1. Va innanzitutto scrutinata l’eccezione in rito sollevata dalla ricorrente incidentale, di inammissibilità del ricorso principale per mancata impugnazione del presupposto parere dell’Avvocatura comunale prot. 84849 del 14.10.2024, richiamato nell’aggiudicazione.
L’eccezione non è fondata, così come già precisato nella precedente sentenza n. -OMISSIS-: trattasi di atto endoprocedimentale privo di autonoma lesività, il cui contenuto confluisce nella determinazione conclusiva; è dunque sufficiente l’impugnazione della determinazione n. -OMISSIS- di convalida dell’aggiudicazione, che ne veicola gli effetti lesivi e in cui il parere si è “consumato”.
2. Riguardo al merito del ricorso incidentale di -OMISSIS- con domanda di esclusione del RTI ricorrente principale per pendenze penali (artt. 2 e 4 del d.lgs 74/2000) e asserita carenza di self-cleaning, va richiamata, e deve qui intendersi trasposta in parte qua, la precedente decisione della Sezione – resa tra le parti per il medesimo appalto, n.-OMISSIS- (appello pendente al C.G.A. n.-OMISSIS-, con udienza pubblica di merito fissata il 30 ottobre 2025) – che ne ha sancito l’infondatezza specificando, in conclusione, che “l’amministrazione appaltante si è autovincolata all’effettuazione della verifica del possesso dei requisiti generali di partecipazione al momento dell’aggiudicazione e nei confronti del solo miglior offerente e per tale ragione legittimamente non ha effettuato la medesima verifica nei confronti dell’impresa non aggiudicataria, odierna ricorrente principale”.
Il ricorso incidentale, in quanto infondato, va pertanto rigettato.
3. Nel merito, anche il ricorso principale è infondato.
È infondato il primo motivo.
Va premesso che l’art. 95, comma 1, lett. e), del d.lgs. n. 36/2023 attribuisce alla stazione appaltante il potere di escludere dalla procedura l’operatore economico che abbia commesso un illecito professionale grave, tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità, potere la cui attivazione presuppone, ai sensi dell’art. 98 del Codice dei contratti, l’accertamento della gravità della condotta e della sua incidenza sull’affidabilità dell’operatore, nonché l’esistenza di adeguati mezzi di prova. La relativa valutazione, così come costantemente affermato dalla giurisprudenza, si connota per un’ampia discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giurisdizionale nei soli casi di manifesta illogicità, irragionevolezza o travisamento dei fatti.
Nel caso in esame, la stazione appaltante – a seguito della citata sentenza di questa sezione, n. -OMISSIS-, che aveva imposto un supplemento di istruttoria in contraddittorio, con motivazione rafforzata sui parametri di gravità/attualità e sulle misure di self-cleaning – ha rivalutato le vicende pregresse della società originariamente aggiudicataria, acquisendo le relazioni dell’Asp e gli atti prodotti dalle parti, e ha dato conto, con motivazione adeguata, delle ragioni per le quali tali elementi non sono stati ritenuti idonei a configurare un grave illecito professionale ostativo.
La Stazione appaltante, infatti, ha dato corso alla nuova istruttoria (v. note RUP del 18.4.2025 e 29.4.2025) riconvocando la Commissione di gara (5.5.2025) e, con D.D. n. -OMISSIS-, ha confermato l’affidabilità professionale dell’impresa già aggiudicataria, valorizzando l’estinzione per fusione del soggetto cui si riferiva una delle risoluzioni, la vetustà di altra risoluzione rispetto al triennio rilevante, la pendenza del giudizio civile avverso la risoluzione contrattuale e, infine, le misure di riorganizzazione adottate.
In particolare, il RUP ha evidenziato che la risoluzione disposta dal Comune di Alcamo era intervenuta in un contesto fattuale complesso, rispetto al quale la responsabilità dell’operatore non risultava provata in termini univoci; ha inoltre considerato le misure di riorganizzazione societaria e gestionale adottate dall’impresa, valutandole come idonee a neutralizzare eventuali criticità pregresse. Tale apprezzamento è stato quindi condiviso dalla Commissione di gara, che ha confermato la permanenza dei requisiti di affidabilità dell’operatore economico.
Alla luce di tali risultanze, non può ritenersi che l’Amministrazione abbia svolto un’istruttoria carente o contraddittoria, né che abbia travisato i fatti.
Va infatti ricordato che il sindacato giurisdizionale su tale apprezzamento è esterno e limitato ai profili di coerenza, completezza, non contraddittorietà (cfr. Cons. Stato, V, 25 ottobre 2024, n. 8529: in particolare, il capo 1.1.4.) e, nel caso di specie, alla luce della documentazione in atti e della loro motivazione, la valutazione d’affidabilità complessivamente espressa dall’amministrazione non può ritenersi irragionevole o illogica o affetta da difetto di istruttoria nel quadro degli spazi di discrezionalità rimessi alla amministrazione stessa.
Le censure articolate dalla ricorrente principale si risolvono, in realtà, in una diversa lettura del materiale istruttorio, non idonea a scalfire la discrezionalità riconosciuta alla stazione appaltante.
Sono parimenti infondate le censure di cui al secondo motivo, relative al “centro di cottura alternativo” e sul titolo sanitario, dedotte al fine di sostenere che la controinteressata andava esclusa dalla gara.
La clausola prevista dall’art. 14 del Capitolato riguardante il centro di cottura alternativo integra un requisito di esecuzione, collocato nella c.d. “zona grigia” tra aggiudicazione e stipula: essa non incide sull’ammissione alla gara, né costituisce causa di esclusione, ma va verificata in sede di stipula (ovvero, comunque, prima dell’avvio dell’esecuzione) nei confronti dell’aggiudicatario.
Nel caso concreto, la lex specialis richiede la capacità di garantire la continuità del servizio in emergenza (non la titolarità, già in gara, di un autonomo impianto alternativo), e la Stazione appaltante ha ritenuto sufficiente la disponibilità di locali di terzi e la producibilità della SCIA in tempo utile, prima della stipula/avvio del servizio; tale assetto applicativo, come motivato nel provvedimento di convalida e nella difense del Comune resistente, risulta coerente con la natura esecutiva del requisito e, pertanto, non è idoneo a inficiare l’ammissione e l’aggiudicazione.
In altre parole, la censura, in quanto volta a far discendere dall’asserita carenza del centro alternativo un vizio espulsivo in fase di ammissione alla gara, non può essere condivisa.
Anche il terzo motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 119, co. 2, del d.lgs. n. 36/2023, integra subappalto l’affidamento a terzi di una quota della prestazione con autonoma organizzazione e rischio in capo al terzo.
Dalle allegazioni difensive e dagli atti emerge un’ipotesi di mera messa a disposizione di locali/strutture per situazioni emergenziali, con esecuzione diretta dell’attività di preparazione pasti da parte dell’aggiudicataria (proprio personale, propria organizzazione e responsabilità), senza trasferimento al terzo di attività tipica, né di rischio esecutivo, ragion per cui, difetta l’elemento qualificante del subappalto.
I profili di censura aventi ad oggetto la verifica di anomalia e il costo della manodopera sono parimente infondati (IV motivo).
Va innanzitutto premesso che l’art. 54 disciplina l’esclusione automatica (ed eventuale verifica di altre offerte) solo per affidamenti sottosoglia aggiudicati al prezzo più basso.
Per gli affidamenti con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa – così come quello di specie – la verifica di anomalia si svolge secondo la disciplina generale dell’art. 110 del Codice dei contratti (nessuna esclusione automatica, verifica della migliore offerta che appaia anormalmente bassa, contraddittorio, giudizio globale).
È principio consolidato che la verifica di anomalia hia natura globale e sintetica e si traduce in un giudizio tecnico-discrezionale sull’attendibilità complessiva dell’offerta, non già in un controllo atomistico di singole voci.
Ne consegue che l’Amministrazione non è tenuta a pretendere giustificazioni su ogni elemento di costo, potendo legittimamente concentrare il contraddittorio sui profili ritenuti rilevanti ai fini della sostenibilità economica dell’appalto, restando sindacabile in sede giurisdizionale solo per manifesta illogicità o macroscopica erroneità.
Tale approdo è stato di recente ribadito dalla giurisprudenza: Cons. Stato, V, 23 giugno 2025, n. 5464 (in punto di giudizio “globale e sintetico”); Cons. Stato, III, 4 luglio 2025, n. 5822 (riguardo l’insindacabilità, salvo vizi macroscopici).
Con particolare riguardo al costo della manodopera, l’art. 41, co. 14, del d.lgs. n. 36/2023, impone alla stazione appaltante di indicare nei documenti di gara i costi della manodopera e di scorporarli dall’importo assoggettato a ribasso; non vige però un divieto assoluto di ribasso e l’operatore può giustificare minori costi in forza di una più efficiente organizzazione aziendale, ferma restando la tutela dei minimi retributivi.
È l’interpretazione da ultimo confermata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr., V, 2 luglio 2025, n. 5712 e anche 29 aprile 2025, n. 3611) che, in linea con i precedenti arresti del 2024 (tra cui 19 novembre 2024, nn. 9254-9255) esclude che il comma 14 abbia introdotto un divieto di ribasso sui costi del lavoro, valorizzando invece la funzione di trasparenza parametrica e di controllo in sede di verifica di congruità, chiarendo che “In sintesi, la novità rispetto al testo dell’art. 23, comma 16, del d.lgs. n. 50 del 2016 consiste soltanto nel fatto che i costi della manodopera sono indicati separatamente, ma tale indicazione separata non li sottrae al ribasso”.
Nel caso di specie, dai verbali e dalle controdeduzioni risulta che la stazione appaltante ha attivato un contraddittorio effettivo, acquisendo le spiegazioni ritenute dirimenti e motivando l’esito con riguardo alla coerenza economica complessiva dell’offerta.
Nel caso concreto, l’Amministrazione ha ritenuto che il costo della manodopera risulta giustificato dalle riduzioni INAIL per la certificazione ISO 450012018, dai minori costi INPS (agevolazioni PNRR) e dalla contrattualizzazione del personale a tempo determinato senza scatti di anzianità, giudicandolo compatibile con le spese generali e l’utile d’impresa e con gli oneri aziendali indicati in quanto corrispondenti circa allo 0,6% del costo generale del servizio.
La giurisprudenza ha altresì chiarito che, nel compiere il giudizio di affidabilità, la stazione appaltante non può prescindere dall’esame dei costi ragionevolmente prevedibili in fase esecutiva (ivi compresi i possibili effetti di rinnovi contrattuali); tuttavia, ciò non si traduce nell’obbligo di una quantificazione analitica di ogni evoluzione retributiva, essendo sufficiente che la motivazione dia conto della considerazione del rischio economico all’interno della valutazione globale di sostenibilità.
Va anche aggiunto che l’art. 23 del capitolato speciale, rubricato “applicazioni contrattuali” dispone chiaramente, per quel che qui rileva, che “il personale tutto dell’impresa, nessuno escluso, dovrà essere iscritto nel libro paga dell’impresa, la quale dovrà attuare nei confronti dei lavoratori dipendenti, occupati nei lavori che costituiscono oggetto del presente contratto, condizioni normative e retributive non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi di lavoro, applicabili alla data dell’offerta, alla categoria e nella località in cui si svolgono i lavori, nonche rispettare le condizioni risultanti dalle successive integrazioni ed in genere ogni altro contratto collettivo che dovesse venire successivamente stipulato per la categoria stessa. Quanto sopra dovrà essere applicato anche ai soci delle cooperative. L’obbligo permane anche dopo la scadenza dei citati contratti collettivi e fino alla loro sostituzione (…)”.
Nel caso in esame, il contratto collettivo invocato dalla ricorrente principale, era già vigente al momento della presentazione dell’offerta, ragion per cui non vi è prova che vi siano state clausole contrattuali sopravvenute in punto di costo della manodopera, di cui sia stata omessa la valutazione prospettica.
Ne consegue che la motivazione – che richiama i parametri contrattuali allora vigenti e la capienza delle economie organizzative addotte dall’operatore – supera la soglia del minimo costituzionale e non rivela profili manifesti di ragionevolezza.
In altre parole, alla luce dei richiamati principi e degli atti di causa, i motivi di ricorso relativi al costo della manodopera ai sensi dell’art. 41, co. 14, d.lgs. 36/2023 sono infondati, non risultando illegittimamente esclusa o travisata la possibilità di giustificare ribassi attraverso efficientamenti organizzativi nel rispetto delle tutele lavoristiche.
Con il quinto motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 6.3 del disciplinare di gara, sostenendo che l’aggiudicataria non avrebbe posseduto i requisiti di capacità tecnica e professionale in quanto, nel triennio di riferimento, avrebbe subito tre diverse risoluzioni contrattuali, con conseguente obbligo per la stazione appaltante di disporne l’esclusione.
La censura è infondata.
La clausola invocata impone, ai fini della partecipazione, che l’operatore economico abbia eseguito, nell’ultimo triennio, uno o più servizi rientranti nella categoria merceologica di riferimento “con buon esito e senza incorrere in alcuna risoluzione anticipata”. Tale clausola, in coerenza con l’art. 100, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 36/2023, mira ad assicurare che l’impresa partecipante abbia maturato una adeguata esperienza professionale nel settore, ma non può essere interpretata nel senso di determinare automaticamente l’esclusione in presenza di ogni risoluzione, indipendentemente dalla valutazione delle concrete circostanze.
Secondo la giurisprudenza, infatti, la risoluzione contrattuale costituisce un indice sintomatico di possibile inaffidabilità, ma la sua incidenza sulla partecipazione deve essere oggetto di un apprezzamento discrezionale della stazione appaltante, la quale è chiamata a verificare la gravità delle condotte contestate, la loro effettiva riferibilità all’operatore economico e le eventuali misure correttive adottate (cfr. Cons. Stato, V, 25 ottobre 2024, n. 8529; id., V, 23 febbraio 2024, n. 1804).
Nel caso di specie, la stazione appaltante ha esaminato le vicende contrattuali richiamate dalla ricorrente e ha ritenuto che le stesse non fossero tali da compromettere il possesso del requisito, sia perché non univocamente riconducibili a responsabilità dell’aggiudicataria, sia perché superate dalle misure di riorganizzazione societaria e gestionale medio tempore adottate. Di tali valutazioni è stata data adeguata motivazione negli atti di gara.
In sintesi, se da un lato la S.A. ha rappresentato che le risoluzioni evocate dalla ricorrente principale non ricadono nel triennio rilevante e, comunque, non inficiano il requisito all’esito della rinnovata istruttoria, d’altra parte, la ricorrente principale non ha fornito elementi idonei a rovesciare tale perimetrazione temporale e l’apprezzamento qualitativo svolto.
Pertanto, non sussistono i lamentati profili di violazione del disciplinare, né i dedotti vizi di illogicità, dovendosi riconoscere il corretto esercizio della discrezionalità tecnica della stazione appaltante nella valutazione della rilevanza delle pregresse risoluzioni e nel giudizio di affidabilità dell’operatore economico.
Anche le censure aventi ad oggetto l’usufrutto di ramo d’azienda e la “continuità” dei requisiti (artt. 17 e 120 d.lgs 36/2023), sono prive di base (VI motivo).
L’operazione di usufrutto del ramo di azienda intervenuta tra la -OMISSIS-e la -OMISSIS- non integra un’ipotesi di elusione della disciplina di gara, ma si colloca nell’ambito delle vicende soggettive contemplate dall’art. 120, comma 1, lett. d), n. 2), del d.lgs. n. 36/2023, il quale consente la successione dell’aggiudicatario a seguito di ristrutturazioni societarie, purché il nuovo operatore soddisfi gli originari requisiti di partecipazione e non si alteri la struttura economico-giuridica dell’affidamento.
Nel caso di specie, la stazione appaltante ha svolto una sufficiente istruttoria, acquisendo le necessarie verifiche in ordine ai requisiti di affidabilità e integrità della -OMISSIS-, ritenendoli sussistenti.
Non assume rilievo dirimente la circostanza che le verifiche relative alla -OMISSIS-non fossero state completate, posto che l’operazione di cessione in usufrutto del ramo di azienda, regolarmente comunicata alla stazione appaltante, ha comportato la concentrazione in capo alla nuova impresa subentrante delle posizioni attive e passive connesse alla gestione del servizio, con conseguente legittimità della prosecuzione della procedura in capo a -OMISSIS-
Né può condividersi l’assunto secondo cui l’usufruttuario sarebbe automaticamente gravato dalle pregresse responsabilità della concedente: il principio ubi commoda ibi incommoda non opera in via assoluta, dovendo comunque la stazione appaltante verificare in concreto, come nella specie, l’idoneità del nuovo soggetto a garantire l’esecuzione del contratto.
In altre parole: l’operazione di cessione in usufrutto di ramo d’azienda costituisce lecita riorganizzazione societaria e correttamente la S.A. ha verificato in capo all’impresa usufruttuaria i requisiti “come se avesse partecipato sin dall’origine”, assicurando la continuità sostanziale e i controlli di legge.
Non emergendo vizi di illogicità manifesta o difetto di istruttoria su tale profilo, le relative censure sono perciò infondate.
Neppure il settimo motivo relativo all’omessa verifica dell’anomalia dell’offerta è fondato.
La procedura in esame, aggiudicata con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e di importo superiore alla soglia comunitaria, non rientra tra le ipotesi derogatorie di cui all’art. 54 del d.lgs. n. 36/2023, che consente l’esclusione automatica delle offerte anomale.
Resta pertanto applicabile l’art. 110 del Codice dei contratti, che impone la valutazione di congruità delle offerte che appaiano anormalmente basse.
Sul punto, la giurisprudenza – già sopra citata – è costante nel ritenere che il giudizio di anomalia debba essere condotto in termini globali e sintetici, senza che sia necessario verificare puntualmente tutte le singole voci di costo, ed è sindacabile dal giudice solo in presenza di macroscopica illogicità, erroneità o travisamento (Cons. Stato, III, 4 luglio 2025, n. 5822, e giurisprudenza ivi richiamata; id. V, 22 febbraio 2024, n. 1776; id., 26 giugno 2024, n. 5639; id, 2 luglio 2024, n. 5871).
Nel caso di specie, la stazione appaltante ha ritenuto l’offerta dell’aggiudicataria coerente con i parametri stimati e sostenuta da adeguate giustificazioni in ordine alla manodopera e agli oneri aziendali, esercitando la propria discrezionalità tecnica secondo criteri non inficiati da manifesta irragionevolezza. L’asserita sottostima dei costi non era di per sé sufficiente a far scattare l’obbligo di una formale verifica di anomalia, dovendo l’accertamento rimanere ancorato a elementi concreti di inattendibilità complessiva dell’offerta.
In conclusione, il ricorso principale è infondato e va rigettato, con salvezza degli atti impugnati.
4. Avuto riguardo alla complessità delle questioni sottese, sussistono le eccezionali ragioni per compensare tra le parti costituite le spese di giudizio e dichiararle irripetibili nei confronti dell’impresa -OMISSIS-non costituita in giudizio.
TAR SICILIA – PALERMO, IV – sentenza 07.10.2025 n. 2183