1.- Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 c.c., posto che la sentenza impugnata nel caso di un lavoratore che aveva perso un occhio, colpito da un tondino di ferro che stava tagliando, non si era attenuta ai principi enunciati dalla giurisprudenza di codesta Suprema Corte in materia di infortuni sul lavoro quanto all’individuazione degli oneri di allegazione e prova nell’ambito della responsabilità contrattuale del datore di lavoro (Cass. 25217/23), delle condotte che dovevano pretendersi dal datore di lavoro (Cass. 29909/21, 9120/24), del dovere di vigilanza del datore di lavoro sull’impiego effettivo delle misure di protezione (Cass. nn. 37883/22, 24269/19, nonché Cass. pen. 12326/24, e cass pen 17617/2023).
2.- Il ricorso è fondato.
Come risulta dalla ricostruzione dei fatti di causa, la Corte di appello ha rigettato il gravame perché il lavoratore non avrebbe allegato e provato l’esatta dinamica dell’infortunio in oggetto; ed altresì perché non poteva essere valutata, ai fini della colpa datoriale, l’eventuale inosservanza dell’obbligo di vigilanza sul corretto uso dei dpi (ed in particolare degli occhiali di protezione) perché la circostanza non era stata dedotta dal lavoratore nell’atto introduttivo ed era anzi incompatibile con quanto indicato nello stesso dove appunto si lamentava la mancata formazione e la mancata consegna dei dpi e non l’omessa vigilanza.
3.- Tali affermazioni ripropongono lo spinoso tema della corretta suddivisione degli oneri di allegazione e prova in materia di infortuni e malattie professionali ed impongono una sintetica ricostruzione dello stato della questione, anche in ragione della considerazione espressa dalla Corte appello che, ai fini della compensazione delle spese ex art 92 c.p.c., ha evidenziato l’esistenza di una variegata e non sempre uniforme giurisprudenza in materia di responsabilità ex art. 2087 c.c.
4.- Rinviando per più estese considerazioni, anche ai sensi dell’art.118 disp. att. c.p.c. a Cass. n. 25217/23 indicata in ricorso, ai fini della corretta individuazione della premesse della decisione, va in primo luogo ricordato il chiaro insegnamento delle Sez. Unite n. 13533 del 30/10/2001, riguardante la generale materia della responsabilità contrattuale, da cui si desume pianamente che il lavoratore che agisce per il risarcimento del danno, una volta richiamato il contratto di lavoro (ovvero “il titolo che costituisce la fonte” dell’obbligo legale di protezione) si può limitare “alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento”.
In pratica, sulla scorta di tale insegnamento, il lavoratore può limitarsi a descrivere il fatto dell’infortunio ed inoltre, agendo per il risarcimento del danno, a provare il nesso di causalità tra l’infortunio (o la malattia) e le conseguenze dannose subite.
5.- Nella stessa scia delle Sez. Unite si pone una successiva ed autorevole giurisprudenza (Sez. L, Sentenza n. 9817 del 14/04/2008) la quale, pronunciando nella specifica materia della responsabilità datoriale per infortunio sul lavoro, ha chiarito che: “La responsabilità ex art. 2087 cod. civ. è di carattere contrattuale, in quanto il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell’art. 1374 cod. civ.) dalla disposizione che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale, sicché il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno differenziale da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell’art. 1218 cod. civ. sull’inadempimento delle obbligazioni. Ne consegue che il lavoratore deve allegare e provare la esistenza dell’obbligazione lavorativa, del danno ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno”.
La stessa sentenza n. 9817/2008 precisa inoltre: “La formulazione che si rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il lavoratore infortunato ha l’onere di provare il fatto costituente l’inadempimento del datore di lavoro all’obbligo di sicurezza (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184, Cass. 11 aprile 2006 n. 8386, Cass. 25 maggio 2006 n. 12445, Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, 19 luglio 2007n. 16003) non appare conforme al principio enunciato dalle Sezioni Unite (e con l’applicazione coerente che ne ha fatto questa Sezione Lavoro nei casi sopra citati), e non può pertanto essere seguita.”
4. La medesima statuizione costituisce poi il cuore della più recente decisione con la quale questa Corte di Cassazione (n. 12041 del 19/06/2020), a seguito di un’ampia e coerente disamina, ha risolto la questione particolarmente complessa del rapporto tra pregiudizialità penale ed oneri di allegazione e prova ai fini del riconoscimento del danno differenziale ai sensi degli artt. 10 e 11 del TU 1124/65. Riconducendo la soluzione nell’ambito dell’alveo naturale della responsabilità contrattuale, secondo i principi generali prima richiamati, la Cassazione n. 12041/2020 cit. ha infatti statuito che: “In tema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, la disciplina prevista dagli artt. 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 deve essere interpretata nel senso che l’accertamento incidentale in sede civile del fatto che costituisce reato, sia nel caso di azione proposta dal lavoratore per la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno cd. differenziale, sia nel caso dell’azione di regresso proposta dall’Inail, deve essere condotto secondo le regole comuni della responsabilità contrattuale, anche in ordine all’elemento soggettivo della colpa ed al nesso causale fra fatto ed evento dannoso”.
6.- Pertanto in base a tali autorevoli e meditati precedenti, come in ogni altro caso di responsabilità contrattuale, non spetta mai al lavoratore di provare l’inadempimento ovvero la colpa del debitore e cioè la violazione da parte del datore di regole a contenuto cautelare, tipiche o atipiche che dir si voglia.
7.- Coerentemente con tale orientamento giurisprudenziale, va diversamente calibrato il principio espresso da Cass. n. 29909/21, cui si richiama più volte la Corte d’appello bolognese, secondo cui spetterebbe invece al lavoratore “l’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate”, dovendosi ritenere adempiuti gli oneri del lavoratore con la allegazione dell’inadempimento.
8.- Anche l’altra tesi, pure evidenziata dalla Corte territoriale, secondo cui il lavoratore dovrebbe provare gli “indici della nocività dell’ambiente da individuarsi nei concreti fattori di rischio circostanziati” in ragione delle modalità della prestazione lavorativa, ed inoltre il “ nesso eziologico tra la violazione degli obblighi di prevenzione ed i danni subiti”, deve essere correttamente delimitata, perché quelli indicati costituiscono in realtà elementi costitutivi della colpa del datore la cui assenza, nella responsabilità contrattuale, deve essere provata dal debitore (e non certo dal creditore).
Il lavoratore infatti, come prescrive l’art. 2087 c.c. – “norma proattiva” che impone al datore di lavoro di attivarsi per prevenire gli infortuni – ha il diritto di lavorare in un ambiente di lavoro non nocivo ed è quindi il datore di lavoro a dover provare che l’ambiente di lavoro sia salubre e non presenti pericoli di sorta per la salute e la sicurezza di chi vi opera.
Il fattore della c.d. nocività (che serve a identificare il rischio del lavoro svolto o dell’ambiente in cui viene prestato e che si pone all’origine dell’infortunio) si può invece desumere dall’inadempimento che il lavoratore deve allegare come elemento costitutivo della domanda e dal nesso di causa che egli deve invece provare, posto che incombe sul lavoratore danneggiato dimostrare il nesso di causa tra attività di lavoro e l’evento lesivo che ne è derivato.
9.- Dalla più recente giurisprudenza in materia, risulta superata anche la tesi secondo cui il lavoratore avrebbe l’onere di allegare e provare che l’evento è stato causato dalla mancata adozione di misure di sicurezza innominate ed atipiche (Cass. n. 25217/23, n. 25597/2021).
Tale ultima tesi non può essere in effetti seguita dato che, come già detto, il solo onere posto in capo al lavoratore creditore del debito di sicurezza è di allegare l’inadempimento e di provare il fatto e le conseguenze dannose, non provare le regole violate.
L’orientamento restrittivo, cui ha fatto riferimento la stessa sentenza gravata, risulta inoltre espressione della superata concezione della sicurezza sul lavoro intesa come “complesso di misure tecnologiche” secondo la risalente impostazione del dpr n. 547/55, ispirata dal criterio del contenimento del rischio attraverso l’obbligo di specifici accorgimenti. Mentre nella concezione attuale, delineata dal t.u. 81/2008, l’obbligazione di sicurezza va commisurata, alla stregua del criterio prioritario dell’eliminazione del rischio di matrice comunitaria, anche in base a misure di natura organizzativa, procedimentali e partecipative, individuate e delineate con la valutazione del rischio; con la quale il datore di lavoro deve assolvere preliminarmente, appunto, all’obbligo di valutare tutti i rischi, tipici e atipici che essi siano approntando le corrispondenti misure protettive, anche in base alla migliore scienza ed esperienza.
10.- In conclusione, alla luce di tale ricognizione, deve essere ribadito che il lavoratore che agisce per il risarcimento del danno ha soltanto l’onere di provare che il fatto sia avvenuto per effetto del lavoro prestato e le conseguenze che ne sono derivate, allegando l’inadempimento datoriale e senza l’onere di provarlo.
11.- Pertanto, venendo ora al caso di specie, allorchè il lavoratore R.H. ha affermato e provato, fin dal ricorso introduttivo, che le lesioni personali subite erano state (pacificamente) cagionate da un pezzo di ferro che si era conficcato nel suo occhio sinistro nel corso della mansione di taglio di un tondino di ferro con le forbici, la stessa allegazione nell’identificare la causa del fatto è servita al tempo stesso, ad individuare sul piano sostanziale il fattore di rischio presente nell’ambito del lavoro svolto; ed ha soddisfatto, altresì, l’onere di allegazione e di specificazione degli elementi costitutivi della domanda svolta posti a livello processuale a carico del lavoratore (come di un qualsiasi danneggiato che agisce in giudizio per il risarcimento del danno).
12.- Una volta provata la dinamica del fatto concreto, allegata con la domanda introduttiva, nasceva quindi l’obbligo del datore di lavoro di provare di aver adempiuto a tutte le prescrizioni di sicurezza ovviamente nella ampiezza che deriva dalla declinazione che lo stesso obbligo legale di sicurezza assume oggi nel nostro ordinamento in base a tutte le misure e cautele costituenti il sistema protettivo della sicurezza (art.18 del d.lgs. n.81/2008, c.d. T.U. per la sicurezza), oltre che in base all’art. 2087 c.c.
13.- L’oggetto sostanziale dell’onere della prova a carico del datore attiene, come già detto, al rispetto di tutte le prescrizioni specificamente dettate dalla legge, oltre che a quelle suggerite dalla esperienza, dall’evoluzione tecnica e dalla specificità del caso concreto. Si tratta anzitutto della valutazione dei rischi, dell’organizzazione dell’apparato di sicurezza, dell’informazione, della formazione e dell’addestramento dei lavoratori, dell’adozione di tutte le misure prescritte e della vigilanza sul rispetto di tali misure, per come partitamente delineate nel citato Tun. 81/2008.
14.- In particolare, quanto all’ampiezza della diligenza richiesta al datore di lavoro, merita di essere ricordato come questa Corte di Cassazione abbia chiarito puntualmente che il datore di lavoro rimanga responsabile non soltanto in caso di violazione di regole di esperienza o di regole tecniche già conosciute e preesistenti, ma anche, in relazione alle circostanze del caso concreto, per la omessa predisposizione di tutte le altre misure e cautele idonee a preservare l’integrità psico-fisica del lavoratore, inclusa la mancata adozione di direttive inibitorie nei confronti del lavoratore medesimo (Cass. n. 15112/2020) o per la mancata vigilanza sull’uso degli stessi dispositivi di protezione (Cass. n. 25597/2021).
15.- Inoltre, va precisato come la comune interpretazione giurisprudenziale nega comunque, recisamente, che si possa mai parlare di responsabilità obiettiva come regola di imputazione della responsabilità (fondata sul mero riscontro del danno quale evento legato con nesso di causalità all’espletamento della prestazione lavorativa), ammettendo il datore di lavoro alla prova decisiva della mancanza della propria colpa. Ai sensi dell’art. 1218 c.c. perciò è dato al debitore – e quindi nel rapporto di lavoro al datore – di provare che l’inadempimento derivi da causa a lui non imputabile.
16.- Tanto premesso la sentenza di appello non rispetta le regole sopra richiamate posto che, pur dinanzi ad una prova dei fatti precisa, circostanziata e persino incontestata, ha rigettato la domanda del lavoratore sostenendo che non avesse allegato e provato l’esatta dinamica del sinistro che risulta invece ampiamente acquisita in giudizio anche per le ammissioni dello stesso convenuto (R.H. ” quel giorno nel compiere una mansione che aveva eseguito quotidianamente infinite volte nel lungo arco temporale in cui aveva lavorato alle dipendenze di (OMISSIS), con mansioni di trafiliere, nel tagliare con apposita cesoia uno dei legacci in ferro che legava una matassa di vergella (vedi successive riproduzioni fotografiche, DOC.7-12) veniva – inspiegabilmente – colpito da detto tondino riportavano una lesione all’occhio sinistro”).
18.- Inoltre la Corte territoriale ha parimenti errato laddove ha affermato che la violazione dell’obbligo di vigilanza dovesse essere dedotta e provata dal lavoratore, rientrando invece negli obblighi posti a carico del datore di lavoro.
Occorreva quindi valutare la condotta tenuta dalla datrice di lavoro per evitare l’evento anche sotto il profilo della violazione dell’obbligo di vigilanza, rientrando tale deduzione certamente nell’ambito della pretesa azionata che ricomprende tutto ciò che è comunque relativo, strumentale o accessorio alla prestazione dedotta in giudizio come derivante da uno specifico contratto e non comportante un mutamento della domanda (Cfr. Cass., 10901/2024); il rispetto degli obblighi imposti dall’art. 2087 cod.civ. – ancorchè si discuta di danni differenziali (v. Cass. n. 12041 del 19/06/2020) – imponeva a (OMISSIS) Spa di allegare e provare di aver rispettato le cautele imposte dalla legge (valutazione dei rischi, apprestamento dei mezzi, informazione, vigilanza, ecc.) ovvero quelle suggerite dalla tecnica o dall’esperienza alla luce della concreta situazione di fatto (ex art.2087 c.c.) ed, a maggiore ragione, quando l’esecuzione del contratto di lavoro sottopone il lavoratore ad un particolare pericolo insito nella specifica mansione, com’è quella di tagliare un tondino di ferro con le forbici.
19.- In particolare, per quanto attiene l’obbligo di vigilanza, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 25597 del 21/09/2021), “il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al dipendente, sia quando ometta di adottare le misure protettive, comprese quelle esigibili in relazione al rischio derivante dalla condotta colposa del dipendente medesimo, sia quando, pur avendole adottate, non vigili affinché queste siano di fatto rispettate; ne consegue che, in tutte le ipotesi in cui vi sia inadempimento datoriale rispetto all’adozione di cautele, tipiche o atipiche, concretamente individuabili, nonché esigibili “ex ante” ed idonee ad impedire il verificarsi dell’evento dannoso, la condotta colposa del prestatore non può avere alcun effetto esimente e neppure può rilevare ai fini del concorso di colpa.
Lo stesso principio si desume da Cass. n. 20533/2015, la quale evidenzia che “l’obbligo datoriale di proteggere l’incolumità del dipendente, nonostante l’imprudenza e la negligenza dello stesso, comprende anche la vigilanza circa l’effettivo rispetto delle misure di protezione predisposte”.
Inoltre secondo Cass. n. 4980/2023 “il datore di lavoro è responsabile anche dei danni ascrivibili a negligenza o imprudenza dei lavoratori o alla violazione, da parte degli stessi, di norme antinfortunistiche o di direttive, potendo ravvisarsi un concorso colposo della vittima nel solo caso in cui la stessa abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, così da porsi come causa esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere”.
Pertanto, come afferma Cass. n. 3763/2021, il cd. rischio elettivo, che comporta la responsabilità esclusiva del lavoratore, sussiste soltanto ove questi abbia posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, sulla base di una scelta arbitraria volta a creare e ad affrontare, volutamente, per ragioni o impulsi personali, una situazione diversa da quella inerente l’attività lavorativa, creando condizioni di rischio estranee alle normali modalità del lavoro da svolgere e ponendosi, in tal modo, come causa esclusiva dell’evento dannoso.
20.- Per tutte le ragioni fin qui esposte, il ricorso deve essere accolto; la sentenza impugnata va cassata in relazione al ricorso accolto con rimessione al giudice di rinvio indicato in dispositivo il quale adeguandosi ai principi sopra richiamati dovrà procedere al riesame della controversia e provvedere altresì sulle spese del giudizio di cassazione. Non sussistono i presupposti previsti dalla legge per il raddoppio del c.u.
Cass. civ., lav., ord., 24.09.2025, n. 26021