Previdenza e assistenza – Previdenza forense, rivalutazione dei redditi e definizione dei criteri e dei limiti

Previdenza e assistenza – Previdenza forense, rivalutazione dei redditi e definizione dei criteri e dei limiti

Con il primo motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli artt.2, 10, 15, 16, 26, 27 l. n.576/80 e 2116 c.c., per non avere la Corte ritenuto che la rivalutazione decorresse dal 1980. Con il secondo motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli artt.2 e 10 l. n.576/80, per avere la Corte riliquidato il trattamento pensionistico nonostante non fossero stati versati i maggiori contributi dovuti a seguito di rivalutazione decorrente dal 1980.  Con il terzo motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli artt.1362 e 2116 c.c., degli artt.2, 10, 19 l. n.576/80 e dell’art.3, co.9 l. n.335/95, in relazione al Regolamento della Cassa 16.12.2005, approvato nel 2006, per avere la Corte erroneamente validato ai fini pensionistici gli anni coperti da contribuzione parziale. Il Regolamento era applicabile al controricorrente e, comunque, quanto da esso stabilito era già deducibile dall’art.2 l. n.576/80. Con il quarto motivo di ricorso, la Cassa deduce violazione e falsa applicazione degli artt.2, 10, 11, 19 l. n.576/80, dell’art.3, co.9 l. n.335/95, per avere la Corte respinto la domanda della Cassa di pagamento dei Corte di Cassazione – copia non ufficiale 3 contributi non pagati, negando che si trattasse di omissione contributiva. Preliminarmente vanno respinte le eccezioni di inammissibilità del ricorso avanzate dal controricorrente. Per un verso, il ricorso è sufficientemente specifico nell’indicare con chiarezza le censure addotte alla sentenza impugnata e le ragioni per le quali essa sarebbe errata. Per altro verso, il richiamo all’art.360-bis, n.1 c.p.c. appare inconferente posto che vari precedenti di questa Corte sul tema sono intervenuti successivamente alla proposizione del ricorso, sicché può dirsi che l’orientamento di legittimità in materia si è formato solo in seguito al ricorso. Il primo motivo è infondato. In fattispecie analoghe alla presente, dove era chiesta la rivalutazione del trattamento pensionistico di vecchiaia ai sensi dell’art.2 l. n.576/80 in ragione di una diversa e maggiore rivalutazione dei redditi (artt.15 e 16, co.1), questa Corte (Cass.9698/10, Cass.16585/23, Cass.27609/24) ha affermato che la rivalutazione dei redditi opera in conformità al disposto dell’art.27, co.4, ovvero secondo l’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della presente legge, cioè l’anno 1980, e dunque sulla base della variazione dell’indice ISTAT registrata nell’anno precedente, ovvero nel 1979.  Le citate pronunce poggiano tutte sul rilievo contenuto nella sentenza resa a sezioni unite da questa Corte (v. 7281/04) per cui, diversamente da quanto ritiene la Cassa, l’art.27, co.4 è norma non di diritto transitorio, ma che detta un criterio generale, applicabile non solo alle pensioni liquidate prima dell’entrata in vigore della l. n.576/80, bensì anche a quelle liquidate dopo. In Corte di Cassazione – copia non ufficiale 4 particolare, il fatto che la legge si applichi alle pensioni di vecchiaia maturate dal primo gennaio del secondo anno successivo alla sua entrata in vigore, ovvero dal 1982 (art.26, co.1), non toglie che, ai fini del loro calcolo secondo il sistema retributivo, la media dei dieci migliori redditi computati sui quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione, opera previa rivalutazione di detti redditi a partire dall’anno di entrata in vigore della legge, e quindi dal 1980.  Si deve qui aggiungere che tale interpretazione non è smentita dalla sentenza di questa Corte a sezioni unite n.7281/04, nella parte in cui assume invece a riferimento l’indice ISTAT del 1981 relativo al 1980. Tale sentenza ha riguardato infatti la diversa tematica della rivalutazione delle pensioni, ai sensi dell’art.16, co.1, non già la rivalutazione dei redditi (art.15), su cui calcolare l’ammontare della pensione secondo il sistema retributivo. Poiché le pensioni regolate dalla l. n.576/80 sono solo quelle che maturano dal 1° gennaio 1982, le sezioni unite hanno affermato che la rivalutazione della pensione avviene sulla base dell’indice del 1981 relativo al 1980 (ovvero dell’indice medio annuo relativo all’anno di entrata in vigore della legge), e quindi dell’indice precedente all’anno di prima erogazione, che tiene conto della svalutazione intervenuta nell’anno ancora precedente; in particolare in detta sentenza viene spiegato che: facendo riferimento al meccanismo di rivalutazione della pensione, se una pensione maturata nel corso di un qualsiasi anno si rivaluta già l’anno immediatamente successivo, ciò comporta necessariamente che si prenda come base di riferimento per operare la rivalutazione la delibera del consiglio di Corte di Cassazione – copia non ufficiale 5 amministrazione della Cassa, emessa lo stesso anno del pensionamento, che necessariamente farà riferimento alla variazione precedente. intervenuta nel corso dell’anno Nel caso di specie, invece, si tratta non di rivalutare le pensioni a far tempo dal primo anno successivo alla maturazione del diritto, previa delibera del consiglio di amministrazione della Cassa (commi 1 e 3 dell’art.16), ma di rivalutare i redditi, già prima della maturazione del diritto a pensione e già a partire dal 1980, anno di entrata in vigore della legge, per i redditi maturati a partire dal 1980. Conferma della presente lettura degli artt.15, 26 e 27 l. n.576/80 si rinviene nel secondo comma dell’art.27, in base al quale la prima tabella di cui all’art.15, co.2 – ovvero la tabella dei coefficienti di rivalutazione dei redditi redatta dal consiglio di amministrazione della Cassa entro il 31 maggio di ogni anno sulla base dei dati ISTAT – è redatta entro quattro mesi dall’entrata in vigore della presente legge. La prima tabella deve essere quindi redatta entro 4 mesi decorrenti dal 12.10.80, ovvero entro il 12.2.81, e quindi essa non può che prendere a riferimento l’indice medio ISTAT registrato nel 1980 sulla base della svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980, non certo l’indice ISTAT del 1981, il quale, essendo un indice medio annuo riferito all’intero anno solare, va assunto a riferimento solo al termine dell’anno 1981, anziché già dal 12.2.81.     Non osta a quanto fin qui detto il d.m. 30.9.82 adottato su delibera del consiglio di amministrazione della Cassa ex art.16, co.1, il quale fa decorrere la rivalutazione, sia delle pensioni che dei redditi, dal 1981. La delibera della Corte di Cassazione – copia non ufficiale 6 Cassa, invero, ha valore meramente ricognitivo della variazione ISTAT registrata nell’anno precedente, e non può incidere sul criterio normativo primario posto dall’art.27, co.4, in tema di decorrenza della prima rivalutazione. Come affermato da questa Corte nelle citate pronunce nn.9698/10, e 16585/23, trattandosi di atto regolamentare, esso ben può essere disapplicato ove contrario alla norma primaria, ovvero l’art.27, co.4 l. n.576.  Il primo motivo di ricorso va dunque respinto, essendosi la Corte d’appello attenuta al seguente principio di diritto: “In tema di previdenza forense, l’entità dei redditi da assumere per il calcolo della media di riferimento ai fini delle pensioni di vecchiaia maturate dal 1° gennaio 1982, va rivalutata a partire dall’anno di entrata in vigore della legge n.576/80 ai sensi dell’art.27, co.4 della stessa legge, e quindi dal 1980, applicando l’indice medio annuo ISTAT dell’anno 1980, relativo alla svalutazione intercorsa tra il 1979 e il 1980”. Il secondo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente data la loro intima connessione, e sono fondati. Occorre in primo luogo esaminare il tema dell’omissione contributiva, ovvero dell’inadempimento dell’obbligazione contributiva per la parte corrispondente alla differenza tra la rivalutazione dei redditi dovuta (indice medio ISTAT del 1980) e la rivalutazione invece applicata dalla Cassa (indice medio ISTAT del 1981). Non è condivisibile l’idea per cui la rivalutazione sia una componente per così dire neutra, ovvero irrilevante ai fini della modulazione dell’obbligazione contributiva. Essa, al contrario, è parte integrante del reddito, di cui condivide Corte di Cassazione – copia non ufficiale 7 la stessa natura, con la conseguenza che, ai fini dell’obbligo contributivo, così come ai fini del calcolo della prestazione secondo il metodo retributivo, importa non il reddito dichiarato, ma il reddito dichiarato ai fini IRPEF rivalutato.  Che la rivalutazione (dei redditi) incida sul quantum contributivo, nel senso che quest’ultimo ascenda a maggior importo dovuto in ragione del meccanismo rivalutativo, emerge chiaramente dall’impianto della legge n.576. Ai sensi dell’art.16, co.4, infatti, il contributo soggettivo minimo (art.10, co.2) è aumentato periodicamente proprio in relazione alla variazione dell’indice ISTAT. Per il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.1 l. n.576/80, invece, l’incidenza della rivalutazione sull’obbligo contributivo opera a mezzo della rivalutazione del reddito: rivalutando anno per anno il reddito su cui calcolare l’aliquota del contributo soggettivo (art.16, co.4 nel suo riferimento al limite di reddito di cui all’art.10, co.1), viene aumentato di anno in anno l’importo del contributo (in percentuale del 10% sul maggior montante reddituale a seguito di rivalutazione). Dunque, essendo stati versati contributi ex art.10, co.1, lett. a) inferiori a quelli dovuti, poiché parametrati nell’aliquota ad un montante reddituale rivalutato in misura inferiore rispetto a quella da considerare (18,7% anziché 21,1%), si deve concludere per l’esistenza di una violazione dell’obbligazione contributiva. Ovviamente tanto rileva in questa sede non ai fini del profilo sanzionatorio (art.18), bensì ai fini del rapporto tra effettiva contribuzione (art.2) e misura della pensione, come oltre si dirà. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 8 L’inadempimento nemmeno può essere “sanato” dal fatto che siano stati poi pagati i contributi di cui all’art.10, co.1, lett. b), nonché il contributo integrativo dell’art.11. Nel caso di specie rileva l’inadempimento all’obbligazione contributiva di cui alla sola lettera a) dell’art.10, essendo tale obbligazione l’unica rilevante ai fini del diritto e della misura della pensione di vecchiaia (v. l’art.2, co.2, che richiama la sola lettera a) dell’art.10, co.1). La difesa di parte controricorrente argomenta poi che inadempimento non vi sarebbe in quanto, all’epoca, fu pagato il contributo come richiesto dalla Cassa, sulla base della rivalutazione dei redditi operata dalla Cassa, sicché non vi fu errore addebitabile, stante la buona fede. Premesso che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l’errore circa la convinzione di non essere obbligati (nel caso di specie, la convinzione di essere obbligati per una minor misura dell’obbligo contributivo), può valere come causa non imputabile di inadempimento ex art.1218 c.c. ove si tratti di errore non vincibile con la dovuta diligenza (Cass.1003/86, Cass.2586/86, Cass.7729/04), va detto che tale profilo attiene non all’inadempimento, il quale sussiste come violazione dell’obbligazione contributiva (adempiuta solo parzialmente), bensì alla sua non imputabilità, ai sensi dell’art.1218 c.c. Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, al creditore basta allegare l’inadempimento (v. Cass., sez. un., n.13533/01), mentre incombe sul debitore dimostrare di aver fatto tutto il possibile per adempiere. Corte di Cassazione – copia non ufficiale 9 Il tema della prova liberatoria, non indagato dalla sentenza impugnata, andrà quindi valutato in sede di giudizio di rinvio. Detto che vi fu inadempimento all’obbligazione contributiva, occorre stabilire se tale inadempimento (parziale) incida sulla misura della pensione. Ai sensi dell’art.2, co.1 l. n.576/80, la pensione di vecchiaia è pari, “per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione”, all’1,75% della media dei più elevati dieci redditi professionali dichiarati dall’iscritto ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), risultanti dalle dichiarazioni relative ai quindici anni solari anteriori alla maturazione del diritto a pensione.  Questa Corte (v. Cass.5672/12, Cass.7621/15, Cass.15643/18, Cass.30421/19, Cass.694/21) ha avuto modo di affermare, in relazione all’ “effettiva contribuzione” dell’art.2, che essa non significa “integrale”, con la conseguenza che, sebbene parziale, essa serve a far computare l’annualità di anzianità contributiva. Si è aggiunto in tali pronunce che la pensione di vecchiaia si “commisura” alla contribuzione effettiva, essendo escluso ogni automatismo delle prestazioni in assenza di contribuzione, principio che vige per il lavoro dipendente e che resta inapplicabile alla previdenza dei liberi professionisti. In particolare è stato specificato dalla sentenza n.5672/12, che gli anni non coperti da integrale contribuzione concorrono a formare l’anzianità contributiva e vanno inseriti nel calcolo della pensione, e che il calcolo della pensione si fa “prendendo come base il reddito sul quale è stato effettivamente pagato il contributo” Ancora, la sentenza n.15643/18, relativa alla pensione di vecchiaia dei geometri Corte di Cassazione – copia non ufficiale 10 incentrata sull’art.2 l. n.773/82, che ha un testo identico a quello dell’art.2 l. n.576/80, per quanto qui di rilievo (“per ogni anno di effettiva iscrizione e contribuzione”), ha affermato che l’aggettivo effettiva “introduce un parametro di commisurazione della pensione alla contribuzione “effettivamente” versata”. Dal citato orientamento emerge il principio per cui il reddito da considerare ai fini del calcolo della pensione, e dichiarato ai fini IRPEF, è solo quello su cui si sono versati “effettivamente” i contributi. Tale conclusione non rinnega il metodo di calcolo retributivo, poiché la pensione si calcola pur sempre prendendo a base la media dei miglior redditi, ma con il limite per cui – non vigendo il principio dell’automatismo della prestazione pensionistica – la misura del reddito denunciato ai fini IRPEF è da rapportare ai contributi effettivamente versati. Se, come nel caso di specie, sono stati versati contributi in misura parziale in ragione di una minor percentuale di rivalutazione del reddito, tale minor percentuale è quella da considerare ai fini pensionistici. Né, così facendo, viene meno il principio di solidarietà che connota la previdenza forense e si trasforma questa in una previdenza mutualistica mediante introduzione di una diretta corrispondenza, in termini di corrispettività sinallagmatica, tra la contribuzione e la prestazione (pensione di vecchiaia) (sul punto v. Corte Cost. n.67/18). Premesso che nemmeno riguardo alle pensioni calcolate secondo il metodo contributivo, dove più stringente è il rapporto tra contributi e ammontare della prestazione, si è mai sostenuto che esso introduca un meccanismo di astratta sinallagmaticità tale da far perdere il connotato solidaristico al sistema Corte di Cassazione – copia non ufficiale 11 pensionistico, nel caso di specie la pensione continua a essere rapportata non in via sinallagmatica alla contribuzione, poiché invece modulata su un parametro indipendente quale è quello del reddito. Inoltre, la presenza di contributi dovuti e tuttavia correlati non alla prestazione ma intesi a finanziare la solidarietà di categoria – quali sono il contributo soggettivo di cui all’art.10, co.2, lett. b) e il contributo integrativo dell’art.11 – conferma il carattere non mutualistico della previdenza forense. Piuttosto, come già anticipato, è in ragione dell’assenza della regola di automaticità delle prestazioni che si giustifica la conclusione per cui, inadempiuto (in parte) l’obbligo contributivo, non v’è diritto ad una prestazione che non sia sorretta nel suo quantum dall’adempimento di tale obbligo, dovendo la contribuzione essere sempre “effettivamente” versata. Pare opportuno aggiungere, infine, che proprio l’assenza della regola di automaticità delle prestazioni dà ragione dell’irrilevanza della maturata prescrizione: il fatto che la Cassa abbia lasciato prescrivere il proprio credito contributivo non dà comunque diritto alla prestazione pensionistica maggiorata nel quantum, allo stesso modo per cui, non operando più l’art.2116 c.c. una volta maturata la prescrizione contributiva entro il sistema dell’AGO, il lavoratore non ha comunque diritto ad ottenere la prestazione dall’Inps, quanto piuttosto il risarcimento dei danni. La sentenza va dunque cassata in accoglimento del secondo e quarto motivo, con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, per gli accertamenti conseguenti all’applicazione del seguente principio di Corte di Cassazione – copia non ufficiale 12 diritto: “In tema di previdenza forense, i redditi da prendere a riferimento per il calcolo della pensione di vecchiaia, ai sensi dell’art.2 l. n.576/80, sono quelli coperti da contribuzione “effettivamente versata”, sicché, in caso di applicazione su tali redditi di un coefficiente di rivalutazione ISTAT inferiore a quello dovuto, con corrispondente minor contribuzione versata ai sensi degli artt.10 e 16, co.4, la pensione di vecchiaia va calcolata prendendo a riferimento i redditi rivalutati secondo il minor coefficiente applicato, anziché secondo quello maggiore dovuto”. Il terzo motivo è per un verso inammissibile e per altro infondato. È inammissibile laddove deduce la violazione del Regolamento della Cassa adottato il 16.12.2005, e approvato nel 2006. Secondo costante orientamento di questa Corte, i Regolamenti adottati dalla Cassa Forense allo scopo di disciplinare il rapporto contributivo degli iscritti e le prestazioni previdenziali e assistenziali da corrispondere, non si configurano come previsioni regolamentari in senso proprio, ma come fonti negoziali, nonostante la successiva approvazione con decreto ministeriale. Il sindacato di questa Corte è dunque limitato all’ipotesi in cui venga dedotta una violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt.1362 c.c. (Cass.8592/25, Cass.27541/20).  Ora, il motivo, pur citando nella rubrica l’art.1362 c.c., non prospetta con la necessaria specificità la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt.1362 ss. c.c., assumendo nella sostanza il Regolamento come norma direttamente violata (art.360, co.1, n.3 c.p.c.). Corte di Cassazione – copia non ufficiale 13 Il motivo è poi infondato laddove deduce che, anche senza l’applicazione del Regolamento, l’azzeramento dell’annualità di anzianità assicurativa per il caso di mancato pagamento integrale della contribuzione sarebbe desumibile dall’art.2 l. n.576/80. Contro tale esegesi dell’art.2 l. n.576/80, come già ricordato, si è più volte pronunciata questa Corte (Cass.5672/12, Cass.7621/15, Cass.15643/18, Cass.30421/19, Cass.694/21), affermando che la contribuzione solo parziale non può impedire di conteggiare per intero l’annualità ai fini dell’anzianità contributiva.  In conclusione, vanno accolti il secondo e quarto motivo di ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese di lite del presente giudizio.

Cass. civ., lav., sent., 07.08.2025, n. 22836

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