Previdenza e assistenza – Cassa forense e obbligo del rimborso dei contributi soggettivi riscossi in caso di incompatibilità

Previdenza e assistenza – Cassa forense e obbligo del rimborso dei contributi soggettivi riscossi in caso di incompatibilità

1) Con il primo motivo parte ricorrente lamenta la violazione dell’art. 11 della legge n. 576 del 1980, dell’art. 2033 c.c. e dell’art. 2 Cost., in quanto la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere ripetibili da parte del controricorrente, per il periodo dal 2000 al 2004, non solo i contributi soggettivi e di maternità, ma anche quelli integrativi.

Al contrario, secondo la Cassa, in questo modo sarebbero state indebitamente equiparate, di fatto, due categorie di contributi:

da un lato, quelli soggettivi e di maternità;

dall’altro, quelli integrativi.

In realtà, i contributi integrativi avrebbero avuto presupposti diversi da quelli dei contributi soggettivi e di maternità.

Infatti, i primi sarebbero stati dovuti per il fatto stesso dell’iscrizione all’Albo, presupposto che non sarebbe venuto meno durante il periodo dell’accertata incompatibilità. Pertanto, con riferimento a questi, nessun diritto avrebbe potuto vantare la controparte. Diverso discorso avrebbe dovuto farsi quanto ai contributi soggettivi e di maternità che, invece, erano dovuti in ragione dell’iscrizione alla Cassa e che, infatti, erano stati resi.

Solo per effetto dell’art. 21, comma 8, della legge n. 247 del 2012 all’iscrizione all’Albo sarebbe stata ricollegata pure quella alla Cassa, così rendendola obbligatoria.

La normativa in questione, però, essendo sopravvenuta, non sarebbe stata applicabile.

Avrebbe assunto rilievo, poi, la funzione solidaristica dei contributi integrativi.

La sentenza impugnata avrebbe errato, inoltre, nel ritenere che non dovesse essere applicato l’art. 21 della legge n. 576 del 1980, bensì il successivo art. 22.

Con il secondo motivo la parte ricorrente contesta la violazione ed errata applicazione degli artt. 11,21 e 22 della legge n. 576 del 1980 e degli artt. 2 e 3 della legge n. 319 del 1975, in relazione all’art. 12 disp. att. c.c. e degli artt. 1362 e 1364 c.c.

La Corte territoriale non si sarebbe resa conto che l’art. 22 in questione si sarebbe riferito alle situazioni nelle quali vi era una declaratoria di inefficacia della contribuzione per mancanza di continuità nell’esercizio professionale nel quinquennio.

Nella specie, invece, vi sarebbe stato un accertamento dell’incompatibilità ex art. 3, r.d.l. n. 1578 del 1933.

Non corretto sarebbe stato, poi, il riferimento alla sentenza della Corte di cassazione n. 15109 del 2005.

Con il terzo motivo parte ricorrente lamenta la violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c. e 111, comma 6, Cost.

Le censure, che possono essere trattate congiuntamente, stante la stretta connessione, meritano accoglimento.

La più recente giurisprudenza di legittimità ha formulato il principio di diritto secondo il quale, in tutti i casi in cui il professionista abbia diritto alla restituzione dei contributi versati alla Cassa di Previdenza e Assistenza Forense in ragione dell’inefficacia ai fini pensionistici dell’anno o degli anni ai quali essi si riferiscono, l’obbligo di rimborso concerne soltanto i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi, per i quali non è previsto il diritto alla restituzione, in coerenza con la funzione solidaristica degli stessi (così Cass., n. 30571 del 2019 seguita, sul punto, da Cass., nn. 14883 e 24141 del 2020, non massimate, Cass., n. 9645 del 2022, non massimata; Cass., n. 29641 del 2022, non massimata, che ha cassato la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 529/2016, posta dal giudice di appello a fondamento della sua decisione).

Infatti, è indubbio che questa Suprema Corte ha affermato che l’accertamento da parte del giudice di merito di una situazione di incompatibilità con l’esercizio della professione legale e, quindi, con la stessa iscrizione all’Albo degli avvocati giustifica la declaratoria di inesistenza di un rapporto previdenziale legittimo con la Cassa forense, con il conseguente venire meno di diritti ed obblighi del soggetto illegittimamente iscritto, anche se tale incompatibilità non sia stata accertata e perseguita sul piano disciplinare dal Consiglio dell’Ordine competente, con la conseguenza che al soggetto illegittimamente iscritto spetta la restituzione dei contributi versati, secondo la disciplina dell’art. 2033 c.c. (Cass., n. 15109 del 2005).

Peraltro, con precedente arresto n. 10458 del 1998, questa stessa Suprema Corte aveva anche precisato, sia pure riguardo a fattispecie di restituzione dei contributi per il caso di mancata maturazione del diritto a pensione, che l’obbligo di rimborso concerne soltanto i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi, dovendosi dare rilievo alla mancata previsione del diritto alla restituzione di detti contributi, in coerenza con la funzione solidaristica degli stessi.

Tale conclusione deriva, in primo luogo, dalla struttura e funzione del contributo integrativo, disciplinato dall’art. 11 della legge n. 576 del 1980. Si tratta di disposizione che prevede che l’obbligo del versamento incombe su tutti gli iscritti agli Albi di avvocato e di procuratore nonché sui praticanti procuratori iscritti alla Cassa, che devono applicare una maggiorazione percentuale (che è stata del 2% sino al 2012) su tutti i corrispettivi rientranti nel volume annuale d’affari ai fini dell’IVA e versarne alla Cassa l’ammontare, indipendentemente dall’effettivo pagamento che ne abbia eseguito il debitore, maggiorazione ripetibile nei confronti di quest’ultimo. È previsto un importo minimo risultante dall’applicazione della percentuale ad un volume d’affari pari a quindici volte il contributo minimo di cui all’art. 10, comma 2, dovuto per l’anno stesso. La norma aggiunge che il contributo è dovuto pure dai pensionati che restano iscritti all’Albo dei procuratori o degli avvocati o all’Albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, ma l’obbligo del contributo minimo è escluso dall’anno solare successivo alla maturazione del diritto a pensione. Il contributo integrativo non è soggetto all’IRPEF né all’IVA e non concorre alla formazione del reddito professionale.

L’obbligo del versamento del contributo integrativo è, dunque, strettamente inerente alla prestazione professionale resa in virtù dell’iscrizione all’Albo professionale, tanto che il professionista può ripeterlo nei confronti del cliente (Cass., n. 5376 del 2019, non massimata).

L’art. 2, comma 3, della legge n. 319 del 1975 dispone che l’attività professionale svolta in una delle situazioni di incompatibilità di cui all’art. 3 del r.d.l. n. 1578 del 1933, «ancorché l’incompatibilità non sia stata accertata e perseguita dal consiglio dell’ordine competente, preclude sia l’iscrizione alla Cassa sia la considerazione, ai fini del conseguimento di qualsiasi trattamento previdenziale forense, del periodo di tempo in cui l’attività medesima è stata svolta», ma non revoca in dubbio che l’attività professionale sia stata legittimamente esercitata in virtù dell’iscrizione all’Albo.

Ne discende che il contributo integrativo di cui all’art. 11 non viene “indebitamente percepito” dalla Cassa nel periodo di iscrizione, ma è da questa legittimamente riscosso, in forza delle disposizioni di legge vigenti e in relazione all’esercizio dell’attività professionale consentito dall’iscrizione all’Albo, sicché non trova applicazione l’art. 2033 c.c. che regola, in via generale, la ripetizione dell’indebito.

La soluzione è confortata dall’art. 22 della stessa legge n.576, che prevede espressamente, al comma 1, per coloro che cessano dall’iscrizione alla Cassa senza avere maturato i requisiti assicurativi per il diritto alla pensione, solamente «il diritto di ottenere il rimborso dei contributi di cui all’art. 10, nonché degli eventuali contributi minimi e percentuali previsti dalla precedente legislazione», ma non dei contributi integrativi di cui all’art. 11.

Il fatto, poi, che non possa essere oggetto di ripetizione neppure la quota relativa al volume minimo di affari presunto, nel caso in cui esso sia superiore alle prestazioni effettivamente effettuate, deriva dalla finalità specifica dei contributi integrativi, esclusivamente diretti al finanziamento della previdenza di categoria ed espressione di un dovere di solidarietà nell’ambito della categoria professionale (così Cass., n. 10458 del 1998).

Una conferma, sia pure indiretta, di tale interpretazione è possibile desumere dalla disposizione di cui all’art. 22 della legge che, al comma 4, prevede il versamento della misura minima dei contributi integrativi anche da parte di quei soggetti (membri del Parlamento, dei consigli regionali, della Corte Costituzionale, del Consiglio Superiore della Magistratura e presidenti delle province e sindaci dei comuni capoluoghi di provincia) che pure sono esonerati dal requisito della continuità dell’esercizio professionale durante il periodo di carica.

Il carattere solidaristico della previdenza forense, come modellata dalla legge n. 576 del 1980, carattere evidenziato in più arresti della Corte costituzionale (Corte cost. nn. 132 e 133 del 1984), non esaurisce, del resto, i suoi effetti durante il rapporto di iscrizione alla Cassa, mentre la cessazione del rapporto non fa venire meno retroattivamente il vincolo di solidarietà.

La restituzione di un contributo pagato al solo fine di solidarietà ne snaturerebbe il contenuto e, impedendo l’attuazione del principio solidaristico costituzionalmente garantito (art. 2 della Costituzione), sarebbe pure contrario ai principi costituzionali, poiché il fine solidaristico che caratterizza la previdenza forense non viene meno per effetto della cancellazione dell’iscritto.

Da quanto esposto, si ricava che le disposizioni del Regolamento della Cassa sono state male interpretate dal giudice di appello.

2) Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata va cassata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c. con il rigetto dell’originaria domanda proposta dal controricorrente, in applicazione del seguente principio di diritto:

“In caso di cancellazione del professionista dalla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense per accertata incompatibilità, l’obbligo di rimborso concerne soltanto i contributi soggettivi, non anche i contributi integrativi, per i quali non è previsto il diritto alla restituzione, in coerenza con la funzione solidaristica degli stessi”.

Le spese di lite dei gradi di merito e del giudizio di cassazione sono compensate, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., essendosi consolidato l’anzidetto principio di diritto solo in epoca successiva alla proposizione della domanda.

Cass. civ., lav., ord., 03.11.2025, n. 28979

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