte di terzi dei documenti personali dei dichiaranti, il Comune ha prodotto in giudizio due documenti, rimasti del tutto incontestati, ovvero la lettera a firma del signor Conteduca Baldassarre del 2 giugno 2022, con la quale si invitava il soggetto autorizzato alla tumulazione di propri familiari in sei nicchie della cappella cimiteriale in concessione a partecipare alle spese di manutenzione straordinaria della medesima cappella, come da preventivo allegato, anch’esso sottoscritto dall’originario ricorrente.
Dunque, in punto di fatto, oltre a non essere stata proposta querela di falso, la condotta complessiva dall’originario ricorrente dimostra sia la conoscenza dell’avvenuta tumulazione di non familiari, sia il consenso dato a suo tempo.
9.9. A tale proposito deve poi rilevarsi che il 22 giugno 2025 il Comune ha comunque depositato in giudizio, in copia attestata conforme all’originale, la scrittura privata e la relativa autorizzazione, entrambe del 5 maggio 2017, sottoscritte dall’odierno appellato e dai suoi figli.
In particolare, con nota del 21 gennaio 2025, n. prot. 5319, il Dirigente del Settore Ambiente del Comune ha attestato che agli atti dell’ufficio risulta depositata, in data 6 ottobre 2023, da parte dell’impresa che curava all’epoca dei fatti la tumulazione delle salme, e acquisita al protocollo dell’ente pubblico in data 9 ottobre 2023, l’originale dell’autorizzazione del concessionario della cappella Conteduca, datata 5 maggio 2017, in favore della famiglia Capone alla sepoltura in sei nicchie della stessa cappella. Nell’autorizzazione è fatto altresì espresso riferimento ai vincoli di affetto che legano Baldassare Conteduca alla detta famiglia, in modo da soddisfare i requisiti necessari a permettere l’inumazione nella cappella privata di salme di non familiari.
9.9.1. Si tratta, invero, di produzione senz’altro ammissibile, che non collide con il divieto di deposito di nuovi documenti in appello.
Infatti, per consolidato indirizzo della giurisprudenza, nel processo amministrativo il divieto di produzione di nuovi documenti non opera allorché si tratti comunque di documentazione rilevante ai fini della decisione ovvero quei documenti che, ai sensi dell’art. 46, comma 2, del D.Lgs. n. 104/2010, l’Amministrazione resistente “deve” trasmettere al giudice, anche a prescindere dalla costituzione che invece rappresenta una facoltà, ossia il provvedimento impugnato, nonché gli atti e i documenti in base ai quali l’atto è stato emanato, quelli in esso citati e quelli che l’Amministrazione ritiene utili al giudizio.
La preclusione probatoria di cui all’art. 104, comma 2, del D.Lgs. n. 104/2010 non si riferisce, pertanto, al deposito del provvedimento impugnato e dei documenti correlati, trattandosi di adempimento doveroso ai sensi dell’art. 46, comma 2, cod. proc. amm. che legittima il giudice, anche d’appello, ad acquisire d’ufficio gli atti (Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2024, n. 4733 e giurisprudenza ivi richiamata).
Dunque, poiché l’art. 104, comma 2, cod. proc. amm. ammette la produzione in appello di documenti nuovi che il giudice ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa, non solo il provvedimento impugnato, ma anche gli atti del relativo procedimento, quale non può dubitarsi siano quelli in questione, per definizione sono da ritenersi indispensabili al giudizio alla luce degli artt. 46, co. 2, e 65, co. 3, D.Lgs. n. 104/2010 (Cons. Stato, sez. II, 13 giugno 2024, n. 5306).
10. In secondo luogo, il Comune di Barletta ha correttamente applicato le disposizioni normative regolanti la fattispecie, tra cui anzitutto l’art. 93 del d.P.R. 10 settembre 1990, n. 285 (Regolamento di polizia mortuaria).
10.1. La norma citata, dopo aver stabilito, al comma 1, che “Il diritto di uso delle sepolture private concesse a persone fisiche è riservato alle persone dei concessionari e dei loro familiari […]. In ogni caso, tale diritto si esercita fino al completamento della capienza del sepolcro”, al comma 2 ha però anche previsto in via di eccezione la possibilità per l’Amministrazione di consentire “su richiesta dei concessionari, la tumulazione di salme di persone che risultino essere state con loro conviventi, nonché di salme di persone che abbiano acquisito particolari benemerenze nei confronti dei concessionari, secondo i criteri stabiliti nei regolamenti comunali”.
10.2. Il divieto posto al concessionario di cappelle gentilizie o di famiglia di tumulazione di soggetti estranei alla famiglia, contenuto nella risalente concessione del 1956, deve essere dunque letto alla luce della normativa sopravvenuta, certamente applicabile alla fattispecie in virtù di quanto previsto dalla stessa concessione.
Quest’ultima, infatti, dispone espressamente al “Punto 1°)” che la “concessione, per quanto non previsto nel presente atto, è sottoposta alle norme regolamentari e legislative vigenti o che saranno emanate nonché ai principi generali del diritto pubblico che regolano le concessioni in oggetto e tutte le altre concessioni governative”; mentre al “Punto 3°)” dispone che il “concessionario si obbliga di uniformarsi alle norme del regolamento generale e del regolamento comunale di Polizia Mortuaria […]”.
10.4. Pertanto, l’assenza di specifica normazione secondaria dell’ente locale non consente di escludere la possibilità, contemplata dalla richiamata disciplina statale, di inumare nella cappella di famiglia, su richiesta dei concessionari, le salme di persone non familiari che risultino essere state conviventi coi medesimi concessionari o legate a questi ultimi da ragioni di particolare benemerenza.
10.5. Infatti, secondo il chiaro disposto normativo di cui all’art. 93 cit. ai regolamenti comunali spetta solo il potere di fissare i criteri ulteriori per la regolazione nel dettaglio del diritto dei concessionari a richiedere, in presenza dei presupposti di legge, l’inumazione nella cappella gentilizia o familiare di persone estranee alla famiglia, secondo quanto già previsto dalla legislazione primaria.
10.6. In tal senso, anche in applicazione della sola normativa statale, a determinate condizioni (esistenti nella specie) era ed è possibile l’inumazione di persone estranee alla famiglia del concessionario.
10.7. In relazione a tale aspetto, non è poi superfluo osservare che non osta all’interpretazione qui condivisa l’art. 130 del regolamento dell’ente locale, che si limita alla perpetuazione delle concessioni antecedenti il 1975, senza vietare, per le concessioni cimiteriali già rilasciate, l’applicazione della normativa sopravvenuta.
Infatti, una volta costituito il rapporto concessorio, questo può essere disciplinato da una normativa entrata in vigore successivamente, diretta a regolamentare le concrete modalità di esercizio dello ius sepulchri, anche con riferimento alla determinazione dall’ambito soggettivo di utilizzazione del bene.
La nuova normativa applicata dall’amministrazione non agisce, retroattivamente, su situazioni giuridiche già compiutamente definite e acquisite, intangibilmente, al patrimonio del titolare, ma detta regole destinate a disciplinare le future vicende dei rapporti concessori, ancorché già costituiti (in termini Cons. Stato, sez. V, 2 ottobre 2014, n. 4927; id. 27 ottobre 2014, n. 5296)
Stante la natura di durata del provvedimento concessorio, è ben possibile che i relativi rapporti, nel loro concreto ed effettivo dipanarsi nel tempo, possano essere sottoposti anche ad una disciplina diversa da quella esistente al momento del provvedimento concessorio, riguardante vicende e situazioni non ancora verificatesi o i cui effetti non si siano ancora definitivamente consolidati,
10.8. Deve poi rilevarsi che l’art. 132 del Regolamento comunale di polizia mortuaria della città di Barletta, con norma di chiusura, stabilisce che “Per quant’altro non previsto nel […] regolamento comunale di Polizia mortuaria, si fa rinvio al regolamento nazionale di polizia mortuaria introdotto con D.P.R. n. 285/1990 (…)”, rinviando così espressamente alla disciplina sopravvenuta, senza distinzione tra concessioni cimiteriali precedenti il d.P.R. n. 803/1975 e quelle successive anche al d.P.R. n.285/1990.
10.9. D’altro canto, come detto, è la stessa concessione del 1956 ad aver previsto che il diritto attribuito al concessionario sarebbe stato regolato dalle leggi del tempo, anche successive.
11. Le argomentazioni opposte in replica dell’odierno appellato non conducono a diverse conclusioni.
11.1. In primo luogo, non può condividersi la tesi secondo cui solo l’originario concessionario e fondatore della cappella di famiglia sia titolato a consentire, in deroga alle regole del sepolcro gentilizio, l’uso della sepoltura a soggetti estranei alla famiglia, e tali non siano i suoi familiari o discendenti, i quali sono, invece, titolari iure proprio del solo diritto (indisponibile) alla sepoltura.
11.2. Al contrario, il diritto a consentire alla sepoltura nella cappella di famiglia delle salme di persone estranee spetta, ricorrendone i presupposti di legge, anche al concessionario subentrato nella concessione, quale è l’appellato, essendo questi erede e discendente dell’originario fondatore della cappella di famiglia.
11.3. Del resto, diversamente, qualora l’appellato non fosse anche concessionario, in forza di subentro nell’originario rapporto concessorio, sorto con il suo dante causa nel 1956, verrebbe a configurarsi un difetto di legittimazione attiva al ricorso, che, come eccepito dal Comune, attenendo alla regolare costituzione del rapporto processuale, integra un profilo rilevabile anche d’ufficio da parte del giudice, così come quelli attinenti alle carenze delle altre condizioni dell’azione (cfr. Cons. Stato, sez. II, 26 settembre 2022, n. 8263; Cons. Stato, sez. VI, 19 maggio 2022, n. 3963).
11.4. Inoltre, sotto altro concorrente profilo, qualora fosse condivisa la tesi dell’appellato sul diritto del solo fondatore all’autorizzazione all’inumazione di estranei, lo stesso appellato, in assenza di detta qualità, non sarebbe titolare della posizione legittimante al gravame, in quanto nel caso in esame il relativo diritto al sepolcro non è in concreto pregiudicato dall’inumazione di due salme né dall’autorizzazione alla sepoltura di non familiari in sei nicchie della cappella di famiglia.
12. In ogni caso, nella specie, l’appellato rivendica il diritto alla sepoltura nella cappella edificata dal suo dante causa dei soli familiari, facendo così valere non solo la propria originaria posizione di familiare, ma anche quella, successivamente acquisita, di concessionario.
13. In conclusione, l’appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, va respinto il ricorso di primo grado.
14. Sussistono, nondimeno, giusti motivi, per la novità e complessità delle questioni trattate e le peculiarità della vicenda controversa, per disporre la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di giudizio.
CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 14.08.2025 n. 7042