*Previdenza e assistenza – Diritti fondamentali – Rappresentanze sindacali e intervento della Consulta

*Previdenza e assistenza – Diritti fondamentali – Rappresentanze sindacali e intervento della Consulta

1.– Con l’ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord. n. 220 del 2024), il Tribunale di Modena, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, statuto lavoratori, in riferimento agli artt. 3 e 39 Cost.

Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe gli evocati parametri nella parte in cui non prevede che possano essere costituite RSA nell’ambito delle associazioni sindacali le quali, pur non avendo firmato un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, né partecipato alla relativa negoziazione, siano tuttavia, nell’unità stessa, «maggiormente o significativamente rappresentative».

1.1.– Essendo investito di un ricorso per repressione di condotta antisindacale, proposto dalla ORSA – trasporti autoferro TPL, avverso il rifiuto oppostole dal datore di lavoro SETA spa, circa la costituzione di una RSA nell’unità produttiva di Modena, il giudice a quo espone le circostanze di fatto che, a suo parere, evidenzierebbero la significativa rappresentatività dell’associazione ricorrente all’interno di detta unità produttiva, con particolare riferimento al numero di iscrizioni tra i lavoratori.

1.2.– Il Tribunale di Modena sostiene che l’accoglimento della questione farebbe emergere la dedotta antisindacalità del rifiuto datoriale, ciò assicurando la rilevanza dell’incidente di legittimità costituzionale.

Nel merito, il rimettente assume che il vigente assetto normativo si presti alla strumentale disparità di trattamento tra sindacati, con conseguente lesione del principio pluralistico, giacché consentirebbe al datore di lavoro di negare la tutela promozionale della RSA a ogni sindacato non gradito, escludendolo sia dalla firma del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, sia dalla partecipazione alle corrispondenti trattative, quindi estromettendolo da entrambi i titoli che, in base alla disposizione censurata, legittimano il sindacato ad accedere a quella tutela.

Per queste ragioni, il Tribunale di Modena chiede una pronuncia radicalmente ablativa, di modo che i giudici comuni, agli effetti della costituzione della RSA, possano valutare l’effettiva rappresentatività sindacale tramite criteri empirici; in subordine, chiede una pronuncia additiva, che estenda la legittimazione alla costituzione della RSA in favore dei sindacati i quali, pur non avendo preso parte all’attività contrattuale, risultino dotati, a livello aziendale, di «significativa o maggioritaria rappresentatività».

2.– Preliminarmente, deve dichiararsi ammissibile l’intervento ad opponendum spiegato da CONFSERVIZI e ASSTRA.

Infatti, le intervenienti sono interessate all’applicazione del protocollo nazionale del 4 maggio 2017, poiché stipulato da ASSTRA, quale aderente a CONFSERVIZI; di tale protocollo, oltre che dell’accordo attuativo aziendale del 5 febbraio 2020, si discute nel presente giudizio, in relazione a un’eccezione di inammissibilità sollevata dalla parte SETA spa, affiliata ad ASSTRA.

Pertanto, CONFSERVIZI e ASSTRA risultano titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato al rapporto dedotto in giudizio, che ne legittima l’intervento nel giudizio incidentale, ai sensi dell’art. 4, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

3.– All’esame delle eccezioni di inammissibilità e allo scrutinio di merito, occorre premettere una pur sintetica illustrazione delle vicende che hanno interessato la censurata disposizione e della giurisprudenza costituzionale formatasi al riguardo.

3.1.– Come questa Corte ha evidenziato, la protezione data alle organizzazioni sindacali dallo statuto dei lavoratori si articola «su due livelli», uno comune inerente alle garanzie di libertà, e un secondo livello «promozionale», che implica una selezione basata sull’«effettiva rappresentatività» (sentenza n. 30 del 1990).

Al primo livello appartengono la tutela contro gli atti discriminatori (artt. 15 e 16), il divieto dei sindacati di comodo (art. 17) e la repressione della condotta antisindacale (art. 28).

Il secondo livello si concentra nel Titolo III dello statuto, ed è incardinato proprio sull’art. 19, che apre il Titolo medesimo, il che già segnala che la RSA è il volano della cosiddetta tutela rafforzata o privilegiata.

Infatti, la RSA indice le assemblee e i referendum nell’unità produttiva (artt. 20 e 21), ha diritto di affissione nell’unità stessa (art. 25), vi dispone di locali idonei all’attività (art. 27), i suoi dirigenti non possono essere trasferiti unilateralmente e usufruiscono di permessi, retribuiti e non (artt. 22, 23 e 24).

La tutela privilegiata è a godimento selettivo: «le norme di sostegno dell’azione sindacale nelle unità produttive, in quanto sopravanzano la garanzia costituzionale della libertà sindacale, ben possono essere riservate a certi sindacati identificati mediante criteri scelti discrezionalmente nei limiti della razionalità» (sentenza n. 244 del 1996); «[l]a differenza tra i due suaccennati livelli di tutela […] consiste, come si è detto, nel diverso e più elevato grado di effettiva rappresentatività che le organizzazioni ammesse alla tutela rafforzata di cui al titolo III dello Statuto devono dimostrare di possedere» (sentenza n. 30 del 1990).

Il criterio legale di selezione non è disponibile dalle parti, è piuttosto un «criterio inderogabile», perché «l’accesso pattizio alle misure di sostegno non offre alcuna garanzia oggettivamente verificabile, in quanto è strutturalmente legato al solo potere di accreditamento dell’imprenditore» (sentenza n. 30 del 1990).

Qualora tale potere fosse in grado di incidere sul criterio legale, l’imprenditore potrebbe «influire sulla libera dialettica sindacale in azienda, favorendo quelle organizzazioni che perseguono una politica rivendicativa a lui meno sgradita» (ancora sentenza n. 30 del 1990).

3.2.– Il testo originario dell’art. 19, primo comma, statuto lavoratori contemplava due distinti criteri di legittimazione alla costituzione delle RSA.

Queste, infatti, potevano essere costituite, ad iniziativa dei lavoratori, nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni, non affiliate a tali confederazioni, che fossero tuttavia firmatarie di contratti collettivi, nazionali o provinciali, applicati nell’unità produttiva.

Tramite il criterio di cui alla lettera a), il legislatore presumeva che l’associazione aderente a una confederazione maggiormente rappresentativa sul piano nazionale fosse rappresentativa anch’essa sul piano aziendale (in tal senso, si parlava di “rappresentatività presunta”); tramite il criterio di cui alla lettera b), la rappresentatività del sindacato era accertata mediante un indice negoziale, ovvero la stipulazione di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva, un contratto tuttavia di livello almeno provinciale, escluso quindi il contratto aziendale.

3.3.– Per effetto dell’art. 1 del d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312, recante «Abrogazione, a seguito di referendum popolare, della lettera a) e parzialmente della lettera b) dell’art. 19, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, sulla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, nonché differimento dell’entrata in vigore dell’abrogazione medesima», il primo comma dell’art. 19 statuto lavoratori risulta formulato nel senso che le RSA «possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito: delle associazioni sindacali, che siano firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva».

Venuto meno il criterio dell’affiliazione confederale, è rimasto quello della firma, esteso ai contratti aziendali mediante l’elisione delle parole «nazionali o provinciali».

Per inciso, l’art. 1 del d.P.R. n. 312 del 1995 ha abrogato la stessa dicitura «b», e ovviamente, non esistendo più la lettera a): nel censurare, testualmente, la lettera b) del primo comma dell’art. 19 statuto lavoratori, l’odierno rimettente cade dunque in un’imprecisione formale, giacché egli censura, in realtà, il primo comma dell’art. 19 statuto lavoratori, che non ha più distinguo di lettera.

3.4.– Come questa Corte già aveva sottolineato, il criterio della firma del contratto è «un congegno di verifica empirica della rappresentatività nel singolo contesto produttivo» (sentenza n. 30 del 1990).

Pertanto, esso non va inteso in senso formale, bensì quale indice di effettiva rappresentatività, manifestata attraverso quell’atto tipico dell’agire sindacale che è la stipulazione del contratto collettivo.

«Non è perciò sufficiente la mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto», e «nemmeno è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina» (sentenza n. 244 del 1996).

3.5.– Con la sentenza n. 231 del 2013, questa Corte ha affrontato un caso che, regolato in base al criterio della firma, avrebbe avuto un esito disallineato rispetto ai principi costituzionali.

Si trattava invero di un’associazione dei lavoratori di conclamata rappresentatività, la quale, pur avendo partecipato fattivamente alle trattative per la stipula del contratto collettivo, aveva deciso infine di non sottoscriverlo, restando così priva dei diritti di agibilità sindacale, a differenza delle altre sigle, viceversa addivenute alla firma.

Questa Corte ha rilevato che, «nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, il criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2,3 e 39 Cost.».

Ha poi osservato che il criterio della sottoscrizione, applicato in termini assoluti, si presta a deviazioni e abusi, potendo tradursi «in una forma impropria di sanzione del dissenso», fino a scadere in «un illegittimo accordo ad excludendum».

Ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, statuto lavoratori, «nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda».

La menzionata sentenza chiarisce che l’«intervento additivo» è stato doverosamente circoscritto dal petitum, ovvero limitato alla fattispecie della carenza di firma contrattuale, senza potersi estendere alla differente fattispecie della «carenza di attività negoziale».

Riguardo a tale ulteriore ipotesi, questa Corte ha ipotizzato, d’altronde, «una molteplicità di soluzioni», riconoscendo come l’opzione tra queste spettasse al legislatore.

3.6.– La fattispecie oggi in scrutinio riguarda appunto una carenza di attività negoziale preliminare alla sottoscrizione, inverata dalla dedotta esclusione di un’associazione dei lavoratori – della quale si assume la significativa rappresentatività – non solo dalla firma del contratto, ma, già a monte, dal tavolo delle trattative.

4.– La parte SETA spa (e con essa le intervenienti ad opponendum) ha eccepito l’inammissibilità della questione in esame, sotto distinti profili, tutti privi di fondamento.

4.1.– Anzitutto, ha eccepito che la questione, riguardando il primo comma dell’art. 19 statuto lavoratori nel testo risultante dalla citata sentenza n. 231 del 2013, abbia ad oggetto, in realtà, non la norma statutaria, ma una sentenza di questa Corte.

Deve tuttavia constatarsi che la già segnalata diversità di fattispecie esclude l’eccepita sovrapposizione, poiché il richiamato precedente concerne il sindacato “trattante e non firmante”, mentre la questione attuale concerne il sindacato “non trattante e non firmante”.

4.2.– Altro profilo di inammissibilità viene riferito alla circostanza che ORSA reclama un diritto, quello di costituire la RSA, cui avrebbe rinunciato in sede pattizia, segnatamente nel protocollo del 4 maggio 2017.

Tuttavia, come poc’anzi rilevato nell’illustrazione della giurisprudenza di questa Corte, il criterio legale di legittimazione alla costituzione della RSA ha carattere inderogabile (sentenza n. 30 del 1990).

Pertanto, in disparte il tema del sopravvenuto recesso datoriale dal citato Protocollo, vi è che tale fonte pattizia già astrattamente è inidonea ad alterare il criterio di legge, che d’altronde non riguarda esclusivamente il sindacato, ma anche, e primariamente, i lavoratori.

Non è superfluo rammentare che la costituzione della RSA non avviene per iniziativa del sindacato, bensì, come stabilisce la norma censurata, «nell’ambito» del sindacato, ma «ad iniziativa dei lavoratori»; e tale iniziativa integra un requisito di legittimità (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 16 giugno 2000, n. 8207).

4.3.– Un terzo profilo di inammissibilità attiene all’omessa elezione della RSU, le cui circostanze avrebbero dovuto indurre il giudice rimettente a non sollevare la questione, priva di rilevanza.

Non è ben chiaro per quale ragione la mancata elezione della RSU dovrebbe precludere ad ORSA di costituire la RSA: ove l’eccezione fosse da riferire alla clausola di salvaguardia di cui all’art. 8 dell’Accordo interconfederale per la costituzione delle rappresentanze sindacali unitarie del 20 dicembre 1993, e pur ammesso che tale fonte sia soggettivamente efficace per ORSA, la non fondatezza dell’eccezione discenderebbe dal fatto che tale clausola comporta la rinuncia alla costituzione delle RSA solo quale effetto della partecipazione all’elezione della RSU, elezione che, nella specie, non si è tenuta.

4.4.– Il quarto e ultimo profilo di inammissibilità riguarda l’eccepita sommarietà della censura, attingente la sfera della discrezionalità legislativa.

In realtà, la questione è ben definita dall’ordinanza di rimessione del Tribunale di Modena, né la discrezionalità legislativa pone un ostacolo invalicabile qualora essa risulti esercitata in violazione dei principi costituzionali, come dimostra la pronuncia additiva di cui alla sentenza n. 231 del 2013.

Questa sentenza, come poc’anzi rammentato, riservava al legislatore la scelta tra plurime opzioni per l’ipotesi di carenza dell’attività negoziale, ma non escludeva che in tale ipotesi potesse riscontrarsi un vulnus costituzionale, né che eventuali orientamenti legislativi potessero indicare, riguardo a detto vulnus, un percorso di riconduzione a legittimità.

5.– Nel merito, la questione è fondata.

5.1.– Essa sottende la complessa dialettica, snodo cruciale del diritto delle relazioni industriali, tra rapporto di forza e istanze pluralistiche.

5.1.1.– Alla logica del rapporto di forza tra azienda e sindacato, e al connesso principio del mutuo riconoscimento, sono ispirate le difese della parte costituita SETA spa e delle intervenienti ad opponendum.

Per tale impostazione, non vi sarebbe rappresentatività sindacale al di fuori degli indici negoziali, poiché un sindacato che non riesce a farsi ammettere al tavolo delle trattative, e quindi a farsi riconoscere dall’azienda come interlocutore, sarebbe, già solo per questo, un sindacato non rappresentativo, carente di adeguato consenso tra i lavoratori.

5.1.2.– All’opposto, la tesi esposta dal giudice rimettente, e ripresa sia dalla parte costituita ORSA che dagli amici curiae, denuncia la compromissione del pluralismo sindacale quale riflesso di un esercizio strumentale del cosiddetto potere datoriale di accreditamento.

Gli indici negoziali, così quello della firma del contratto, come quello della partecipazione alle trattative, mostrerebbero la loro inidoneità ogniqualvolta l’azienda selezioni tatticamente le associazioni sindacali, ammettendole alle trattative e alla firma, oppure dalle stesse escludendole, non sulla base del loro effettivo consenso presso i lavoratori, ma in ragione del differente grado di rivendicatività delle rispettive piattaforme.

5.2.– La giurisprudenza di questa Corte si è sviluppata in una prospettiva di mediazione fra tali antitetiche visioni.

Seppure non possano essere astratte dalle tensioni naturalmente insite nel rapporto tra le parti sociali, le dinamiche sindacali neppure possono essere inquinate da condotte strumentali di una parte in danno dell’altra.

5.2.1.– Con la sentenza n. 244 del 1996, questa Corte ha quindi escluso che il criterio della firma contrattuale violi, di per sé, gli artt. 3 e 39 Cost., giacché la sottoscrizione, intesa non come «mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati», ma quale esito di «una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto», corrisponde «allo strumento di misurazione della forza di un sindacato, e di riflesso della sua rappresentatività, tipicamente proprio dell’ordinamento sindacale», manifestando invero «la capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro, direttamente o attraverso la sua associazione, come controparte contrattuale».

5.2.2.– La sentenza n. 231 del 2013 ha messo a fuoco i rischi del potere datoriale di accreditamento, quali si manifestano nell’intero corso dell’attività negoziale, nel cui ambito i sindacati potrebbero essere «privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa».

5.3.– Alla luce di tale pronuncia, la questione odierna si risolve allora sul piano della verifica dell’idoneità del criterio della trattativa a impedire ogni distorsione che possa falsarne la razionalità pratica.

Allo stato attuale della normativa, tale idoneità non è assicurata nell’ordinamento sindacale di diritto privato, al contrario di quanto accade nell’ambito del pubblico impiego contrattualizzato.

5.3.1.– Ai sensi degli artt. 42 e 43 del d.lgs. n. 165 del 2001, l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), ovvero il rappresentante istituzionale della parte datoriale pubblica, ammette alla contrattazione collettiva nazionale le organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media tra il dato associativo (deleghe contributive rilasciate dai lavoratori) e il dato elettorale (voti ottenuti nelle elezioni delle RSU), dal che deriva la legittimazione a costituire RSA dell’organizzazione sindacale ammessa alla trattativa su questa base percentuale.

In sintonia con i principi di buon andamento e imparzialità sanciti dall’art. 97 Cost., la selezione degli interlocutori negoziali, e il conseguente accesso alla tutela promozionale, non avviene quindi a discrezione della pubblica amministrazione, datrice di lavoro, ma in virtù di una misurazione oggettiva, che si avvale di un sistema di certificazione della rappresentatività sindacale, presidiato dal comitato paritetico di cui al comma 8 del citato art. 43.

5.3.2.– L’esigenza di oggettivare il criterio di ingresso alla tutela sindacale di secondo livello è stata avvertita anche nel settore privato, trovando un punto di composizione nell’ordinamento interconfederale, con il Testo unico sulla rappresentanza, sottoscritto il 10 gennaio 2014 da CONFINDUSTRIA, CGIL, CISL e UIL.

Con evidente richiamo al modello legale del lavoro pubblico contrattualizzato, il Testo unico ha previsto un sistema di certificazione della rappresentatività, la cui imparzialità è garantita dal concorso dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), per la rilevazione delle iscrizioni, e del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, per la ponderazione dei dati, in base al quale l’associazione dei lavoratori che raggiunge la soglia del 5 per cento, quale media fra dato associativo e dato elettorale, si intende partecipante alle trattative contrattuali, ai fini della spettanza dei diritti sindacali di cui agli artt. 19 e seguenti statuto lavoratori.

5.3.3.– Al netto della specificità della disciplina legale del lavoro pubblico (caratterizzata dalla peculiare conformazione degli attori sociali), e in disparte i limiti soggettivi di efficacia dell’autoregolamentazione pattizia (sul punto peraltro largamente inattuata), resta che, nei rapporti sindacali di diritto privato esterni al sistema interconfederale, come quello di specie, l’ammissione di un’associazione dei lavoratori alle trattative, e quindi alle prerogative del Titolo III dello statuto, è condizionata dalle scelte discrezionali della parte datoriale.

Pertanto, in questo ambito, l’unico presidio è quello di diritto comune, ovvero il canone della buona fede oggettiva, sancito dall’art. 1337 del codice civile, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, che si limita a garantire, con apparato rimediale suo proprio, che non vi sia abuso della libertà contrattuale con possibile violazione della libertà sindacale.

5.3.4.– La discrezionalità del datore di lavoro privato nella selezione dell’interlocutore negoziale è d’altronde garantita come manifestazione della libertà del contraente.

Invero, per costante giurisprudenza di legittimità, tale datore non ha l’obbligo di trattare con tutte le organizzazioni sindacali, in quanto non vige il principio di parità di trattamento fra le stesse, potendosi dunque configurare una condotta antisindacale, reprimibile ai sensi dell’art. 28 statuto lavoratori, solo quando l’azienda faccia un uso distorto della libertà negoziale, oggettivamente discriminatorio, produttivo di un’apprezzabile lesione della libertà sindacale dell’organizzazione esclusa (ex multis, Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 10 giugno 2013, n. 14511, e 9 gennaio 2008, n. 212).

Nell’interstizio tra la libertà dell’impresa di trattare con chi vuole e il diritto del sindacato rappresentativo di accedere alle prerogative di legge si apre il vuoto di tutela, costituzionalmente illegittimo, denunciato dall’odierno rimettente.

Come questa Corte ha avuto modo di evidenziare già nella sentenza n. 231 del 2013, l’associazione dei lavoratori, «se trova, a monte, in ragione di una sua acquisita rappresentatività, la tutela dell’art. 28 dello Statuto nell’ipotesi di un eventuale, non giustificato, suo negato accesso al tavolo delle trattative, si scontra poi, a valle, con l’effetto legale di estromissione dalle prerogative sindacali che la disposizione denunciata automaticamente collega alla sua decisione di non sottoscrivere il contratto».

6.– Se la libertà negoziale del datore di lavoro privato, in assenza di obblighi legali o contrattuali a trattare, non può essere compressa, trattandosi di un riflesso della libertà di iniziativa economica, non può l’esercizio della libertà medesima tradursi in un surrettizio ostacolo al godimento delle misure di agibilità che la legge riconosce alle associazioni rappresentative dei lavoratori.

Vale la ratio decidendi espressa dalla sentenza n. 231 del 2013, trasposta dal criterio della firma del contratto al criterio della partecipazione alle trattative: quando non realizza la funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro effettiva rappresentatività, trasformandosi al contrario in un meccanismo di esclusione di soggetti effettivamente rappresentativi, il criterio della trattativa viene a collidere, come collideva il criterio della firma, con i principi di ragionevolezza e pluralismo, sanciti dagli artt. 3 e 39 Cost.

Il rischio, appena segnalato, che il criterio della trattativa da mezzo di selezione diventi espediente finalizzato all’esclusione può manifestarsi nelle forme più diverse, più o meno scoperte, non solo perché si nega formalmente l’accesso al tavolo negoziale a un sindacato pur altamente rappresentativo, ma anche perché gli si oppone una piattaforma inaccettabile e non negoziabile, ovvero si rifiuta l’apertura delle trattative con qualunque sigla; nel qual ultimo caso la lesione non viene inferta a una specifica associazione dei lavoratori, ma a tutte complessivamente, attraverso la compromissione dell’istituto della RSA.

7.– Non sfugge a questa Corte che, svincolata dagli indici negoziali della firma e della trattativa, ovvero ricondotti gli stessi alla loro esatta funzione presuntiva e non costitutiva, la rappresentatività sindacale si presenta in una forma astratta, e necessita quindi di un criterio di misurazione.

Ciò non attiene tuttavia all’esistenza del vulnus, che già si è accertato, bensì all’individuazione del rimedio, il quale, per osservare la discrezionalità del legislatore, deve corrispondere a un parametro rinvenibile nel tessuto normativo.

7.1.– Al riguardo, il Tribunale di Modena evoca, in prima battuta, una pronuncia che faccia venire meno ogni requisito di selezione nell’accesso dei lavoratori alla possibilità di costituire, nell’ambito di un sindacato, una RSA, restando affidato all’opera della giurisprudenza il compito di individuare singole fattispecie di effettiva rappresentatività, idonee a legittimare l’iniziativa.

Si tratta di soluzione che non appare in sintonia con la giurisprudenza di questa Corte sul punto prima richiamata, che ha evidenziato come l’accesso alla tutela del Titolo III dello statuto dei lavoratori (“secondo livello”) evochi la necessità della individuazione di criteri selettivi; d’altra parte, il criterio scaturito dalla consultazione referendaria del 1995 e dalla addizione effettuata con la sentenza n. 231 del 2013, ove non connotato da elementi discriminatori, certamente costituisce un idoneo indice di rappresentatività.

8.– Il Tribunale di Modena, in via subordinata, chiede di integrare i criteri selettivi previsti dall’art. 19, primo comma, statuto lavoratori, evocando, in alternativa tra loro, i concetti della rappresentatività “maggioritaria” e della rappresentatività “significativa”.

Sono tuttavia concetti inutilizzati o quantomeno desueti nelle fonti legislative (del resto la maggiore rappresentatività è stata investita dall’esito referendario), mentre il legislatore negli ultimi anni ricorre, sempre più frequentemente, al parametro della rappresentatività comparativa.

8.1.– Elevata a modello dall’art. 2, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30), la figura dei sindacati comparativamente più rappresentativi è divenuta il punto di riferimento dell’evoluzione normativa, specie nell’ambito della negoziazione collettiva, anche in funzione del contrasto ai fenomeni di dumping indotti dalla prassi dei cosiddetti contratti-pirata.

Alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale si riferiscono, tra gli altri, l’art. 8, comma 1, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, relativo alla contrattazione collettiva di prossimità (sul tema si veda la sentenza n. 52 del 2023 di questa Corte), e l’art. 51, comma 1, del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81 (Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183), concernente l’integrazione pattizia della tipologia contrattuale.

Più di recente, tale riferimento si rinviene anche nell’art. 11, comma 1, del decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36 (Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici), in ordine al contratto collettivo applicabile al personale impiegato nei lavori, servizi e forniture oggetto di appalti pubblici e concessioni, e nell’art. 2, comma 1, lettera e), della legge 15 maggio 2025, n. 76 (Disposizioni per la partecipazione dei lavoratori alla gestione, al capitale e agli utili delle imprese), in tema di diritti partecipativi dei lavoratori.

8.2.– Il parametro della rappresentatività comparativa, per il carattere selettivo che lo qualifica e per la base nazionale del perimetro, potrebbe risultare restrittivo, specie per un istituto, quale la RSA, che vive in una dimensione tipicamente aziendale.

Tuttavia, questa Corte non può che attestarsi, in funzione della reductio ad legitimitatem, su una soluzione avvalorata da precisi riscontri normativi, già rinvenibili nell’ordinamento.

8.3.– Di tale parametro, al quale oggi questa Corte si rivolge in funzione interinale rispetto a una futura rivisitazione legislativa, mette conto evidenziare alcuni aspetti, che concorrono a sostenerne la pertinenza e l’adeguatezza.

In primo luogo, occorre rimarcare come l’odierna soluzione, pur riferita a uno standard nazionale, non costituisce una riedizione della lettera a) del primo comma dell’art. 19 statuto lavoratori, abrogata in sede referendaria, atteso che quella lettera si riferiva all’affiliazione confederale, quindi a un criterio differente e peculiare.

Inoltre, deve constatarsi che sovente è lo stesso legislatore a mettere in relazione le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale con le «loro rappresentanze sindacali operanti in azienda» (art. 8, comma 1, del d.l. n. 138 del 2011, come convertito) o con le «loro rappresentanze sindacali aziendali» (art. 51, comma 1, del d.lgs. n. 81 del 2015 e art. 2, comma 1, lettera e, della legge n. 76 del 2025).

Infine, rammentato che il titolo di legittimazione alla costituzione della RSA e il titolo di legittimazione al ricorso per repressione della condotta antisindacale non coincidono a motivo del requisito della “nazionalità”, posto, riguardo a quest’ultimo, dall’art. 28, primo comma, statuto lavoratori (Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenza 20 luglio 2017, n. 17915), può riscontrarsi, nell’odierno richiamo al criterio della comparatività su base nazionale, un utile allineamento dei titoli, sempre in attesa di un intervento sistematico del legislatore, esteso agli aspetti procedurali della materia.

9.– Va quindi dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, statuto lavoratori, nella parte in cui non prevede che le rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva anche nell’ambito delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.

Compete al legislatore un’organica riscrittura della disposizione censurata, affinché essa, dopo essere stata profondamente incisa dall’esito referendario, e successivamente emendata da questa Corte, venga a delineare un assetto normativo capace di valorizzare l’effettiva rappresentatività in azienda quale criterio di accesso alla tutela promozionale delle organizzazioni dei lavoratori.

Corte cost., sent., 30.10.2025, n. 156

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