*Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Accordi negoziali sulla revisione dei prezzi, casi di ammissibilità

*Obbligazioni e contratti – Tutela del credito – Accordi negoziali sulla revisione dei prezzi, casi di ammissibilità

10. Le argomentazioni dell’appellante necessitano di una sintesi al fine di inquadrare con ordine le questioni sottoposte al Collegio e le critiche mosse alla sentenza impugnata.

11. Con il primo motivo l’appellante argomenta come segue.

11.1. La sentenza sarebbe anzitutto erronea perché il Codice dei Contratti vigente ratione temporis non prevedeva alcun obbligo di inserimento della clausola di aggiornamento delle prestazioni ai valori ISTAT che avrebbe dovuto operare quasi in automatico.

11.2. Qualora l’amministrazione non avesse voluto concedere una revisione prezzi tout court per la mancanza di una clausola espressa in tal senso all’interno del contratto, la stessa avrebbe dovuto quanto meno aggiornare i valori dell’affidamenti ai parametri ISTAT in quanto dovuti comunque ex lege.

12. Con il secondo motivo l’appellante argomenta come segue.

12.1. L’istanza di modifica delle condizioni contrattuali è stata formulata anche (non solo) ai sensi dell’art. 106, comma 2, d.lgs. 50/2016, il quale prevede una possibile modifica contrattuale, anche in assenza di un’espressa clausola contrattuale e/o previsione nei documenti di gara, se le modifiche contrattuali non eccedono le soglie fissate all’articolo 35 d.lgs. 50/2016 e il 10 % del valore iniziale del contratto.

12.2. Con i motivi integrativi Sirio ha spiegato come ricossero i parametri di legge in quanto l’istanza è stata formulata il 4 agosto 2023, dopo un anno dalla stipula del contratto del 22 luglio 2022. Il valore del contratto affidato era pari a € 3.142.662,21, di cui € 1.571.331,10 (la metà) “consumato” alla data della presentazione dell’istanza. A luglio 2022 (momento in cui era stato sottoscritto il contratto) l’indice generale ISTAT/FOI era pari 112,3 mentre nel mese di agosto 2023 (momento in cui è stata presentata l’istanza per la revisione dei prezzi) il medesimo indice ISTAT era pari a 119, con una variazione di circa il 7%.

12.3. Il 7% di € 1.571.331,10 è pari ad € 109.993,17. Tale importo è inferiore sia alle soglie di cui all’art. 35 d.lgs. 50/2016 (€ 140.000,00) sia al 10% del valore dell’affidamento (€ 314.266,22). Dunque, almeno in tali limiti l’istanza della SIRIO poteva trovare accoglimento.

12.4. Viene quindi censurata la decisione di primo grado nella quale la stessa richiama le operazioni di calcolo eseguite dal Ministero con il provvedimento prot. 92265.U del 5.12.2023, il quale ha preso come punto di riferimento il periodo aprile 2022 – aprile 2023 senza ragione. Adottare tale periodo come punto di riferimento sarebbe errato sotto vari profili:

a) non si comprende perché sia stato utilizzato il periodo temporale di un anno in assenza di qualsiasi previsione normativa;

b) il TAR avrebbe errato nel sostenere che il periodo annuale dovesse partire dal mese di aprile 2022 in quanto – a detta del Giudice di primo grado – l’esecuzione anticipata del servizio era avvenuta nel maggio 2022 e da tale momento doveva dirsi instaurato il rapporto tra le parti.

12.5. Rispetto al primo punto non vi è alcuna disciplina normativa che imponga di esaminare il lasso temporale di un anno per verificare l’applicazione dell’art. 106, comma 2, d.lgs. 50/2016 e quindi il periodo di riferimento si ricava dalla durata delle prestazioni già eseguite. Sotto un altro aspetto, non risponde al vero che la revisione dei prezzi deve essere esclusa per il primo anno di contratto in quanto non vi è alcun dato normativo che imponga tale criterio.

12.6. Rispetto al secondo punto, prima della stipula del contratto non può trovare applicazione l’art. 106 “Modifica di contratti durante il periodo di efficacia” perché non vi è alcun contratto. È irrilevante la data di esecuzione anticipata del servizio perché la revisione dei prezzi riguarda modifiche contrattuali; contratto assente durante il periodo di esecuzione anticipata.

12.7. Sirio in primo grado aveva calcolato come arco temporale il periodo intercorrente tra il mese di luglio 2022 (data di stipula del contratto) e il mese di agosto 2023 (data in cui è stata formulata l’istanza di revisione prezzi).

12.8. Il TAR avrebbe sbagliato anche nel ritenere corretto l’Indice FOI/ISTAT relativo al settore “Prodotti alimentari e bevande analcoliche” poiché il parametro di riferimento doveva essere “Indice generale” in quanto il servizio riguarda non solo il settore alimentare ma comprende anche prestazioni complementari, quali le attività di trasporto dei generi alimentari e le attività propedeutiche alla ristorazione, settori che ricadono sotto la dicitura “trasporti” e “servizi ricettivi e di ristorazione”.

12.9. La sentenza sarebbe quindi errata perché ha avallato la condotta dell’Amministrazione che, a sua volta, avrebbe errato sia nell’individuare il periodo di riferimento che nell’individuare l’Indice Istat di riferimento.

13. Con il terzo motivo l’appellante argomenta come segue.

13.1. A differenza di quanto affermato dal TAR, Sirio non ha invocato la diretta applicazione del d.l. 4/2022 ma ha rimarcato una disparità di trattamento tra gli operatori che possono beneficiare di tale dato normativo e gli operatori che devono sottostare alla previgente disciplina, chiedendo di sollevare anche una questione di legittimità costituzionale.

13.2. È stato rilevato un profilo di illegittimità rispetto all’applicazione dell’art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. 50/2016, il quale prevede la necessità di riequilibrare i prezzi delle forniture in forza di quanto disposto dall’art. 1, comma 511, della L. 28.12.2015 n. 208.

13.3. Tale normativa pare richiedere la previsione nei documenti di gara di una clausola volta alla revisione dei prezzi quale elemento per poter effettivamente incidere sull’equilibrio contrattuale. La clausola, tuttavia, non è richiesta quando nella procedura di affidamento venga coinvolto un Ente Aggregatore poiché in tal caso trova applicazione l’art. 1, comma 511, della L. 28.12.2015 n. 208 secondo cui “l’appaltatore o il soggetto aggregatore hanno facoltà di richiedere, con decorrenza dalla data dell’istanza presentata ai sensi del presente comma, una riconduzione ad equità o una revisione del prezzo medesimo. In caso di raggiungimento dell’accordo, i soggetti contraenti possono, nei trenta giorni successivi a tale accordo, esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 1373 del codice civile. Nel caso di mancato raggiungimento dell’accordo le parti possono consensualmente risolvere il contratto senza che sia dovuto alcun indennizzo come conseguenza della risoluzione del contratto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 1467 del codice civile. Le parti possono chiedere all’autorità che provvede all’accertamento di cui al presente comma di fornire, entro trenta giorni dalla richiesta, le indicazioni utili per il ripristino dell’equilibrio contrattuale ovvero, in caso di mancato accordo, per la definizione di modalità attuative della risoluzione contrattuale finalizzate a evitare disservizi”.

13.4. La disposizione presenta il carattere dell’inderogabilità e prevale su qualsiasi altra disposizione, anche pattizia, che escluda la revisione dei prezzi ovvero che non la contempli espressamente ed è integratrice della volontà negoziale difforme secondo il meccanismo dell’inserzione automatica.

13.5. Alla pag. 3 del contratto si evince che la piattaforma utilizzata per lo svolgimento della gara è stata messa a disposizione da CONSIP S.p.A., soggetto aggregatore. Il TAR ha ritenuto che l’intervento della CONSIP fosse solo marginale poiché la stessa ha messo unicamente a disposizione il Sistema di acquisto. Tale impostazione sarebbe errata perché la normativa ritiene sufficiente il coinvolgimento di un Ente aggregatore per escludere l’applicazione dell’interpretazione restrittiva dell’art. 106.

13.6. Gli incrementi dei prezzi, per la loro repentinità ed entità, sarebbero straordinari ed imprevedibili.

13.7. Negare a priori l’adeguamento solo perché il contratto di appalto non prevede una espressa disciplina della revisione dei prezzi significa condannare l’imprenditore ad eseguire il servizio in situazione di disequilibrio ed esporre l’Amministrazione a ricevere una prestazione qualitativamente inferiore a quella appaltata; tutto ciò in ragione di eventi terzi ed imprevedibili.

14. Con il quarto motivo l’appellante argomenta come segue.

14.1. Le circostanze invocate dall’Amministrazione circa l’annullamento dell’aggiudicazione (luglio 2023) prima della formulazione dell’istanza (agosto 2023) sarebbero inconferenti perché l’istanza ha portata retroattiva.

14.2. Il TAR avrebbe anche violato l’art. 34 c.p.a. perché si sarebbe espresso circa poteri ancora non esercitati dall’Amministrazione in quanto la Stazione appaltante ha denegato l’istanza semplicemente sottolineando l’assenza dei presupposti di cui al comma 2 dell’art. 106 d.lgs. 50/2016 e l’assenza di disposizioni favorevoli alla revisione dei prezzi nel contratto stipulato tra le parti e nei documenti di gara, circostanza inconferente dal momento in cui il comma 1, lett. c) non richiede l’inserimento di una siffatta clausola.

15. Con il quinto motivo l’appellante argomenta come segue.

15.1. Il TAR avrebbe omesso di vagliare la censura rubricata con cui era stata invocata la possibile applicazione della normativa civilistica in materia di rinegoziazione contrattuale, a prescindere dall’applicazione dell’art. 106 d.lgs. 50/2016.

15.2. Qualora invece il TAR avesse voluto rigettare il motivo sulla scorta di quanto affermato in ordine all’assenza di una specifica clausola revisionale, ancora una volta vi sarebbe la violazione dell’art. 34 c.p.a. poiché l’Amministrazione non si era espressamente pronunciata sul punto.

15.3. Anche nel merito, invocare la portata determinante della clausola di revisione prezzi sarebbe errato laddove l’art. 30, comma 8, d.lgs. 50/2016 prevede che “per quanto non espressamente previsto nel presente codice […] alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile” e gli artt. 1374 e 1375 c.c. disciplinano il principio di esecuzione e integrazione del contratto secondo buona fede.

16. Con il sesto motivo l’appellante argomenta come segue.

16.1. Sarebbe evidente la disparità di trattamento tra gli operatori divenuti aggiudicatari prima dell’entrata in vigore dell’art. 29 del d.l. 27.10.2022, n. 4/2022 convertito con modificazioni dalla Legge 28.3.2022, n. 25/2022, con cui è stato previsto l’inserimento obbligatorio della clausola di revisione prezzi nei documenti di gara almeno fino al 31 dicembre 2023, impostazione sfociata poi nell’art. 60 d.lgs. 36/2023, e gli aggiudicatari successivi a tale data.

17. Con il settimo motivo l’appellante argomenta come segue.

17.1. Il TAR non avrebbe preso posizione sul difetto di istruttoria denunziato da Sirio sempre valorizzando la medesima assenza di una clausola revisionale.

17.2. La sentenza sarebbe errata perché il Ministero avrebbe dovuto avviare un procedimento sull’istanza del privato per verificare se effettivamente ragioni sopravvenute avessero alterato l’equilibrio contrattuale.

18. Con l’ottavo motivo l’appellante argomenta come segue.

18.1. La sentenza sarebbe erronea nella parte in cui non ha accolto la richiesta di accertamento del diritto della Sirio all’attivazione del procedimento di revisione prezzi.

19. Con il nono motivo l’appellante argomenta come segue.

19.1. In via incidentale si chiede di accertare la nullità delle previsioni contrattuali nella parte in cui è inibito di procedere con la revisione dei prezzi, ovvero con qualsiasi modifica delle prestazioni appaltate.

20. Con il decimo motivo l’appellante argomenta come segue.

20.1. Dal 1993 ad oggi la clausola di revisione prezzi ha sempre avuto portata inderogabile e cogente, dovendo la stessa essere inserita nel contratto di appalto. Unico lasso temporale in cui la Stazione appaltante poteva discrezionalmente decidere di non introdurre una siffatta previsione contrattuale – solo relativamente all’ipotesi contemplata dall’art. 106, comma 1, lett. a) d.lgs. 50/2016 – è compreso tra l’entrata in vigore del Codice dei Contratti del 2016 e l’entrata in vigore dell’art. 29 del d.l. 4/2022.

20.2. Secondo l’appellante sarebbe contrario al principio di eguaglianza consentire alla Stazione appaltante di decidere arbitrariamente se consentire al privato di riequilibrare un contratto pubblico negli anni 2016-2022, diversamente da un contratto stipulato nel 2015 o nel 2023, poiché si genererebbe una situazione di svantaggio ingiustificata per gli aggiudicatari del periodo indicato.

20.3. Sarebbe quindi costituzionalmente illegittimo l’art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. 50/2016 nella parte in cui prevede una mera possibilità che vengano modificati i corrispettivi economici oggetto dei contratti pubblici, sempre che “le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi”.

20.4. Tale situazione di incertezza e di disuguaglianza in cui versano gli operatori economici sarebbe anche contraria all’art. 41 Costituzione poiché pone l’imprenditore in una posizione di svantaggio, con un rischio anche per la collettività consistente nell’esecuzione di prestazioni di scarso livello per evitare di sopportare perdite ingenti. Dovrebbe quindi essere sollevata la questione di costituzionalità dell’art. 106, comma 1, lett. a) del d.lgs. 50/2016 per contrasto con l’art. 3 e con l’art. 41 della Costituzione.

21. Le censure, così sintetizzate, ribadite nella memoria depositata il 19 febbraio 2025, possono a questo punto essere esaminate. È utile premettere che buona parte delle censure sono analoghe a quelle esaminate nella sentenza di questa Sezione 18 novembre 2024, n. 9212 che contiene statuizioni che il Collegio condivide e dalle quali non vi è motivo di discostarsi.

22. Il primo motivo è infondato. La Sezione ha già avuto modo di precisare che ai contratti pubblici disciplinati dal d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 la revisione dei prezzi è consentita alle sole condizioni indicate dall’art. 106, comma 1, lett. a), vale a dire se prevista nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili e sempre che non alteri la natura generale del contratto, non essedo applicabili in via analogica le norme in materia di revisione dei prezzi previste dalla legislazione speciale in tema di emergenza da Covid-19, considerata la natura eccezionale di tali previsioni, né la revisione prezzi introdotta dall’art. 60, d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36, che non ha valenza retroattiva (Consiglio di Stato sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212).

22.1.  In mancanza di apposita previsione contrattuale, è pacifica l’infondatezza della pretesa della ricorrente, per la quale l’amministrazione avrebbe dovuto avviare un’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale.

22.2. Nella vigenza dell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016 è stato affermato che la revisione del contratto è ammessa solo ove espressamente pattuita (Cons. Stato, Sez. VI, 23 febbraio 2023, n. 1844).

22.3. È stato anche affermato che tale disciplina e la relativa interpretazione vanno ritenute compatibili col diritto europeo, considerata la sentenza del 19 aprile 2018, pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-152/17, che ha affermato che le direttive dell’Unione europea in materia di appalti pubblici non ostano a norme di diritto nazionale che escludano la revisione dei prezzi dopo l’aggiudicazione del contratto (in questo senso, la già citata sentenza del Consiglio di Stato sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212).

22.3.1. Le considerazioni sin qui esposte consentono di ritenere infondate anche le argomentazioni contenute nel motivo di appello numerato 3.1.

22.4. In definitiva, in questo quadro fattuale, coglie nel segno la difesa dell’amministrazione laddove afferma che, essendo preclusa la revisione dei prezzi per mancanza della relativa clausola, a nulla rileva la pretesa di adeguamento del corrispettivo agli indici Istat, piuttosto che ad altri strumenti di indicizzazione (pagina 5 della memoria depositata il 10 febbraio 2025).

23. Ugualmente infondato è il secondo motivo di appello.

23.1. Il motivo è radicalmente infondato per il pacifico difetto dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 106 comma 2 d.lgs. n. 50 del 2016. Il primo Giudice ha ampiamente motivato (in modo del tutto convincente) nei punti da 28 a 33 della sentenza. Le statuizioni ivi contenute meritano integrale conferma. È sufficiente ricordare che nel caso in cui le modifiche si susseguano nel tempo, ai fini della determinazione della soglia, il valore del contratto è accertato sulla base del valore complessivo netto delle successive modifiche e che la disposizione invocata pone anche un limite oggettivo, vietando le modifiche che alterino la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro.

24. Anche il terzo motivo è infondato dato che l’art. 1, comma 511, della legge 208/2015 è inapplicabile alla fattispecie in esame. La gara è stata indetta dal Provveditorato Regionale per il Lazio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria che non rientra nella categoria dei soggetti aggregatori di cui all’articolo 9 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89.

24.1.  In mancanza di un obbligo legale di previsione contrattuale della revisione dei prezzi dell’appalto, è altresì infondata la pretesa dell’appellante di inserzione automatica della clausola revisionale, dal momento che il meccanismo previsto dall’art. 1339 cod. civ. presuppone una norma imperativa (per esempio l’art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006), che consenta l’integrazione ex lege del contratto o la sostituzione della clausola difforme apposta dalle parti.

25. Ugualmente infondato è il quarto motivo di appello.

25.1. L’art. 106 comma 1 lettera c) del d.lgs. n. 50 del 2016 è richiamato impropriamente.

25.2. In linea generale, va ricordato che la modifica dei contratti “senza necessità di una nuova procedura a norma del presente codice” se il valore della modifica è al di sotto di quelli ivi indicati e sempre che la modifica non alteri la natura complessiva del contratto o dell’accordo quadro, così come la modifica dei contratti “determinata da circostanze impreviste e imprevedibili per l’amministrazione aggiudicatrice o per l’ente aggiudicatore”, non riconoscono una posizione di interesse legittimo (men che meno di diritto soggettivo) in capo all’appaltatore per la rinegoziazione delle condizioni contrattuali (Consiglio di Stato sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212, cit.).

L’art. 106 comma 2 e l’art. 106 comma 1 lettera c) danno attuazione all’art. 72 della direttiva 2014/24/UE e hanno la finalità di individuare le modifiche consentite alla pubblica amministrazione, nella fase di esecuzione del contratto, senza necessità di indire una nuova procedura di gara e, per contro, di individuare le modifiche non consentite (o meglio, vietate), a tutela della libera concorrenza e della parità di trattamento fra coloro che operano nel mercato.

Si tratta di una finalità regolatrice dei poteri della committenza pubblica, del tutto distinta dalla finalità di riequilibrio contrattuale che connota l’istituto della revisione dei prezzi.

Le modifiche contrattuali dell’art. 106, comma 2 (e dal comma 1, lett. c) sono previste dal legislatore come praticabili da parte dell’amministrazione committente, unica titolare del potere di modifica, ed è rimessa all’appaltatore soltanto la facoltà di accettarle o meno, salvo che, in presenza di determinate situazioni, sia obbligato a sottostarvi: in sintesi, sono modifiche possibili, ma che presuppongono l’accordo tra le parti, promosso però dalla stazione appaltante e regolato dalla legge nel preminente interesse del mercato e della concorrenza, nonché al fine di delimitare lo ius variandi del committente pubblico.

Esula dall’ambito applicativo dell’art. 106, comma 2 (e comma 1, lett. c) l’iniziativa dell’appaltatore volta ad ottenere la modifica dei prezzi contrattuali reputati non più remunerativi (in questo senso, sempre Consiglio di Stato sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212).

26. Anche il quinto motivo di appello è infondato. È il cado di riportare un intero passaggio motivazionale della sentenza di questa Sezione n. 9212/2024).

26.1. “L’art. 30, comma 8, del d.lgs. n. 50 del 2016, nel prevedere che “alla stipula del contratto e alla fase di esecuzione si applicano le disposizioni del codice civile”, fa rinvio a queste ultime “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi”.

Il rinvio non è quindi praticabile per la disciplina della revisione dei prezzi, dato che questa è espressamente contemplata nell’art. 106, comma 1, lett. a), nei termini dei quali si è detto sopra. Essendo quest’ultima norma speciale per gli appalti di lavori, servizi e forniture della pubblica amministrazione, prevale sulla normativa del codice civile in tema di revisione dei prezzi per il contratto tipico di appalto (art. 1664, comma 1, cod. civ.), che risulta perciò derogata, nonché su quella in tema di contratto tipico di somministrazione (relativa a prestazioni periodiche o continuative di cose, che è il modello del contratto di fornitura), per il quale il codice civile non prevede alcun meccanismo legale di revisione.

6.2. Piuttosto, come già affermato in sentenza e meglio si dirà nel prosieguo, il rinvio alle norme del codice civile comporta che ai contratti stipulati con la pubblica amministrazione, possa essere applicato il (diverso) rimedio dell’art. 1467 cod. civ., sempre che la prestazione di una delle parti sia divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili e che la sopravvenuta onerosità non rientri nell’alea normale del contratto o che il contratto non sia aleatorio per volontà delle parti (art. 1469 cod. civ.).

6.2.1. La regola civilistica generale, per i contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, desumibile dall’art. 1467 cod. civ., pone come unica possibile conseguenza dell’eccessiva onerosità sopravvenuta nei contratti con prestazioni corrispettive il rimedio risolutorio del contratto (comma 1), ma non quello conservativo, salva la facoltà concessa alla parte non incisa dal “verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili” di evitare la risoluzione “offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto” (comma 3).

Dato il tenore della disposizione di carattere generale appena detta, è da escludere che sia rinvenibile nell’ordinamento di diritto civile un principio generale di rinegoziazione contrattuale rimessa all’iniziativa della parte svantaggiata in caso di circostanze sopravvenute e imprevedibili che abbiano alterato il sinallagma contrattuale.

Le deroghe alla regola che privilegia la risoluzione rispetto alla manutenzione del contratto devono essere espressamente previste, in apposite norme di legge, da ritenersi a portata eccezionale.

6.2.2. Sebbene con la Relazione n. 56/2020 dell’Ufficio del massimario della Corte di Cassazione si sia fatto leva sul <<generale principio di “buona fede”, che ha valore d’ordine pubblico e si colloca tra i principi fondanti del nostro ordinamento sociale>> per pervenire alla conclusione che <<la “buona fede” può salvaguardare il rapporto economico che le parti avevano originariamente inteso porre in essere, imponendo la rinegoziazione del contratto che si sia squilibrato, al fine di favorirne in tal modo la conservazione>>, non risulta che la giurisprudenza civile ne abbia fatto applicazione in casi riconducibili al presente.

Si è già detto sopra del ruolo della buona fede nell’esecuzione del contratto ex art. 1375 cod. civ.; analogamente è a dirsi dell’integrazione del contratto secondo equità ex art. 1374 cod. civ.: né l’una né l’altra possono valere ad imporre obblighi di rinegoziazione non previsti specificamente, laddove la regola non è la conservazione del contratto, bensì la sua risoluzione.

6.2.3. Questa regola, tradizionalmente operante anche per i contratti della pubblica amministrazione, fatte salve le eccezioni delle modifiche contrattuali consentite per legge (e della revisione dei prezzi fino a quando prevista), è stata superata soltanto di recente mediante l’introduzione dell’art. 9 (Principio di conservazione dell’equilibrio contrattuale) del d.lgs. 31 marzo 2023 n. 36.

La disposizione prevede infatti, al primo comma, che “se sopravvengono circostanze straordinarie e imprevedibili, estranee alla normale alea, all’ordinaria fluttuazione economica e al rischio di mercato e tali da alterare in maniera rilevante l’equilibrio originario del contratto, la parte svantaggiata, che non abbia volontariamente assunto il relativo rischio, ha diritto alla rinegoziazione secondo buona fede delle condizioni contrattuali. […]”.

Si tratta esattamente di quell’obbligo di rinegoziazione delle condizioni contrattuali di cui è detto, sotto vari profili, negli scritti di parte ricorrente. Tuttavia, in disparte la portata e gli effetti dell’art. 4 del contratto (su cui si tornerà), l’obbligo di rinegoziazione dell’art. 9 citato non potrebbe comunque farsi gravare, nel caso di specie, sul Ministero della Difesa poiché la procedura di evidenza pubblica cui è seguito il contratto de quo è stata indetta nel vigore del d.lgs. n. 50 del 2016 ed anche l’esecuzione è regolata dalle disposizioni di questo dettate per la fase esecutiva dei contratti con la pubblica amministrazione.

La norma sopravvenuta del d.lgs. n. 36 del 2023 non ha portata retroattiva poiché non è norma interpretativa né applicativa di un principio generale già presente nell’ordinamento, ma introduce ex novo il rimedio generale di manutenzione del contratto, che, come si legge nella Relazione al Nuovo Codice dei contratti pubblici, è maggiormente conforme all’interesse dei contraenti in considerazione dell’inadeguatezza della tutela meramente demolitoria apprestata dall’art. 1467 c.c. (norma, quest’ultima, applicabile fino all’entrata in vigore del nuovo Codice). Il rimedio della rinegoziazione è regolato, quanto alle forme e ai tempi del contraddittorio tra le parti contrattuali, dalla disposizione dell’art. 120, comma 8, che non ha alcuna norma corrispondente nell’immediato precedente normativo dell’art. 106 del d.lgs. n. 50 del 2016” (Consiglio di Stato sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212).

27. In ordine al sesto motivo di appello è sufficiente osservare che non vi è alcuna disparità di trattamento tenuto conto che l’Amministrazione non ha fatto altro che applicare la disciplina del d.lgs. n. 50 del 2016, senza esercitare alcuna discrezionalità amministrativa.

28. Anche il settimo motivo è pacificamente infondato per la ragione, già evidenziata, che in mancanza di apposita previsione contrattuale, è infondata la pretesa della ricorrente, per la quale l’amministrazione avrebbe dovuto avviare un’attività istruttoria volta all’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del compenso revisionale.

29. L’ottavo e il nono motivo di appello sono infondati alla luce di tutte le considerazioni già esposte in sede di esame dei precedenti motivi.

30.  La questione di legittimità costituzionale contenuta nel decimo motivo di appello, è manifestamente infondata. Attiene allo spazio di discrezionalità del legislatore la disciplina delle modifiche contrattuali che il Codice del 2016 conteneva, in termini di piena compatibilità, come detto, col diritto euro-unitario di tutela della concorrenza, nonché di coerenza con la finalità di contenimento della spesa pubblica. “D’altronde, anche nel caso della mancata previsione di clausole di revisione dei prezzi, e con specifico riguardo alle sopravvenienze straordinarie e imprevedibili, che comportino aumenti esorbitanti dei costi, l’operatore economico non è sprovvisto di tutela giurisdizionale, potendo esperire il rimedio civilistico dell’art. 1467 cod. civ. Quanto alla possibile contrarietà all’interesse pubblico dell’interruzione delle forniture in corso di rapporto che ne seguirebbe, la relativa valutazione non potrebbe che essere rimessa all’amministrazione appaltante, cui lo stesso art. 1467 cod. civ. consente di evitarla “offrendo di modificare equamente le condizioni del rapporto” (Consiglio di Stato sez. V, 18 novembre 2024, n. 9212, cit.).

31. Per tutte le ragioni esposte l’appello va respinto e, per l’effetto, la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio n. 13645/2024 è confermata.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

CONSIGLIO DI STATO, V – sentenza 06.10.2025 n. 7779

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