1. Il Comune di Monte di Procida con l’ordinanza n. 14/2022 ha contestato al ricorrente le opere abusive così indicate “manufatto su unico livello a piano terra di vetusta fattura con struttura portante in pilastri di ferro e copertura in lamiere, chiuso perimetralmente con muratura all’interno e lamiere esterne con sopraluci in vetro, il tutto occupante una superficie coperta di circa mq.152,00 per l’altezza media di circa mc3,90 ed inglobando piccolo locale in muratura localizzato sul lato ovest (mq. I 4,00 circa x h 2,50) adibito ad ufficio e w.c.”.
2. Avverso l’ingiunzione demolitoria il ricorrente è insorto mediante la proposizione dell’odierno gravame affidato a tre motivi così rubricati: “1. Eccesso di potere; violazione e falsa applicazione dell’art. 3 della l. 241/1990 per insufficienza e genericità della motivazione in relazione ai presupposti in fatto ed in diritto dell’esercizio del potere amministrativo. violazione e falsa applicazione dell’art. 31, d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380. violazione e falsa applicazione del d.m. 26.04.1999 (PTP dei campi flegrei) e del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42. sviamento; 2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 31 del d.p.r. 380/2001 in relazione alla lesione del legittimo affidamento del privato. eccesso di potere. sviamento; 3. violazione e falsa applicazione degli artt. 5, terzo comma, 7, primo comma, 8 e 9 della legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15. Violazione dei principi di trasparenza e di pubblicità dell’azione amministrativa; 3. Violazione e falsa applicazione degli artt. 5, terzo comma, 7, primo comma, 8 e 9 della legge 7 agosto 1990 n. 241, come modificata dalla legge 11 febbraio 2005 n. 15. Violazione dei principi di trasparenza e di pubblicità dell’azione amministrativa”.
In estrema sintesi parte ricorrente ha lamentato il difetto di motivazione e d’istruttoria oltre che il difetto di motivazione e ha altresì affermato che in ragione della vetustà dell’immobile l’ordinanza impugnata avrebbe violato il principio di tutela dell’affidamento del privato.
2.1 Il Comune, pur regolarmente intimato, non si è costituito in giudizio.
3. All’udienza di smaltimento del 18 settembre 2025 svoltasi da remoto come da verbale in atti la causa è stata posta in decisione.
4. I motivi di censura sono infondati e il ricorso va pertanto respinto.
5. Seguendo l’ordine espositivo seguito dal ricorrente viene in rilievo la censura di difetto di motivazione posta al primo motivo di ricorso. La doglianza è infondata. Invero il provvedimento è adeguatamente motivato, avendo fatto riferimento all’allocazione dell’immobile e alle violazioni contestate. Il che risulta sufficiente a integrare la legittimità del provvedimento posto che in tema è piana l’interpretazione della giurisprudenza in base alla quale “L’ordine di demolizione e l’ordine di acquisizione al patrimonio dell’ente non richiedono una specifica motivazione che dia conto della valutazione delle ragioni di interesse pubblico sottese alla determinazione assunta o della comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, in quanto il presupposto per la loro adozione è costituito esclusivamente dalla constatata esecuzione dell’opera in difformità del titolo abilitativo o in sua assenza. Il provvedimento demolitorio è invero sufficientemente motivato con la descrizione delle opere abusive e il richiamo alla loro accertata abusività” (T.A.R. Lombardia, Milano, n. 2787/2024).
6. Parimenti infondata si presenta la censura di difetto di istruttoria a causa del mancato coinvolgimento dell’interessato nel procedimento. In argomento la giurisprudenza è infatti consolidata nell’affermare che il provvedimento di demolizione non abbisogni del previo avviso di avvio del procedimento e comunque non necessiti, per la sua legittimità, della partecipazione del privato inciso. Invero costituisce ius receptum il principio secondo il quale “L’attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l’ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell’art. 7, l. n. 241 del 1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso” (Consiglio di Stato sez. III, n.2335/2025).
7. Infine, rispetto alle censure veicolate nel terzo motivo, contrariamente agli assunti sostenuti dal ricorrente, la legittimità del provvedimento non è in alcun modo incisa a cagione dell’asserito ampio lasso di tempo che sarebbe trascorso dalla commissione dell’abuso e l’emissione del provvedimento demolitorio impugnato, nemmeno sotto il rilevato profilo della violazione della tutela dell’affidamento. Difatti “Il decorso del tempo rispetto all’adozione del provvedimento demolitorio non può ex se consolidare l’affidamento del proprietario nel mantenimento della costruzione, non potendosi lo stesso configurare come legittimo giusta la illiceità originaria della stessa” (Consiglio di Stato sez. II, n.4247/2024).
7.1 Tantomeno la presunta risalenza degli interventi potrebbe incidere sulla modulazione della motivazione del provvedimento demolitorio, come invece pretenderebbe il ricorrente. Per disattendere questa ulteriore doglianza è sufficiente richiamare il consolidato orientamento del Consiglio di Stato, il quale ha costantemente affermato che: “L’ordinanza di demolizione del manufatto edilizio abusivo, anche se emessa a lunga distanza di tempo dalla realizzazione dell’opera, va motivata esclusivamente con il richiamo al carattere abusivo dell’opera realizzata, atteso che il lungo periodo di tempo – intercorrente tra la realizzazione dell’opera abusiva ed il provvedimento sanzionatorio – è circostanza che non rileva ai fini della legittimità di quest’ultimo, sia in rapporto al preteso affidamento circa la legittimità dell’opera (che il protrarsi del comportamento inerte del Comune avrebbe ingenerato nel responsabile dell’abuso edilizio), sia in relazione alla sussistenza in capo all’Amministrazione pubblica procedente di un ipotizzato ulteriore obbligo di motivare specificamente il provvedimento in ordine alla sussistenza dell’interesse pubblico attuale a far demolire il manufatto, ove si consideri che, di fatto, la lunga durata nel tempo dell’opera priva del necessario titolo edilizio ne rafforza il carattere abusivo” (Consiglio di Stato sez. III, n.9826/2024).
Dunque il tempo trascorso fra il momento della realizzazione dell’abuso non fa insorgere alcun affidamento da tutelare né innesta in capo all’Amministrazione uno specifico onere di motivazione ed anzi “rafforza piuttosto il carattere abusivo dell’intervento” (Consiglio di Stato sez. IV, n.2168/2025).
8. Conclusivamente, per tutte le ragioni innanzi esposte, il ricorso è infondato e va respinto.
9. La mancata costituzione in giudizio del Comune esime il Collegio dal determinare le spese di lite.
TAR CAMPANIA – NAPOLI, III – sentenza 06.10.2025 n. 6560