1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 2087 c.c. e 1218 c.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
Deduce la ricorrente che la corte distrettuale ha ritenuto provato il danno senza che i dipendenti (OMISSIS) avessero allegato e provato in alcun modo le conseguenze derivanti dalla condotta datoriale, non essendo configurabile nel caso di specie un danno in re ipsa determinato dall’inadempimento della convenuta.
In altri termini, premesso che il danno non può essere in re ipsa e che il pregiudizio derivato dall’inadempimento datoriale deve essere dimostrato, si assume che la Corte territoriale ha errato nel ritenere provato il danno.
2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2087,2059,2697 e 2729 c.c. in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c..
L’azienda sostiene che ha errato la Corte d’appello nel valorizzare solo la mancata fruizione della pausa e la durata dell’inadempimento, senza tener conto dell’allestimento di locali nei quali era consentito ai dipendenti riposarsi in attesa delle chiamate, con conseguente violazione delle regole poste a base del procedimento presuntivo.
La corte di merito avrebbe ritenuto erroneamente raggiunta la prova senza valutare ulteriori elementi quali la quantità e qualità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura dell’attività prestata da ciascun lavoratore e le ore effettive di impegno, la postazione di lavoro e la presenza di poltrone relax per l’attesa, tutti elementi suscettibili di valutazione ai fini dell’accertamento circa la sussistenza del danno di natura psico-fisica.
3. I motivi possono essere trattati congiuntamente stante la loro intima sono inammissibili.
3.1 Va al riguardo premesso che (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022) in tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi.
3.2 Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma.
3.3 Ciò posto, nel caso di specie la corte con un accertamento di merito presuntivo insindacabile in sede di legittimità ha ritenuto l’illegittimità della condotta datoriale protrattasi in maniera continuativa per molti anni sin dal 2008 attraverso la predisposizione di turni di lavoro consecutivi oltre le sei ore senza la fruizione della pausa di 10 minuti spettante di diritto con conseguente danno da integrità psico-fisica determinato dalla eccessiva gravosità del lavoro e, come evidenziato dall’art. 8 del d.lgs. n. 66/2003, tale da impedire il recupero delle energie psico fisiche del lavoratore.
Tali elementi presuntivi sono idonei a supportare l’impianto motivazionale della sentenza impugnata e a ritenere non violati i principi in materia di prova presuntiva, concretandosi le censure dedotte nel ricorso in una diversa ricostruzione delle circostanze fattuali e comunque nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta ed applicata dal giudice di merito.
4. Conclusivamente, il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile, con addebito al ricorrente (parte soccombente) delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
Cass. civ., lav., ord., 13.10.2025, n. 27307