*Previdenza e assistenza – Diritti fondamentali – Tula del lavoratore in stato di disoccupazione involontaria

*Previdenza e assistenza – Diritti fondamentali – Tula del lavoratore in stato di disoccupazione involontaria

1)- Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt.7, co.12, l.n.223/1991 e 45 ,3 co. RDL n.1827/2935 convertito in legge n.1155/1936, vigenti ratione temporis, con riferimento agli artt.18 l.n. 300/70 e 2033 c.c. (Art. 360 co.1 n. 3 c.p.c.).

Con tale motivo l’Inps si duole della errata valutazione della corte territoriale circa la sussistenza del diritto a percepire l’indennità di mobilità anche in caso di accertata esistenza di un rapporto di lavoro a seguito della declaratoria di illegittimità del licenziamento e di condanna giudiziale alla reintegrazione. Afferma dunque la legittimità dell’azione di recupero delle somme erogate.

L’Istituto ricorrente ritiene che l’indennità di mobilità, al pari di quella di disoccupazione, costituisca una tutela di natura previdenziale che mira a garantire coloro che abbiano perso non volontariamente il lavoro, offrendo un sostegno per il tempo necessario a reperirne un altro. Osserva che nel caso in esame, diversamente, si è in presenza di situazioni in cui il rapporto di lavoro è dichiarato esistente da una pronuncia giudiziale che anche condanna il datore di lavoro alla reintegrazione. Tali circostanze portano ad escludere in radice, a giudizio dell’istituto, le condizioni che giustificano le tutele a sostegno del lavoratore disoccupato.

In soccorso a tale posizione vengono richiamati i precedenti di questa Corte di legittimità che, fondandosi sulla diversità del rapporto di lavoro e di quello previdenziale e sui principi che hanno di conseguenza affermato la non interferenza tra le somme dovute al lavoratore dal datore di lavoro a seguito della illegittimità del recesso da quest’ultimo adottato, e le indennità riconosciute dall’Ente previdenziale per lo stato di disoccupazione, hanno poi escluso la possibilità di compensazione tra le stesse (Cass. n. 2719/2012Cass. 18353/2014)

Le ragioni articolate dall’Istituto ricorrente pongono inoltre la diversa prospettiva che, in caso di inottemperanza all’obbligo datoriale di pagamento delle retribuzioni al dipendente, come nel caso di specie, quest’ultimo possa invocare la tutela prevista dagli artt. 1 e 2 del D.lvo n.n.80/1992, a carico del Fondo di Garanzia. Tale soluzione non snaturerebbe l’indennità prevista per il caso della disoccupazione, ove quest’ultima sia da escludere in caso di ripristino ex tunc del rapporto di lavoro per disposto giudiziale.

L’ordinanza interlocutoria, intervenuta in sede camerale all’esito dell’esame del ricorso dell’Istituto, muovendo dalla appartenenza dell’indennità di disoccupazione e della indennità di mobilità (pur nelle loro differenti caratteristiche e nei differenti presupposti) allo stesso genus degli ammortizzatori sociali operativi nello stato di bisogno del lavoratore e finalizzati a sostenere lo stesso in caso di disoccupazione involontaria, evidenzia come tali indennità costituiscano attuazione dell’art. 38 secondo comma Cost. che riconosce il diritto dei lavoratori alla previsione e alla concreta assicurazione di “mezzi adeguati alle loro esigenze” per il caso di “disoccupazione involontaria”.

Tale cornice di riferimento ha legittimamente determinato la distinzione tra il rapporto di lavoro e le retribuzioni ad esso riferite e le indennità in questione ed ha portato ad escludere che queste ultime possano essere detratte dagli importi che il datore di lavoro sia condannato a pagare nell’ipotesi di licenziamenti dichiarato illegittimo (sul punto Cass. n. 24447/2009Cass. n. 9988/20082928/2005 ed anche Cass.SU 12194/2002).

E’ stato infatti sottolineato che le utilità economiche che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae dipendono da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all’operatività della regola della “compensatio lucri cum damno” (Cass.SU n. 12194/2002)

Tali conclusioni sono state estese a tutte le indennità previdenziali in quanto attribuite al lavoratore dall’ente previdenziale e dunque solo da questo recuperabili e ripetibili in ipotesi di restituzione al lavoratore delle retribuzioni percepite a seguito della declaratoria di illegittimità del recesso datoriale (Cass. n.8150/2018).

Fatte tali premesse circa la diversità di piani di relazione su cui muovono le attribuzioni patrimoniali in questione, l’ordinanza di rimessione si addentra nel tema centrale della possibilità o meno di assoggettare a restituzione all’Inps le somme erogate al lavoratore per lo stato di disoccupazione (indennità di mobilità o di disoccupazione), allorchè intervenga sentenza di condanna alla reintegrazione.

In quest’ultima situazione la giurisprudenza di legittimità si è divisa nel ritenere che a costituire la base legittimante la restituzione fosse la sola sentenza declaratoria della illegittimità del licenziamento e di condanna alla reintegrazione -ripristino de iure- (da ultimo Cass. n.11994/2024Cass. n.854/2024Cass. n. 384/2024), ovvero che fosse invece necessario il ripristino de facto del rapporto di lavoro per garantire la effettività della unica misura idonea a neutralizzare lo stato di disoccupazione (Cass. n. 9418/2007Cass. n. 29295/2019Cass. n. 24950/2021Cass. n. 22850/2022Cass n. 848/2024).

Il primo orientamento si fonda sul presupposto che la pronuncia giudiziale abbia effetti ex tunc sulla operatività del rapporto di lavoro che, una volta ricostituito de iure, non può lasciare spazio ad una ipotesi di disoccupazione e dunque al legittimo mantenimento della indennità relativa.

Una diversa prospettiva è invece offerta dal secondo orientamento allorchè ritiene invece indispensabile, per garantire l’effettività della tutela, che la reintegrazione sia attuata con la realizzazione di una situazione de facto tale da escludere la sussistenza della situazione di disoccupazione protetta ex lege.

Deve osservarsi che entrambe le opzioni assegnano allo stato di disoccupazione rilievo centrale da cui muovere per il riconoscimento delle tutele previste dall’ordinamento.

Si tratta, come rilevato anche nell’ordinanza interlocutoria, di misure attuative del disposto dell’art. 38, co.2, della Costituzione riconducibili al più ampio genus degli ammortizzatori sociali contro lo stato di bisogno dovuto alla disoccupazione. In tale alveo si sono susseguiti, nel tempo, interventi legislativi che hanno dapprima potenziato lo strumento dell’indennità di mobilità in discussione (la legge n. 223/1991 – art. 7 co. 8 si sovrappone, in sostanza al trattamento per la disoccupazione involontaria, assorbendone la finalità), successivamente sostituendolo con l’introduzione dell’ASPI (legge n. 92/2012) e successivamente della NASPI (legge n. 22/2015).

Le considerazioni svolte in questa sede devono pertanto prendere le mosse da quali siano le finalità che, attuative del disposto della norma costituzionale, debbano essere perseguite, pure nelle diversità delle situazioni a cui sono dirette, dagli istituti giuridici in discussione.

L’art. 38 Cost. nel suo secondo comma racchiude i principi di tutela dei lavoratori che, in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, si trovino privi di mezzi di sostentamento adeguati alle proprie esigenze di vita.

La disposizione raccoglie nel suo dictum i principi di solidarietà sociale che informano il sistema normativo di previdenza ed assistenza e ne direzionano l’operatività.

Si tratta, peraltro, di disposizione che, considerando sullo stesso piano meritevole di tutela, sia le condizioni legate alla disabilità fisica o per età che la disoccupazione involontaria, ha posto l’attenzione a circostanze di fatto che possono riguardare la vita del lavoratore e che siano tali da privarlo, concretamente, dei mezzi adeguati al proprio sostentamento.

La finalità da realizzare è dunque prospettata nell’ottica di garantire effettivamente forme di adeguatezza economica in situazioni oggettive che non la consentano. L’indennità di mobilità, al pari degli altri istituti sopra menzionati, deve mirare a fornire, per il tempo della disoccupazione involontaria, mezzi di adeguato sostentamento. L’art. 3 del r.d. n. 1827 del 1935, dichiara espressamente che l’assicurazione per la disoccupazione involontaria ha per scopo l’assegnazione agli assicurati di indennità nei casi di disoccupazione involontaria per mancanza di lavoro.

I principi contenuti nell’art. 38 Cost., assorbiti dalle specifiche disposizioni di legge e dagli strumenti in discussione, danno evidente rilievo al requisito della disoccupazione involontaria quale condizione di fatto priva di ulteriori connotazioni, e soltanto caratterizzata dalla situazione di bisogno cui apprestare rimedio. Il concetto di disoccupazione involontaria deve quindi essere inteso nella sua accezione fattuale solo ricollegata allo status di lavoratore privato della possibilità di svolgere la prestazione di lavoro e, di conseguenza, privato della retribuzione.

Se tale risulta essere il senso della condizione considerata dalla disposizione costituzionale e dalle norme da essa discendenti, non può che tradursi, tale ratio, e con interpretazione fedele al dettato costituzionale, anche nelle tutele da apprestare. Queste non potranno che essere dirette a compensare l’assenza della retribuzione e così garantire misure di adeguato sostegno al lavoratore.

A ciò consegue che, ai fini della erogazione della indennità di mobilità/disoccupazione, (come anche della Naspi), è più corretto considerare la situazione de facto che, determinata dalla decisione giudiziale di reintegrazione, sia poi seguita dalla sua effettiva ottemperanza ed invece ritenere non rispondente ai principi costituzionali di solidarietà e sostegno la considerazione della situazione de iure, non potendo, quest’ultima, assicurare il concreto ripristino funzionale del rapporto di lavoro, ben potendo, il datore di lavoro, lasciare insoddisfatto l’ordine giudiziale.

Nel caso in esame, peraltro, il datore di lavoro è stato impossibilitato ad adempiere il dictum giudiziale, in quanto fallito.

La persistenza dello stato di disoccupazione, come sopra inteso, pur a seguito dell’ordine reintegratorio, non potrà che determinare il legittimo pagamento dell’indennità in questione e l’insussistenza del diritto dell’Inps al recupero.

A sostegno di tali conclusioni militano recenti pronunce del Giudice costituzionale in tema di Naspi (Corte Cost. n.90/2024 e Corte Cost. n. 194/2021). Con la recente sentenza n. 90/24 è stato esaminato il caso in cui il lavoratore percettore dell’indennità in questione, che aveva in origine optato per la forma anticipata della stessa, svolgendo una attività imprenditoriale per un congruo periodo di tempo, ed aveva poi dovuto cessare detta attività per ragioni a lui non imputabili, aveva instaurato un rapporto di lavoro subordinato nel periodo assoggettato al beneficio in questione.

In ragione del disposto dell’art. 8 co.4 del d.lgs n. 22/2015, attesa l’instaurazione del rapporto di lavoro subordinato nel periodo “coperto” dalla misura di sostegno, il percettore era tenuto alla restituzione dell’intera somma in origine erogata.

Con la decisione richiamata Il Giudice delle leggi ha ritenuto la disposizione non rispondente ai parametri costituzionali di cui agli artt. 3 e 4 Cost. in quanto l’obbligo restitutorio doveva essere proporzionato alla durata del rapporto di lavoro coperto da Naspi, poiché solo per esso l’indennità risultava priva di causa e quindi indebita.

Il Giudice delle leggi ha quindi, con sguardo diretto alla effettività della tutela, ritenuto illegittimamente percepita solo la somma che, sovrapponendosi alla retribuzione percepita per il rapporto di lavoro subordinato instaurato, determinava un effettivo indebito, non avendo, in tale circostanza, il lavoratore, necessità di sostegno, in quanto occupato.

Per il precedente periodo, diversamente, l’indennità era dovuta e non poteva essere oggetto di restituzione all’Inps.

L’attenzione al dato concreto del bisogno di sostegno è stata peraltro esplicitata nell’intero assetto normativo contenuto nella legge n. 223/1991, allorchè, nell’art. 8 commi 6 e 7, è stata prevista la conservazione dell’iscrizione nelle liste di mobilità, con sospensione dell’indennità di mobilità, in caso in cui il lavoratore accetti un lavoro subordinato a tempo parziale o determinato.

Risulta evidente come, la presenza di una occupazione temporanea accompagnata dalla relativa retribuzione non determina il venir meno dell’intera situazione di assoggettamento del lavoratore alla tutela, in quanto, l’erogazione dell’indennità è sospesa per il solo tempo della temporanea occupazione, restando operativa per il successivo stato di cessazione del rapporto di lavoro.

L’opzione interpretativa adottata non sembra inficiata dalla presenza di altre tutele che l’ordinamento appresta per i casi di insolvenza del datore di lavoro, quale ad esempio il Fondo di garanzia di cui al d.lgs. n. 80/1992, istituito presso l’Inps in caso di datore di lavoro assoggettato a procedure concorsuali (fallimento, liquidazione coatta amministrativa amministrazione straordinaria…). Si tratta, a ben vedere, di istituto che, pur perseguendo la finale tutela del lavoratore, comunque interviene solo a seguito di procedure onerose per lo stesso (preventiva aggressione dei beni, accertata incapienza ed alle quali può sostituirsi con surroga e con insinuazione nel fallimento, anche l’ente previdenziale al fine di recuperare, in parte, quanto erogato) che operano con una logica differente, di tutela del credito (peraltro in forma parziale solo con il possibile riconoscimento di tre mensilità) e, quindi, decisamente con ratio interna non sovrapponibile a quella che pervade l’insieme delle misure in attuale esame, caratterizzate dallo spirito solidaristico e di immediato sostegno per il lavoratore privo di reddito.

Quanto poi al comportamento richiesto al lavoratore in circostanze quali quelle in esame, (questione posta nell’ordinanza interlocutoria), deve richiamarsi, condividendola, la statuizione sul punto assunta dal Cass. n. 28295/2019 secondo cui “neppure rileva in senso ostativo alla percezione dell’indennità in discussione un’eventuale inerzia del lavoratore nel portare ad esecuzione una sentenza favorevole. Difetta allo scopo un’esplicita previsione di legge tale da escludere in tale ipotesi la ricorrenza dell’evento protetto, né sarebbe conferente il richiamo all’art. 1227 c.c., che concerne i criteri di liquidazione del danno, mentre qui si discute del fatto genetico d’una prestazione assistenziale prevista per legge. Non vi è luogo, dunque, ad indagare (con tutte le difficoltà che ciò comporterebbe) circa le ragioni e l’imputabilità o meno di tale eventuale inerzia, collegate anche ad una sempre difficile prognosi circa l’esito positivo delle necessarie iniziative, giudiziali e stragiudiziali.

A conclusione delle argomentazioni svolte, e con decisione di merito in assenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, deve rigettarsi il ricorso dell’Inps poiché la mancata concreta reintegrazione dei lavoratori ed il conseguente permanere dello stato di bisogno economico nella situazione di oggettiva disoccupazione involontaria in cui gli stessi si erano trovati, non aveva fatto venir meno le ragioni tipiche del sostegno economico previdenziale che costituisce la ratio e la finalità delle indennità in discussione.

Le spese di questo grado del giudizio seguono il principio di soccombenza, con distrazione, non potendosi provvedere sulle spese dei gradi precedenti in assenza di impugnazione incidentale.

Dispone il raddoppio del contributo unificato, ove spettante, in quanto ricorrono i presupposti processuali.

Cass. civ., Unite, sent., 18.08.2025, n. 23476

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