Processo – Giurisdizione – Competenza – Autonomia tra la domanda ex art 70 c.p.c. e giudizio di rinvio

Processo – Giurisdizione – Competenza – Autonomia tra la domanda ex art 70 c.p.c. e giudizio di rinvio

1. Va brevemente ripercorsa la vicenda.

Con atto di pignoramento presso terzi notificato in data 28.03.2018, P.M.R. agiva nei confronti del debitore esecutato P.M. e del terzo INPS, in virtù della sentenza n. 788/13 emessa dal Tribunale di Matera in data 24/27.09.13, che aveva condannato P.M., in solido con altre persone, al pagamento in suo favore della somma di euro 42.593,57, sentenza confermata dalle sentenze non definitive nn. 103/05 e 29/14 e dalla sentenza definitiva n. 653/17 emesse dalla Corte di appello di Potenza.

La procedura esecutiva iscritta al n. 5783/18 RGE veniva definita dal GE con l’ordinanza di assegnazione emessa in data 4.03.19.

Successivamente la Corte di Cassazione, con sentenza n. 18211 del 2.09.2020, cassava parzialmente con rinvio le sentenze della Corte di Appello di Potenza, in particolare con riferimento al secondo motivo di impugnazione “nei limiti di cui alla motivazione”, relativo alla quantificazione delle rendite da attribuire a P.M.R., P.A. e P.R.

In particolare argomentava “La sentenza impugnata non è in linea con tale principio. Dalla considerazione che l’azienda era stata gestita solo da alcuni dei coeredi discendeva che, al fine di determinare ciò che spettava agli altri, occorreva fare riferimento non al reddito di impresa, ma ai frutti civili, in conformità al principio, consolidato nella giurisprudenza della Corte, secondo cui “il condividente di un bene immobile che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo giustificativo, deve corrispondere agli altri, quale ristoro per la privazione della utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti al tempo della divisione”, da individuare nei canoni di locazione in assenza di altri più idonei criteri di valutazione.

Alla luce di detta sentenza il P. otteneva con ordinanza del Tribunale di Matera ex art. 702 bis che P.M.R. fosse condannata alla restituzione della somma di euro 7.289,55 (pari a 9 trattenute della pensione) nonché con decreto ingiuntivo n. 215/2021 GdP di Matera che fosse intimata a quest’ultima la restituzione della somma di euro 1619,90.

P.M. instaurava successivamente il procedimento ex artt. 700 e 669 ter c.p.c., iscritto al n. 25247/23 RG, con cui chiedeva la sospensione degli effetti della assegnazione, ordinando all’INPS di non operare, sui ratei di pensione spettantigli, altre trattenute in favore della germana, onde ottenere in via anticipata e cautelare gli effetti della azione di merito che avrebbe di seguito introdotto e finalizzata all’accoglimento delle seguenti conclusioni:

“- affermi l’inesistenza attuale e sopravvenuta del titolo esecutivo giudiziale alla base della esecuzione culminata nell’Ordinanza del Tribunale di Napoli del 04.03.2019 resa nel procedimento esecutivo RGE 5783/2018;

– e conseguentemente affermi la sopravvenuta inefficacia dell’assegnazione effettuata in detto proc. esec. RGE 5783/2018 del 04.03.2019 del Tribunale di Napoli e

– annulli e/o risolva il negozio di cessione coattiva del credito per trattamento di quiescenza operata dal Giudice dell’esecuzione con la citata Ordinanza del 04.03.2019 nella Procedura esecutiva del Tribunale di Napoli 5783/2018 in favore della signora P.M.R.;

– ordini all’INPS terzo pignorato di non erogare a far data dalla notifica del presente ricorso ulteriori somme alla signora P.M.R. per effetto della richiamata assegnazione;

– condanni la signora P.M.R. ai danni nella misura di €.5.000,00 per responsabilità aggravata ex art. 96 cpc o ad altra somma determinata equitativamente dal giudice per lo stesso titolo”.

Si costituiva nel giudizio 25247/23 RG P.M.R., eccependo preliminarmente l’incompetenza del Tribunale di Napoli in favore della Corte di Appello di Potenza ex art. 389 c.p.c.

Il Tribunale, dopo aver concesso la cautela inaudita altera parte, ritenendo fondata la questione sollevata, con ordinanza del 7.03.2024, dichiarava la propria incompetenza per essere la controversia attribuita alla cognizione della Corte di Appello di Potenza; compensava le spese ed assegnava il termine di giorni 90 per la riassunzione del giudizio. In particolare argomentava quanto segue “la domanda di merito qui preconizzata dal ricorrente non concerne né la restituzione di quanto già forzatamente versato alla sua controparte, né la riduzione in pristino di un oggetto materiale; essa, tuttavia, non può non considerarsi conseguente alla sentenza di cassazione;

− è stata quest’ultima, infatti, a rimuovere la sentenza di merito sulla quale l’esecuzione era fondata e ad attribuire, di conseguenza, il carattere dell’indebito non solo ai pagamenti già avvenuti, ma anche a quelli che dovrebbero, in futuro, avvenire sulla base dell’ordinanza di assegnazione;

− l’accertamento richiesto dal ricorrente in ordine alla sopravvenuta caducazione dell’ordinanza di assegnazione e della connessa novazione nella titolarità (di quota parte) del credito pignorato costituisce, invero, il diretto precipitato della cassazione subita dal titolo esecutivo in forza del quale essa è stata emessa;

− appare, dunque, del tutto coerente con il tenore letterale e con lo scopo dell’art. 389 c.p.c. che la cognizione su tale domanda sia concentrata, insieme con le altre citate, dinanzi al giudice del rinvio”. Pertanto ravvisava la competenza della Corte di Appello di Potenza, quale giudice del rinvio chiamato a pronunciarsi sulla quantificazione del credito spettante a P.M.R., dovendosi ritenere che “il potere cautelare ante causam spetta, ai sensi dell’art. 669 ter cpc al medesimo giudice, in favore del quale dev’essere declinata la competenza sul presente ricorso”.

Ha proposto reclamo avverso tale ordinanza P.M. il quale sostiene che vi sia stata una erronea interpretazione dell’art. 389 c.p.c. da parte del Giudice di prime cure.

In particolare ha dedotto che:

– la pronuncia invocata è indipendente rispetto alle vicende del giudizio divisorio, dovendosi solo valutare gli effetti della decisione della Corte di Cassazione (in altri termini il venir meno del titolo esecutivo) rispetto all’ordinanza di assegnazione emessa proprio in virtù del titolo cassato;

– l’autonomia dell’azione cautelare è confermata dal fatto che il giudizio ex art. 700 è stato incardinato anche nei confronti dell’INPS quale debitor debitoris.

Si è, infine, soffermato sull’ammissibilità del reclamo sulla questione di competenza per l’effetto interamente devolutivo dello stesso nonché sull’esistenza del periculum in mora (derivante dalla natura assistenziale e previdenziale del trattamento di quiescenza, dal danno morale per l’ingiustizia subita nonché dal danno all’immagine e patrimoniale per non potere il reclamante accedere a prestiti come persona fisica e non come consumatore).

Il reclamante, quindi, ha chiesto che venga annullata l’ordinanza di incompetenza territoriale del Tribunale di Napoli e che venga ordinato all’Inps di interrompere le trattenute in forza del pignoramento del Tribunale di Napoli, previo accertamento dell’insussistenza del titolo esecutivo.

Si è costituita parte reclamata che ha dedotto in primo luogo l’inammissibilità del reclamo in quanto il provvedimento reclamato non ha alcun contenuto decisorio.

Inoltre ha evidenziato, quanto alla libera scelta tra l’azione autonoma e quella ai sensi dell’art. 389 c.p.c. invocata da parte reclamante, che P.M. ha già proposto la domanda restitutoria ai sensi dell’art. 389 c.p.c. (cfr doc 5 produz di parte nel giudizio 25247/23 RG) per cui il presente giudizio ne costituirebbe una duplicazione.

Quanto alla mancanza dei requisiti della proposta domanda cautelare, parte reclamata ha richiamato quanto già dedotto nel giudizio di prime cure in cui aveva già evidenziato che:

– non è venuto meno il titolo esecutivo azionato, in quanto la Corte di Cassazione non ha riformato la sentenza sull’an ma ha rinviato solo per la quantificazione del dovuto;

– l’ordinanza di assegnazione somme, in quanto atto conclusivo del processo esecutivo, non può essere né revocata né annullata mentre le domande di restituzione e quelle “conseguenti” derivanti dalla sentenza della Corte di Cassazione sono state già proposte nel giudizio di rinvio ex art. 389 c.p.c.;

– l’azione ai sensi dell’art. 700 c.p.c. è inammissibile in quanto strumento residuale, mentre nel caso di specie il reclamante avrebbe uno strumento di tutela rappresentato dal giudizio di rinvio ex art. 389 c.p.c. in cui dovranno essere quantificati i frutti e formate le quote ereditarie per definire le eventuali posizioni, debitorie – creditorie, tra gli eredi. Ha concluso, pertanto, chiedendo al Tribunale quanto segue:

1) rigettare il proposto reclamo dichiarandolo per tutto quanto sopra esposto, improcedibile ed inammissibile nonché del tutto infondato nel merito;

2) condannarsi il reclamante al pagamento di una somma da determinarsi secondo equità a titolo di risarcimento danni per lite temeraria ex art. 96 cpc. per aver proposto un’azione palesemente infondata.

3) condannarsi il reclamante al pagamento di spese e competenze di lite con attribuzione per entrambe le fasi.

Si è costituita anche l’INPS che ha rappresentato di aver sospeso i pagamenti dopo il decreto di sospensione emesso in data 20.12.2023 con decorrenza dal mese di marzo 2024 ed ha concluso come segue “voglia (il Tribunale) così provvedere:

– pronunciarsi sulla competenza territoriale

– stabilire se l’INPS deve riprendere ad effettuare le trattenute sulla pensione erogata al sig. P.M.;

– con liquidazione delle spese del presente giudizio

Il Tribunale si è riservato all’udienza del 17.05.2024.

2. Va preliminarmente ritenuta l’ammissibilità del reclamo anche sulla questione di competenza, dovendosi tener conto dell’effetto interamente devolutivo del reclamo.

D’altronde non sarebbe stato possibile per il reclamante sollevare il regolamento di competenza. Vi è un consistente orientamento giurisprudenziale che esclude che le statuizioni sulla competenza del giudice cautelare siano impugnabili con regolamento di competenza.

La ratio sottesa a tale inammissibilità si pone su un piano logico fondato sull’assenza di “stabilità” sia dell’eventuale provvedimento declinatorio sia di un’eventuale sentenza all’esito del procedimento di cui all’art. 47 c.p.c. Nel primo caso si tratterebbe di un provvedimento provvisorio, non in grado di inibire l’illimitata possibilità di riproposizione della domanda cautelare. Nel secondo caso, ancora una volta, si tratterebbe di una sentenza priva del requisito della definitività atteso il peculiare regime giuridico del procedimento cautelare nel quale andrebbe ad inserirsi (Cass. S.U. 18189/13Cass 1613/17Cass. 10914/18).

Pertanto, laddove il giudice di un’azione cautelare si dichiari incompetente, deve ammettersi la possibilità per la parte interessata di proporre reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., altrimenti la stessa rimarrebbe priva di tutela.

3. Quanto alla questione di competenza, va rilevato che è un principio consolidato in giurisprudenza che il giudizio di rinvio e quello per le restituzioni ex art. 389 c.p.c. sono autonomi e possono essere instaurati separatamente.

E’ utile sul punto richiamare la sentenza della Corte di Cassazione n. 27409/23, in cui si legge che “il giudizio ex art. 389 c.p.c. soddisfa l’esigenza di garantire al più presto all’interessato – senza imporgli di attendere i tempi dell’istruzione e della soluzione della lite principale – la restaurazione della situazione patrimoniale anteriore alla pronuncia della decisione poi annullata, mentre il giudizio ex art. 392 c.p.c. ha per oggetto la definitiva statuizione dei rapporti di dare e avere tra le parti; tra i due giudizi – cfr., ex plurimis, Cass 4/09/2020 n. 18491Cass. 20/06/2011 n. 13454 – non vi è dunque alcuna interrelazione, anche se è evidente che sarà la statuizione finale del giudizio di rinvio che determinerà in via definitiva, ove già si sia svolto il giudizio per la restituzione, quanto dovrà essere effettivamente corrisposto da un parte all’altra con il conseguente conguaglio conclusivo, che terrà conto anche delle somme restituite in adempimento della sentenza emessa all’esito del giudizio di cui all’ art. 389 c.p.c.; nel codice di rito, in effetti, non si rinviene alcun divieto o impedimento a promuovere separatamente, innanzi al giudice designato a norma dell’art. 383 c.p.c., il giudizio di rinvio e quello per le restituzioni o la riduzione in pristino, essendo, anzi, tale possibilità desumibile dall’espressa previsione, contenuta nell’ art. 389 c.p.c., di un giudizio autonomo per la restituzione o la riduzione in pristino; né, ove i due giudizi promossi separatamente non vengano riuniti, sussiste violazione dell’art. 273 c.p.c. (o dell’art. 274 c.p.c.) e, a seguito della decisione separata, del principio del ne bis in idem, in quanto le causae petendi dei due giudizi sono diverse: nel giudizio di restituzione (o di riduzione in pristino), il diritto che ne è l’oggetto è solo quello a conseguire l’effetto restitutorio o ripristinatorio, mentre, al contrario, nel giudizio di rinvio ha luogo, nei limiti della disposta cassazione, come avvenuto nel caso di specie, una nuova pronuncia sul thema decidendi della controversia ed, in ragione del suo esito, sulle relative spese processuali”.

Ciò premesso, va precisato che, nel caso di specie, la domanda avanzata con l’art. 700 c.p.c. non ha finalità restitutorie, essendo diretta ad ottenere l’ordine all’INPS di non operare ulteriori trattenute sulla pensione del P.M., quale effetto della cassazione della sentenza posta a base dell’ordinanza di assegnazione somme.

Tuttavia, analogamente a quanto affermato dalla giurisprudenza citata per l’azione restitutoria ex art. 389 c.p.c., deve riconoscersi una autonomia anche tra la domanda cautelare de qua, comunque conseguente alla pronuncia della Cassazione, e il giudizio di rinvio già instaurato davanti alla Corte di Appello di Potenza.

Anzi, nella fattispecie in esame, l’autonomia tra le due azioni si atteggia come totale, in considerazione del fatto che l’esito del giudizio di rinvio non potrà mai in alcun modo incidere sulla domanda in esame, neanche nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio dovesse giungere a confermare l’entità del credito di cui alla sentenza cassata vantato dalla reclamata o addirittura in una misura maggiore.

Non è possibile, infatti, applicare alla fattispecie in esame il principio stabilito dalla Corte di Cassazione con riferimento alle domande restitutorie ex art. 389 c.p.c., secondo il quale “solo nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio con la sentenza che conclude il relativo giudizio confermi la sentenza cassata prima che giunga a decisione la causa sulle restituzioni, vi è … deroga alla regola dell’autonomia delle due cause, alla stregua del principio secondo cui il giudice delle restituzioni può omettere la pronuncia di accoglimento della domanda restitutoria o risarcitoria, poiché con tale decisione viene posto nuovamente in essere il titolo giustificativo del pagamento o del provvedimento che ha condotto alla privazione del bene o dalla cui esecuzione è scaturito il danno risarcibile (Cass. 27/03/2007 n. 7500Cass. 19/02/2003 n. 2480Cass. 13/02/1999, n. 1210)”.

Nella vicenda in esame gli esiti del giudizio di rinvio, quand’anche alla fine dovessero risultare favorevoli alla reclamata, non potranno mai far rivivere l’ordinanza di assegnazione somme emessa nella procedura esecutiva n. 5783/18 RGE, i cui effetti devono ritenersi caducati immediatamente con il venir meno dell’originario titolo azionato, vigendo nell’esecuzione il principio che l’efficacia del titolo deve supportare l’azione esecutiva in tutta la sua durata, anche in caso di esecuzione frazionata e differita nel tempo, come nel caso di specie.

Sarà, dunque, necessario per P.M.R. eventualmente introdurre una nuova procedura espropriativa, sulla base del nuovo titolo che si verrà a formare all’esito del giudizio di rinvio, non potendosi giustificare una protrazione degli effetti del precedente pignoramento presso terzi n. 5783/18 RGE dopo il venir meno del titolo esecutivo azionato.

La totale autonomia tra la domanda cautelare in esame e il giudizio di rinvio di cui si è detto impone di derogare al criterio di competenza stabilito dall’art. 389 c.p.c., operando le due azioni su due piani completamente diversi (di cui uno strettamente esecutivo) e senza possibilità alcuna di interazione tra le stesse.

Altro argomento che induce a questa conclusione è la mancanza di coincidenza da un punto di vista soggettivo tra le due azioni, atteso che l’INPS (terzo pignorato nella procedura esecutiva n. 5783/18 RGE ) è parte necessaria della domanda cautelare ex art 700 cpc, quale destinatario dell’ordine di sospensione/interruzione delle trattenute sulla pensione, mentre invece è soggetto completamente estraneo al giudizio di rinvio e alla vicenda divisoria sottostante.

Va ancora rilevato che il criterio di competenza stabilito dall’art. 389 c.p.c. non è inderogabile, atteso che, già che nelle ipotesi di opposizione all’esecuzione forzata, iniziata sulla base di una sentenza poi cassata con rinvio, la Cassazione ha ritenuto di affermare il principio che l’opposizione ex art. 615 co.2 c.p.c. “non è attratta” nella competenza del giudice di rinvio, “in quanto oggetto di quel giudizio è l’esistenza o meno del titolo che legittimò l’esecuzione (anche per sopravvenuta cassazione della sentenza posta in esecuzione), mentre l’accertamento dell’esistenza (o meno) del diritto che si dovrebbe attuare con l’esecuzione resta attribuita al giudice di rinvio, al quale spetta procedere all’accertamento del contenuto sostanziale del rapporto quale risulta dalla sentenza cassata, provvedendo, se del caso, alle restituzioni ex art. 389 cod. proc. civ.” (Cass. 975/2010).

E’, infine, da escludere che vi sia una duplicazione di giudizi, così come sostenuto da parte reclamata, atteso che l’azione cautelare in esame ha un contenuto diverso rispetto all’oggetto del giudizio di rinvio instaurato davanti alla Corte di appello di Potenza.

Alla luce di quanto finora argomentato deve, in riforma dell’ordinanza reclamata, affermarsi la competenza del Tribunale di Napoli secondo i criteri ordinari di competenza, dovendosi tener conto del luogo in cui la prestazione richiesta deve eseguirsi.

4. Quanto al fumus boni iuris della domanda cautelare deve rilevarsi che non si può nutrire alcun dubbio sulla circostanza che, dovendosi ritenere caducata la statuizione condannatoria della sentenza della Corte di Appello circa il quantum dovuto da P.M. alla germana P.M.R. per effetto della cassazione della sentenza, è venuto meno il titolo esecutivo in virtù del quale è stata emessa la ordinanza di assegnazione somme nel procedimento esecutivo n. 5783/18 RGE. Il credito è diventato illiquido, per quanto la sentenza della Corte di Appello sia stata confermata sotto il profilo dell’an, cioè del riconoscimento di un credito in capo all’odierna reclamata nei confronti del reclamante.

Si deve, anzi, precisare in proposito che la cassazione della sentenza di appello ha determinato ex lege anche la caducazione dell’efficacia della sentenza di primo grado. Invero, in forza degli articoli 336 e 393 c.p.c., gli effetti della cassazione con rinvio si estrinsecano rendendo inefficaci le sentenze di merito emesse nel corso del giudizio (Cass. civ., Sez. III, 09/01/2002, n. 210).

Tale costante impostazione della Suprema Corte è perfettamente coerente con il fatto che la mancata riassunzione della causa nel termine “ex lege” del giudizio di rinvio, nei termini di cui all’art. 393 c.p.c., non determina il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, ormai “tamquam non esset”, ma la caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso del giudizio (Cass. civ., Sez. III, 07/02/2012, n. 1680 , Conformi Cass. civ. Sez. V, 06/12/2002, n. 17372). La sentenza di primo grado, dopo la cassazione dell’appello è comunque caducata anche nel caso in cui, con la nuova sentenza di appello si abbia una conferma di quanto era stato riconosciuto in primo grado. Questo in quanto la sentenza del giudizio di rinvio è del tutto autonoma e costituisce il primo pronunciamento tra le parti .

La sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo sotto il profilo del quantum non può, dunque, giustificare che l’ordinanza di assegnazione somme de qua continui a produrre i suoi effetti.

5. L’istanza cautelare deve, poi, ritenersi fondata anche sotto il profilo del periculum in mora non potendosi trascurare la natura assistenziale e previdenziale del trattamento pensionistico.

Alla luce di quanto sopra, deve ritenersi accoglibile la domanda cautelare e, per l’effetto, deve confermarsi il decreto cautelare emesso inaudita altera parte in data 18.12.2023, con la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ordinanza di assegnazione emessa il 4.3.2019 nel procedimento esecutivo 5783/2018, e conseguente ordine all’INPS di sospendere il versamento a P.M.R. in attesa della definizione della fase di merito del presente giudizio cautelare.

6. Le spese del presente giudizio di reclamo devono essere compensate, dovendosi tener conto della novità della questione trattata e dell’assenza di precedenti giurisprudenziali specifici.

Per lo stesso motivo deve confermarsi la decisione del Giudice di prime cure quanto alle spese della prima fase cautelare.

Il giudizio di merito andrà instaurato nel termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, ai sensi dell’art. 669 octies c.p.c.

Trib. Napoli, V, ord., 17.05.2024, n. 6324

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