*Procedimento – Atti amministrativi – Diniego di condono edilizio e integrazione della motivazione con un atto processuale della difesa tecnica

*Procedimento – Atti amministrativi – Diniego di condono edilizio e integrazione della motivazione con un atto processuale della difesa tecnica

Viene in decisione l’appello della sig.ra -OMISSIS- avverso la sentenza del T.A.R. Puglia, Lecce, Sez. I, che ha respinto il ricorso da lei proposto contro la declaratoria di improcedibilità dell’istanza di condono presentata per opere abusive realizzate sull’area in concessione demaniale marittima, il diniego di rilascio della concessione demaniale stessa e l’ordinanza di rimozione delle predette opere abusive.

La sentenza appellata ha esaminato in via prioritaria le censure formulate con il ricorso introduttivo, volte a contestare la legittimità della declaratoria di improcedibilità del condono.

Il T.A.R., dopo avere respinto l’eccezione di tardività del ricorso introduttivo sollevata dal Comune, ha anzitutto disatteso la doglianza con cui la ricorrente aveva sostenuto di occupare l’area in forza di idoneo titolo rilasciatole dal Comune: ciò, attese l’appartenenza al demanio marittimo del suolo su cui sorge il manufatto realizzato dalla ricorrente, da un lato, e la mancata allegazione all’istanza di sanatoria di alcuna dichiarazione di disponibilità del Demanio, dall’altro, sicché la parte richiedente, all’atto della presentazione dell’istanza di condono, risultava priva di un titolo idoneo a giustificare la disponibilità del suolo su cui insistono le opere contestate.

Precisa il Tribunale che in contrario non rilevano né le autorizzazioni temporanee all’occupazione di suolo, disposte dal Comune sull’assunto erroneo della natura non demaniale dell’area, né le istanze di riconversione dell’originaria autorizzazione, poiché nessuna riconversione del titolo si è verificata in concreto.

La sentenza ha poi esaminato le censure del ricorso introduttivo volte a contestare l’incompatibilità dell’intervento con la normativa paesaggistica/ambientale, disattendendo anche queste.

Anzitutto, il Tribunale non ha ravvisato l’asserita carenza di potere in capo al dirigente dell’Ufficio comunale in materia paesaggistico-ambientale, poiché il Comune si è limitato a rilevare le difformità tra il chiosco di vendita dei gelati e generi di ristoro, oggetto d’autorizzazione, e il manufatto accertato nel sopralluogo del -OMISSIS-. In secondo luogo, ha escluso l’esistenza dei vizi di genericità e di incompletezza della motivazione del provvedimento, non avendo la ricorrente offerto elementi di prova a sostegno della compatibilità del manufatto con la normativa vigente in materia paesaggistica-ambientale. Infine, ha negato l’avvenuta formazione del silenzio assenso sulla domanda di sanatoria, non risultandone acquisita agli atti la prova della sussistenza di tutti i relativi requisiti soggettivi ed oggettivi.

Di seguito, la sentenza è passata ad esaminare le censure dedotte con i motivi aggiunti proposti nei confronti del diniego di rilascio della concessione demaniale.

Anzitutto il T.A.R. ha richiamato le considerazioni già formulate in ordine al ricorso introduttivo al fine di confutare anche le contestazioni sollevate nei motivi aggiunti con riferimento alla (mancanza) di un titolo legittimante l’occupazione dell’area.

La sentenza ha poi evidenziato che il diniego gravato richiama il Piano Regionale delle Coste, il quale classifica l’area in questione come “C1.S2” (C1 costa ad elevata criticità, S1 costa a media sensibilità ambientale). Tale richiamo è legittimo, poiché il predetto diniego, adottato nel novembre 2020, risulta anteriore al Piano Comunale delle Coste (PCC), invocato dalla ricorrente e adottato dal Comune nel luglio 2022 e l’art. 15, comma 1, della l.r. n. 17/2015 ha previsto che, sino all’approvazione dei Piani Comunali delle Coste, le istanze di concessione demaniale marittima debbano essere valutate sulla base del Piano Regionale delle Coste (PRC).

Peraltro – aggiunge il T.A.R. – il Piano Comunale delle Coste, dopo l’adeguamento alla delibera di Giunta Regionale n. 179 del 21 febbraio 2022, classifica l’area demaniale in discorso come “tratto costiero con divieto assoluto di concessione” e, nello specifico, l’area risulta gravata dai vincoli per il rispetto del Faro e del Porto Adriatico.

Da ultimo, la sentenza ha disatteso le censure volte a negare la necessità di una procedura di evidenza pubblica per l’assegnazione dell’area, basate sull’assunto che nel caso di specie non si sarebbe trattato di una nuova concessione, per essere la sig.ra -OMISSIS- già titolare di idonea autorizzazione legittimante l’occupazione: tale assunto risulta errato, poiché alla ricorrente non è mai stato rilasciato alcun titolo concessorio legittimante l’occupazione dell’area demaniale marittima, a tal fine non potendo bastare le autorizzazioni provvisorie e precarie da lei ottenute. Legittimamente, perciò, la P.A. ha qualificato l’istanza della ricorrente come volta al rilascio di una nuova concessione demaniale, applicando, in base all’art. 8 della l.r. n. 17/2015, la procedura di evidenza pubblica, nella forma della pubblicazione dell’istanza e dell’invito a presentare opposizioni e/o istanze concorrenti

Il T.A.R. osserva in conclusione che l’infondatezza del ricorso introduttivo e del primo atto di motivi aggiunti si riflette sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione dei manufatti gravata con il secondo atto di motivi aggiunti, determinando l’infondatezza anche di quest’ultimo.

Così riassunto l’iter logico-giuridico della sentenza impugnata e venendo alla disamina dei motivi di appello, il Collegio ritiene di dover preliminarmente richiamare l’insegnamento della giurisprudenza consolidata, secondo cui, in presenza di un provvedimento plurimotivato, la legittimità di una sola delle motivazioni poste a fondamento dello stesso è idonea a sorreggerne il contenuto ed a precludere l’accoglimento del gravame, poiché l’eventuale illegittimità degli altri profili motivazionali non può comunque portare al suo annullamento (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 23 novembre 2023, n. 10050; id., 10 ottobre 2023, n. 8843; Sez. VI, 31 luglio 2023, n. 7405; id., 30 gennaio 2023, n. 1036; id., 11 gennaio 2022, n. 200; Sez. V, 3 marzo 2022, n. 1529; Sez. II, 18 febbraio 2020, n. 1240; Sez. IV, 11 ottobre 2019, n. 6928).

Orbene, nel caso di specie il provvedimento recante la declaratoria di improcedibilità dell’istanza di condono, impugnato con il ricorso introduttivo, si fonda su una pluralità di motivazioni, alcune delle quali – quelle che evidenziano l’incompatibilità delle opere di cui è stata accertata la presenza in loco con la normativa vigente in materia paesaggistica/ambientale e l’ammissibilità nell’area interessata delle sole strutture con carattere di precarietà, temporaneità e facile amovibilità – si dimostrano ex se idonee a sorreggere il diniego di sanatoria, in quanto immuni dalle censure di parte ricorrente, come si vedrà subito infra.

Tali ragioni ostative al rilascio della sanatoria rendono di conseguenza irrilevante, sulla base dell’ora visto insegnamento giurisprudenziale, stabilire se la nota della Capitaneria di Porto di Brindisi prot. n. -OMISSIS- possa integrare gli estremi di una dichiarazione di disponibilità da parte del Demanio ai sensi dell’art. 32, comma 5, della l. n. 47/1985, con il corollario che perde rilevanza la disamina del primo motivo di appello, poiché la sua eventuale fondatezza non potrebbe comunque portare all’accoglimento del gravame.

Alla conclusione ora esposta si perviene sulla scorta della relazione e della documentazione trasmesse dal Comune di Lecce in riscontro all’incombente istruttorio disposto dal Collegio.

In particolare, si evince dalla predetta relazione che:

1) la suindicata nota della Capitaneria di Porto del 1997 è stata acquisita al fascicolo del condono, ma è stata ritenuta insufficiente, sia perché medio tempore la competenza per la gestione del demanio è stata trasferita alle Regioni e, per la Regione Puglia, ai Comuni costieri, sia in quanto la disponibilità dell’area non può comunque essere rilasciata per il divieto di concedibilità della stessa derivante dal fatto che l’area risulta gravata da vincoli di rispetto del Faro e del Porto di -OMISSIS-;

2) le autorizzazioni paesaggistiche del 2002 rilasciate dal Comune di Lecce riguardano unicamente le opere di ampliamento dell’originario chiosco prefabbricato. Senonché, dal sopralluogo eseguito il -OMISSIS- (trasmesso unitamente alla relazione e recante in calce documentazione fotografica) è emerso che anche il corpo centrale del manufatto (id est: il chiosco originariamente autorizzato) è stato realizzato in difformità dalle prescrizioni. Infatti, nonostante il provvedimento del 1984 avesse previsto solo un chiosco prefabbricato e precario, è stato realizzato un manufatto in muratura portante in blocchi di tufo con copertura a solaio latero cementizio a caldana, collegato da travi portanti con l’ampliamento oggetto di condono. Inoltre, l’analisi della documentazione mostra che anche le opere di ampliamento cui si riferisce la pratica di condono hanno subito ulteriori variazioni essenziali, che consistono in modifiche strutturali interne ed esterne e nell’uso di materiali differenti.

In altre parole, dall’istruttoria svolta è emerso che, mentre l’istanza di condono edilizio si riferiva all’ampliamento di un chiosco prefabbricato e precario, di fatto questo non vi era più e vi era al suo posto una struttura completamente diversa, in muratura, difforme dalle originarie prescrizioni e che non formava oggetto dell’istanza stessa. Tale struttura – è bene sottolineare – risulta sprovvista di autorizzazione paesaggistica, essendo i titoli autorizzatori presenti in atti relativi al solo ampliamento della predetta struttura.

Ma allora, in disparte la questione dell’acquisita disponibilità dell’area demaniale – a cui si riferiscono le argomentazioni del Comune sopra sintetizzate al punto 1) –, le indicazioni fornite dalla relazione comunale, riportate poc’anzi al punto 2), dimostrano che la sanatoria non avrebbe potuto comunque essere rilasciata, giacché le opere esistenti, rilevate dal Comune, non sono le stesse della domanda di condono, su cui è stata acquisita l’autorizzazione paesaggistica. Dunque, l’ordine di demolizione non può che riguardare l’intera struttura, nella sua attuale consistenza, poiché quest’ultima non ha nulla a che vedere né con quella autorizzata nel 1984 (un piccolo chiosco prefabbricato e precario), né con l’ampliamento oggetto dell’istanza di condono edilizio, al quale si riferiscono in modo esclusivo le autorizzazioni paesaggistiche del 2002.

Nella memoria finale e poi ancora nella replica l’appellante contesta le affermazioni della relazione comunale sopra citata, sostenendo:

a) che il Comune avrebbe addotto a fondamento del diniego motivazioni mai prima adombrate e in particolare quella secondo cui il chiosco-bar, corpo centrale del manufatto non oggetto dell’istanza di condono, avrebbe subito modifiche. Ciò, tuttavia, costituirebbe un’inammissibile giustificazione postuma del diniego di condono;

b) che dalla perizia giurata versata in atti dalla stessa appellante il 26 marzo 2025 e dalle fotografie a questa allegata si evincerebbe che il chiosco bar non è stato realizzato in muratura portante in blocchi di tufo e che la sua copertura non è costituita da solaio latero cementizio, come sostiene il Comune. Il chiosco-bar sarebbe stato realizzato, in piena corrispondenza con quanto autorizzato, come struttura in calcestruzzo vibrato prefabbricato poggiante su una platea in cemento armato con tetto a falde con lieve pendenza, come da concessione edilizia n. -OMISSIS-.

I rilievi dell’appellante ora riferiti non sono fondati.

Quanto al punto a), anche qualora si volesse aderire alla tesi secondo cui il Comune ha proceduto ad integrare la motivazione del diniego di condono (in ciò traducendosi sostanzialmente la declaratoria della sua improcedibilità), detta integrazione risulterebbe ammissibile, per le seguenti due ragioni: 1) perché è contenuta non in un atto processuale della difesa tecnica, bensì in un atto proveniente dagli Uffici dell’Amministrazione Comunale, cioè nella relazione esplicativa che questa stessa Sezione ha richiesto alla predetta Amministrazione (C.d.S., Sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3666); 2) in ogni caso, perché, di fronte a un conclamato abuso edilizio, l’attività di repressione dell’abuso stesso ha natura vincolata e secondo la giurisprudenza condivisa dal Collegio il divieto di integrazione postuma della motivazione non ha carattere assoluto ed in particolare non vale nelle ipotesi di attività vincolata (cfr. C.d.S., Sez. VII, 5 gennaio 2024, n. 212; Sez. V, 16 aprile 2014, n. 1938; id., 20 agosto 2013, n. 4194; id., 27 agosto 2012, n. 4610; Sez. IV, 4 marzo 2014, n. 1018; id., 9 ottobre 2012, n. 5257; id., 7 giugno 2012, n. 3376).

Peraltro, a ben vedere non può parlarsi di integrazione della motivazione del diniego, poiché sin dal sopralluogo del -OMISSIS- l’Amministrazione comunale ha riscontrato la difformità del corpo centrale del manufatto adibito a bar rispetto alle prescrizioni di cui all’autorizzazione n. -OMISSIS- (v. infra).

Quanto poi al punto b), l’affermazione che il corpo centrale del chiosco-bar è realizzato in muratura portante in blocchi di tufo di spessore di cm. 25, con copertura a solaio latero-cementizio a caldana e a due falde, si legge nella relazione di sopralluogo dei tecnici comunali del -OMISSIS-, che la parte privata avrebbe dovuto contrastare non con una mera perizia di parte, ma con querela di falso, trattandosi di un atto pubblico munito di pubblica fede in ordine alle circostanze di fatto ivi accertate rispetto sia allo stato di fatto, sia allo status quo ante (cfr., ex plurimis, C.d.S., Sez. VII, 19 febbraio 2025, n. 1414; id., 18 febbraio 2025, n. 1382; Sez. VI, 31 ottobre 2024, n. 8693; id., 22 ottobre 2024, n. 8453; Sez. II, 4 settembre 2024, n. 7380; Sez. IV, 14 dicembre 2016, n. 5262). Esso, perciò, non è contrastabile con una perizia di parte, pur se giurata, che non è neppure qualificabile come mezzo di prova (cfr. C.d.S., Sez. VI, 27 gennaio 2023, n. 946; Sez. IV, 19 luglio 2018 n. 5128).

Inoltre, in aggiunta a tale dato formale, vi è da osservare sul piano sostanziale che la descrizione del manufatto contenuta nella perizia giurata depositata il 26 marzo 2025, unitamente alle fotografie ad essa allegate, portano ad escludere che esso sia conforme al “chiosco prefabbricato per la vendita di gelati e generi di ristoro”, di carattere precario tanto da dover essere “demolito in qualsiasi momento dietro semplice preavviso in via amministrativa da parte della Amministrazione comunale”, come si legge nell’autorizzazione n. -OMISSIS- allegata a detta perizia. Ciò, non tanto e non solo per i materiali impiegati per realizzarlo, ma perché, a seguito delle complessive vicende, si è giunti all’edificazione di un manufatto che, in luogo dei mq. 40,00 autorizzati per il chiosco prefabbricato, misura nel suo complesso (secondo il verbale dei Vigili Urbani di Lecce n. -OMISSIS-) mq. 120,00, oltre a mq. 100,00 di zona scoperta asservita.

Si vuol dire con questo che la presentazione dell’istanza di condono limitatamente agli ampliamenti realizzati dal privato non tiene conto degli effetti che i suddetti ampliamenti producono sul manufatto originario, il quale viene ad essere snaturato nella sua essenza strutturale, tanto da perdere la natura di chiosco prefabbricato precario. A riprova di ciò, basti considerare che con l’eventuale rilascio della sanatoria gli ampliamenti verrebbero ad acquistare stabilità e definitività, mentre la parte originaria resterebbe un manufatto precario, da demolire ad horas su semplice richiesta del Comune: con il ché dovrebbe ammettersi la possibilità di una struttura che perda la sua porzione centrale (rimossa perché precaria) e mantenga le ali laterali, ciò che, però, risulta irrazionale e illogico.

In realtà, è evidente anche dalla documentazione fotografica versata in atti che l’intero manufatto ha mutato natura e struttura e che il tentativo di “spezzarlo” in più porzioni, coperte – in tesi – ciascuna da titoli diversi (il chiosco originario, dalle autorizzazioni succedutesi a partire dalla n. -OMISSIS-; gli ampliamenti, dal provvedimento di condono) risulta artificioso e da respingere, sia perché irrazionale e illogico, come ora visto, sia perché infondato sul piano giuridico. Detto tentativo, infatti, contrasta con la consolidata giurisprudenza secondo la quale gli interventi edilizi, al fine di rilevarne l’illiceità, debbono essere valutati nel loro complesso, per determinare il loro impatto edilizio e individuare la sanzione da irrogare: le opere, pertanto, non possono essere parcellizzate, cioè considerate una per una singolarmente secondo una valutazione atomistica, ma vanno valutate unitariamente in relazione al risultato che producono (cfr., ex multis, C.d.S., Sez. VII, 14 gennaio 2025, n. 227; id., 16 dicembre 2024, n. 10084; id., 14 settembre 2023, n. 8318; Sez. II, 7 ottobre 2024, n. 8054; Sez. VI, 15 dicembre 2023, n. 10864; id., 21 febbraio 2023, n. 1766; id., 15 febbraio 2021, n. 1350).

Inoltre, costituisce principio consolidato in giurisprudenza quello in forza del quale non è possibile realizzare interventi edilizi “innestandoli” su una situazione già di per sé irregolare (C.d.S., Sez. II, 17 febbraio 2025, n. 1254), di tal ché nel caso di specie non è consentito innestare gli ampliamenti su un manufatto non conforme a quanto autorizzato.

Nel senso ora visto va, dunque, condivisa l’affermazione del T.A.R., che nel respingere la doglianza di incompetenza/carenza di potere del dirigente del Comune a esprimersi in materia paesaggistica e ambientale, ha osservato come l’Amministrazione si sia limitata a rilevare le difformità tra il chiosco prefabbricato oggetto di autorizzazione e la struttura rilevata all’esito del sopralluogo eseguito il -OMISSIS-.

A ciò aggiungasi che in primo grado la ricorrente ha depositato (il 14 aprile 2023) un’altra perizia di parte, in cui si conclude per la compatibilità del chiosco-bar con i piani sovraordinati (il PPTR e il PAI della Regione Puglia): ma giova rilevare che tale compatibilità viene affermata dal consulente in relazione alla presenza in loco del “chiosco” di limitate dimensioni (mq. 40) e precario, e non già del manufatto abusivo effettivamente realizzato (un bar-pasticceria che, nella domanda di condono, ha dimensioni di circa mq. 168,72).

Neppure può invocarsi, in contrario, la circostanza del rilascio da parte del Comune, nel 2002, di due autorizzazioni paesaggistiche, in quanto tali autorizzazioni si riferiscono strettamente all’intervento oggetto dell’istanza di condono ma nulla dicono sulla trasformazione del manufatto originario che da chiosco prefabbricato e precario ha assunto caratteristiche strutturali del tutto diverse, non conformi alle originarie prescrizioni e non oggetto di sanatoria. In proposito la relazione comunale più volte citata aggiunge che “ulteriori modifiche successive a quanto esistente al momento della domanda di condono emergono anche dalla documentazione fotografica allegata dalla stessa –OMISSIS– nel 2005 ad una richiesta di occupazione di suolo pubblico per tavolini all’esterno”, ma l’appellante non muove alcuna specifica contestazione al riguardo (art. 64, comma 2, c.p.a.) né nella memoria finale, né tantomeno in quella di replica. Si ricorda, in argomento, che la complessiva novità del manufatto rispetto a quello oggetto dell’istanza di condono è di per sé ragione ostativa all’accoglimento di detta istanza (C.d.S., Sez. VI, 15 novembre 2021, n. 7584).

Rispetto a quanto argomentato dalle parti anche nella discussione orale, va dunque condiviso il punto di vista della difesa comunale, secondo cui non può legittimarsi l’ampliamento di un manufatto che ha caratteristiche difformi da quanto autorizzato (e, quindi, è esso stesso abusivo). Non può essere invece condivisa l’affermazione dell’appellante, secondo cui non vi sarebbe mai stata una contestazione del manufatto originario, poiché, come si è visto, tale contestazione è già presente nella relazione del sopralluogo effettuato dai tecnici comunali il -OMISSIS-.

Le argomentazioni finora esposte dimostrano l’infondatezza dei primi due motivi di appello, aventi a oggetto i capi della sentenza di prime cure che hanno disatteso le censure avverso la declaratoria di improcedibilità dell’istanza di condono.

Per le stesse ragioni, è infondato altresì il terzo motivo, con il quale l’appellante rivendica la pretesa formazione del titolo in sanatoria attraverso il c.d. silenzio assenso, poiché quest’ultimo richiede, per il suo formarsi, la prova – mancante nel caso di specie – della ricorrenza dei requisiti soggettivi e oggettivi stabiliti dalla legge (C.d.S., Sez. VI, 28 novembre 2023, n. 10200). In ogni caso, il silenzio assenso non potrebbe giammai consentire di “innestare” gli ampliamenti su un manufatto irregolare, in contrasto con l’insegnamento giurisprudenziale sopra ricordato.

Venendo al quarto e ultimo motivo di gravame, sottolinea il Collegio che anche il diniego di rilascio della concessione demaniale adottato dal Comune di Lecce con atto del -OMISSIS- si configura come provvedimento plurimotivato: anche per esso, quindi, vale l’insegnamento giurisprudenziale, per il quale la legittimità di una sola delle motivazioni poste a fondamento del provvedimento è idonea a sorreggerne il contenuto ed a precludere l’accoglimento del gravame.

Orbene, tra le molteplici motivazioni addotte dal Comune a fondamento del diniego di rilascio della concessione demaniale ve n’è almeno una che resiste alle censure dell’appellante, quella, cioè, del divieto di rilascio di nuove concessioni demaniali nell’area interessata per un periodo di almeno tre anni prescritto dal Piano Regionale delle Coste in ragione della sussistenza di fenomeni erosivi che investono l’area stessa.

La ricorrente invoca al riguardo il sopraggiunto Piano Comunale, ma il Comune di Lecce sul punto replica che il predetto Piano Comunale si è adeguato alle indicazioni della Regione, sicché esso, nella versione oggi esistente, classifica l’area per cui è causa come tratto costiero con divieto assoluto di concessione (per il rispetto dei vincoli riguardanti il Faro e il Porto di -OMISSIS-)

Con riferimento, infine, all’ordinanza di rimozione del manufatto, merita conferma la motivazione contenuta sul punto nella sentenza appellata, secondo cui l’infondatezza delle censure formulate nel ricorso introduttivo e nei primi motivi aggiunti (nei confronti, rispettivamente, del diniego di condono e del diniego di rilascio della concessione demaniale) “si riflette sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione dei manufatti gravata con il secondo atto di motivi aggiunti”.

In conclusione, per tutte le ragioni esposte l’appello è nel suo complesso infondato e deve, pertanto, essere respinto, dovendo la sentenza appellata essere confermata, pur se con la puntualizzazione che la ragione ostativa al condono va ravvisata, più che nella carenza di disponibilità dell’area demaniale, nella trasformazione del manufatto, che non è più un chiosco-bar prefabbricato e precario di ridotte dimensioni.

Le spese del giudizio di appello seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di cui al dispositivo a carico dell’appellante e in favore del Comune di Lecce, mentre non si fa luogo a spese nei confronti della Regione Puglia, non costituitasi in giudizio.

CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 13.08.2025 n. 7039 

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