1. Preliminarmente devono essere respinte le questioni sollevate in via pregiudiziale dalla controinteressata e dal Comune resistente.
2. Con riferimento all’eccezione di inammissibilità del gravame per la violazione dell’art. 40 c.p.a., va rilevato che il ricorso, seppure sinteticamente, articola le ragioni di illegittimità degli atti impugnati, avendo argomentato sulla qualificazione dell’affidamento, sulle conseguenze derivanti dall’inquadramento di esso nell’ambito della concessione e non dell’appalto, ed avendo altresì specificato i parametri normativi violati. Non sussiste, pertanto, alcuna violazione del diritto di difesa, avendo le parti articolato le proprie ragioni mediante le puntuali argomentazioni contenute nelle memorie depositate.
3. Nemmeno può condividersi la tesi, sostenuta dall’Amministrazione resistente, della rinvenibilità, nella fattispecie, di un caso di abuso del processo, argomentata sul rilievo che la manifestazione di interesse della ricorrente alla gestione degli impianti celerebbe in realtà un’offerta simulata, avente unicamente intenti emulativi.
4. Secondo la giurisprudenza, l’abuso del processo si configura quando un potere processuale viene esercitato per finalità o con modalità difformi da quelle tipiche, in assenza di un interesse giuridicamente rilevante e con pregiudizio per la controparte.
L’ipotesi è estranea alla vicenda in esame, in quanto:
(i) la pretesa azionata nel presente giudizio è stata attivata nel perseguimento della sua finalità tipica, ossia per ottenere l’annullamento di un provvedimento reputato illegittimo e ritenuto ingiustamente lesivo degli interessi della società a partecipare ad una procedura aperta/negoziata per la gestione degli impianti sciistici, nel rispetto del principio di concorrenza;
(ii) l’introduzione del giudizio risponde, pertanto, ad un interesse giuridicamente rilevante della ricorrente ad ottenere l’affidamento della gestione di beni e servizi rientrante nel proprio oggetto sociale (cfr. doc. 13, pag. 4 ric.);
(iii) tale interesse non viene meno solo perché la Sviluppo Monte Poieto ha deciso di non aprire gli impianti sciistici per la stagione invernale 2023-2024: trattasi, infatti, di una diversa annualità di svolgimento del rapporto rispetto a quella oggetto di controversia, ascrivibile a ragioni economico-imprenditoriali riconducibili a rivendicazioni della ricorrente nei confronti dell’Amministrazione comunale, che tuttavia non costituiscono oggetto del giudizio e che non sono sindacabili in questa sede. D’altra parte, non risulta che il Comune di Carona abbia contestato tale decisione prima della proposizione del ricorso in esame, facendo valere le proprie pretese -anche eventualmente di natura risarcitoria- nei confronti della odierna ricorrente;
(iv) non assume carattere emulativo la circostanza che Sviluppo Monte Poieto abbia subordinato l’offerta formulata con la pec del 27.10.2024 alla preventiva verifica tecnica degli impianti, sebbene detenuti dalla medesima società sino al luglio 2024, prima della loro cessione al Comune di Carona: la condizione apposta alla proposta appare del tutto legittima e affatto irragionevole, in quanto evidentemente finalizzata a verificare le condizioni di sicurezza degli impianti onde poterne assumere consapevolmente la gestione, ben potendo lo stato degli stessi essersi modificato dal momento della loro cessione;
(v) né la pretesa azionata in giudizio, la quale sottende l’interesse a conseguire la gestione degli impianti sciistici per la stagione 2024-2025, appare sintomo di un comportamento opportunistico o contraddittorio, idoneo a far venir meno l’interesse ad agire, solo perché la ricorrente non ha formulato una proposta ex art. 193 del codice dei contratti pubblici, nell’ambito della successiva procedura di project financing avviata dal Comune nel gennaio 2025. Trattasi infatti di una procedura distinta, avente condizioni economiche e gestionali affatto differenti rispetto a quelle poste alla base dell’odierno affidamento, alla quale la ricorrente del tutto legittimamente poteva non avere interesse a partecipare, rientrando tale determinazione nelle legittime scelte imprenditoriali dell’operatore economico.
5. Infondata è anche l’eccezione con la quale la controinteressata ha contestato la legittimazione della ricorrente, in capo alla quale, a suo dire, difetterebbe un “interesse meritevole di tutela a contestare gli atti impugnati”: ad avviso di Belmont Foppolo, la ricorrente non avrebbe potuto conseguire l’affidamento di cui trattasi, in ragione del disinteresse alla gestione degli impianti manifestato nel corso della precedente annualità.
Al riguardo, si rileva che, in base all’orientamento consolidato della giurisprudenza (cfr. A.P. 7 aprile 2011, n. 4; 25 febbraio 2014, n. 9; 26 aprile 2018, n. 4), nelle controversie in materia di affidamento di contratti pubblici, la legittimazione al ricorso è correlata ad una situazione soggettiva qualificata e differenziata, che l’operatore economico acquista per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione. A tale regola fa eccezione, tra le altre, l’ipotesi del soggetto che, come nel caso di specie, contesta che una gara sia in radice mancata, per essere stato disposto un affidamento diretto. In casi di questo tipo, nei quali il criterio della partecipazione alla procedura è evidentemente inutilizzabile, essendo mancata una procedura ad evidenza pubblica, la legittimazione è intesa in termini più ampi, venendo riconosciuta all’operatore economico “del settore di mercato cui afferisce l’oggetto del contratto” (C.G.A.R.S., 16 febbraio 2021, n. 116).
Dall’esame della visura di Sviluppo Monte Poieto si desume chiaramente la sussistenza della legittimazione al ricorso, atteso che la ricorrente svolge (tra le altre) le attività di “valorizzazione e promozione delle risorse turistico-sportivo del Monte Poieto e delle montagne bergamasche in genere attraverso la costruzione e la gestione degli impianti sportivi e di risalita…”, sicchè si tratta di impresa operante nel settore oggetto dell’affidamento contestato. Non incìde sulla legittimazione il comportamento tenuto dalla ricorrente nella precedente gestione, il quale avrebbe potuto, semmai, essere apprezzato, in base alla lex di gara, ove una gara fosse stata espletata.
6. Non va scrutinata, infine, l’eccezione inerente il difetto di legittimazione della ricorrente ex art. 94 co. 1, lett. b), d.lgs. n. 36/2023, avendo il Comune resistente espressamente rinunciato a farla valere, stante la sua palese infondatezza.
7. Tanto premesso in ordine alle questioni preliminari e passando al merito, il Collegio reputa che il ricorso introduttivo così come il ricorso per motivi aggiunti siano fondati, nei termini appresso precisati.
8. La questione centrale posta all’attenzione del Collegio con i ricorsi attiene alla qualificazione dell’affidamento della gestione del comprensorio sciistico e alla legittimità della scelta dell’amministrazione comunale di procedervi tramite affidamento diretto.
Secondo la società ricorrente verrebbe in rilievo non già un appalto, bensì una concessione, così come definita dall’art. 2, All. l.1, del codice dei contratti pubblici: di conseguenza l’Ente non avrebbe potuto procedere all’affidamento diretto, incorrendo nella violazione degli artt. 27, 85, 176 e seguenti del D. Lgs. n. 36/2023, nonché degli artt. 49 e 147 del D. Lgs. n. 267/2000.
Ad avviso del Comune resistente, e con argomentazioni sovrapponibili, della controinteressata, il rapporto di cui si discute non sarebbe una concessione bensì un contratto attivo, rientrante tra i contratti esclusi dall’applicazione delle disposizioni del Codice, e assoggettato unicamente ai principi generali, tutti rispettati nel caso di specie.
Al riguardo, la ricorrente ha sostenuto che, quand’anche si trattasse di un contratto attivo, sarebbe stato in ogni caso necessario l’espletamento di un procedimento ad evidenza pubblica in applicazione dell’art. 3 r.d. 2440/1923.
9. Al fine di scrutinare le questioni poste con il gravame occorre esaminare il contenuto dell’affidamento risultante dal capitolato d’oneri, riprodotto in termini sostanzialmente analoghi nel contratto stipulato il 17.12.2024.
10. L’art. 1 del capitolato d’oneri – Oggetto dell’affidamento e scelta del contraente- stabilisce che “Il presente Capitolato d’Oneri disciplina gli aspetti tecnici e contrattuali per la gestione degli Impianti di risalita e delle aree e strutture accessorie, del comprensorio sciistico “CARONA-CARISOLE”, in Comune di Carona, come meglio descritti nel presente Capitolato d’Oneri e nel disciplinare di gara. La gestione di cui al presente Capitolato d’Oneri sarà affidata, per il periodo intercorrente dal 1 novembre 2024 al 15 aprile 2025, dall’Amministrazione comunale attraverso le procedure di cui all’art. 50 comma 1 lettera b) del D.Lgs. n. 36/23 mediante affidamento diretto”.
L’oggetto dell’affidamento è poi precisato nell’art. 1 del contratto, consistente nel “servizio di gestione degli impianti di risalita e delle relative aree/strutture” come indicate e con le modalità riportate nel documento “Capitolato d’Oneri” allegato al contratto.
Il capitolato descrive poi, all’art. 2, i beni e le strutture oggetto di affidamento (“beni costituiti dai terreni, dagli impianti e accessori insistenti in Carona, località Carisole, e così meglio descritti: aree agricole e boschive in parte rientranti nel demanio sciabile, catastalmente indentificati al N.C.T. foglio 9, 16, 26, unitamente agli impianti di risalita, gli impianti di innevamento sia di proprietà sia comunque detenuti, i generatori di neve, le reti di sicurezza, gli automezzi e i mezzi d’opera, nonché il contratto di licenza del software denominato Ski Data e le relative apparecchiature, le aree agricole di interesse pubblico in Comune di Carona, gli edifici asserviti agli impianti di risalita, le cabine elettriche. I suddetti terreni risultano allocati in località Carisole, nell’area interessata dagli impianti di risalita e dalle piste da sci…”).
Gli obblighi gravanti sull’affidatario sono stabiliti dal successivo art. 3, il quale prevede obblighi di gestione, consistenti, tra l’altro, nella “manutenzione ordinaria e straordinaria degli Impianti di risalita e delle strutture destinate alla pratica dello sci, degli impianti tecnici e delle attrezzature e automezzi utilizzati per garantirne il corretto funzionamento”, nell’obbligo di sostenere le spese di elettricità e in generale i canoni di utenza, di provvedere “all’apertura al pubblico degli impianti/piste e delle loro pertinenze: a. nel corso della stagione invernale, se le condizioni della neve lo permettono, e per tutta la durata dello affidamento a far funzionare le seggiovie in modo continuativo sia nei giorni feriali che nei festivi garantendo condizioni di buona fruibilità ed altresì si dovrà garantire buona qualità di battitura delle piste, negli orari dalle 8,30 alle 16,30; 3. ad avviare la gestione operativa entro e non oltre dicembre 2024 salvo ragionevoli proroghe determinate dalla necessità di effettuare i prodromici adempimenti e comunicazioni di legge” nonché “di aderire e rispettare l’accordo sottoscritto tra Belmont Foppolo e il Comune di Carona in merito al biglietto unico e offerta unitaria del comparto sciistico Foppolo-Carona”.
In aggiunta agli obblighi di gestione del compendio, è previsto, a carico dell’affidatario, l’obbligo di corresponsione di un canone in favore del Comune di Carona pari ad € 139.000,00.
In sostanza, a fronte del pagamento del corrispettivo in favore del Comune, l’affidatario assume l’obbligo di gestire gli impianti, sostenendone tutte le spese, e di metterli a disposizione del pubblico per il periodo indicato, potendo acquisire il vantaggio economico derivante dal pagamento del biglietto posto a carico degli utilizzatori, mentre nessun obbligo o onere è posto a carico dell’Amministrazione.
11. Alla luce delle caratteristiche dell’affidamento e del contenuto del rapporto, il Collegio ritiene che il contratto di cui si discute non possa essere qualificato come appalto – conclusione sulla quale, d’altra parte, convengono sia il Comune resistente, sia la controinteressata – non ricorrendo gli elementi tipici di tale figura negoziale, la quale è caratterizzata dall’assenza del trasferimento, in capo all’affidatario, del rischio di gestione.
11.1. Nel tracciare il discrimine tra appalto e concessione, la giurisprudenza ha infatti evidenziato che “l’appalto pubblico di servizi, a differenza della concessione di servizi, riguarda di regola servizi resi alla pubblica amministrazione e non al pubblico degli utenti, non comporta il trasferimento del diritto di gestione quale controprestazione, ed infine non determina, in ragione delle modalità di remunerazione, l’assunzione del rischio di gestione da parte dell’affidatario (così, nuovamente, Cass. Sez. 6-3, ord. n. 9139 del 2015, cit., che richiama le conclusioni raggiunte, nel medesimo senso dalla giurisprudenza dell’Unione Europea, in particolare CGUE, sent. 13 ottobre 2005, Parking Brixen GmbH, in C-458/03; in senso conforme si veda anche CUGE, sent. 13 novembre 2008, Commissione c. Repubblica Italiana in C-437/07)” (Cass. Civ., sez. III, 11 aprile 2024, n. 9818).
In forza del contratto di cui è causa, l’attività svolta dall’affidatario non è remunerata dall’amministrazione ma dall’utenza, con assunzione del rischio operativo o rischio di gestione, non essendovi la certezza del recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti.
11.2. L’affidamento di cui si discute non corrisponde almeno ad uno degli elementi propri della concessione, come disciplinata dal ripetuto codice dei contratti pubblici, pur presentando altri caratteri a quella propri.
Invero, l’art. 174, comma 3, del d.lgs. n. 36/2023, stabilisce che “Il partenariato pubblico-privato di tipo contrattuale comprende le figure della concessione, della locazione finanziaria e del contratto di disponibilità, nonché gli altri contratti stipulati dalla pubblica amministrazione con operatori economici privati che abbiano i contenuti di cui al comma 1 e siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela”.
La concessione è dunque un contratto di partenariato pubblico privato, che il comma 1 dello stesso art. 174 definisce come un’operazione economica tra un ente concedente e uno o più operatori economici privati tra i quali “è instaurato un rapporto contrattuale di lungo periodo per raggiungere un risultato di interesse pubblico” (art. 174 co. 1 lett. a).
Ebbene, pur essendo consapevole che il sintagma “di lungo periodo” è suscettibile di un significativo margine di opinabilità interpretativa, anche in ragione del risultato perseguito, il Collegio ritiene che la durata dell’affidamento in questione, di soli cinque mesi, sia troppo esigua perché il rapporto contrattuale sia comunque qualificabile come rapporto “di lungo periodo”, per cui va conseguentemente escluso che si possa ricondurre ad una concessione di servizi.
11.3. Appare dunque condivisibile la tesi dell’amministrazione comunale, secondo cui il contratto de quo è più opportunamente riconducibile al novero dei contratti attivi, dal quale deriva per il gestore un’opportunità di guadagno, rappresentata dalla gestione degli impianti e dalla messa a disposizione degli stessi, dietro remunerazione, in favore degli utenti.
Il contratto per cui è causa, infatti, non prevede un impegno di spesa da parte del Comune di Carona, bensì l’introito di un corrispettivo per l’uso degli impianti versato dall’affidatario, e pertanto ben si presta ad essere ricompreso nella definizione dettata dall’art. 2 del d.lgs. n. 36/2023, secondo cui sono contratti attivi i contratti che “non producono spesa e da cui deriva un’entrata per la pubblica amministrazione”.
12. In quanto contratto attivo, l’affidamento dello stesso è sottratto alla disciplina del codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 36/2023, il cui art. 13 co. 2 prevede che “Le disposizioni del codice non si applicano ai contratti esclusi, ai contratti attivi e ai contratti a titolo gratuito, anche qualora essi offrano opportunità di guadagno economico, anche indiretto”.
12.1. Tuttavia, come recentemente ribadito dalla giurisprudenza amministrativa (cfr. TAR Liguria n. 843/24, e giurisprudenza ivi citata), ancorché escluso dall’ambito di applicazione del codice, l’affidamento di un contratto attivo che, come nella specie, offra all’affidatario un’opportunità di guadagno, deve avvenire, secondo quanto dispone l’art. 13 co. 5, osservando i principi di cui agli articoli 1, 2 e 3 del Codice, e dunque, oltre che dei princìpi del risultato (art. 1) e della fiducia (art. 2), anche del principio di accesso al mercato (art. 3), nel rispetto dei principi di concorrenza, imparzialità, non discriminazione, pubblicità, trasparenza e proporzionalità.
12.2. L’affidamento di tali contratti deve dunque garantire l’interpello del mercato e il confronto concorrenziale, nel rispetto della disciplina di cui alla legge di contabilità generale dello Stato (r.d. 18 novembre 1923, n. 2440) e del relativo regolamento di attuazione (r.d. 23 maggio 1924, n. 827).
Nella fattispecie in esame il principio di accesso al mercato, come declinato dall’art. 3 del Codice, non risulta rispettato, avendo il Comune resistente disposto un affidamento diretto senza adeguata pubblicità e senza coinvolgere altri operatori, nonostante sia la ricorrente sia altra impresa avessero manifestato l’interesse all’assunzione dell’affidamento (cfr. doc. 4 pec del 18.10.2024 di Sviluppo Monte Poieto e doc. 6 pec del 26.10.2024 di Monte Torcola srl).
12.3. Ciò, peraltro, in contrasto con il dichiarato progetto del Comune di Carona “di assegnare la gestione del comprensorio mediante un bando di gara pubblica ad un soggetto terzo che garantisca, oltre alla gestione corrente, l’esecuzione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie allo svolgimento dell’attività in sicurezza” (cfr. doc. 6 Comune – parere di congruità del prezzo di acquisto- pag. 4).
12.4. Né, inoltre, risultano rispettate le prescrizioni poste dalla legge di contabilità dello Stato, di cui al r.d. n. 2440/1923 e del relativo regolamento di attuazione.
L’art. 3 del r.d. n. 2440/1923 dispone che “I contratti dai quali derivi un’entrata per lo Stato debbono essere preceduti da pubblici incanti, salvo che per particolari ragioni, delle quali dovrà farsi menzione nel decreto di approvazione del contratto, e limitatamente ai casi da determinare con il regolamento, l’amministrazione non intenda far ricorso alla licitazione ovvero nei casi di necessità alla trattativa privata”.
L’art. 6 del medesimo testo normativo, con previsione confermata dall’art. 41 co. 1 n. 6 del regolamento di attuazione, prevede poi che “Qualora, per speciali ed eccezionali circostanze, che dovranno risultare nel decreto di approvazione del contratto, non possano essere utilmente seguite le forme indicate negli articoli 3 e 4, il contratto potrà essere concluso a trattativa privata”.
In base alle indicate disposizioni, pertanto, l’affidamento diretto (trattativa privata) di un contratto attivo, è ammesso quale ipotesi residuale, in caso di necessità, allorchè ricorrano circostanze “speciali ed eccezionali” che non consentano il ricorso alle procedure ordinarie: condizioni non ravvisabili nella fattispecie, essendo i tempi a disposizione dell’Amministrazione per l’avvio della gestione adeguati e compatibili con quelli di indizione di una procedura ad evidenza pubblica, peraltro, anche considerato l’esiguità del corrispettivo contrattuale, non particolarmente complessa, come quella in questione.
13. Alla luce delle esposte considerazioni, va quindi affermata l’illegittimità del disposto affidamento diretto e, in via derivata, degli atti conseguenziali, dal chè deriva l’annullamento degli atti impugnati con il ricorso introduttivo e con il ricorso per motivi aggiunti.
14. Quanto alla domanda di declaratoria di inefficacia del contratto, la stessa non può essere accolta, attesa l’integrale esecuzione del rapporto, scaduto al 15 aprile 2025.
15. Occorre dunque esaminare la subordinata domanda risarcitoria per equivalente.
16. Come è noto gli elementi costitutivi della responsabilità civile della pubblica amministrazione sono quelli di cui all’art. 2043 cod. civ.: sotto il profilo oggettivo, il fatto illecito, il nesso di causalità materiale e il danno ingiusto, inteso come lesione alla posizione di interesse legittimo, e, sotto il profilo soggettivo, il dolo o la colpa. Sul piano delle conseguenze, il fatto lesivo deve essere collegato, con un nesso di causalità giuridica o funzionale, con i pregiudizi patrimoniali o, eventualmente, non patrimoniali lamentati.
Con riferimento alla ingiustizia del danno, il presupposto essenziale della responsabilità è l’evento dannoso che ingiustamente lede una situazione soggettiva protetta dall’ordinamento e, affinché la lesione possa considerarsi ingiusta, la lesione dell’interesse legittimo è condizione necessaria – anche se non sufficiente – per accedere alla tutela risarcitoria (Cons. Stato, sez. II, 20 maggio 2019, n. 3217); occorre infatti verificare che risulti leso, per effetto dell’attività illegittima (e colpevole dell’amministrazione pubblica), il bene della vita al quale il soggetto aspira.
La giurisprudenza è consolidata nel ritenere che il risarcimento del danno ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa non possa prescindere dalla spettanza di un bene della vita, atteso che è soltanto la lesione di quest’ultimo che qualifica in termini di ingiustizia il danno derivante dal provvedimento illegittimo (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 27 aprile 2021, n. 3398; id. Sez. IV, 2 marzo 2020, n. 1496; Sez. IV, 6 luglio 2020, n. 4338; Sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1437).
Peraltro, il danneggiato deve, ex art. 2697 cod. civ., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda; sul piano oggettivo, la presenza di un provvedimento illegittimo causativo di un danno ingiusto, con la necessità, di distinguere l’evento dannoso (o c.d. “danno-evento”) derivante dalla condotta, che coincide con la lesione o compromissione di un interesse qualificato e differenziato, meritevole di tutela nella vita di relazione, e il conseguente pregiudizio patrimoniale o non patrimoniale scaturitone (c.d. “danno-conseguenza”), suscettibile di riparazione in via risarcitoria (cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3).
Una volta appuratala sussistenza del nesso di causalità materiale tra la condotta illecita e l’evento dannoso, occorre verificare la sussistenza di conseguenze dannose, da accertare secondo un (distinto) regime di causalità giuridica che ne prefigura la risarcibilità soltanto in quanto si atteggino, secondo un canone di normalità e adeguatezza causale, ad esito immediato e diretto della lesione del bene della vita ai sensi degli artt. 1223 e 2056 Cod. civ. (cfr. Consiglio di Stato, Sez. V, 4 agosto 2015, n. 3854).
Qualora non sia possibile accertare con certezza la spettanza in capo al ricorrente del bene della vita ambito, la giurisprudenza afferma che il danno patrimoniale può essere liquidato ricorrendo alla tecnica risarcitoria della “lesione della chance” ovvero del cd. “danno da perdita di chance” (v., tra le tante, Consiglio di Stato, Sez. V, 15.11.2019, n. 7845; Sez. VI, 13.09.2021, n. 6268) che assolve alla funzione di “riconoscere uno sbocco di tutela (sia pure per equivalente) a quelle aspettative andate ‘irrimediabilmente’ deluse a seguito dell’illegittimo espletamento (ovvero del mancato espletamento) di un procedimento amministrativo” (cfr. Cons. Stato n. 6268/21 cit.).
17. Alla luce di queste premesse di carattere generale, ritiene il Collegio che ricorrano i presupposti per il riconoscimento del danno per equivalente: sussiste il fatto illecito causativo di danno, stante l’illegittimità del disposto affidamento diretto, come sopra rilevato; sussiste inoltre il nesso di causalità materiale tra il fatto illecito e l’evento dannoso (o danno evento), in quanto il mancato espletamento di una procedura ad evidenza pubblica ha precluso alla ricorrente di parteciparvi, ledendo così l’interesse -qualificato e differenziato- di cui la stessa risultava titolare, reso vieppiù evidente dalla manifestazione di interesse alla procedura resa nella dichiarazione del 27.10.2024; ricorre, infine, sotto il profilo soggettivo, l’imputabilità del danno al Comune resistente, come comprovato dalla palese illegittimità dell’affidamento diretto, disposto pur a fronte delle espresse dichiarazioni di interesse manifestate da più operatori economici, e nonostante la compatibilità dei tempi di indizione di una procedura aperta con le esigenze di avviamento della gestione degli impianti, detenuti dal Comune già dal luglio 2024, per l’inizio della stagione invernale.
17.1. Con riferimento alla natura del pregiudizio lamentato, occorre innanzitutto rilevare che nella specie il fatto illecito causativo dell’ingiustizia del danno deriva dall’illegittimità del disposto affidamento diretto in assenza di una procedura aperta alla partecipazione di più operatori economici: non sussiste dunque alcuna certezza che, laddove fosse stata espletata una procedura ad evidenza pubblica, la ricorrente sarebbe risultata affidataria, sicchè il pregiudizio sofferto non è riconducibile ad un danno “da mancata aggiudicazione”.
17.2. La pretesa risarcitoria azionata, come riconosciuto anche dal Comune resistente, ha invero ad oggetto un danno da perdita di chance, inerendo alla perdita della possibilità di conseguire l’affidamento della gestione degli impianti sciistici di Carona per la stagione invernale 2024/2025, e con essa la perdita della possibilità di conseguire i profitti correlati alla fruizione degli impianti da parte dell’utenza.
17.3. Secondo la copiosa giurisprudenza amministrativa, la risarcibilità della chance di aggiudicazione è ammissibile allorché il danno sia collegato alla dimostrazione di una seria probabilità di conseguire il vantaggio sperato, dovendosi, per converso, escludere la risarcibilità allorché la chance di ottenere l’utilità perduta resti nel novero della mera possibilità. (cfr. sul punto, tra le tante, Cons. Stato Sez. V, 18-10-2022, n. 8860, Cons. Stato, VII, 25 maggio 2022, n. 4184; V, 11 aprile 2022, n. 2709; IV, 23 giugno 2015, n. 3147; tali principi sono stati affermati anche da: Cons. Stato, Sez V, 11/04/2022 n. 2709; Cons. giust. amm. Sicilia, 15 ottobre 2020, n. 914; Cons. Stato, V, 11 aprile 2022, n. 2709; 26 ottobre 2020, n. 6465; 11 luglio 2018, n. 4225; 30 giugno 2015, n. 3249; IV, 16 maggio 2018, n. 2907).
In sostanza, solo quando ricorre una “probabilità seria e concreta” altrimenti qualificata come “elevata probabilità” di conseguire il bene della vita sperato è possibile ottenere il risarcimento del danno; in caso di mera “possibilità” vi è solo un ipotetico danno, non meritevole di reintegrazione poiché in pratica nemmeno distinguibile dalla lesione di una mera aspettativa di fatto (cfr. Cons. Stato, V, 15 novembre 2019, n. 7845; IV, 23 settembre 2019, n. 6319; III, 27 novembre 2017, n. 5559)”.
In relazione al significato concreto da attribuire al concetto di “elevata probabilità” o di “probabilità seria e concreta”, parte della giurisprudenza ha ritenuto che esso vada inteso in termini numerici, reputando necessaria, ai fini della risarcibilità della chance, la sussistenza di una probabilità di successo almeno pari al 50%, poiché, diversamente, diventerebbero risarcibili anche mere possibilità, statisticamente non significative (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11/04/2022, n.2709).
Altra parte della giurisprudenza, che il Collegio condivide, ha ritenuto che il richiamo alla ‘elevata probabilità’ di realizzazione, quale condizione affinché la ‘chance’ acquisti rilevanza giuridica, deve ritenersi “fuorviante, in quanto così facendo si assimila il trattamento giuridico della figura in esame alla causalità civile ordinaria (ovvero alla causalità del risultato sperato)”. “La ‘chance’ prospetta invece, come si è detto, un’ipotesi ‒ assai ricorrente nel diritto amministrativo ‒ di danno solo ‘ipotetico’, in cui non si può oggettivamente sapere se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato. Pur essendo certa la contrarietà al diritto della condotta di chi ha causato la perdita della possibilità, non ne è conoscibile l’apporto causale rispetto al mancato conseguimento del risultato utile finale. Poiché l’esigenza giurisdizionale è quella di riconoscere all’interessato il controvalore della mera possibilità ‒ già presente nel suo patrimonio ‒ di vedersi aggiudicato un determinato vantaggio, l’an del giudizio di responsabilità deve coerentemente consistere soltanto nell’accertamento del nesso causale tra la condotta antigiuridica e l’evento lesivo consistente nella perdita della predetta possibilità. La tecnica probabilistica va quindi impiegata, non per accertare l’esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il ‘valore’ economico della stessa, in sede di liquidazione del ‘quantum’ risarcibile. Con l’avvertenza che, anche se commisurato ad una frazione probabilistica del vantaggio finale, il risarcimento è pur sempre compensativo (non del risultato sperato, ma) della privazione della possibilità di conseguirlo. Richiedere […] che la possibilità di conseguire il risultato debba raggiungere una determinata soglia di probabilità prima di assumere rilevanza giuridica, significa ricondurre nuovamente il problema delle aspettative irrimediabilmente deluse (con un percorso inverso a quello che ha portato a configurare la ‘chance’ come bene autonomo, in ragione dell’impossibilità di dimostrare l’efficienza causale della condotta antigiuridica nella produzione del risultato finale) dal ‘danno’ alla ‘causalità’. In questo modo la ‘chance’ finisce per essere utilizzata quale frazione probabilistica di un risultato finale di cui (poteva essere fornita, ma) è mancata la prova. Ma si tratta di un esito del tutto contraddittorio, in quanto, se la verificazione dell’evento finale può essere empiricamente riscontrata, allora non ricorrono neppure i presupposti per l’operatività della ‘chance’” (Consiglio di Stato, sez. VI, 13.09.2021 n. 6268, richiamata anche da Cons. Stato, sez. III, 8 febbraio 2024 n. 2142).
In particolare, nella menzionata sentenza n. 6268/21 è stato precisato che “Al fine però di non incorrere in una forma inammissibile di responsabilità senza danno, è necessario che, per raggiungere la soglia dell’«ingiustizia», la ‘chance’ perduta sia ‘seria’. A tal fine: da un lato, va verificato con estremo rigore che la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto; sotto altro profilo, al fine di non riconoscere valore giuridico a ‘chance’ del tutto accidentali, va appurato che la possibilità di realizzazione del risultato utile rientri nel contenuto protettivo delle norme violate. Al fine poi di scongiurare azioni bagatellari o emulative, il giudice dovrà disconoscere l’esistenza di un ‘danno risarcibile’ (1223 c.c.) nel caso in cui le probabilità perdute si attestino ad un livello del tutto infimo”.
17.4. Seguendo la suddetta impostazione, che il Collegio condivide, la spettanza della chance richiede, oltre all’accertamento del nesso causale tra la condotta antigiuridica e la perdita della possibilità di conseguire un determinato vantaggio, da condursi alla stregua dei consueti criteri operanti in tema di causalità civile, secondo il canone del più probabile che non, anche la sussistenza di serie e non insignificanti possibilità di conseguirlo.
18. Nel caso di specie, la scelta dell’Amministrazione di procedere illegittimamente all’affidamento diretto, in assenza di una procedura aperta di evidenza pubblica, in violazione delle regole di trasparenza, pubblicità, e concorrenza, ha senza dubbio pregiudicato le chances della società ricorrente di ottenere il risultato sperato, che appaiono al Collegio dotate del carattere della ‘serietà’, anche considerando la limitata platea di operatori potenzialmente interessati a parteciparvi.
La Sviluppo Monte Poieto, operatore del settore già gestore dei medesimi impianti oggetto del contestato affidamento diretto, ha dedotto di possedere i requisiti per la gestione degli impianti, come richiesti dal capitolato d’oneri, ha manifestato in più occasioni l’interesse all’affidamento per la stagione sciistica 2024/2025, e, pur senza conoscere il contenuto delle condizioni di affidamento stabilite nel capitolato, ha formulato un’offerta economica consistente nella proposta di un canone sostanzialmente corrispondente a quello posto alla base dell’affidamento diretto.
Contrariamente a quanto sostenuto dal Comune resistente, non rileva, al fine di escludere la risarcibilità del pregiudizio lamentato, che la ricorrente non abbia partecipato alla procedura di project financing, solo successivamente avviata dall’Amministrazione, trattandosi di un procedimento distinto rispetto a quello assunto quale fonte del danno e inerente ad un diverso periodo di gestione, oltre che connotato da differenti condizioni negoziali.
19. La domanda risarcitoria per perdita di chance va dunque accolta.
20. In merito alla quantificazione del danno, ritiene il Collegio di avvalersi, in assenza dell’opposizione delle parti, della previsione di cui all’art. 34, comma 4, c.p.a. stabilendo i criteri in base ai quali il debitore (il Comune di Carona) deve proporre a favore del creditore (la società Sviluppo Monte Poieto S.r.l.) il pagamento di una somma entro un congruo termine.
21. Va pertanto ordinato al Comune di Carona, entro il termine di novanta giorni dalla notificazione o comunicazione della presente decisione, se anteriore, di proporre alla ricorrente il pagamento di una somma di denaro, la quale costituisca una percentuale dell’utile conseguito dalla Belmont Foppolo s.r.l. per l’esercizio dagli impianti di cui al contratto oggetto della controversia.
22. In conclusione, per tutti i suesposti motivi, il ricorso introduttivo ed il ricorso per motivi aggiunti vanno accolti, con conseguente annullamento degli atti impugnati, anche in relazione alla domanda risarcitoria per equivalente nei sensi e nei termini indicati.
23. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.
TAR LOMBARDIA – BRESCIA, I – sentenza 12.08.2025 n. 764