1. -OMISSIS- S.r.l.s., ha come socio e amministratore unico -OMISSIS–OMISSIS-, nato a Ragusa il -OMISSIS-: egli, sottoposto in tale qualità ai controlli antimafia ai sensi dell’art. 85, II comma, del d. lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione) è risultato destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. con obbligo di soggiorno, disposta con decreto emesso in data 30 ottobre 2002 dal Tribunale di Ragusa e confermata con decreto del 10 giugno 2003 della Corte di Appello di Catania, divenuto definitivo il 26 settembre 2003.
2.1. Alla società -OMISSIS- S.r.l.s. è stato in seguito trasmesso il provvedimento in epigrafe del prefetto di -OMISSIS-, nel quale si rappresenta che per la stessa società “sussistono le cause di divieto, di sospensione e di decadenza” ai sensi dell’art. 67 del d. lgs. 159/2011, con l’ulteriore specificazione che lo stesso provvedimento ha carattere “di comunicazione antimafia interdittiva”, di cui al seguente art. 84, II comma (“La comunicazione antimafia consiste nell’attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67”), e che avverso il medesimo, “notificato alla società interessata ai sensi dell’art. 88, comma 4-quinquies” dello stesso d. lgs. 159/2011 è ammesso ricorso giurisdizionale al giudice amministrativo e ricorso straordinario al Capo dello Stato.
2.2.1. Nella sua motivazione, il provvedimento – che viene qualificato come atto certificatorio di natura vincolata, senza spazio alcuno per valutazioni discrezionali – rappresenta anzitutto che, “ai sensi dell’art. 67, comma 1, del D.lgs. 159/2011 (Codice Antimafia), le cause di decadenza, di divieto o di sospensione di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano alle persone nei cui confronti sia stata disposta con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II del medesimo decreto legislativo”, misure tra cui rientra la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza ex art. 6 dello stesso d. lgs. 159/2011, per la quale il -OMISSIS- non aveva ancora richiesto la riabilitazione, come pure consentito dal seguente art. 70 (“Dopo tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione personale, l’interessato può chiedere la riabilitazione. La riabilitazione è concessa, se il soggetto ha dato prova costante ed effettiva di buona condotta, dalla corte di appello nel cui distretto ha sede l’autorità giudiziaria che dispone l’applicazione della misura di prevenzione o dell’ultima misura di prevenzione”).
2.2.2. Sarebbe dunque accertata, prosegue la motivazione, “la sussistenza, nella fattispecie in esame, delle cause di decadenza, di divieto o di sospensione di cui all’art. 67 del D.lgs. 159/2011, le quali prevedono ex se — ovvero senza alcuna valutazione di merito affidata all’autorità amministrativa — il diniego di contrattare a qualsiasi titolo con la Pubblica Amministrazione, in virtù di quella perdita di fiducia che il nostro ordinamento riconosce a coloro che siano stati destinatari di una misura di prevenzione, a meno che non sia stata richiesta ed ottenuta la riabilitazione ai sensi dell’art. 70 del Codice Antimafia”.
3.1.1. -OMISSIS- S.r.l.s. ha allora proposto il ricorso in esame avverso la comunicazione antimafia, notificandolo all’Amministrazione resistente il 13 giugno scorso: e questa, costituendosi in giudizio, ha preliminarmente eccepito l’irricevibilità del ricorso per tardività, giacché il provvedimento sarebbe stato notificato alla società ricorrente il giorno stesso della sua adozione, ovvero il 28 marzo 2025, tramite invio per posta elettronica certificata al domicilio digitale dell’impresa.
3.1.2. Invero, l’Amministrazione resistente a prova di ciò ha inizialmente depositato un documento in formato pdf privo di particolari attestazioni così formulato: «Ricevuta di avvenuta consegna Il giorno 28/03/2025 alle ore 15:50:04 (+0100) il messaggio “RISERVATA AMMINISTRATIVA – Interdittiva -OMISSIS- s.r.l.s. – Notifica impresa” proveniente da [email protected] ed indirizzato a [email protected] è stato consegnato nella casella di destinazione. Identificativo messaggio: 865A147F.00D134E3.DD3B3D3E.661E6497.posta-certificata@legalmail.it».
3.1.3. Solo il 29 luglio – e dunque oltre il termine consentito – è stata depositata ulteriore documentazione dall’Avvocatura dello Stato, ma non ancora la ricevuta di avvenuta consegna in formato eml e ciò in quanto, secondo quella difesa, il sistema di posta certificata delle Prefetture non consentirebbe di scaricarlo.
3.2.1. L’Avvocatura mette in evidenza anche l’identificativo del messaggio, e si può aggiungere che l’indirizzo pec [email protected] effettivamente corrisponde, secondo INI- PEC, a -OMISSIS- società a responsabilità limitata semplificata: pure non ritiene il Collegio di disporre approfondimenti istruttori sulla fondatezza della eccezione.
3.2.2. Anzitutto, qui l’atto sarebbe stato notificato a -OMISSIS- S.r.l.s. nelle forme consentite dall’art. 88, comma 4-quinquies del D.lgs. 159/2011, il quale dispone che “La comunicazione antimafia interdittiva è comunicata dal prefetto, entro cinque giorni dalla sua adozione, all’impresa, società o associazione interessata, secondo le modalità previste dall’articolo 79, comma 5-bis, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”, ovvero, in alternativa, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mediante notificazione o mediante posta elettronica certificata ovvero mediante fax, se l’utilizzo di quest’ultimo mezzo è espressamente autorizzato dal concorrente.
Si tratta di una delle disposizioni che regolano la comunicazione dei mancati inviti, delle esclusioni e delle aggiudicazioni secondo il codice dei contratti pubblici all’epoca vigente, poi abrogato dal d. lgs. 18 aprile 2016, n. 50, a sua volta abrogato dal d. lgs 31 marzo 2023, n. 36; e se l’art. 76, V comma, del d. lgs. 50/2016 reca una previsione analoga al ripetuto art. 79, viceversa il d. lgs. 36/2023 ha introdotto un sistema di comunicazione affatto differente, desumibile dal combinato disposto degli articoli 90, 36 e 25, che utilizza una piattaforma digitale e comunque non fa più alcun riferimento alle comunicazioni mediante posta elettronica certificata.
3.2.3. Ebbene, è da ritenere – anche senza approfondire se l’art. 88 rechi un rinvio materiale o formale – che l’ultima riforma non abbia fatto venir meno la possibilità di utilizzare la pec per trasmettere la comunicazione antimafia, giacché questa garantisce un’adeguata presunzione di conoscenza da parte dell’interessato, una volta incluso nell’Indice Nazionale degli Indirizzi (INI) PEC: sicché il dies a quo per l’impugnazione della comunicazione antimafia inviata a -OMISSIS- S.r.l.s., ove fosse definitivamente comprovata la ricezione dell’atto, sarebbe il 28 marzo 2025, e il ricorso sarebbe irricevibile.
3.2.4. Tuttavia, nella fattispecie la stessa Amministrazione ha poi notificato la stessa comunicazione con l’ausilio dei Carabinieri di -OMISSIS- al -OMISSIS- personalmente il seguente 15 aprile: e, rispetto a quella data, il ricorso è stato notificato tempestivamente.
3.2.5. Ora, come si è visto, l’articolo 79, comma 5-bis, cui rinvia l’art. 88, pone sullo stesso piano la comunicazione via pec e la notificazione: e sebbene un’appropriata circospezione avrebbe giustificato che si facesse decorrere l’intervallo di sessanta giorni per proporre il ricorso giurisdizionale dal termine iniziale più risalente, si può comunque ammettere, come sostiene parte ricorrente, che la seconda notifica abbia ingenerato una giustificabile incertezza nella parte interessata, tale da ritenere scusabile, ex art. 37 c.p.a., l’errore da questa commesso: l’Amministrazione avrebbe insomma dovuto opportunamente chiarire, mentre la effettuava, che la nuova notifica non sostituiva quella già effettuata a mezzo pec.
4.1. Stabilito questo, e concluso dunque per l’ammissibilità de ricorso, questo è comunque infondato, anzitutto con riguardo al primo motivo, rubricato nella violazione dell’art. 117, I comma, del d.lgs. n. 159/2011 e falsa applicazione degli artt. 67 e 70 del d. lgs. n. 159/2011.
4.2.1. Il ricorso richiama il citato art. 117, I comma, che, fissando una disciplina transitoria per le disposizioni contenute nel libro I del d. lgs. 159/2011, dedicato alle misure di prevenzione, prevede espressamente che tali disposizioni “non si applicano ai procedimenti nei quali, alla data di entrata in vigore del presente decreto”, ovvero il 13 ottobre 2011, “sia già stata formulata proposta di applicazione della misura di prevenzione. In tali casi, continuano ad applicarsi le norme previgenti”.
4.2.2. Afferma la ricorrente che tale disposizione comporterebbe che nessuna disposizione del Libro I possa trovare applicazione per le proposte già formulate e a fortiori per quelle deliberate: e poiché al -OMISSIS- la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno era stata applicata nel 2003, la stessa non potrebbe essere presa in considerazione, essendosi il relativo procedimento definito ben prima della sua entrata in vigore.
4.3.1. La tesi non può essere accolta.
Anzitutto, la disciplina della comunicazione antimafia, che è il provvedimento impugnato, è contenuta negli art. 84 e 87 segg. del libro II del d. lgs. 159/2011, sicché il richiamo all’art. 117 già per questo si presenta inconferente.
4.3.2. Inoltre, lo stesso art. 117 si limita a intervenire sui procedimenti in corso in materia di misure di prevenzione, regolati dalla disciplina previgente contenuta nella l. 27 dicembre 1956, n. 1423 e nella l. 31 maggio 1965, n. 575, che il d. lgs. 159 ha sostituito e abrogato, e non stabilisce affatto che le misure di prevenzione, adottate nella vigenza della precedente disciplina, cessino di avere efficacia, con l’entrata in vigore della successiva, e l’Amministrazione non possa – o debba, come nel caso – fondare su di esse una determinazione in materia di antimafia.
4.3.3. D’altronde, al -OMISSIS- era stata irrogata la misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, istituto regolato tanto dagli artt. 3 segg. della l 27 dicembre 1956, n. 1423, quanto dagli artt. 6 segg. dello stesso d. lgs. 159/2011, con previsioni cospicuamente coincidenti.
A sua volta, l’art. 67 dello stesso d. lgs. 159/2011, richiamato dall’art. 84, presenta in massima parte lo stesso contenuto dell’art. 10 della citata l. 575/1965, sicché, mancando qualsiasi soluzione di continuità tra le norme succedutesi, la circostanza che la misura sia stata irrogata nella vigenza dell’una o dell’altra fonte è irrilevante ai fini della comunicazione antimafia.
4.4.1. Il secondo motivo è rubricato nell’eccesso di potere per sviamento, censura che prende avvio da un passaggio del provvedimento impugnato ove testualmente si afferma che “lo stesso -OMISSIS- -OMISSIS-risulta condannato alla pena di due anni e mesi otto di reclusione per i reati di cui agli artt. 110 c.p. e 256 D. Lgs. 152/2006, 110 e 452-quaterdecies c.p., con sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti emessa in data 26 novembre 2020 dal G.I.P. del Tribunale di Milano e divenuto irrevocabile il 31 dicembre 2020”, e tale richiamo comporterebbe che il provvedimento impugnato non avrebbe “natura di mera comunicazione interdittiva antimafia, bensì costitui[rebbe] una vera e propria informazione interdittiva antimafia”.
4.4.2. Invero, rammenta parte ricorrente come “la comunicazione interdittiva antimafia è un atto dal contenuto vincolato e non soggetto ad alcuna valutazione discrezionale da parte del Prefetto; al contrario, l’informazione interdittiva antimafia si fonda su una valutazione ampiamente discrezionale circa la sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa, che muove dall’analisi e dalla valorizzazione di specifici elementi fattuali che indicano connessioni o collegamenti con associazioni criminali”.
4.4.3. Orbene, il provvedimento impugnato è bensì qualificato come comunicazione antimafia, ma il richiamo alla sentenza di patteggiamento alluderebbe “ad un rischio di condizionamento da parte della criminalità organizzata nella gestione dell’impresa”, e ciò sarebbe più coerente con il contenuto tipico di un’informativa antimafia interdittiva, ove è centrale la valutazione degli elementi di fatto che, secondo la regola del più probabile che non, portano a ritenere sussistente il pericolo di condizionamento o il tentativo di infiltrazione mafiosa: peraltro, conclude la ricorrente, tali elementi di fatto non risultano concretamente sussistenti, ed il mero richiamo a una sentenza penale, riferita a fatti privi di un collegamento diretto con la conduzione dell’impresa, non basta a giustificare l’adozione di un provvedimento di natura interdittiva.
4.5.1. Ebbene, anche questa seconda censura è infondata.
4.5.2. L’Amministrazione pone a fondamento del provvedimento la misura di sicurezza della sorveglianza speciale, e quindi l’art. 67 citato e sottolinea univocamente che si tratta di una comunicazione antimafia, atto vincolato rispetto al quale il Prefetto non esprime alcuna valutazione discrezionale, e le cui conseguenze sono puntualmente stabilite dalla legge (cfr. sopra sub § 2.2.1. e .2.2.2.).
4.5.3. Non v’è dunque alcun dubbio che il Prefetto non abbia inteso emettere un’informativa antimafia, di cui, del resto, non sono neppure indicati gli effetti che a questa sono propri: e il riferimento alla condanna subita resta dunque totalmente estemporaneo – aggiunto ad abundantiam, si legge nel relativo paragrafo – tale da non interferire né sulle cause né sugli effetti del provvedimento stesso, e da non metterne comunque in discussione la natura: empiricamente, se il paragrafo fosse cancellato nessuna ambiguità ne sorgerebbe.
5. Il ricorso va in conclusione respinto.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
TAR LOMBARDIA – BRESCIA, I – sentenza 07.08.2025 n. 750