*Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Affidamento ex art. 115, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, della concessione del servizio di gestione e valorizzazione di un Parco Archeologico e natura giuridica del PEF

*Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Affidamento ex art. 115, d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, della concessione del servizio di gestione e valorizzazione di un Parco Archeologico e natura giuridica del PEF

Con il primo motivo di appello la sentenza impugnata viene contestata nella parte in cui ha respinto il primo motivo di ricorso introduttivo, con il quale era stata dedotta l’insufficienza ed inadeguatezza – ai sensi della legge di gara – del PEF prodotto in offerta dalla cooperativa Paleotour; ciò in quanto il concorrente avrebbe dovuto ivi indicare e sviluppare analiticamente tutte le componenti economiche e finanziarie che ne avrebbero caratterizzata (per il futuro) la gestione.

Il piano economico-finanziario dell’aggiudicataria non recherebbe invece alcuna disamina analitica delle componenti di gestione, limitandosi ad una mera indicazione sintetica del tasso di incremento, senza alcuna specificazione delle relative componenti; per contro, deduce l’appellante, il PEF presentato dall’ATI Promakos conterrebbe un vero e proprio “Piano economico storico 2018, 2019, 2022 e previsionale 2024/2030” della gestione del Parco Archeologico Nuraghe Losa, con l’indicazione analitica delle singole voci, sia con riguardo al pregresso, sia con riferimento alla futura gestione: solamente il PEF di Promakos, a differenza di quello di Paleotour, consentirebbe pertanto alla stazione appaltante di ricavare la “sostenibilità complessiva dell’offerta tecnico-economica”, così come richiesto dalla lex specialis.

Tali rilievi non sarebbero superabili dalla considerazione – riportata in sentenza – secondo cui il PEF di Paleotour sarebbe conforme all’allegato E) del bando di gara: quest’ultimo, infatti, ai sensi del par. 15.1 (“Contenuto della Busta C – Offerta Economica”) del medesimo bando dovrebbe considerarsi un mero canovaccio, da integrare (e completare) con l’indicazione analitica delle componenti economiche e finanziarie caratterizzanti la futura gestione.

Ciò troverebbe altresì conferma nell’art. 7, punto a) del disciplinare, il quale evidenzierebbe che le stime riportate nel modello redatto dall’amministrazione “hanno il solo ed esclusivo fine di determinare il valore della presente procedura: essi non potranno, quindi, costituire in nessun modo i livelli minimi di redditività del servizio in questione; redditività che dovrà essere attentamente valutata dall’operatore economico partecipante”.

Dal momento che tale operazione non sarebbe stata compiuta dall’aggiudicataria, dovrebbe concludersi che il PEF allegato all’offerta Paleotour sarebbe inidoneo allo scopo “e quindi, in sostanza, inesistente”, essendo carente della “disamina analitica delle componenti economiche e finanziare che caratterizzeranno la gestione” richiesta, a pena di esclusione, dal bando di gara; il detto documento, in particolare, mancherebbe di alcuni elementi essenziali quali i) l’indicazione dei costi, sia in termini complessivi che di dettaglio, nel periodo di durata della concessione; ii) l’individuazione delle entrate per ciascun servizio, indicando un importo complessivo mediante l’apodittico parametro di incremento annuale del 7%; iii) la valutazione dell’impatto fiscale da considerare nella valutazione della effettiva sostenibilità dell’offerta.

Ancora, erroneamente il primo giudice avrebbe ritenuto irrilevante la circostanza dedotta dalla ricorrente, secondo cui nel PEF dell’aggiudicataria erano stati indicati i risultati della pregressa gestione per gli anni 2020-2022, invece che per gli anni 2018, 2019 e 2022, come richiesto nell’allegato E) alla lex specialis: tali annualità, infatti, non avrebbero dovuto essere considerate in quanto non rappresentative, poiché caratterizzate dall’azzeramento dei flussi turistici conseguente alla pandemia da Covid-19.

Il motivo non può essere accolto.

Va preliminarmente ricordato che, per costante orientamento giurisprudenziale, “le valutazioni circa la sostenibilità del PEF e dell’offerta rientrano in un ambito di valutazione tecnica riservato all’amministrazione concedente, tendenzialmente insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che nelle ipotesi di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza” (ex multis, Cons. Stato, V, 30 gennaio 2023, n. 1042).

In particolare, va ribadito che la funzione assunta dal piano economico finanziario nelle concessioni di lavori e di servizi (quale è il casi in esame), in ragione della previsione dell’art. 3, comma primo, lettere uu) e vv) del d.lgs. n. 50 del 2016 (per cui la concessione è un contratto a titolo oneroso che ha per oggetto l’affidamento, da parte della stazione appaltante, della esecuzione di lavori o della fornitura e gestione di servizi in cui il concessionario ricava il corrispettivo ad esso spettante per l’esecuzione del contratto esercitando il diritto a gestire le opere o i servizi e a trattenere i ricavi della gestione, assumendosi i rischi connessi a tale gestione), consiste nel garantire l’equilibrio economico e finanziario dell’iniziativa (ossia la “contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e sostenibilità finanziaria”) attraverso la “corretta allocazione dei rischi” (ex art. 165, comma 2, d.lgs. n. 50 del 2016) – allocazione che può eventualmente essere temperata da un intervento finanziario posto a carico dell’amministrazione concedente – lungo tutto l’arco temporale della gestione.

Come noto, la concessione sia di lavori pubblici che di servizi, si caratterizza per un dato: la remunerazione degli investimenti compiuti dall’operatore economico privato e delle prestazioni rese nell’esecuzione della concessione è costituita dal diritto di gestire funzionalmente ed economicamente il servizio (o i servizi) erogati attraverso le opere pubbliche realizzate. Il che significa, come emerge agevolmente dalla lettura sia delle definizioni di cui all’art. 3, comma 1, lett. cit. [si vedano anche le lettere zz), aaa), bbb) e ccc) – nelle quali è scolpita la definizione delle diverse tipologie di rischi trasferiti in capo al concessionario] – sia dell’art. 165 del d.lgs. n. 50 del 2016, che i servizi in questione debbono avere una chiara natura imprenditoriale, nel senso che si rivolgono ad un mercato composto da una pluralità di utenti che ne domandano le prestazioni.

Il rischio assunto dal concessionario si valuta proprio intorno alla aleatorietà della domanda di prestazioni, poiché l’errore di valutazione del livello di domanda attendibile evidentemente condiziona la remuneratività dell’investimento e misura la validità imprenditoriale dell’iniziativa economica.

Si tratta, come noto, di una tipologia di rischio imprenditoriale diversa da quella riscontrabile nel contratto di appalto (di lavori, servizi o forniture), proprio perché entra in giuoco un elemento imponderabile (cioè la domanda di prestazioni per quel servizio pubblico, non determinabile a priori); elemento che nell’appalto non compare.

Se dunque la concessione si qualifica per il trasferimento del rischio operativo dal concedente al concessionario, il PEF è lo strumento mediante il quale si attua la concreta distribuzione del rischio tra le parti del rapporto, la cui adeguatezza e sostenibilità deve essere valutata dall’amministrazione concedente alla luce delle discipline tecniche ed economiche applicabili e sulla base delle eventuali prescrizioni che la stessa amministrazione ha dettato con la lex specialis della procedura per la selezione del concessionario.

Controllo che non si svolge secondo gli schemi propri del giudizio di anomalia dell’offerta nelle procedure d’appalto, il cui oggetto è comunque circoscritto sia per la (di regola) limitata durata nel tempo dell’affidamento, sia per l’assenza di uno specifico rischio operativo e della domanda in capo all’appaltatore: l’assunzione del rischio imprenditoriale da parte del concessionario, nonché i limiti entro i quali tale assunzione è ammissibile e non compromette il proficuo svolgimento dell’attività affidata al terzo [la convenienza economica e la sostenibilità finanziaria: art. 3, comma 1, lett. fff)], rappresentano dunque l’oggetto delle valutazioni riservate all’amministrazione concedente.

Tale ricostruzione riprende gli orientamenti più recenti (cfr. Cons. Stato, V, 4 febbraio 2022, n. 795, ed ivi ulteriori precedenti conformi) che sottolineano come la funzione del PEF sia quella di dimostrare la concreta capacità dell’operatore economico di eseguire correttamente le prestazioni per l’intero arco temporale prescelto, attraverso la prospettazione di un equilibrio economico e finanziario di investimenti e connessa gestione che consenta all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della concessione (cfr. anche Cons. Stato, V, 26 settembre 2013, n. 4760). In altri termini, il PEF è un documento che giustifica la sostenibilità dell’offerta, quale dimostrazione che l’impresa è in condizione di trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività (Cons. Stato, V, 10 febbraio 2010, n. 653).

Ciò premesso, non è dato evincere, alla luce dei rilievi esposti dall’appellante, quei profili di manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza della valutazione compiuta dalla stazione appaltante, che soli giustificano l’intervento demolitorio del giudice amministrativo. Anzi, ad essere rigorosi, le censure dedotte da Promakos non tanto investono (come sarebbe stato corretto) le valutazioni della Commissione di gara in ordine alla sostenibilità dell’offerta, quanto piuttosto il contenuto dei documenti prodotti dalla controinteressata poi risultata aggiudicataria.

Quanto poi – nello specifico – alla presunta inadeguatezza del PEF per mancanza di indicazioni analitiche delle singole voci di entrata e spesa, correttamente il primo giudice ha dato atto di come tale documento comunque contenesse “la compilazione di tutte le voci previste nel modello redatto

dall’Amministrazione a base di gara, esprimendo una disamina semplice ma esaustiva delle (limitate) variabili incidenti sull’andamento economico dell’attività in discussione: da una parte i costi (del personale, delle manutenzioni e riparazioni, dell’energia elettrica, delle assicurazioni, consulenze, investimenti e simili) dall’altra parte i ricavi (da contributi pubblici, dal fatturato della biglietteria ovvero dell’offerta di beni e servizi). Alla luce della differenza tra attivo e passivo, il PEF della controinteressata evidenzia l’equilibrio economico finanziario e i risultati attivi di gestione, indicando anche l’incremento medio del triennio nella percentuale del 7,05%”.

Dunque, a fronte della rappresentazione, per l’intera durata dell’affidamento, delle componenti economiche e finanziarie rappresentate dai costi (per il personale, le manutenzioni e riparazioni, l’energia elettrica, nonché assicurazioni, consulenze, investimenti, etc.) e dai ricavi (tra cui i contributi pubblici, i proventi dalla biglietteria, eventuali eventi, nonché proventi da vendita di beni e servizi di somministrazione, etc.), era ben possibile per la stazione appaltante valutare l’equilibrio economico finanziario e la rimuneratività della gestione e del servizio (laddove, a fronte di un contributo regionale annuo di circa euro 210.000, il PEF indicava un prudenziale incremento medio annuo del 7,05% del fatturato). Non è per contro dato individuare – né parte appellante ne dà obiettivamente conto – delle macroscopiche carenze, di per sé idonee ad impedire alla Commissione di gara di valutare l’offerta risultata aggiudicataria.

Quanto poi alla censura relativa all’indicazione dei risultati della gestione nel periodo 2020-2022 in luogo degli anni 2018, 2019 e 2022 (dunque, con esclusione del 2020 e del 2021), come invece prescritto nell’Allegato E) al bando di gara, va detto – da un lato – come la violazione di tale prescrizione non fosse sanzionata con l’esclusione dell’offerta, laddove – dall’altro – l’appellante non individua specifiche ragioni per le quali, in concreto, i dati riportati abbiano in ipotesi determinato l’inaffidabilità del PEF in relazione alle finalità dallo stesso assolte.

Infine, circa la dedotta discordanza tra i dati di comparazione riportati nell’offerta di Paleotour e quelli di cui all’allegato E) del Bando, relativamente all’anno 2022, parte appellante contesta la conclusione raggiunta dal primo giudice, secondo cui la differenza tra i dati dalla prima riportati e quelli indicati dalla stazione appaltante sarebbe esclusivamente riconducibile all’omessa indicazione dell’IVA al 22% sul contributo regionale, rilevando come la sentenza non abbia neppure riscontrato, mediante “un mero calcolo matematico e tenuto conto delle allegazioni delle parti, nonché dei documenti versati in causa, il fondamento della difesa della controinteressata”.

Ora, premesso che non viene contestato che Paleotour abbia esposto nel PEF i dati contabili di gestione come risultanti dal suo bilancio consuntivo dell’anno 2022, va comunque rilevato come il richiamato allegato E) del bando, lungi dal costituire un documento vincolante nella redazione dell’offerta, deve essere più ragionevolmente qualificato come un “fac-simile” esemplificativo redatto come giuda per la compilazione delle domande di partecipazione: in ragione di ciò non rileva – ai fini espulsivi dalla gara – l’eventuale incongruenza tra queste ultime ed il primo.

Con il secondo motivo di appello, Promakos s.c.a.r.l. lamenta l’erronea applicazione – ad opera della stazione appaltante prima e del TAR della Sardegna poi – della clausola di cui al par. 16.1 del bando (“criteri di attribuzione dei punteggi”), con conseguente assegnazione alla Paleotur del maggiore punteggio di 4,28 invece che 2,48 e conseguente (illegittima) aggiudicazione alla stessa della gara.

Deduce l’appellante che dalla previsione della lex specialis doveva desumersi la centralità del dato afferente al “rialzo”, da utilizzarsi nel calcolo di cui alla detta formula; in particolare, la clausola del bando sub 16.1, riguardo alla “Offerta economica”, avrebbe chiarito che il punteggio doveva attribuirsi “a crescere in rapporto all’entità del rialzo offerto da ciascun operatore economico”, all’uopo precisando che “La Commissione assegnerà il punteggio massimo all’offerta che presenta il rialzo più elevato”.

Per l’effetto, rileva Promakos, la formula in questione, laddove richiama la “proposta” non poteva che riferirsi al rialzo, unico elemento variabile e quindi rilevante ai fini del calcolo. Non avrebbe invece potuto attribuirsi alcuna valenza alla base d’asta, in quanto determinata in misura fissa.

Secondo il primo giudice, invece, il richiamo di cui al par. 15.5 del bando al “canone annuale offerto” farebbe riferimento all’offerta economica nel suo complesso; inoltre, poiché la gara doveva aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo, quest’ultimo elemento avrebbe senz’altro indicato l’importo complessivo dell’offerta economica e non la sola percentuale di rialzo.

Infine, le espressioni “Proposta considerata” e “Proposta più conveniente”, riportate nella stessa formula di calcolo, avrebbero indicato l’importo complessivo dell’offerta e non già la mera percentuale di rialzo.

A tali considerazioni obietta l’appellante che il riferimento del par. 15.5 del bando al canone annuale offerto sarebbe irrilevante ai fini su cui si verte, posto che la formula in questione troverebbe la sua sede esclusiva nella clausola di cui al successivo par. 16.1, nella quale viene indicato quale elemento determinante il solo “rialzo”.

Parimenti irrilevante sarebbe l’argomento secondo cui, stante il criterio di aggiudicazione (offerta economicamente più vantaggiosa), l’elemento “prezzo” indicherebbe univocamente l’importo complessivo dell’offerta economica, anche in tal caso non potendosi eludere la circostanza che, per espressa indicazione della lex specialis di gara (il già richiamato par. 16.1 del bando) il criterio di calcolo del punteggio dell’offerta economica espressamente fa riferimento al solo “rialzo”.

Quanto, infine, al terzo argomento secondo cui il termine “proposta” indicherebbe l’importo totale dell’offerta e non il semplice rialzo, evidenzia l’appellante che la proposta (migliorativa) non poteva certo riferirsi alla parte fissa della base di gara, in quanto non suscettibile di alcuna modifica (sul presupposto che l’elemento che valorizza l’offerta è la differenza rispetto alla base d’asta, per cui maggiore è lo scostamento, maggiore dovrà essere il punteggio assegnato per tale elemento).

Nel caso in esame, la legge di gara non lasciava spazio al minimo dubbio, posto che il riferimento al “rialzo più elevato” cui doveva essere attribuito il punteggio massimo, nonché il necessario rapporto del punteggio con la “entità del rialzo offerto da ciascun operatore economico” non consentivano diverse interpretazioni sul punto.

Neppure questo motivo può essere accolto.

L’argomento dedotto dall’appellante, in buona sostanza, si traduce nel sostenere che, ai sensi della legge di gara, la formula matematica individuata nel par. 16 del bando per individuare il punteggio da assegnare alle offerte terrebbe conto esclusivamente del rialzo offerto e non già delle caratteristiche complessive dell’offerta.

Tale argomento non trova però testuale riscontro nelle previsioni della lex specialis.

Ai sensi del par. 15.5 del bando, “La busta “C – Offerta economica” contiene, a pena di esclusione, l’OFFERTA ECONOMICA, predisposta preferibilmente secondo l’Allegato 9 al presente Bando.

L’offerta economica è firmata secondo le modalità di cui al decreto legislativo n. 82/2005, deve indicare, a pena di esclusione, il canone annuale offerto per la concessione, espresso in cifre e lettere, superiore ad € 6.000,00 (seimilaeuro/00) annuali posto a base di gara.

Sono ammesse solo ed esclusivamente, pena l’esclusione, offerte in aumento. In caso di discordanza tra quanto riportato in cifre e quanto riportato in lettere, verrà considerato quanto indicato in lettere.

Nella Busta C – Offerta Economica dovrà essere allegato, a pena di esclusione, il Piano Economico finanziario contenente una disamina analitica delle componenti economiche e finanziare che caratterizzeranno la gestione: da tale PEF dovrà ricavarsi la sostenibilità complessiva dell’offerta tecnico-economica.

Il PEF, a pena di esclusione, dovrà essere sottoscritto dall’operatore economico secondo le già ricordate modalità digitali”.

Ai sensi del successivo par. 16, “L’appalto è aggiudicato in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo e sulla base dei criteri di seguito specificati […]”: come correttamente evidenziato dall’appellata Paleotours, l’espresso riferimento al generale concetto di “prezzo” (e non già al più specifico componente dell’offerta del “rialzo”) va logicamente riferito al complessivo “canone annuo offerto” dai partecipanti alla gara, anziché alla sola percentuale di rialzo indicato.

Ciò del resto è coerente con la circostanza che l’aggiudicazione sarebbe stata disposta in base al criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (individuata appunto sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo), ossia un criterio non fondato su un riscontro meramente quantitativo (come sarebbe appunto quello legato al semplice rialzo, reclamato dall’appellante), bensì sulla valutazione – oltre che della componente economica del prezzo – di ulteriori elementi qualitativi, come indicato dall’art. 95 del d.lgs. n. 50 del 2016.

Alla luce di tali premesse, il par. 16.1 del bando prescrive, quanto ai criteri per l’attribuzione dei punteggi, che “La determinazione del punteggio relativo all’offerta tecnica avverrà utilizzando il metodo aggregativo-compensatore, Pi = Σn [Wi * V(a)i] dove:

Pi è l’indice di valutazione della generica offerta denominata “a”, corrispondente al punteggio in graduatoria;

n è il numero dei criteri da valutare (vedi tabella A);

Wi è il peso attribuito al criterio “i”, come indicato nella tabella di cui sopra;

V(a)i è il coefficiente “i-esimo”, e quindi relativo al criterio “i”, attribuito all’offerta “a”; esso

è un numero compreso nell’intervallo [0 ; 1] ed è approssimato fino alla seconda cifra decimale.

Σ è la sommatoria.

In dettaglio, per singola offerta e per ciascun elemento individuato, la commissione attribuirà un valore compreso tra 0 e 1 utilizzando la seguente scala di valutazione: […]”.

E quindi, per l’attribuzione del punteggio all’offerta economica (questione su cui attualmente si verte), la lex specialis così infine prevede: “La valutazione dell’offerta verrà realizzata attribuendo un conteggio a crescere in rapporto all’entità del rialzo offerto a ciascun operatore economico, secondo la seguente formula”: proposta considerata / proposta più conveniente, il tutto moltiplicato per 10. Sulla scorta di tali premesse, “La Commissione assegnerà il punteggio massimo all’offerta che presenta il rialzo più elevato”.

Il bando fa quindi solamente riferimento, ai fini della determinazione del punteggio, alla:

– “proposta considerata”, ossia l’intero canone annuo complessivo offerto dal singolo concorrente (comprensivo del canone base e dell’aumento offerto), non già alla (sola) misura del rialzo;

– “proposta più conveniente”, data parimenti dal canone annuo complessivo offerto dal migliore

offerente, e non solo dalla misura del rialzo.

Non vi sono dunque prescrizioni testuali della lex specialis che consentano di limitare alla sola misura del rialzo, la “proposta considerata” che, correttamente, tiene conto del canone annuo

complessivo che il Comune verrebbe ad incamerare in ragione dello svolgimento del servizio, sul punto dovendo pertanto trovare conferma quanto statuito dalla sentenza appellata.

Alla luce dei rilievi che precedono, l’appello va dunque respinto. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

CONSIGLIO DI STATO, V – sentenza 28.08.2025 n. 7127

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