In relazione ad emissioni odorigine e ad emissioni in atmosfera derivanti da un’azienda avicola industriale, collocata nelle vicinanze dell’immobile di proprietà dell’odierno ricorrente, questi avanzava alla Regione Marche un’istanza di accesso agli atti con p.e.c. del 17/02/2025 ai sensi del D.lgs. 19 agosto 2005, n. 195, degli artt. 22 e ss. della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’art. 5 del D.lgs. 14 marzo 2013, n. 33.
Oggetto dell’istanza di accesso sono taluni progetti sperimentali condotti nello stabilimento Ponte Pio di proprietà della qui controinteressata, espressamente richiamati nel Decreto della Regione Marche n. 52/2023 (di aggiornamento dell’AIA recante l’adozione di misure correttive e di monitoraggio relativamente ai disturbi olfattivi) come modello positivo per la riduzione delle molestie odorigene.
In particolare, espone il ricorrente, sono stati richiesti: «(i) L’esito, la relazione e in ogni caso l’elaborato finale del progetto universitario in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano relativo alla valutazione della entità e della continuità delle emissioni odorigene; (ii) L’esito, la relazione e in ogni caso l’elaborato finale del progetto universitario in collaborazione con l’Università degli Studi di Camerino relativo alla valutazione della entità e della continuità delle emissioni odorigene».
Appositamente avvertita dalla Regione di tale richiesta, la controinteressata si opponeva all’accesso deducendo la mancata dimostrazione dell’interesse legittimante l’accesso; che l’istanza rappresenterebbe un controllo generalizzato e ispettivo sull’attività regionale e su quella di Ponte Pio; che la documentazione richiesta non costituirebbe informazione ambientale ai sensi dell’art. 2 del D.lgs. 195/2005 in quanto atti privati, riservati ed endoprocedimentali; che l’ostensione determinerebbe una violazione degli interessi aziendali e commerciali della Ponte Pio s.r.l.; che i documenti conterrebbero informazioni riservate.
Con nota p.e.c. del 26/03/2025 la Regione Marche ha rigettato integralmente l’istanza di accesso formulata dall’odierno ricorrente, sulla base del pregiudizio economico per la controinteressata, che deriverebbe dall’ostensione.
Quanto alla legittimazione e al proprio interesse, il ricorrente afferma che ha chiesto l’ostensione degli elaborati finali del progetto sperimentale condotto dalle Università degli Studi di Milano e di Camerino con il gestore dell’impianto produttivo, al fine di prendere visione dei valori e della consistenza delle emissioni analizzate nei relativi studi.
Tali valori, secondo il ricorrente, rientrano nella definizione di «informazione ambientale» così come disciplinata dall’art. 2, comma 1, del D.lgs. 19 agosto 2005, n. 195. In quanto tale, se detenuta dall’autorità pubblica deve essere resa disponibile a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse. Ciò sarebbe confermato dalla stessa Regione che, richiamando i casi di esclusione dell’accesso cd. “ambientale” di cui all’art. 5 del D.lgs. 19 agosto 2005, n. 195, ne riconosce implicitamente l’applicabilità della disciplina al caso di specie.
Le informazioni richieste, precisa il ricorrente, sono solo i dati relativi alle emissioni dell’impianto.
Ad ogni modo, evidenzia che vanta un interesse giuridicamente rilevante, personale e diretto all’accesso, poiché dall’impianto di Ripa Bianca – situato nelle adiacenze degli immobili di proprietà dell’odierno ricorrente – derivano acclarate molestie odorigene.
Il ricorso dedica al diniego regionale, specifico motivo di diritto volto a denunciarne la illegittimità, così rubricato “violazione dell’art. 97 Cost., dell’art. 1, co. 1, l. 241/90. Violazione e falsa applicazione dell’art. 5 bis, co. 2, lett. d), D.Lgs. 33/13 e art. 5, co. 2 lett. d), D.lgs. 195/05. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2, L.R. Marche 14 gennaio 1992, n. 2 e dell’art. 3 del Regolamento Regione Marche 17 agosto 1994, n. 38”.
Si dice che la Regione ha negato l’accesso fornendo una motivazione apparente ed in contrasto con la normativa di riferimento. Si afferma che secondo la tesi dell’odierna resistente l’ostensione della documentazione o la sua divulgazione potrebbe «determinare un pregiudizio economico all’azienda costituendo un concreto vantaggio per le imprese concorrenti del settore che potrebbero beneficiare dei risultati di tali studi, in termini di efficacia del prodotto, senza l’impiego di risorse economiche e senza dispendio di tempo».
La controinteressata avrebbe affermato apoditticamente che la conoscenza degli studi resi dalle Università «determinerebbe una violazione degli interessi aziendali e commerciali della Ponte Pio s.r.l., ma anche l’esposizione della stessa società ad un potenziale danno aziendale e concorrenziale», in quanto i documenti richiesti sarebbero «privati e frutto di rapporti intercorsi tra la Ponte Pio e soggetti terzi, estranei al procedimento, di natura tecnica, commerciale, costituendi know-how aziendale e protetti da obblighi di riservatezza».
L’Amministrazione avrebbe anteposto l’interesse secondario del privato alle ragioni giuridiche che, ai sensi del D.Lgs. 195/2005, della L. 241/90 e dell’art. 5 del D.Lgs. 33/2013, consentono primariamente l’accesso all’istante, senza motivare tale illogica decisione.
Infondato sarebbe il richiamo che la Regione opera alle cause di esclusione previste dall’art. 5, comma 2 del D.Lgs. 195/2005 e dall’art. 5-bis, comma 2, lett. c) del D.Lgs. 33/2013. Nello specifico, la prima disposizione tutela la «riservatezza delle informazioni commerciali o industriali, secondo quanto stabilito dalle disposizioni vigenti in materia, per la tutela di un legittimo interesse economico e pubblico, ivi compresa la riservatezza statistica ed il segreto fiscale, nonché ai diritti di proprietà industriale, di cui al decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30», laddove la seconda tutela gli interessi «economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali».
Tuttavia, secondo il ricorrente, il provvedimento non chiarisce quali siano le ragioni effettive in base alle quali la Regione ha ritenuto di pretermettere gli interessi individuali della controinteressata a quello generale di accedere, ai sensi dell’art. 3, D.Lgs. 195/05 ad informazioni ambientali di cui all’art. 2, co. 1, lett. a), D.Lgs. 195/05 e al più generale rispetto dei principi di trasparenza, pubblicità e legalità.
L’odierno ricorrente ha proposto istanza anche nella forma dell’accesso civico generalizzato, ma la Regione nel provvedimento di diniego ha richiamato la causa di esclusione di cui al comma 2 lett. c) dell’art. 5 bis, D.Lgs. 33/13. Tuttavia, afferma il ricorrente, l’Amministrazione resistente in alcun modo ha motivato in ordine agli interessi economici e commerciali, proprietà intellettuali, diritti d’autore o segreti commerciali che sarebbero pregiudicati dall’accesso.
Si dice che la Regione sembra ritenere che la tutela del controinteressato sia riconducibile alla categoria del know-how, tuttavia, afferma il ricorrente il Codice della proprietà industriale subordina tale tutela al ricorrere di tre condizioni: le informazioni devono essere segrete e individuate; devono avere valore economico, in quanto segrete; il detentore deve aver adottato misure ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete. Tali condizioni non sarebbero qui rispettate.
In ogni caso, si afferma, anche laddove i documenti richiesti dovessero contenere presunte informazioni che potrebbero incidere su non dimostrati interessi economici, commerciali o industriali, l’accesso sarebbe dovuto comunque essere concesso con le modalità prescritte dall’art. 24, co. 7, l. 241/90.
Si sono costituite per resistere al ricorso la Regione Marche e la controinteressata in epigrafe.
Con ordinanza di questa Sezione n. 539/2025 è stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Università degli Studi di Milano e dell’Università degli Studi di Camerino.
In conseguenza si è costituita in giudizio la sola Università degli Studi di Milano, la quale ha confermato la partecipazione all’attività di sperimentazione sopra citata, chiedendo conclusivamente di “respingere il ricorso o comunque mandare esente l’Ateneo da qualsivoglia pretesa riconducibile ai fatti per cui è causa”.
All’udienza in camera di consiglio del 22 ottobre 2025 la causa è passata in decisione.
In primo luogo va respinta l’eccezione di irricevibilità, improcedibilità e comunque inammissibilità del ricorso per mancata originaria notifica alle Università di Milano e di Camerino, sollevata dalla Società Agricola Ponte Pio S.r.l.
Il ricorso è stato, infatti, notificato nello stesso giorno sia alla resistente Regione Marche sia alla controinteressata Società Agricola Ponte Pio S.r.l., nel rispetto dell’art. 41 c.p.a.
Parte controinteressata eccepisce, inoltre, quanto segue “c’è perfetta sovrapposizione soggettiva ed oggettiva tra gli accessi agli atti, denegati, degli anni precedenti e quello oggetto del presente giudizio, che di fatto assume carattere meramente ricognitorio e ripetitivo. Ne consegue dunque la tardività e la strumentalità del ricorso avversario che è quindi irricevibile”.
Il riferimento è alle richieste e ai dinieghi “di accesso agli atti inerenti alla stessa documentazione oggetto del presente giudizio, avanzate dal Comitato per la Vallesina di cui il sig. Angeletti è membro e per conto del quale ha già avanzato istanze di accesso (sempre per lo stabilimento di Ripa Bianca), anch’esse denegate”.
Anche tale eccezione va respinta, in quanto le istanze di accesso sono riconducibili a soggetti giuridici distinti.
Nel merito il ricorso è fondato nei termini e limiti che seguono.
Nella memoria depositata il 10 ottobre 2025 il ricorrente circoscrive e precisa la richiesta di accesso agli atti presentata, limitandola all’informazione ambientale ai sensi del D.lgs. 195/2005.
Invero anche nel ricorso, pur basando la domanda presentata alla Regione sulle tre diverse discipline dell’accesso (L. 241/1990, D.lgs. 33/2013, D.lgs. 195/2005), indica l’interesse alla conoscenza dei dati relativi alle emissioni odorigene dell’impianto, quale fulcro della propria iniziativa.
Infatti, nelle conclusioni del ricorso si chiede di “esibire e produrre in copia: (i) L’esito, la relazione e in ogni caso l’elaborato finale del progetto universitario in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano relativo alla valutazione della entità e della continuità delle emissioni odorigene; (ii) L’esito, la relazione e in ogni caso l’elaborato finale del progetto universitario in collaborazione con l’Università degli Studi di Camerino relativo alla valutazione della entità e della continuità delle emissioni odorigene”.
Pertanto, l’istanza deve essere valutata avuto riguardo alle regole poste dal D.lgs. 195/2005.
Ciò chiarito, va rilevato in primo luogo, che non assume rilevanza la dimostrazione della consistenza giuridica dell’interesse che muove il ricorrente, posto che l’art. 3 c. 1 del ridetto decreto dispone che “L’autorità pubblica rende disponibile, secondo le disposizioni del presente decreto, l’informazione ambientale detenuta a chiunque ne faccia richiesta, senza che questi debba dichiarare il proprio interesse”.
Nello stesso senso dispone l’art. 3sexies del D.lgs. 152/2006, secondo cui “1. In attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e delle previsioni della Convenzione di Aarhus, ratificata dall’Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108, e ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, chiunque, senza essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può accedere alle informazioni relative allo stato dell’ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale”.
In secondo luogo deve rilevarsi che quelle richieste sono informazioni di natura ambientale, essendo già stato condivisibilmente chiarito che “l’art. 268, comma 1, lett. a), d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 (che sul punto richiama l’art. 2 d.P.R. 24 maggio 1988 n. 203) fa proprio un concetto ampio di inquinamento atmosferico e, pertanto, anche se non è rinvenibile un riferimento espresso alle emissioni odorigene, le stesse debbono ritenersi ricomprese nella definizione di “inquinamento atmosferico” e di “emissioni in atmosfera”, poiché la molestia olfattiva intollerabile è al contempo sia un possibile fattore di “pericolo per la salute umana o per la qualità dell’ambiente”, che di compromissione degli “altri usi legittimi dell’ambiente”, ed in sede di rilascio dell’autorizzazione, dovendo essere verificato il rispetto delle condizioni volte a minimizzare l’inquinamento atmosferico (infatti per l’art. 296, comma 2, lett. a, del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, il progetto deve indicare le tecniche adottate per limitare le emissioni e la loro quantità e qualità), possono pertanto essere oggetto di valutazione anche i profili che arrecano molestie olfattive facendo riferimento alle migliori tecniche disponibili”, (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 21 marzo 2018, n. 682, confermata in appello con sentenza Cons. st. sez. IV, 9 aprile 2019, n. 2306).
In particolare, come affermato dalla resistente (cfr. pag. 6 memoria della Regione, depositata il 10 ottobre 2025), le “misurazioni svolte dalle due università non sono rappresentative della realtà emissiva dell’interno impianto, ma riguardano la sperimentazione di un prodotto per la riduzione delle emissioni odorigene su un solo capannone dell’installazione, le cui emissioni sono state poste a confronto con le emissioni di un altro capannone non sottoposto ad alcun trattamento. La misurazione era svolta nelle diverse fasi del ciclo produttivo”.
È, dunque, pacifico che l’Ente detenga tali misurazioni.
Un bilanciamento che contemperi l’interesse economico imprenditoriale previsto dall’art. 5 c. 2 D.lgs. 195/2005, ritiene il Collegio possa essere individuato nel rendere accessibili le misurazioni dello “scenario zero” o “scenario base” ossia “la condizione priva di misure di mitigazione” (nelle parole di parte ricorrente), che in concreto significa consentire l’accesso alle misurazioni delle “emissioni di un altro capannone non sottoposto ad alcun trattamento” (nelle parole di parte resistente).
Tale tipo di misurazione per definizione non ha nulla a che fare con l’implementazione della sperimentazione, i cui dati di risultato, qualora divulgati, sarebbero lesivi, nella prospettiva di parte controinteressata.
In questi termini può essere accolto il ricorso, per l’effetto va ordinato alla Regione Marche di esibire al ricorrente i documenti contenenti le informazioni richieste così come circoscritte nella presente pronuncia, oscurando ogni altra informazione.
A tale incombente la Regione darà seguito entro 30 giorni dalla comunicazione o notifica della presente sentenza.
Le spese seguono la soccombenza con liquidazione nel dispositivo.
TAR MARCHE, I – sentenza 30.10.2025 n. 853