Previdenza e assistenza – Lavoro carcerario unicità e continuità

Previdenza e assistenza – Lavoro carcerario unicità e continuità

1.Con l’unico motivo il ricorso denuncia violazione dell’art. 15, secondo comma e 20, commi 1 e 3, della legge n. 354/1975, nonché dell’art. 2697, secondo comma, cod. civ., dell’art. 115cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, nn. 3 e 4 cod. proc. civ.

Addebita alla Corte territoriale di avere considerato come interruzioni del rapporto la mancanza di occupazione dovuta ad esigenze di parte datoriale, e di avere attribuito carattere interruttivo alla turnazione e alla rotazione del lavoro.

Richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il rapporto di lavoro è unitario e secondo cui la prescrizione non decorre in costanza di rapporto.

Evidenzia che la normativa riguardante il regime penitenziario prevede il lavoro quale elemento centrale del trattamento rieducativo per il reinserimento del detenuto nella società e che non è prevista la facoltà di apporre un termine al rapporto.

Sostiene che il Ministero della giustizia avrebbe dovuto dedurre e dimostrare le interruzioni del rapporto di lavoro intercorso tra le parti.

2. Il ricorso è fondato, in conformità a precedenti di questa Corte (Cass. n. 17476/2024Cass. n. 17478/2024 e Cass. n. 17484/2024 e Cass. n. 5510/2025), a cui si intende dare continuità.

Si è in particolare chiarito che rileva la speciale situazione dei lavoratori carcerari che si trovano in una situazione di attesa della “chiamata al lavoro”, rispetto alla quale non hanno alcun potere di controllo o di scelta; lo stato di soggezione quanto a tale “chiamata al lavoro” ed il connesso “metus” riverbera poi i suoi effetti sul percorso di rieducazione sul quale il proficuo svolgimento di attività lavorativa ha certamente una significativa valenza.

Si è dunque escluso che in questo quadro rilevino ai fini della prescrizione le cessazioni intermedie che, a ben guardare, neppure sono realmente tali, configurandosi piuttosto come sospensioni del rapporto di lavoro, se si considera che vi sono una chiamata e un prefissato periodo di lavoro secondo turni per un tempo limitato, cui seguono altre chiamate in un unico contesto di detenzione.

Certamente, una cessazione del rapporto di lavoro vi è con la fine dello stato di detenzione che non dipende dalla volontà del recluso o internato il quale non può rifiutarla, al fine di mantenere il rapporto di lavoro (come già affermato da Cass. n. 396/2024, la cessazione per fine pena del rapporto di lavoro intramurario svolto alle dipendenze dell’Amministrazione penitenziaria dà luogo ad uno stato di disoccupazione involontaria rilevante ai fini della tutela previdenziale della NASPI), ma prima di tale momento, le peculiari caratteristiche dell’attività lavorativa e la sua funzione rieducativa e di reinserimento sociale che, per tali motivi, prevede la predisposizione di meri elenchi per l’ammissione al lavoro ed è soggetta a turni di rotazione ed avvicendamento, escludono la configurabilità di periodi di lavoro, come quelli dei contratti a termine, volontariamente concordati in un sistema legislativamente disciplinato quanto a causali, oggetto e durata.

Si è poi ritenuto che sia onere dell’Amministrazione individuare il rapporto di lavoro sostanzialmente unico debba considerarsi concluso, qualora ciò sia avvenuto prima della fine dello stato di detenzione ed a tal fine, oltre alla cessazione della detenzione, possono rilevare altre circostanze (come ad esempio l‘età, lo stato di salute o di idoneità al lavoro etc.).

La decorrenza della prescrizione non va pertanto collegata alla data di cessazione dello stato di detenzione, ma al momento del venir meno del rapporto di lavoro (da ritenersi unico, non essendo configurabili cessazioni intermedie).

In tema di lavoro svolto dai detenuti in regime carcerario, si è pertanto affermato la prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore inizia a decorrere non già dalla cessazione dello stato detentivo, bensì dalla fine del rapporto di lavoro, il quale va considerato un unico rapporto, non essendo configurabili interruzioni intermedie, volontariamente concordate, nei periodi in cui la persona privata della libertà è in attesa della “chiamata al lavoro”, rispetto alla quale il detenuto non ha alcun potere di controllo o di scelta e versa in una condizione di soggezione e di metus.

3. La Corte territoriale, avendo escluso la configurabilità di un unico rapporto di lavoro, non si è attenuta a tali principi.

4. Il ricorso va dunque accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, anche per il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Cass. civ., lav., ord., 28.09.2025, n. 26300

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