Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Fideiussione – E’ vessatoria la clausola di pagamento a prima richiesta?

Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Fideiussione – E’ vessatoria la clausola di pagamento a prima richiesta?

Con atto di citazione, ritualmente notificato, N.Z., in qualità di garante della società “S. S.n.c. di D.G. e R.A.”, ha convenuto in giudizio “F.S. S.R.L.”, al fine di ottenere la revoca del decreto ingiuntivo n. 635/2020, emesso dal Tribunale di Ferrara in data 30 giugno 2020, per l’importo di euro 100.000,00.

L’attrice, nello specifico, ha proposto opposizione tardiva al decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c. – dando seguito all’avviso emesso dal Giudice dell’Esecuzione nell’ambito del procedimento esecutivo iscritto al n. 156/2023 r.g. es. imm., in applicazione dei principi affermati in Cass., S.U., 9479/2023 – al fine di far accertare l’abusività della clausola di cui all’art. 6 del contratto di fideiussione, con conseguente applicazione ex art. 1419, II comma c.c. dell’art. 1957 c.c., e dichiarare la decadenza del creditore per non aver promosso azioni esecutive nei confronti del debitore principale nel termine semestrale indicato dalla citata norma. In particolare, l’attrice ha dedotto:

a) di essersi costituita, nel 2003, fideiussore della “S. S.n.c. di D.G. e R.A.” a favore della “U.B.D. S.p.a.” – sino alla concorrenza dell’importo di euro 100.000,00 – sulla base di un contratto di fideiussione omnibus che all’art. 6 prevede una deroga all’art. 1957 c.c.;

b) che nelle fideiussioni sottoscritte tra un professionista e una persona fisica con la qualifica di consumatore tale clausola è nulla ai sensi dell’art. 33, II comma, lett. t) e 36 del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 206 del 2005), in quanto limitatrice delle facoltà del consumatore di opporre l’eccezione di estinzione della obbligazione prestata;

c) di aver sottoscritto il contratto in qualità di consumatore, essendo del tutto estranea all’attività d’impresa svolta dalla società in favore della quale ha concesso la garanzia e non essendo l’interesse perseguito configurabile come professionale;

d) che dalla documentazione prodotta non vi sarebbe traccia del fatto che la clausola di cui all’art. 6 sia stata oggetto di una trattativa individuale, come richiesto all’art. 34, IV comma, necessaria per escluderne la vessatorietà;

e) che, stante la nullità dell’art. 6, trova applicazione l’art. 1957 c.c., in virtù di quanto disposto dall’art. 1419, II comma c.c., con conseguente decadenza dalla garanzia patrimoniale per non aver il creditore agito giudizialmente nei confronti del debitore entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale.

La convenuta si è costituita tempestivamente, non contestando né la ricostruzione fattuale, né la qualità di consumatore in capo alla N.Z., precisando di aver acquistato il credito azionato da “A.N.O. SRL”, che a sua volta lo ha acquisito in seguito a plurime operazioni di cessione di crediti e di fusioni societarie.

Ha, tuttavia, rilevato che il regolamento contrattuale prevede all’art. 7 che l’escussione possa avvenire “a semplice richiesta scritta”; conseguentemente ne ha derivato – in base ad un sillogismo giuridico radicato nell’interpretazione giurisprudenziale costante, secondo il quale è sufficiente ad interrompere il termine decadenziale di cui all’art. 1957 c.c. la proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento da parte del creditore – l’infondatezza dell’eccezione di decadenza.

La difesa di parte convenuta ha, dunque, concluso che, avendo inviato una richiesta scritta stragiudiziale di rientro del debito, tramite lettera raccomandata con avviso di ricevimento in data 2 agosto 2007, la banca non sarebbe decaduta, con ciò risultando pienamente fondato il provvedimento monitorio.

Alla prima udienza, tenutasi il 29 gennaio 2025, il Giudice non ha autorizzato la chiamata in causa del terzo formulata dalla parte attrice, e ha eccepito d’ufficio – sottoponendola alla attenzione delle parti ai sensi dell’art. 101 c.p.c. – la vessatorietà della clausola di pagamento “a prima richiesta” contenuta nel contratto di fideiussione, concedendo i termini di cui all’art. 183, VI comma, c.p.c. (ove prendere posizione sul punto).

Nella prima memoria depositata, parte convenuta ha negato la natura vessatoria della clausola, richiamando giurisprudenza di merito fondata sulla constatazione che non vi sarebbe una limitazione del garante nel sollevare tutte le eccezioni attribuite dalla legge e dal contratto, quanto una mera posticipazione temporale.

Parte attrice non ha depositato alcuna memoria.

1. IN ORDINE ALLA VESSATORIETA’ DELL’ART. 6 DELLA FIDEIUSSIONE

Risulta da giurisprudenza costante della Suprema Corte che la clausola di deroga all’art. 1957 c.c. costituisca una clausola vessatoria, ai sensi dell’art. 33, I comma, del Codice del Consumo, determinando uno squilibrio significativo dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto nei rapporti tra la banca e il fideiussore che rivesta la qualifica di consumatore (ex multis Cass., 27558/2023: “È vessatoria, ai sensi dell’art. 1469-bis c.c. (applicabile ratione temporis), la clausola del contratto di fideiussione che deroghi all’art. 1957, comma 1, c.c., in senso favorevole al creditore, dispensandolo dal rispetto del termine di sei mesi ivi previsto per far valere le proprie ragioni contro ildebitore principale inadempiente”; nella giurisprudenza di merito cfr. Trib. Cagliari, 13 marzo 2024; Trib. Firenze, 4 ottobre 2023, n. 2807; Trib. Padova, 3 ottobre 2019; Trib. Milano, 12 luglio 2019, n. 6991; Trib. Treviso, 7 giugno 2018, n. 1185).

La circostanza, per altro, non è contestata dalla parte convenuta.

Ne deriva la nullità della clausola in esame, ai sensi dell’art. 1419, II comma c.c., con conseguente eterointegrazione del contratto di fideiussione mediante applicazione dell’art. 1957 c.c.

Il creditore era, dunque, tenuto a far valere le proprie ragioni nei confronti del debitore principale entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione, a pena di decadenza dal beneficio della garanzia fideiussoria.

2. IN ORDINE AGLI EFFETTI DELL’ART. 7 DELLA FIDEIUSSIONE

Parte convenuta ha richiamato l’efficacia dell’art. 7 (la clausola di pagamento “a semplice richiesta scritta”), ritenendo pertanto sufficiente, ai fini dell’interruzione del termine di cui all’art. 1957 c.c., l’invio di una mera richiesta stragiudiziale di pagamento, richiesta formalizzata in data 2 agosto 2007 (doc. 5 del fascicolo monitorio).

2.1 La prospettazione di parte si fonda su un granitico orientamento giurisprudenziale che ritiene che “la presenza di una clausola c.d. a prima richiesta, in concorrenza con la previsione di cui all’art. 1957 c.c., che trova applicazione a seguito della pronuncia di nullità parziale della clausola derogatoria … non determina l’elisione del termine semestrale per agire nei confronti del debitore, ma solo il venir meno dell’obbligo di esperire un’azione giudiziale in quel termine, essendo sufficiente, per evitare la decadenza, una mera iniziativa stragiudiziale nei confronti del garante” (Cass., 5179/2025).

Tuttavia, il Giudice, alla prima udienza, ha d’ufficio sollevato l’eccezione di vessatorietà della clausola di pagamento “a prima richiesta”, in forza della quale il fideiussore si impegna a pagare quanto richiesto dal creditore immediatamente e senza possibilità di sollevare eccezioni, salvo poi agire in regresso e far valere eventuali pretese in un momento successivo all’adempimento, secondo la struttura tipica delle clausole cd. “solve et repete”.

Analoghe considerazioni – ovvero, in diversa ottica, di corretta interpretazione – dovrebbero poi svilupparsi intorno al sillogismo giurisprudenziale secondo il quale la clausola “a prima richiesta” determinerebbe – in concorso originario o derivato, a seguito della dichiarazione di nullità della clausola derogatrice dell’art. 1957 c.c. – l’effetto per cui il termine decadenziale previsto dalla disposizione sarebbe connesso alla mera richiesta scritta e non anche all’esercizio dell’azione giudiziaria.

2.2 Al riguardo non risulta ancora essersi consolidata una posizione interpretativa univoca, mancando, peraltro, una pronuncia delle Sezioni Unite sul punto.

Secondo un primo orientamento espresso dalla giurisprudenza di merito, richiamato da parte convenuta, la clausola esaminata non è vessatoria, in quanto non priva il fideiussore della possibilità di sollevare eccezioni relative al rapporto principale, bensì si limita a posticipare il momento di esercizio delle eccezioni e a regolare le modalità di escussione della garanzia, esonerando il creditore dall’onere di proporre un’azione giudiziaria (Trib. Pavia, n. 1248/2024: “La “semplice richiesta scritta” della banca può reputarsi unicamente sufficiente ad escludere l’estinzione della garanzia, come detto, esonerando il creditore dall’onere di proporre l’azione giudiziaria, senza incidere sulla facoltà per il fideiussore di sollevare eccezioni. Quale patto solo parzialmente derogativo dell’art. 1957 c.c., in punto di forma della “istanza” da rivolgere, comunque, al debitore (o anche al fideiussore) entro il termine di decadenza stabilitodalla legge, la clausola suddetta non rientrerebbe nell’elenco di quelle che si presumono vessatorie, ai sensi dell’art. 33 Cod. Consumo“).

Porterebbe ad aderire alla tesi della non vessatorietà, altresì, la considerazione secondo la quale, trattandosi di una fideiussione, caratterizzata strutturalmente dall’accessorietà rispetto all’obbligazione principale, la clausola in questione non escluderebbe in via definitiva la possibilità per il fideiussore di sollevare le eccezioni relative al rapporto principale, ma ne determinerebbe unicamente una posticipazione temporale, rinviando l’esercizio delle relative difese al momento successivo al pagamento.

Di diverso avviso è un secondo orientamento, secondo il quale la clausola di pagamento “a prima richiesta”, qualora inserita in un contratto di fideiussione stipulato tra un consumatore e un professionista, integra una clausola abusiva, ai sensi dell’art. 33, II comma, lett. t), che stabilisce una presunzione di vessatorietà delle clausole che hanno per oggetto o l’effetto di “sancire a carico del consumatore decadenze, limitazioni della facoltà di opporre eccezioni, deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria, limitazioni all’adduzione di prove, inversioni o modificazioni dell’onere della prova, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi”.

In particolare, secondo tale ricostruzione (cfr. Trib. Alessandria, n. 2140/2021; Trib. Varese, n. 772/2024), la clausola in questione risulta vessatoria in quanto idonea a comprimere significativamente la facoltà del fideiussore-consumatore di opporre eccezioni alla richiesta di immediato adempimento da parte del creditore-professionista, rientrando pertanto nel perimetro applicativo della citata presunzione normativa.

In particolare, il Tribunale piemontese ha richiamato un precedente della Suprema Corte che ha implicitamente accertato, seppure in via indiretta, la vessatorietà della clausola di pagamento “a prima richiesta” in un contratto di fideiussione ordinaria, sancendone tale qualifica nel contesto del contratto autonomo di garanzia (cfr. Cass. 5423/2022: “In relazione al contratto atipico di garanzia a prima richiesta e senza eccezioni, l’accertamento dell’eventuale posizione di consumatore del garante deve avvenire con riferimento ad esso e non sulla base del contratto garantito e nel caso di riconoscimento al garante della posizione di consumatore è applicabile a sua tutela la disciplina degli artt. 33,34,35 e 36 del Codice del Consumo ed in particolare la previsione dell’art. 33, lett. t) e ciò, quanto alla clausola di limitazione della proponibilità di eccezioni, sia con riferimento alle limitazioni inerenti ad eventuali eccezioni relative allo stesso contratto di garanzia, sia con riferimento all’esclusione della proponibilità di eccezioni relative all’inadempimento del rapporto garantito da parte del debitore garantito, con la conseguenza che in quest’ultimo caso, ove la clausola venga riconosciuta abusiva, il contratto conserverà validità ai sensi del comma 1 del citato art. 36 ed il garante potrà opporre dette eccezioni”).

La Corte di Cassazione, pur non affrontando espressamente il tema nel contesto di un contratto di fideiussione, ha riconosciuto – in modo ancora più penetrante – che in un contratto autonomo di garanzia la clausola “a prima richiesta”, nella misura in cui limita o esclude la possibilità per il consumatore di opporre eccezioni, può integrare una clausola vessatoria ai sensi dell’art. 33, II comma lett. t), e come tale risultare nulla.

Pertanto, è ragionevole concludere, con un argomento a fortiori, che tale clausola certamente debba ritenersi vessatoria nel contesto di una fideiussione tipica, ove essa è solo una clausola aggiuntiva e non strettamente funzionale alla causa concreta del contratto atipico.

Significativa sul punto anche una dettagliata e persuasiva ordinanza, emessa ai sensi dell’art. 140 octies, V comma D.Lgs. n. 206 del 2005, del Tribunale di Torino (Tribunale Torino, 15 marzo 2024), il quale, giustificando l’irrilevanza dei limiti sostanziali e limiti processuali nel contesto di tutela del consumatore – posto che lo squilibrio prescinde dal profilo sostanziale o processuale che lo genera – ha riconosciuto espressamente la natura vessatoria della clausola in esame (vessatorietà per altro riconosciuta dalla stessa Banca).

2.3 La vessatorietà ricorre, dunque, non solo in relazione alla lett. t), ma in ultima analisi anche sotto il profilo generale dell’art. 33, I comma perché determina “a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.

Anzitutto il presente Tribunale ricorda che il giudizio di vessatorietà non può esaurirsi in una valutazione astratta della singola clausola, bensì deve svolgersi secondo un apprezzamento concreto dello squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dall’intero rapporto contrattuale, tenendo conto altresì “della natura dei beni i servizi oggetto del contratto, di tutte le circostanze che accompagnano la conclusione dello stesso e di tutte le altre clausole del contratto o di un altro contratto da cui esso dipende” (art. 4, Direttiva 93/13/CEE).

In tale prospettiva, l’analisi della vessatorietà impone di effettuare una valutazione globale dell’assetto di diritti e obblighi complessivamente realizzato dal regolamento contrattuale e, nel caso di specie, di valutare il combinato disposto tra la clausola di pagamento “a prima richiesta” e la previsione che consente al creditore di conservare la garanzia fideiussoria attraverso una semplice richiesta scritta stragiudiziale, già richiamata nei passaggi precedenti.

L’effetto cumulativo di tali previsioni determina una situazione di squilibrio contrattuale particolarmente gravoso per il fideiussore-consumatore in quanto, in primo luogo, si ritrova potenzialmente vincolato a tempo indeterminato nei confronti della banca, potendo quest’ultima far dipendere la maturazione del credito – e con esso l’aggravio della posizione debitoria connessa all’incremento degli interessi moratori convenzionalmente previsti – esclusivamente dalla volontà del creditore, essendo sufficiente, per impedire l’effetto decadenziale il semplice invio di un atto stragiudiziale.

Ciò oltretutto, riducendo, il più delle volte, le possibilità di recuperare dal debitore principale non escusso il credito, posto che l’inadempimento di quest’ultimo è spesso connesso (e sintomatico) alla progressiva maturazione di uno stato di crisi o di insolvenza.

Il tutto non compensato da alcun vantaggio contrattuale posto a favore del consumatore.

2.4 Né, sul piano ermeneutico, deve trascurarsi che tutte le pronunce della Corte di Cassazione che hanno trattato il tema si fondano sull’applicazione dell’art. 1363 c.c., che rimanda alla volontà delle parti e alla necessità di leggere la singola clausola alla luce dell’intero regolamento contrattuale, ma non si riferiscono a fideiussioni prestate da un consumatore nei confronti di un professionista (cfr. Cass. 22346/2017: “In tema di contratto autonomo di garanzia, ove le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire “a prima richiesta”, l’eventuale rinvio pattizio alla previsione della clausola di decadenza di cui all’art. 1957, comma 1, c.c., deve intendersi riferito – giusta l’applicazione del criterio ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. – esclusivamente al termine semestrale indicato dalla predetta disposizione; pertanto, deve ritenersi sufficiente ad evitare la decadenza la semplice proposizione di una richiesta stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale, secondo la tradizionale esegesi della norma, atteso che, diversamente interpretando, vi sarebbe contraddizione tra le due clausole contrattuali, non potendosi considerare “a prima richiesta” l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azione in giudizio”; Cass., 660/2025Cass., 7159/2025Cass. 13078/2008).

Trattasi, infatti, di cause nelle quali alternativamente erano coinvolte solo persone giuridiche, quali società o enti pubblici, oppure, pur trattandosi di persone fisiche, avevano prestato fideiussione nel contesto dello svolgimento di una attività professionale e di cause antecedenti il superamento della teoria del “professionista di rimbalzo” (superamento avvenuto con la sentenza Cass. 747/2020, di recepimento delle indicazioni della Corte di Giustizia, in forza della quale deve ritenersi consumatore “il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (o anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità estranee alla stessa, nel senso che la prestazione della fideiussione non deve costituire atto espressivo di tale attività, né essere strettamente funzionale al suo svolgimento”).

Chiarita la cornice all’interno della quale si è formata la giurisprudenza di legittimità citata, è facile e congruente richiamare l’attenzione sul diverso criterio ermeneutico al quale deve fare ricorso il Giudice nell’ipotesi di contratto di fideiussione concluso tra consumatore e professionista: non quello codicistico, bensì quello di cui all’art. 35, II comma, del Codice del Consumo: “in caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore”.

Ne deriva allora che, anche se non si ritenesse la clausola “a prima richiesta” come una clausola nulla, l’interpretazione conforme alla tutela consumeristica imporrebbe di escludere che dalla clausola – solve et repete – possa anche derivarsi la sufficienza della missiva scritta per impedire l’effetto decadenziale di cui all’art. 1957 c.c., piuttosto che dall’esercizio dell’azione esecutiva nei confronti del debitore principale. Come detto, nel caso di specie, non si tratta neppure di esaminare il contenuto della clausola in sé, quanto di inferire gli ulteriori effetti prodotti dalla stessa, effetti che, come detto, sono stati rinvenuti dalla S.C. attraverso un richiamo alle norme di interpretazione del contratto del codice civile e finalizzato ad attribuire un significato alla volontà delle parti, ma che, nel caso di rapporti tra professionista e consumatore, non possono che fondarsi sul criterio interpretativo citato: quello più favorevole al consumatore.

Nel caso di specie tale “occhiale” non può che inferire dall’obbligo di pagamento a prima richiesta la permanenza degli effetti protettivi decadenziali di cui all’art. 1957 c.c., con obbligo del creditore di esercitare l’azione giudiziaria nei confronti del debitore principale per non far maturare la decadenza posta a garanzia del consumatore.

Incidentalmente, si rileva altresì la non condivisibile applicazione del principio più volte richiamato della Suprema Corte in relazione ad un contratto in cui l’art. 1957 c.c. sia stato espressamente derogato ed applicato ex post solo a seguito della dichiarazione di nullità della clausola vessatoria.

Appare, infatti, del tutto illogico ricostruire una volontà negoziale di attribuzione degli effetti della clausola “a prima richiesta” connessa alla previsione di cui all’art. 1957 c.c. – ovvero la sufficienza della richiesta scritta per eludere l’effetto decadenziale – allorché quest’ultima disposizione era stata dalle parti espressamente derogata.

In conclusione, in virtù della accertata vessatorietà della clausola di pagamento “a semplice richiesta scritta” di cui all’art. 7 del contratto di fideiussione (ma analoghe considerazioni deriverebbero dalla interpretazione della stessa secondo il principio di cui all’art. 35, II CdC), non oggetto di trattativa individuale, si accerta che, ai fini dell’interruzione del termine di cui all’art. 1957 c.c., era necessario che il creditore esercitasse un’apposita azione giudiziale nel termine semestrale: circostanza pacificamente non avvenuta (Cass., 1724/2016: “L’art. 1957 c.c., nell’imporre al creditore di proporre la sua “istanza” contro il debitore entro sei mesi dalla scadenza per l’adempimento dell’obbligazione garantita dal fideiussore, a pena di decadenza dal suo diritto verso quest’ultimo, tende a far sì che il creditore stesso prenda sollecite e serie iniziative contro il debitore principale per recuperare il proprio credito, in modo che la posizione del garante non resti indefinitamente sospesa; pertanto, il termine “istanza” si riferisce ai vari mezzi di tutela giurisdizionale del diritto di credito, in via di cognizione o di esecuzione, che possano ritenersi esperibili al fine di conseguire il pagamento, indipendentemente dal loro esito e dalla loro idoneità a sortire il risultato sperato, termine pacificamente non rispettato”).

Pertanto, la creditrice è decaduta definitivamente dal beneficio della garanzia fideiussoria, con conseguente infondatezza della pretesa azionata con il ricorso monitorio.

3. IN ORDINE ALLE SPESE DI LITE

Posto che la domanda attorea è risultata fondata sulla base di una eccezione sollevata dal Giudice e, per altro, non coltivata dalla stessa parte interessata (la quale non ha depositato le memorie assegnate) e dato atto del predetto contrasto giurisprudenziale, si ritiene sussistano i presupposti per la integrale compensazione delle spese di lite.

Trib. Ferrara, civile, sent., 10.06.2025

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