1. Il ricorso contesta “violazione e falsa applicazione degli artt. 2275 c.c., 88 c.p.c. e 111 Cost., nonché degli artt. 1175 e 1375 c.c., interpretati alla luce dell’art. 2 Cost. e dei principi e delle norme sul frazionamento del processo e sulla costituzionalizzazione del canone del giusto processo”: il Tribunale ha erroneamente rigettato l’eccezione della ricorrente di improponibilità della domanda per abusivo frazionamento del credito, riferendosi a una giurisprudenza “male interpretata e assai datata”; il Tribunale ha omesso di valutare sia l’unitarietà del rapporto tra le parti che l’inesistenza di ragioni che giustificassero la legittima proposizione di decine di giudizi diversi; d’altro canto le ragioni della ricorrente sono già state oggetto di esame da parte della Corte di cassazione, che in due giudizi a parti inverse ha affermato l’assenza di un apprezzabile interesse di I.G. alla proposizione di distinte azioni giudiziali.
La censura è fondata.
Il Tribunale, richiamando la pronuncia di questa Corte n. 18810/2016, ha ritenuto che non costituisca abusivo frazionamento del credito la richiesta, in diversi giudizi, dei compensi maturati in relazione a incarichi conferiti con distinti mandati, sebbene svoltisi nell’ambito di un rapporto continuativo tra le stesse parti e ha così escluso che nel caso in esame, ove I.G. nell’ambito di un rapporto di collaborazione di durata pluriennale ha chiesto il pagamento dei compensi relativi all’attività svolta in adempimento dell’incarico del 27 settembre 2004 di procedere alla perizia, stima e liquidazione di un sinistro.
L’orientamento richiamato dal Tribunale è stato superato da questa sezione della Corte, che in numerose pronunzie ha ricondotto nell’ambito di operatività del divieto di parcellizzazione le controversie relative ai crediti per l’esecuzione di incarichi professionali che si inseriscono in un unico rapporto duraturo caratterizzato dalla serialità delle prestazione, anche se riconducibili a fatti costitutivi storicamente diversi, verificatisi nell’ambito di un rapporto di durata tra le parti pur non fondato sulla stipulazione di un contratto o di una convenzione che ne regolasse gli effetti, a meno che, come indicato dalle sezioni unite di questa Corte con le sentenze gemelle n. 4090 e 4091 del 2017, l’attore non abbia un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, a esercitare l’azione solo per uno o alcuni dei predetti crediti (si vedano le due pronunzie richiamate dalla ricorrente, Cass. n. 6297/2019 e Cass. n. 6296/2019 rese in due giudizi tra I.G. e (OMISSIS), nonché, in termini riassuntivi dell’orientamento, Cass. n. 24168/2023).
2. La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto e la causa deve essere rinviata al Tribunale di Torre Annunziata.
Va precisato che da ultimo il tema del frazionamento del credito è stato oggetto di un ulteriore intervento delle sezioni unite (Cass., sez.un., n. 7299/2025), che hanno ricostruito la posizione di questa Corte sul tema e si sono specificamente occupate della questione delle conseguenze dell’abuso del frazionamento del credito.
Nel decidere la causa, il giudice di rinvio dovrà pertanto attenersi alle seguenti regole enunciate dalle sezioni unite:
-la contemporanea sussistenza di crediti giuridicamente eguali, che siano riconducibili nell’ambito di un “rapporto” che, nel corso del tempo, si sia venuto a determinare (pur se in via di mero fatto) tra le stesse parti, impone che i crediti (ove esigibili) siano dedotti nello stesso giudizio, salvo che l’attore non abbia un oggettivo interesse alla loro tutela frazionata;
-a fronte di una fattispecie che renda ipotizzabile un abusivo frazionamento del credito, il giudice deve innanzitutto verificare se sia possibile l’impiego degli strumenti messi a disposizione dal codice di rito per convogliare la decisione sull’intera pretesa dinanzi a sé, quali la riunione ex art. 274 c.p.c.;
-esclusa tale possibilità, il giudice deve procedere a verificare se la parte abbia agito mossa da interesse oggettivo all’accertamento separato, laddove l’interesse oggettivo deve intendersi come un interesse non di mero fatto, ma ritenuto meritevole di tutela dall’ordinamento; il giudice deve in ogni caso motivare, sulla sussistenza o sull’insussistenza di un interesse che giustifichi il frazionamento della domanda;
-qualora ritenga abusivo il frazionamento, dovrà di norma pronunciare l’improponibilità della domanda, con la precisazione che si tratta di pronuncia solo in rito, il che non osta alla proponibilità della domanda nella sua interezza;
-qualora, infine, accerti che non si tratterebbe di una pronuncia solo in rito, perché la domanda non sarebbe più riproponibile unitariamente in un diverso giudizio, il giudice deve pronunciarsi ugualmente sul merito della pretesa, anche se ritenga la domanda abusivamente frazionata, potendo sanzionare in questi casi il comportamento del creditore, non conforme ai doveri di lealtà e probità processuale, mediante la regolamentazione delle spese di lite, fino a porle a carico, con valutazione discrezionale motivata ex artt. 88 e 92 c.p.c., in tutto o in parte a carico del creditore la cui domanda sia stata accolta.
Il giudice di rinvio si pronuncerà pure sulle spese del presente giudizio.
Cass. civ., II, ord., 21.10.2025, n. 28031