Con il ricorso in epigrafe è stata impugnata l’ordinanza del 1° agosto 2024 di sgombero ex art. 2-decies, comma 2, della legge 575/65 delle unità immobiliari site in -OMISSIS-.
Il ricorrente ha dedotto di aver stipulato con -OMISSIS-, quale proprietaria del bene, un contratto di locazione ad uso abitativo riguardante un immobile composto da un vano, oltre cucina e servizi, ubicato nel Comune di -OMISSIS-, via -OMISSIS-, censito al Catasto del Comune di -OMISSIS- al -OMISSIS-; il contratto di locazione era stato stipulato per la durata di quattro anni, con decorrenza dal 1° luglio 2010 al 30 giugno 2014, e sarebbe stato “rinnovato per altri quattro anni nell’ipotesi in cui il locatore non comunichi al conduttore disdetta del contratto motivata ai sensi dell’art. 3 comma 1 della L. 9 dicembre 1998, n. 431, da recapitarsi mediante raccomandata almeno sei mesi prima della scadenza. […] In mancanza della comunicazione alla fine del primo rinnovo, il contratto sarà rinnovato tacitamente per quattro anni alle medesime condizioni. Successivamente il contratto si rinnoverà di quattro anni in quattro anni, in mancanza di disdetta da recapitare mediante raccomandata almeno sei mesi prima della scadenza”.
In assenza di rituale disdetta il contratto di locazione si era rinnovato tacitamente sino al 30 giugno 2026 e il ricorrente aveva continuato a detenere l’immobile e a versare senza soluzione di continuità il canone di locazione pattuito nella misura di € 200,00 al mese, giusta l’art. 4 del medesimo suddetto contratto di locazione.
Il 4 settembre 2024 ricorrente aveva ricevuto la notifica dell’ordinanza del 1° agosto 2024, con la quale l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata aveva ordinato di sgomberare il suddetto immobile ai sensi dell’art. 2-decies, comma 2, della legge 575/65.
Da tale ordinanza aveva appreso che “con decreto n. -OMISSIS- emesso dal Tribunale di -OMISSIS- – Sezione Misure di Prevenzione in data 11.6.2014, parzialmente riformato dal decreto -OMISSIS- del 15.4.2016 della Corte di Appello di -OMISSIS- – Sezione Prima Penale – Misure di Prevenzione, divenuto definitivo in esito alle sentenze della Corte Suprema di Cassazione del 26.4.2016 e del 17.11.2016, sono state confiscate, tra l’altro, in danno di -OMISSIS- (nata a -OMISSIS- il -OMISSIS-), le unità immobiliari site in -OMISSIS-, -OMISSIS-”, tra le quali anche l’immobile locato al signor -OMISSIS- nel 2010.
A sostegno del ricorso sono state formulate le seguenti censure:
1.violazione di legge, con particolare riferimento agli artt. 2-decies e 2-undecies della legge n. 575/1965, agli artt. 40, 44, 45, 45-bis, 47, 48, 52, da 56 a 62 del d.lgs. 159/2011, all’art. 823 cod. civ., agli artt. 1, 7, 8, 9, 10, 21-octies della legge n. 241/1990, secondo una lettura costituzionalmente orientata; eccesso di potere per difetto d’istruttoria, erronea valutazione e travisamento dei fatti, intrinseca contraddittorietà, difetto di motivazione.
Nella specie il soggetto leso dall’ordinanza di sgombero era detentore dell’immobile in virtù di un contratto di locazione sottoscritto nel luglio 2010 ed era del tutto estraneo ai procedimenti penali esitati nella confisca di prevenzione, a norma del d.lgs. 159/2011, di una pluralità di immobili della signora -OMISSIS-; egli fruiva unicamente di una pensione di importo pari a circa € 570 netti mensili, che non gli avrebbe consentito di sopravvivere pagando un canone superiore a quello concordato.
2. In subordine, questione di legittimità costituzione degli articoli 2-decies e 2-undecies della legge n. 575/1965, degli artt. 40, 44, 45, 45-bis, 47, 48, 52, da 56 a 62 del d.lgs. 159/2011, dell’art. 823 cod. civ., agli artt. 1, 7, 8, 9, 10, 21-octies della legge n. 241/1990 per violazione degli articoli 2, 3, 32, 38, 97, 117 Cost., eccesso di potere per difetto d’istruttoria, erronea valutazione, travisamento dei fatti, difetto di motivazione.
Ove ritenuta applicabile anche al detentore dell’immobile che – come nella fattispecie – versi “in particolare condizione di disagio economico e sociale” del tipo di quella prevista dall’art. 48 comma 4-bis del medesimo d.lgs. 159/2011, risulti estraneo ai fatti illeciti contestati e ove non sussistano tra le parti rapporti di parentela e/o di correità, la disciplina legislativa, che non consentiva al detentore stesso incolpevole di permanere nell’immobile già da esso occupato per effetto di un contratto di locazione legittimamente stipulato, sarebbe costituzionalmente illegittima sotto molteplici profili.
In particolare tale disciplina risulterebbe in contrasto con l’art. 2 Cost., che sancisce la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo e dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, nonché con il principio di uguaglianza sostanziale ex art. 3 Cost., che osta al trattamento differenziato di situazioni sostanzialmente uguali, come sono quelle tutelate dall’art. 48 comma 4-bis del d.lgs. 159/2011 rispetto all’omologa situazione (invece priva di tutela) dell’odierno ricorrente.
La normativa in questione contrastava anche:
– con l’art. 32 (tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività), l’art. 38 (“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale” ), e l’art. 97 Cost., anche in quanto espressione dei principi di legalità, d’imparzialità e di buon andamento dell’azione amministrativa;
– con le prescrizioni, rilevanti quali “parametri interposti” alla stregua dell’art. 117 comma 1 Cost. (giusta Corte Cost., 8 novembre 2018, n. 194) – della Carta Sociale Europea: – nella Parte I, al punto 23 (“Ogni persona anziana ha diritto ad una protezione sociale”), al punto 30 (“Ogni persona ha diritto alla protezione dalla povertà e dall’emarginazione sociale”) e al punto 31 (“Tutte le persone hanno diritto all’abitazione”); – e nella Parte II, all’art. 13 (“Diritto all’assistenza sociale e medica”), all’art. 23 (“Diritto delle persone anziane ad una protezione sociale”); all’art. 30 (“Diritto alla protezione contro la povertà e l’emarginazione sociale”); e, soprattutto, all’art. 31 (Diritto all’abitazione).
Si è costituita l’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni confiscati resistendo al ricorso.
All’esito della camera di consiglio del 22 gennaio 2025 questo Tribunale ha disposto la fissazione dell’udienza di merito, ai sensi dell’art. 55 comma 10 c.p.a., ai fini della più approfondita trattazione della questione controversa.
All’udienza pubblica del 24 settembre 2025 il ricorso è stato trattenuto in decisione.
Il ricorso è infondato.
La giurisprudenza, con riferimento ai provvedimenti di sgombero, ha statuito che “ai sensi dell’art. 27, d.lgs. n. 159 del 2011, i provvedimenti che dispongono la confisca dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, quale misura di prevenzione antimafia, diventano esecutivi con la definitività delle relative pronunce penali; le pronunce del giudice penale acquisiscono carattere definitivo, vale a dire passano in giudicato (art. 648 c.p.p.), quando non sono proponibili impugnazioni diverse dalla revisione, ovvero sia decorso inutilmente il termine per proporre impugnazioni, ovvero sia stato dichiarato inammissibile o rigettato il ricorso per cassazione; la pendenza del giudizio dinanzi alla Corte Europea dei Diritti Umani, proposto avverso la confisca dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, non incide sulla possibilità di procedere alla sgombero del bene ed alla sua destinazione ad altro; gli artt. 45 e 45 bis, d.lgs. n. 159 del 2011, laddove fanno riferimento al “provvedimento definitivo di confisca”, alludono al provvedimento di confisca che sia da ritenersi “definitivo” in base alle norme dell’Ordinamento italiano, e quindi al provvedimento di confisca in relazione al quale non possa essere esperito un rimedio impugnatorio interno; qualora la Cedu dovesse riconoscere fondatezza al ricorso presentato, non per tale ragione verrebbe meno, automaticamente, la validità del decreto di confisca, dovendo in tale circostanza lo Stato italiano adottare misure idonee a porre i ricorrenti in una situazione simile a quella in cui si sarebbero trovati ove non vi fosse stata inosservanza alcuna della Convenzione, e tali misure non necessariamente dovrebbero comportare la restituzione della proprietà dell’immobile” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 10 dicembre 2020, n. 7866).
Nell’occasione, il Consiglio di Stato ha evidenziato che la Corte Europea dei Diritti Umani ha già avuto modo di pronunciarsi sulla legittimità della confisca disposta quale misura di prevenzione antimafia, affermando in particolare che: a) la confisca come misura di prevenzione, non solo non confligge con le norme della Cedu, ma anzi è una misura indispensabile per contrastare il crimine (cfr. sentenza 22 febbraio 1994, Raimondo c. Italia, in causa 12954/87; Decisione 4 settembre 2001, Riela c. Italia, in causa 52439/09); b) la confisca deve essere, in ogni caso, conforme alle prescrizioni dell’art. 1, primo paragrafo, del Protocollo n. 1 alla Convenzione, ed a tal fine deve rispettare due limiti: deve, cioè, essere irrogata sulla base di una espressa previsione di legge e deve realizzare il giusto equilibrio tra l’interesse generale e la salvaguardia del diritti dell’individuo (cfr. sentenza 20 gennaio 2009, Sud Fondi s.r.l. c. Italia, in causa 75909/01); c) per la Corte inoltre non costituisce di per sé violazione né della Cedu, né del Protocollo n. 1, l’inversione dell’onere della prova, in base al quale è il prevenuto a dover dimostrare l’origine lecita dei beni di cui dispone (cfr. decisione 5 luglio 2001, Arcuri c. Italia, in causa 52024/99 che ha affermato che “la presunzione d’innocenza non è assoluta”), fermo restando, ovviamente, il diritto incoercibile del prevenuto a fornire con ogni mezzo la prova contraria (cfr. sentenza 23 dicembre 2008, Grayson e Barnham c. Regno Unito, nelle cause riunite 19955/05 e 15085/06, 40, 41 e 45 della motivazione); d) la Corte, con riferimento all’ipotesi di confisca ai danni di un terzo, diverso dal reo o dal prevenuto, ha, in varie occasioni, affermato che il requisito del giusto equilibrio è rispettato quando al terzo proprietario dei beni confiscati sia data la possibilità di un ricorso giurisdizionale (cfr. decisione 26 giugno 2001, C.M. c. Francia, in causa 28078/95).
Quanto al diritto all’abitazione e alla possibilità di procurarsi un alloggio, la giurisprudenza amministrativa ha, da tempo, chiarito che quello dell’Agenzia dei beni confiscati alla criminalità organizzata di ordinare lo sgombero di un immobile confiscato è un “potere-dovere” che non è in alcun modo condizionato dalla previa adozione del provvedimento di destinazione del bene stesso ma risponde ad un interesse concreto alla liberazione dei beni, che viene compiutamente soddisfatto con l’esercizio di un’azione esecutiva complementare ma distinta da quella discrezionale con cui, invece, l’amministrazione decide in ordine all’uso sociale dei medesimi beni mediante il procedimento di destinazione disciplinato dagli artt. 47 e seguenti del d.lgs. 159/2011 (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 25 luglio 2016, n. 3324).
L’ordinanza di sgombero, come congegnata dal legislatore, è riconducibile all’esercizio di un potere vincolato e costituisce un “atto dovuto”, strettamente consequenziale rispetto alla confisca definitiva dei beni, da cui consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce l’oggetto ex art. 45, comma 1, d.lgs. 159/2011.
Al momento dell’acquisizione del carattere di definitività del provvedimento di confisca corrisponde, quindi, per l’Agenzia il potere-dovere di ordinare alla parte ricorrente di lasciare libero il bene, avendo lo stesso acquisito, per effetto del provvedimento ablatorio, una impronta rigidamente pubblicistica che non consente di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche.
Pertanto, una volta esercitato – come nella specie – il predetto potere, “il bene deve essere considerato oramai acquisito in via definitiva al patrimonio indisponibile dello Stato, in quanto l’ordinanza di sgombero, riconducibile all’esercizio di un potere vincolato, costituisce effettivamente un atto dovuto strettamente consequenziale rispetto alla confisca definitiva dei beni, da cui consegue un istantaneo trasferimento a titolo originario in favore del patrimonio dello Stato del bene che ne costituisce l’oggetto ex art. 45 co. 1 d.lgs. n. 159/2011 (cfr. Cass. civ., SS.UU., 8 gennaio 2007, n. 57)” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 23 giugno 2014, n. 3169).
A ciò occorre soggiungere che, in merito al giudizio di bilanciamento tra l’interesse pubblico e quello privato, il legislatore ha ritenuto prevalente l’esigenza di contrastare la criminalità organizzata attraverso l’eliminazione dal mercato (quindi con il provvedimento ablatorio) di un bene di provenienza illecita “destinandolo ad iniziative di interesse pubblico (Cons. Stato, sez. III, n. 2993 del 2016 e n. 6193 del 2018); pertanto, rispetto all’ordinanza di sgombero non può più affermarsi la necessità di comparare l’interesse pubblico alla acquisizione della disponibilità materiale del bene con quello privato alla conservazione di un immobile, non essendo in capo agli occupanti configurabile una posizione giuridica meritevole di tutela, con riferimento non solo all’an ma anche al momento della consegna (Cons. Stato, sez. III, n. 6706 del 2018; n. 6193 del 2018 e n. 5669 del 2018), neanche avuto riguardo ad esigenze, pur comprensibili dal punto di vista umano, relative alla presenza di minori, o a particolari condizione di salute dei destinatari del provvedimento di sgombero” (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 12 giugno 2024, n. 5264).
Infine, vale sottolineare che il bene acquisito per effetto della confisca ha assunto una impronta rigidamente pubblicistica, che non consente di distoglierlo, anche solo temporaneamente, dal vincolo di destinazione e dalle finalità pubbliche, che determinano l’assimilabilità del regime giuridico della res confiscata a quello dei beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato.
Ne consegue che l’ordinanza di sgombero costituisce esercizio necessitato di un potere autoritativo, dovendo l’Agenzia comunque assicurare al patrimonio indisponibile dello Stato i beni stessi per la successiva destinazione a finalità istituzionali e sociali, sottraendoli ai soggetti nei confronti dei quali è stata applicata, in via definitiva, la misura patrimoniale. Ciò comporta che non sussiste alcun obbligo di motivazione in capo all’Agenzia nel disporre il provvedimento di sgombero dell’immobile confiscato, né di svolgere valutazioni comparative di interessi prima di procedere all’adozione dell’ordinanza di rilascio neppure con riferimento alla tempistica per la sua esecuzione (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 20 ottobre 2020, n. 6386).
Né sussistono problemi di compatibilità della misura di prevenzione con i principi CEDU, come ribadito dalle Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 10532/2013, che contiene ampi richiami alla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo (Tar Lazio, Roma, sez. I, 22 gennaio 2016, n. 777).
Anche la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, infatti, ha affermato che il diritto all’abitazione, di cui all’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, può essere sacrificato, nel rispetto degli altri diritti previsti dall’ordinamento, a fronte di misure proporzionate e decise da un giudice indipendente (sentenza CEDU 13.5.2008, McCann c/Regno Unito).
Quanto, infine, alla dedotta illegittimità costituzionale delle norme di legge di riferimento, la loro finalità pubblicistica, dissuasiva della commissione di illeciti e comunque volta alla tutela dell’ordinamento democratico mediante la prevenzione ed il contrasto dell’utilizzo economico degli ingenti proventi finanziari delle attività illecite della criminalità organizzata da parte di soggetti risultati non estranei a tali ambiti – che è quindi diversa dalle finalità retributiva e rieducativa della persona affidate alla pena dall’art. 27 della Costituzione- evidenzia l’infondatezza della dedotta questione di costituzionalità (Cons. Stato, sez. III, sentenza n. 5039 del 30.11.2016).
Le medesime conclusioni devono ribadirsi con riferimento al disposto dell’art. 48, comma 4 bis, del d.lgs. n. 159/2011, evocato dal ricorrente come parametro della irragionevolezza delle disposizioni in materia di sgombero.
La norma citata, infatti, stabilisce: “Fermi restando i vincoli connessi al trasferimento nel patrimonio indisponibile dell’ente destinatario, nell’ambito delle finalità istituzionali di cui al comma 3, lettera c), rientra l’impiego degli immobili, tramite procedure ad evidenza pubblica, per incrementare l’offerta di alloggi da cedere in locazione a soggetti in particolare condizione di disagio economico e sociale anche qualora l’ente territoriale ne affidi la gestione all’ente pubblico a ciò preposto”; prevede quindi la possibilità di una destinazione a fini sociali e abitativi dei beni confiscati.
Tale disposizione, di contenuto generale, facoltizza una particolare utilizzazione del bene ma non può certo essere intesa come riconoscimento di esigenze che invece non sarebbero considerate al momento dello sgombero, in quanto afferisce ad una fase successiva all’acquisizione della disponibilità degli immobili e mira a indirizzare il successivo potere discrezionale dell’Amministrazione nell’individuare la destinazione del bene, senza in alcun modo incidere sulla fase precedente dell’acquisizione.
Alla luce di tali considerazioni deve ritenersi infondata la prospettata questione di costituzionalità.
Il ricorso deve quindi essere respinto.
La peculiarità della vicenda controversa giustifica la compensazione delle spese.
TAR LAZIO – ROMA, I – sentenza 22.10.2025 n. 18332