Previdenza e assistenza – No al licenziamento del corriere incapace di trasportare colli aventi un peso superiore a 12 kg

Previdenza e assistenza – No al licenziamento del corriere incapace di trasportare colli aventi un peso superiore a 12 kg

1. i motivi di impugnazione possono essere come di seguito sintetizzati;

1.1. con il primo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116, comma 1, c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la Corte territoriale avrebbe travisato le risultanze istruttorie, con una motivazione apparente “resa su un dato fattuale (quella della disponibilità quotidiana del cd. corriere jolly) non allegato, non accertato, non provato e neppure implicitamente presupposto dal giudicante”;

1.2. con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo, per non avere la Corte precisato perché ritenesse, “quale accomodamento ragionevole, l’affidamento esclusivo di un jolly ad ausilio quotidiano del lavoratore, pur a fronte della acclarata indisponibilità del jolly stesso”;

1.3. il terzo mezzo censura ancora un omesso esame di un fatto decisivo, criticando la sentenza impugnata nella parte in cui ha valutato che “l’affiancamento esclusivo sarebbe durato circa un anno, visto il successivo pieno recupero della capacità fisica dell’appellante”;

1.4. il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d. lgs. n. 216 del 2003 e dell’art. 41 Cost. per non avere la Corte territoriale proceduto alla “verifica della proporzionalità economica tra costi e benefici, ovvero la sostenibilità economica della misura”;

1.5. il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione ancora degli artt. 2 e 3 del d. lgs. n. 216 del 2003, oltre che dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, nonché omesso esame di un fatto decisivo, in quanto la Corte territoriale non avrebbe proceduto alla verifica preliminare della natura della disabilità del S.G. “al fine di valutare la ricorrenza del suo carattere duraturo” e, quindi, solo in caso positivo dell’accertamento, concludere per la tutela antidiscriminatoria di cui all’art. 3, comma 3 bis, d. lgs. n. 216/2003;

2. il ricorso, nei cinque motivi in cui è articolato scrutinabili congiuntamente per reciproca connessione, non può trovare accoglimento atteso che la sentenza gravata è conforme alla giurisprudenza di questa Corte formatasi a partire da Cass. n. 6497 del 2021 (successive conf.: Cass. n. 15002 del 2023Cass. n. 31471 del 2023Cass. n. 35850 del 2023Cass. n. 10568 del 2024; v. pure Cass. n. 14307 del 2024Cass. n. 30080 del 2024Cass. n. 605 del 2025; da ultimo: Cass. n. 12270 del 2025, alle quali tutte si rinvia per ogni aspetto qui non esaminato, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c.).;

2.1. secondo tale consolidata giurisprudenza, agli oneri di assolvimento del repêchage che tradizionalmente gravano sul datore di lavoro nell’ipotesi di un licenziamento per inidoneità fisica sopravvenuta, nel caso in cui operi l’art. 3, comma 3 bis, d. lgs. 216 del 2003, si aggiunge quello distinto relativo all’adempimento dell’obbligo di accomodamento ragionevole, pure esso inteso come condizione di legittimità del recesso; pertanto, a fronte del lavoratore che deduca e provi di trovarsi in una condizione di limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature secondo il diritto dell’Unione europea, quale fonte dell’obbligo datoriale di ricercare soluzioni ragionevoli che potessero evitare il licenziamento causato dalla disabilità – accertamento che nella specie appare compiuto dalla Corte territoriale in considerazione del fatto che comunque era acclarato che l’infortunio aveva causato nel S.G. una duratura limitazione nell’attività lavorativa – graverà sul datore di lavoro l’onere di provare di aver adempiuto all’obbligo di “accomodamento” ovvero che l’inadempimento sia dovuto a causa non imputabile;

in tale situazione di riparto non è certo sufficiente per il datore semplicemente allegare e provare che non fossero presenti in azienda posti disponibili in cui ricollocare il lavoratore, come si trattasse di un ordinario repêchage, così creando una sovrapposizione con la dimostrazione, comunque richiesta, circa l’impossibilità di adibire il disabile a mansioni equivalenti o inferiori compatibili con il suo stato di salute;

né spetta al lavoratore, o tanto meno al giudice, individuare in giudizio quali potessero essere le possibili modifiche organizzative appropriate e ragionevoli idonee a salvaguardare il posto di lavoro, sovvertendo l’onere probatorio e richiedendo una collaborazione nella individuazione degli accomodamenti possibili non prevista neanche per il repêchage ordinario in mansioni inferiori, oramai esteso dal recesso per sopravvenuta inidoneità fisica alle ipotesi di soppressione del posto di lavoro per riorganizzazione aziendale (ab imo, Cass. n. 21579 del 2008; conf. Cass. n. 23698 del 2015Cass. n. 4509 del 2016Cass. n. 29099 del 2019; Cass. n. 31520 del 2019);

al fine di non sconfinare in forme di responsabilità oggettiva, per verificare l’adempimento o meno dell’obbligo legislativamente imposto dall’art. 3, comma 3 bis, d. lgs. n. 216 del 2003, occorre avere presente il contenuto del comportamento dovuto e che esso si caratterizza non tanto, in negativo, per il divieto di comportamenti che violano la parità di trattamento, quanto piuttosto per il suo profilo di azione, in positivo, volta alla ricerca di misure organizzative ragionevoli idonee a consentire lo svolgimento di un’attività lavorativa, altrimenti preclusa, a persona con disabilità;

in tale prospettiva, l’onere gravante sul datore di lavoro potrà essere assolto mediante la deduzione del compimento di atti o operazioni strumentali rispetto all’avveramento dell’accomodamento ragionevole, che assumano il rango di fatti secondari di tipo indiziario o presuntivo, i quali possano indurre nel giudicante il convincimento che il datore abbia compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata che scongiurasse il licenziamento, avuto riguardo a ogni circostanza rilevante nel caso concreto; ovviamente il datore di lavoro potrà anche dimostrare che eventuali soluzioni alternative, pur possibili, fossero prive di ragionevolezza, magari perché coinvolgenti altri interessi comparativamente preminenti, ovvero fossero sproporzionate o eccessive, a causa dei costi finanziari o di altro tipo ovvero per le dimensioni e le risorse dell’impresa;

2.2. tanto premesso, nella specie non vi è traccia, neanche di allegazione, da parte datoriale, di compimento di atti o operazioni strumentali rispetto all’avveramento dell’accomodamento ragionevole, che assumano il rango di fatti secondari di tipo indiziario o presuntivo, i quali potessero indurre nel giudicante il convincimento che il datore avesse compiuto uno sforzo diligente ed esigibile per trovare una soluzione organizzativa appropriata che scongiurasse il licenziamento;

tanto risultava sufficiente ad accogliere la domanda del lavoratore, anche a prescindere dalla successiva valutazione operata dalla Corte territoriale circa misure ragionevoli, sicché le censure proposte perdono di consistenza dal punto di vista della decisività, oltre ad involgere apprezzamenti di fatto, con evocazione reiterata del vizio di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c. del tutto al di fuori dei canoni imposto dalle Sezioni unite di questa Corte a partire dalle sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014;

3. pertanto, il ricorso, nel suo complesso, deve essere respinto, con spese regolate secondo soccombenza come da dispositivo; occorre, altresì, dare atto della sussistenza per il ricorrente dei presupposti processuali di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, l. n. 228 del 2012, per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, ove dovuto (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

va infine disposta, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del d.lgs. n. 196/2003 di parte controricorrente.

Cass. civ., lav., ord., 18.08.2025, n. 23481

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