Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Compravendita – evizione, sospensioni delle obbligazioni e esercizio del diritto di recesso

Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Compravendita – evizione, sospensioni delle obbligazioni e esercizio del diritto di recesso

Con il primo motivo di ricorso proposto C. F., C. S. M., C. B., F. A., C. A., C. M., C. F., lamentano la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art.360 co 1 n.3 -violazione e falsa applicazione degli art.1460 e 1481 c.c.”.

I ricorrenti, premesso che nei contratti a prestazioni corrispettive, qual è la compravendita, il contraente non è tenuto a adempiere la propria prestazione in caso di inadempimento dell’altro contraente, evidenzia che questo principio presuppone che l’inadempienza o il pericolo di inadempienza di uno dei due contraenti sia reale, o altamente probabile, altrimenti sarebbe utilizzabile come pretesto per rendere “lettera morta” tutti i contratti a prestazioni corrispettive. Secondo i ricorrenti il principio enucleabile dall’art.1481 c.c. per la compravendita, che specifica il disposto dell’art.1460 c.c., si applicherebbe per analogia anche ai contratti preliminari, con la conseguenza che il promittente acquirente potrebbe rifiutare la stipula del contratto definitivo quando sussista l’elevata possibilità di evizione del bene da trasferire; questa elevata possibilità dovrebbe consistere nell’esistenza di un titolo giuridico, di natura giudiziale o stragiudiziale, che legittimi il terzo a rivendicare la proprietà del bene o ad esigere diritti parziali su di esso. Nel caso di specie, la Corte di merito avrebbe rilevato in modo apodittico e arbitrario l’esistenza di un pericolo attuale di evizione da un contestato sconfinamento sul fondo promesso in vendita da parte del vicino, disponibile invece ad arretrare il confine senza alcuna volontà di aprire un contenzioso al riguardo: tutto ciò contro la ratio dell’art.1485 c.c. e delle regole codicistiche che tutelano l’acquirente dall’evizione.

Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art.360 co 1 n.3 -violazione e falsa applicazione degli art.1483 c.c., 1453 c.c, 1455 c.c.”.

Secondo i ricorrenti la sentenza di appello sarebbe errata perché, a prescindere dal fatto che nel preliminare non sarebbe stato pattuito niente di espresso sul trasferimento del resede posto dietro l’immobile promesso in vendita, sul quale sarebbe avvenuto il paventato sconfinamento, vi era piena disponibilità del vicino a regolare i confini e quindi non vi era alcun rischio concreto ex art.1483 c.c.; si sarebbe dovuto altresì escludere il ricorrere di una situazione giustificante un inadempimento di gravità tale da rientrare nell’ambito di applicazione degli art.1453-1455 c.c., in ordine ai presupposti di applicazione delle quali norme la Corte di merito nulla avrebbe detto.

La controricorrente prospetta l’inammissibilità di entrambi i motivi perché di contenuto meritale e sottolinea comunque: che l’art.1481 c.c. attribuirebbe “all’acquirente uno strumento di autotutela per evitare che si trovi a dover pagare il prezzo del bene acquistato nel caso in cui vi sia il concreto pericolo che possa perdere, in tutto o in parte, tale bene a causa della rivendica del terzo”; che nel caso di specie vi sarebbe stata quella situazione di incertezza sulla titolarità effettiva del “resede tergale” degli immobili oggetto del contratto preliminare di compravendita, occupato da parte del vicino con inglobamento nella sua proprietà; che la valutazione della gravità dell’inadempimento rientrerebbe nell’ambito degli apprezzamenti di merito preclusi al Giudice di legittimità e sarebbe ricorribile in cassazione solo sotto il profilo di un ipotetico vizio di motivazione, nemmeno prospettato ai sensi dell’art.360 n.5 c.p.c.

I due motivi possono essere esaminati in unico contesto, perché richiedono entrambi la valutazione dell’esistenza di una situazione di pericolo di evizione parziale a danno della promissaria acquirente C.L., e sono entrambi ammissibili, perché non mirano ad ottenere il riesame del merito della decisione impugnata ma si dolgono il primo dell’applicazione del disposto dell’art.1481 c.c., ritenuta violativa del contenuto e della ratio della norma, operata dalla Corte di merito, il secondo dell’applicazione del disposto degli art.14831453-1455 c.c., rispetto ai quali non sarebbe stata adeguatamente affrontata la questione dell’esistenza, e comunque della gravità dell’inadempimento imputato ai ricorrenti.

Essi sono altresì fondati per quanto di ragione.

L’art.1481 co 1 c.c. riconosce al compratore la possibilità di sospendere il pagamento del prezzo “quando ha ragione di temere che la cosa o una parte di essa possa essere rivendicata da terzi, salvo che il venditore presti idonea garanzia”: la sospensione del pagamento -da parte del compratore- o la prestazione di garanzia -da parte del venditore- sono pertanto i rimedi che la norma prevede per l’ipotesi di pericolo di evizione a tutela del compratore.

La facoltà del compratore di sospendere il pagamento del prezzo, a norma dell’art. 1481 c.c. costituisce applicazione alla compravendita del principio generale “inadimplenti non est adimplendum”, disciplinato all’art. 1460 cod. civ., e richiede che l’esercizio dell’autotutela così riconosciuta sia conforme a buona fede: il pericolo di perdere la proprietà o parte di essa deve cioè essere serio e concreto e risultare inoltre attuale, non già soltanto ipotizzabile in futuro o meramente presuntivo (cfr., in particolare, Cass. 8002/2012)

I presupposti oggettivi di operatività dell’art.1481 c.c. sono quindi il pericolo di rivendica, relativo anche ad una parte del bene compravenduto, l’effettività del pericolo, che non può rinvenirsi nel mero timore o in una presunzione non grave e non circostanziata dell’acquirente, e la gravità, serietà e concretezza del pericolo stesso e di conseguenza quantomeno la verosimiglianza dell’esistenza di un diritto altrui sul bene.

Sotto il profilo soggettivo la sospensione del pagamento del prezzo disciplinata dall’art.1481 c.c. presuppone, secondo il disposto del secondo comma della norma, che il compratore non avesse consapevolezza del pericolo di rivendica: è irrilevante invece la situazione soggettiva del venditore, significativa solo sotto il profilo della responsabilità da inadempimento -cfr., in tal senso, tra le altre, Cass. n.8002/2012Cass. n.31314/2019-.

La norma in esame è dettata per la compravendita ma trova pacificamente applicazione per analogia anche per i contratti preliminari di compravendita. Al riguardo si è infatti ripetutamente pronunciata in senso affermativo la giurisprudenza di legittimità già negli anni ’80 (cfr. Cass. n. 3450/1984Cass. n. 402/1985), fondando un orientamento interpretativo ormai consolidato che riconosce il diritto del promissario acquirente a rifiutare la stipula del contratto definitivo e a sospendere il pagamento del prezzo quando, in relazione al bene promesso in vendita, sussista il pericolo attuale e concreto di evizione da parte di terzi e fino a quando non venga eliminato tale pericolo -salvo che il promittente venditore presti idonea garanzia- (cfr. Cass. n.24340/2011Cass. 8002/2012Cass. n.3390/2016Cass. n.31314/2019Cass. n.32694/2019).

La giurisprudenza di legittimità ha costantemente sottolineato l’importanza della sussistenza dei presupposti oggettivi necessari per l’operatività della sospensione riconosciuta dall’art.1481 c.c., ribadendo ripetutamente che il pericolo di evizione deve essere effettivo, e non meramente presuntivo o putativo, e che esso non si può quindi risolvere in un mero timore soggettivo che l’evizione possa verificarsi; di conseguenza “anche quando si abbia conoscenza che la cosa appartenga ad altri, occorre che emerga da elementi oggettivi o comunque da indizi concreti che” il terzo che si afferma proprietario “abbia intenzione di rivendicare, in modo non apparentemente infondato, la cosa” (così Cass. n.32694/2019; l’importanza del sussistere dei presupposti oggettivi di operatività dell’art.1481 c.c. è stata del resto da sempre evidenziata, poiché già nella sentenza di questa Corte n.2141/1994 si sottolineava, in motivazione, in un’ipotesi in cui il bene compravenduto proveniva da donazione -con richiamo a pronunce ancora precedenti- che “Non basta … nemmeno sapere che la cosa appartenga ad altri, potendo ciò darsi luogo ad una presunzione di futura revindica, ma occorre che da elementi oggettivi o comunque da indizi concreti emerga che il vero proprietario abbia intenzione di rivendicare, in modo non apparentemente infondato, la cosa. In definitiva, il presupposto che abilita l’acquirente a sospendere il pagamento o a pretendere idonea garanzia è l’esistenza di un terzo, la cui pretesa si abbia ragionevole timore non essere infondata, che metta in discussione il diritto dominicale del venditore (v. cass. 13.4.85 n. 2463, cass.6.4.87 n. 3323). Orbene, il semplice fatto che un bene immobile provenga da donazione e possa essere teoricamente oggetto di una futura azione di riduzione per lesione di legittima esclude di per sè che esita un pericolo effettivo di revindica e che il compratore possa sospendere il pagamento o pretendere la prestazione di una garanzia. Non si è in tal caso nemmeno verificato il presupposto per l’azione restitutoria ex art. 582 c.c., e che cioè, vi sia un erede che, ritenendo lesa la legittima in conseguenza della donazione, abbia esercitato l’azione di riduzione e manifestato l’intenzione di proporre, per la probabilità della vana escussione dei beni del donatario, anche l’azione di restituzione nei confronti degli aventi causa del donatario)”; nello stesso, in ipotesi di bene compravenduto proveniente da donazione, si è espressa di recente Cass. n.8571/2019).

Se si esamina ora la pronuncia impugnata alla luce delle indicazioni esposte si deve ritenere che la Corte d’Appello di Firenze abbia considerato sussistente il pericolo di evizione parziale relativamente al “resede tergale”, facente parte dell’area esterna compresa nel compendio immobiliare promesso in vendita dai ricorrenti, senza tenere conto che il contratto in relazione al quale è stata fatta valere l’evizione parziale è un contratto preliminare e senza dare conto dell’esistenza di tutti i presupposti oggettivi richiesti per l’operatività dell’art.1481 c.c. in relazione alla specifica fattispecie negoziale sub iudice.

Rispetto ad un contratto preliminare il ricorso al disposto dell’art.1481 c.c. permette la sospensione dell’obbligazione di contrarre il contratto definitivo e del pagamento del prezzo (ove siano previsti pagamenti in acconto prima e in vista della stipula del definitivo), ferma restando la possibilità che prima della stipula la parte promittente venditrice trovi una soluzione alla questione e/o offra idonea garanzia: è questa la forma di tutela riconosciuta al promissario acquirente per l’ipotesi di pericolo di evizione.

Ne consegue che la richiesta del promissario acquirente di “regolarizzazione” della situazione con il terzo potenzialmente rivendicante entro un dato termine, rivolta al promittente venditore, si pone al di fuori dell’operatività propria della norma in esame ove sia finalizzata a costituire il presupposto dell’eventuale scioglimento del vincolo, attraverso il recesso o la risoluzione, perchè sposta la valutazione del comportamento delle parti dal rischio di evizione nell’ambito della considerazione degli adempimenti a carico di ognuna di esse e delle conseguenze della loro violazione.

Dalla sospensione dell’obbligazione di contrarre il contratto definitivo in capo al promissario acquirente deriva cioè da una parte l’impossibilità per il promittente venditore di far valere nei suoi confronti l’obbligo a contrarre e, dall’altra, la necessità che il pericolo di evizione sia “neutralizzato” prima della stipula del contratto definitivo, a nulla valendo per l’operatività della disposizione in esame l’imposizione unilaterale di termini intermedi (potenzialmente rilevanti nell’ambito proprio dell’adempimento contrattuale).

L’esistenza del pericolo di evizione unitamente alle iniziative della parte promissaria acquirente per la sollecita definizione del rischio evidenziato e della sua incidenza sull’oggetto promesso in vendita, con indicazione di un termine entro cui la parte promittente venditrice avrebbe dovuto operare, riguardano più propriamente il profilo di sussistenza dei presupposti per l’esercizio del recesso, ex art.1385 c.c., primo tra tutti l’inadempimento della controparte, presupposti che debbono essere esaminati con l’utilizzo degli stessi criteri -in particolare quanto a gravità e proporzionalità- previsti dagli art.1453 e 1455 c.c. -così già Cass. n.398/1989, secondo cui “La disciplina dettata dal secondo comma dell’art. 1385 cod. civ., in tema di recesso per inadempimento nell’ipotesi in cui sia stata prestata una caparra confirmatoria, non deroga affatto alla disciplina generale della risoluzione per inadempimento, consentendo il recesso di una parte solo quando l’inadempimento della controparte sia colpevole e di non scarsa importanza in relazione all’interesse dell’altro contraente. Pertanto nell’ indagine sull’inadempienza contrattuale da compiersi al fine di stabilire se ed a chi spetti il diritto di recesso, i criteri da adottarsi sono quegli stessi che si debbono seguire nel caso di controversia su reciproche istanze di risoluzione, nel senso che occorre in ogni caso una valutazione comparativa del comportamento di entrambi i contraenti in relazione al contratto, in modo da stabilire quale di essi abbia fatto venir meno, con il proprio comportamento, l’interesse dell’altro al mantenimento del negozio. (V 4011/84, mass n 435931; (V 4011/84, mass n 435982; ( Conf 4451/85, mass n 441912)”; (le pronunce successive sono conformi: cfr., tra le altre, Cass. n.409/2012Cass. n.12549/2019Cass. n.21206/2019Cass. n.21209/2019).

La Corte di merito ha valorizzato: il contenuto della corrispondenza intervenuta tra le parti, in particolare la missiva della promissaria acquirente alla parte promittente venditrice del 7.7.2007, con la quale si invitava la controparte a rendere gli immobili conformi a quanto pattuito entro 15 giorni, e la missiva di risposta dei promittenti venditori che, in data 28.7.2007, davano disponibilità alla verifica in contraddittorio dei confini senza esplicitare di aver eliminato ogni problematica di eventuali evizioni, “facendo chiarezza sull’oggetto del contratto”; le dichiarazioni testimoniali di A. S., di conferma di una preesistente “invasione”, che si recò sul posto con l’impresa che avrebbe dovuto fare i lavori di riposizionamento del confine ma che non avrebbe dato indicazioni univoche sull’effettuazione dell’intervento nel giugno 2007; le dichiarazioni del teste L.B., che aveva riscontrato lo spostamento del fossetto che delimitava i confini ma non sapeva datarlo; il conseguente “difetto di prova dell’adempimento dei C.-F. all’obbligazione di dar certezza all’oggetto del contratto, come richiesto da controparte, prima della volontà di recedere manifestata dalla medesima”, oltre che il difetto di prova della comunicazione della effettuata riconfinazione alla promissaria acquirente prima del recesso con la lettera del 5.9.2007, “a distanza di due mesi” dalla missiva “con la quale aveva dato termine per regolarizzare la situazione lasciando comunque aperto (“ove la situazione non cambi”) un diverso esito della vicenda tutta”.

In sostanza, la Corte d’Appello di Firenze ha considerato esistente e rilevante il rischio di evizione parziale del “resede tergale” ma lo ha valorizzato non ai fini della sospensione dell’adempimento delle obbligazioni a carico di L. C. in base al contratto preliminare di compravendita del 20.2.2007 bensì per ritenere giustificato, sulla sua sola base, il recesso dal contratto operato dalla stessa promissaria acquirente.

Dalla motivazione della sentenza impugnata non emerge però alcun cenno e alcuna giustificazione in ordine al ricorrere in concreto dei presupposti oggettivi richiesti dall’art.1481 c.c. perché sia integrato effettivamente il rischio di evizione parziale: nulla è detto infatti in ordine alla sussistenza di un reale pericolo di rivendica del resede sul retro del fabbricato oggetto di compravendita da parte del vicino confinante, sull’effettività di detto pericolo che non può rinvenirsi nel mero timore o in una presunzione non grave e non circostanziata della promissaria acquirente, e sulla sua gravità, serietà e concretezza tale da rendere quantomeno verosimile l’esistenza di un diritto altrui sul bene. Al contrario emerge, in fatto, dalla sentenza che vi sarebbe stata disponibilità del vicino a dirimere la questione e che un accordo di riconfinamento, con arretramento del confine da parte del vicino, fu effettivamente raggiunto con la collaborazione dello stesso, elementi che la Corte di merito non ha inteso valorizzare sul presupposto che non sarebbe stata raggiunta la prova della loro preesistenza rispetto all’esercizio del recesso da parte della promissaria acquirente: ma se la giustificazione del recesso era da rinvenire in una pretesa rivendicazione da parte del vicino N., la valutazione di serietà del relativo pericolo, secondo gli indici oggettivi richiamati, avrebbe dovuto essere comunque operata.

Totalmente assente è pure la valutazione in ordine all’esistenza e gravità dell’inadempimento dei promittenti venditori e della proporzionalità della risposta costituita dal recesso, anche in relazione all’incidenza del resede (o meglio della porzione di esso che si assume a rischio di evizione) rispetto all’immobile promesso in vendita complessivamente considerato -tenuto conto dell’interesse delle parti e del rapporto sinallagmatico tra le prestazioni-, tutti presupposti da valutare specificamente ai sensi degli art.1453-1455 c.c., sui quali la Corte di merito non spende una parola ritenendoli sostanzialmente insiti nel solo permanere del pericolo di evizione, desunto dal fatto che non si fosse fatta “chiarezza sull’oggetto del contratto” nel termine indicato dalla promissaria acquirente e comunque che nulla fosse stato ad ella comunicato sulla raggiunta regolarizzazione prima dell’esercizio del recesso.

Sussistono pertanto le violazioni di legge lamentate dai ricorrenti in relazione sia all’art.1481 c.c., sia agli art.1453-1455 c.c., norme di riferimento anche per la valutazione dei presupposti del recesso ex art.1385 c.c.

Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano “Omessa motivazione su un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art.360 co 1 n.5 c.p.c.”.

La Corte di merito avrebbe totalmente omesso la valutazione delle dichiarazioni testimoniali del geom. A. S. e di L. B., invece determinanti: il primo teste avrebbe infatti risposto alla domanda se “il sig. N.”, il vicino, avesse arretrato il 23.6.2010 “la sua proprietà restituendo ai convenuti la piccola porzione di terreno di cui si era impossessato”, affermando “Sì, è vero, io andai con l’impresa che doveva eseguire il lavoro. Preciso che la data era il 23.6.07 e non il 2010”; il secondo teste non solo avrebbe confermato la circostanza come riferitagli da S., pur senza ricordare se i lavori di arretramento del confine avvennero proprio il 23.6.2007 o se quel giorno vi fu un sopralluogo, ma avrebbe riferito di aver visto l’effettivo spostamento del fossetto che delimitava il confine; emergerebbe comunque, quindi, che il confine fu effettivamente arretrato, secondo i desiderata della promissaria acquirente, con conseguente esclusione del pericolo di evizione.

Questo motivo, che riguarda la valutazione delle emergenze istruttorie, rimane assorbito dall’accoglimento dei primi due motivi.

Alla luce delle considerazioni che precedono, accolti il primo e il secondo motivo di ricorso per quanto di ragione e assorbito il terzo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze perché rivaluti la controversia alla luce dei principi di diritto già ripetutamente espressi da questa Corte, che sono i seguenti: -il pericolo di evizione, anche parziale, disciplinato dall’art.1481 c.c., che permette la sospensione del pagamento del prezzo e, in ipotesi di contratto preliminare di compravendita, la sospensione dell’obbligazione di stipulare il contratto definitivo, deve essere effettivo e non meramente presuntivo o putativo, e non si può quindi risolvere in un mero timore soggettivo che l’evizione possa verificarsi; di conseguenza anche quando si abbia conoscenza che la cosa appartenga ad altri, occorre che emerga da elementi oggettivi o comunque da indizi concreti che il terzo che si afferma proprietario abbia intenzione di rivendicare, in modo non apparentemente infondato, la cosa; -nel contratto preliminare di compravendita l’esercizio del recesso ex art.1385 c.c. non può essere giustificato dal solo pericolo di evizione, per il quale esiste il rimedio disciplinato dall’art.1481 c.c., ma ne debbono essere comunque verificati i presupposti di operatività secondo i criteri dettati dagli art.1453-1455 c.c., quanto ad esistenza, gravità e proporzionalità in relazione all’inadempimento ascritto alla controparte.

Il giudice di rinvio provvederà altresì alla regolazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.

Cass. civ., II, ord., 25.07.2025, n. 21254

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