Procedimento – Atto amministrativo – Diritto di accesso nei confronti della documentazione relativa ad un accertamento dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro da parte del datore di lavoro e diniego della P.A. nel caso di esposizione dei lavoratori ad un concreto rischio di ritorsioni o indebite pressioni

Procedimento – Atto amministrativo – Diritto di accesso nei confronti della documentazione relativa ad un accertamento dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro da parte del datore di lavoro e diniego della P.A. nel caso di esposizione dei lavoratori ad un concreto rischio di ritorsioni o indebite pressioni

1. Con una prima censura la società ricorrente denuncia l’illegittimità del diniego di accesso alle dichiarazioni dei lavoratori acquisite dall’Ispettorato nel corso dell’accesso ispettivo del -OMISSIS- (punti 1 e 2 dell’istanza).

In particolare, la ricorrente sostiene che la circostanza che la stessa sia già a conoscenza dei nominativi dei dichiaranti (indicati nel verbale) e la mancata dimostrazione da parte dell’Ispettorato di pregiudizi in concreto per i lavoratori derivanti dalla divulgazione delle loro dichiarazioni (la cui esibizione potrebbe eventualmente essere ordinata con l’oscuramento delle generalità dei dichiaranti a tutela della loro riservatezza) non consentirebbero di fare rientrare queste ultime nella categoria di documenti sottratti all’accesso di cui all’art. 2, lett. c), decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 757/1994.

La censura deve ritenersi infondata.

Occorre premettere che, in base all’art. 2 decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale n. 754 del 4.11.1994 (recante “Regolamento concernente le categorie di documenti formati o stabilmente detenuti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sottratti al diritto d’accesso, ai sensi dell’art. 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241”), “Sono sottratte al diritto di accesso le seguenti categorie di atti in relazione alla esigenza di salvaguardare la vita privata e la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, di gruppi, imprese e associazioni: […] c) documenti contenenti notizie acquisite nel corso delle attività ispettive, quando dalla loro divulgazione possano derivare azioni discriminatorie o indebite pressioni o pregiudizi a carico di lavoratori o di terzi”. Il successivo art. 3 specifica che “1. Le categorie di documenti indicati nell’articolo precedente sono sottratte all’accesso rispettivamente per il periodo sottoindicato, che decorre dalla data del provvedimento che chiude il procedimento di cui essi fanno parte: […] c) finché perduri il rapporto di lavoro, salvo che le notizie contenute nei documenti di tale categoria risultino a quella data sottoposti al segreto istruttorio penale”.

In applicazione di tale previsione regolamentare, la giurisprudenza prevalente, cui il Collegio aderisce, afferma che “…il diritto di difesa, per quanto privilegiato in ragione della previsione di cui all’articolo 24, comma 7, della L. n. 241 del 1990, debba essere contemperato con la tutela di altri diritti tra cui quello alla riservatezza, anche dei lavoratori che hanno reso dichiarazioni in sede ispettiva (art. 2, comma 1, lett. c) D.M. 4 novembre 1994, n. 757). Ciò allo scopo di prevenire eventuali ritorsioni o indebite pressioni da parte delle società datrici di lavoro o di quelle obbligate in solido con le medesime e per preservare, in tal modo, l’interesse generale ad un compiuto controllo della regolare gestione dei rapporti di lavoro. Nel quadro giurisprudenziale esposto e da cui questo Collegio non intende discostarsi, è stata pertanto ritenuta, in via generale, prevalente la tutela alla necessità di riservatezza delle suddette dichiarazioni contenenti dati sensibili, la cui divulgazione potrebbe, come innanzi rilevato, comportare azioni discriminatorie o indebite pressioni nei confronti dei lavoratori, i quali devono essere posti in grado di collaborare con le autorità amministrative e giudiziarie, nonché di presentare esposti e denunce, senza temere negative conseguenze nell’ambiente di lavoro in cui vivono. Tale tutela è sembrata quindi fondativa dell’intero sistema dei diritti fondamentali, ove la riservatezza riguardi coloro che risulterebbero ragionevolmente i più deboli nell’ambito del rapporto di lavoro, considerato peraltro che, anche in assenza dell’accesso alle dichiarazioni rese dai lavoratori, la tutela degli interessi giuridici vantati dalle predette società risulta comunque pienamente garantita dall’ordinamento (Cons. di Stato, sent. n. 714/2015, Cons. di Stato, sent. n. 2345/2019 e Tar Piemonte, sent. n. 67/2023, cfr. punti 1 della motivazione).

Nel caso di specie, l’oggetto dell’accertamento ispettivo, che riguarda anche questioni direttamente incidenti sui rapporti di lavoro dei lavoratori dichiaranti, rende difficilmente contestabile che questi ultimi possano essere esposti ad un concreto rischio di ritorsioni o indebite pressioni nell’ipotesi di divulgazione delle dichiarazioni che hanno reso agli ispettori.

Tale evenienza, peraltro, non può ritenersi esclusa dalla richiesta di ostensione delle predette dichiarazioni con l’oscuramento delle generalità dei dichiaranti, tenuto conto che la ricorrente conosce già i loro nominativi (indicati nei verbali) e che pertanto risulterebbe possibile per la stessa, una volta ottenute le dichiarazioni, collegarle, sulla base delle circostanze di fatto e degli elementi in esse contenuti, ai singoli lavoratori che le hanno rese.

Né d’altra parte, ad avviso del Collegio, la sottrazione all’accesso delle dichiarazioni dei lavoratori rese in sede ispettiva può ritenersi subordinata, come sembrerebbe pretendere la ricorrente, all’allegazione da parte dell’Ispettorato di specifici elementi probatori a dimostrazione di effettive minacce di ritorsioni, pressioni o pregiudizi avvenute nei confronti dei lavoratori, trattandosi di onere probatorio difficilmente assolvibile e che si porrebbe in contrasto con la finalità preventiva della norma regolamentare.

Il diniego di accesso impugnato risulta pertanto legittimo in relazione alle dichiarazioni rilasciate dai lavoratori in sede ispettiva (a prescindere dalla questione, oggetto di non univoci orientamenti giurisprudenziali, della sussistenza o meno del segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p. nelle ipotesi come quella di specie).

L’infondatezza della censura rende non necessario disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei lavoratori che hanno reso le dichiarazioni (i quali peraltro non sono stati coinvolti dall’Amministrazione resistente in sede procedimentale), non venendo questi ultimi lesi in alcun modo dalla presente decisione e considerato altresì che il divieto di accesso è stato previsto, non solo a tutela dell’interesse del singolo lavoratore ma anche a tutela dell’interesse generale “….ad agevolare la proficuità dei controlli ispettivi sulla regolare gestione del rapporto di lavoro dipendente da parte del soggetto imprenditore” (Cons. di Stato, sent. n. 2345/2019, punto 2.4. della motivazione, cfr. anche Tar Piemonte, sent. n. 1043/2022, punto 11.2. della motivazione).

2. Con una seconda censura la ricorrente denuncia l’illegittimità del diniego di accesso alle dichiarazioni del proprio legale rappresentante rese in sede ispettiva (punto 3 dell’istanza).

La censura è fondata.

Il diniego di accesso opposto dall’Ispettorato deve ritenersi ingiustificato con riguardo alle predette dichiarazioni, atteso che, da un lato, a sorreggerlo non vi sono ragioni di tutela dei lavoratori né di interesse pubblico al corretto svolgimento dell’attività ispettiva, e dall’altro, si tratta di un atto a cui ha partecipato il legale rappresentante della società ricorrente, sentito dagli ispettori in tale veste, ed in relazione al quale, pertanto, la società ha diritto all’esibizione a fini difensivi. Inoltre, la partecipazione all’atto da parte dello stesso legale rappresentante della ricorrente assorbe la questione, come detto oggetto di non univoci orientamenti giurisprudenziali, della sussistenza o meno del segreto istruttorio di cui all’art. 329 c.p.p. in una fattispecie come quella di causa.

3. Con una terza censura la ricorrente contesta la mancata esibizione dei “conteggi dettagliati dai quali scaturiscono gli importi richiesti” a seguito degli accertamenti ispettivi effettuati (punto 4 dell’istanza).

Anche tale censura deve ritenersi fondata nei termini di seguito indicati.

La motivazione del diniego dell’Ispettorato in relazione a tale documentazione si fonda sulla “genericità” dell’istanza, che sarebbe volta “…a soddisfare finalità meramente esplorative a rendere possibile un controllo generalizzato dell’operato dell’Amministrazione, espressamente vietato dall’art. 24, co. 3 L. 241/1990”, e sulla circostanza che non sarebbe possibile “…valutare se sussista o meno un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata alla documentazione alla quale si chiede di accedere”.

Tali argomentazioni non risultano condivisibili.

L’istanza di accesso della società ricorrente non può ritenersi “generica”, in quanto la richiesta è stata formulata con specifico riguardo ai conteggi effettuati dall’Amministrazione per quantificare le somme dovute dalla suddetta società sulla base degli accertamenti ispettivi svolti, e di conseguenza gli atti richiesti risultano “determinabili”. Né può ritenersi che la ricorrente non vanti, in relazione a tali documenti, una posizione giuridica qualificata e un interesse all’accesso motivato da finalità difensive, avendo l’Ispettorato accertato nei suoi confronti somme da pagare a titolo di sanzioni, retribuzioni e contributi.

Parimenti non condivisibile è l’affermazione contenuta nelle difese dell’Ispettorato secondo la quale la motivazione del verbale di accertamento sarebbe sufficiente a garantire il diritto di difesa della ricorrente a prescindere dall’esibizione di ulteriore documentazione. Si tratta infatti di una valutazione che non spetta alla pubblica amministrazione svolgere e che non rientra tra le ipotesi di esclusione del diritto di accesso previste dalla legge.

Deve essere quindi riconosciuto il diritto della ricorrente all’accesso ai “conteggi dettagliati dai quali scaturiscono gli importi richiesti”, a condizione che gli stessi siano contenuti in atti già esistenti e detenuti dall’Ispettorato. Occorre infatti rilevare che, secondo i consolidati principi giurisprudenziali, “L’accesso documentale, disciplinato dagli articoli 22 e seguenti della L. n. 241 del 1990, presuppone che il documento richiesto esista materialmente nella disponibilità dell’amministrazione…” (Cons. di Stato, sent. n. 3511/2019, cfr. punto 6 della motivazione), mentre “… lo strumento dell’accesso non può essere “strumentalizzato” per la ricerca di informazioni o per ottenere la spiegazione della valutazione effettuata, ovvero, in sostanza, per ottenere la “motivazione” di un dato risultato o di una specifica scelta. Questi ultimi aspetti attengono invero al processo valutativo della decisione e la loro mancata esternazione è suscettibile di rilevare, in ipotesi, sul piano del controllo di legittimità del provvedimento finale, ma non può essere ontologicamente oggetto di accesso, che presuppone, anche nella sua moderna accezione, un elemento acquisito, o formato dalla stessa amministrazione, sia pure attraverso un programma informatico” (Cons. di Stato, sent. n. 3992/2020, cfr. punto 12.1. e seg. della motivazione).

4. Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, la domanda di accesso deve essere respinta con riferimento alle dichiarazioni dei lavoratori rese in sede ispettiva (punti 1 e 2 dell’istanza) e deve essere accolta nei termini sopra indicati con riferimento alla restante documentazione richiesta (punti 3 e 4 dell’istanza), con conseguente condanna dell’Ispettorato resistente, entro il termine di trenta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza (ovvero dalla relativa notificazione se anteriore), all’esibizione alla società ricorrente delle dichiarazioni del legale rappresentante di quest’ultima rese in sede ispettiva e, se esistenti e detenuti dall’Amministrazione, degli atti recanti i “conteggi” sulla base dei quali sono state quantificate le somme dovute dalla predetta società all’esito dell’accertamento ispettivo.

5. Le spese di lite, in ragione del parziale accoglimento della domanda di accesso, possono essere compensate tra le parti.

TAR PIEMONTE, I – sentenza 19 agosto 2025 n. 1289 

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