Con l’atto introduttivo della presente causa vengono impugnati gli atti enucleati in epigrafe e se ne domanda l’annullamento.
I motivi di doglianza attengono a:
– “1. VIOLAZIONE DI PRINCIPI GENERALI.”;
– “2. ECCESSO DI POTERE PER GENERICA E/O CARENTE E/O INSUFFICIENTE MOTIVAZIONE E/O CARENTE ISTRUTTORIA.”;
– “3. VIOLAZIONE E/O FALSA APPLICAZIONE DELL’ART. 23 COMMA 1 CODICE DELLA STRADA IN COMBINATO DISPOSTO CON L’ART. 47 DEL REGOLAMENTO DI ATTUAZIONE ED ESECUZIONE DEL C.D.S. (D.P.R. 495/1992) E ART. 2 REGOLAMENTO PER LA DISCIPLINA DELLA PUBBLICITA’ SULLE STRADE DI COMPETENZA ANAS”.
L’Amministrazione si è costituita in giudizio depositando memorie e documenti e chiedendo la reiezione del ricorso.
All’udienza indicata in epigrafe la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è infondato e va pertanto respinto, per le ragioni che seguono.
La questione per cui è causa attiene alla mancata autorizzazione, da parte della resistente, all’esposizione, da parte della ricorrente, di numerose insegne presso il suo esercizio al Km 27+500 lato destro della S.S. 148 Via Pontina.
Le censure attengono anzitutto alla presunta illegittimità dei provvedimenti de quibus per violazione dell’art. 3 della Legge 241/90, in quanto gli stessi sarebbero privi della benché minima motivazione circa le ragioni che hanno indotto l’Ente resistente ad adottarli.
In particolare, sarebbero generiche le seguenti frasi: “visionata la documentazione tecnica, si evince che l’istanza si riferisce alla richiesta di installazione di più mezzi pubblicitari riconducibili ad “insegne dl esercizio”, non autorizzabili ai sensi della normativa vigente, in quanto più insegne rappresentano palesemente un richiamo pubblicitario, nonché disturbo visivo agli utenti della strada con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione”, contenuta nel preavviso di rigetto e “vista l’ulteriore verifica tecnica dalla quale si conferma che l’istanza non può essere accolta per difformità all’art. 23 comma 1 del Codice della Strada in quanto i mezzi pubblicitari esposti arrecano disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione”, di cui al provvedimento conclusivo.
Ad avviso del Collegio, il motivo non può essere accolto, in quanto la motivazione, da un lato, è sufficientemente chiara, dall’altro lato, fa evidentemente rinvio per i dettagli alla istanza presentata dalla ricorrente in cui dovrebbero risultare chiari i caratteri delle insegne su cui si controverte.
Sotto tale profilo, dunque, una volta esplicati e contestualizzati i menzionati criteri e parametri, non si pone un problema di motivazione, in quanto la resistente ha chiaramente manifestato il suo convincimento, ed il controllo di legalità e di legittimità si sposta quindi sul piano sostanziale, dovendosi analizzare i materiali processuali per appurare se l’apprezzamento dell’Amministrazione è stato corretto o meno. Del resto la ricorrente ha perfettamente compreso i motivi di diniego ed infatti li ha puntualmente censurati nel merito.
Per le medesime ragioni va respinto il secondo motivo di ricorso, con il quale si evidenzia eccesso di potere per generica, carente e/o insufficiente motivazione e/o carente o difettosa istruttoria.
Si tratta difatti di una censura in parte ripetitiva della prima, ed in parte connessa alla prima, posto che la correttezza dell’istruttoria deve risultare dalla motivazione, e quest’ultima come detto non può ritenersi insufficiente, erronea o comunque viziata senza un previo approfondimento e scrutinio sostanziale in ordine al contenuto dell’istanza della ricorrente.
Venendo quindi alla terza doglianza, ossia la reale conformità di quanto contenuto nell’istanza ai precetti normativi, può notarsi come nel ricorso si deduce che la collocazione delle insegne, considerate dalla ricorrente di esercizio e dalla resistente pubblicitarie, “era finalizzata ad indicare la posizione dove si svolge l’attività economica della ricorrente. Funzione in particolare assolta dal totem e dalle bandiere, progettati in modo da essere osservati da una distanza di circa 200 mt e per tempo permettere agli utenti di imboccare la complanare parallela alla Via Pontina ed accedere al negozio, con l’inconveniente diversamente di dover percorrere chilometri per fare inversione di marcia, nelle vicinanze vietata. E nelle intenzioni della azienda tali strumenti avrebbero dovuto sostituire e/o integrare le insegne presenti e da quasi un ventennio autorizzate dal Comune di Pomezia, all’epoca competente al rilascio del nulla-osta previsto dal codice della strada.”.
Ritiene il Collegio che la deduzione di cui sopra sia contraddittoria, non offra supporto probatorio alla tesi della ricorrente e non sia idonea a contrastare efficacemente la valutazione, peraltro in buona misura di discrezionalità tecnica, della resistente in ordine al carattere essenzialmente o prevalentemente pubblicitario delle insegne in discorso.
Difatti, in primo luogo, totem poster e bandiere per loro natura poco si attagliano ad una mera insegna di esercizio.
In secondo luogo quanto evidenziato dalla ricorrente in ordine alla necessità di evitare che gli utenti percorrano inutilmente chilometri e che le insegne siano visibili da 200 mt. rende plasticamente il senso della pericolosità dell’intervento di cui si è chiesta l’autorizzazione, visto che lo scopo dell’intervento appare dichiaratamente quello di far risultare visibili dette installazioni agli automobilisti che percorrono la Pontina.
Il richiamo della clientela, in terzo luogo, è tipico elemento pubblicitario, e non insegna di esercizio.
Quest’ultima è definita dall’art. 47 del D.P.R. n. 495/1992, alla cui stregua è tale la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da simboli e da marchi, realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Essa ha l’esclusiva funzione di “segnalare il luogo ove si esercita l’attività di impresa“, in coerenza con quella tipica dell’istituto ex art. 2568 c.c. (cfr. sul punto Consiglio di Stato, V, 29 marzo 2021, n. 2587; Tar Sicilia, Catania, 10 luglio 2025, n. 2210).
Nel caso di specie appare molto chiaro come la menzionata funzione di mera segnalazione che potrebbe definirsi essenzialmente “passiva” sia incoerente rispetto alla tipologia delle insegne ipotizzate, al loro posizionamento ed al loro numero che appaiono dichiaratamente avere una funzione essenzialmente “attiva” consistente nell’attirare la clientela.
In quarto luogo, la tipologia delle insegne (poster, totem, vetrofanie ect.), per come risulta dai prospetti di cui alla istanza della ricorrente (cfr. all. 4 della stessa), non è coerente con la mera funzione di individuare la sede. Trattasi invece più verosimilmente di mezzi di richiamo della clientela e del resto dagli allegati della stessa ricorrente risulta come alcune insegne raffigurino artigiani al lavoro, in assonanza peraltro con note reclame pubblicitarie per certi versi contestate dalle autorità competenti alla repressione degli illeciti commerciali ed oggetto di provvedimenti sanzionatori.
In quinto luogo, la numerosità delle insegne, pur di per sé non dirimente, contribuisce alla legittima convinzione della parte resistente in ordine alle finalità pubblicitarie, ed infatti il preavviso di rigetto emanato in data 29.04.2021 rilevava che le insegne “per numero, posizione e conformazione hanno natura di impianto pubblicitario e non di insegna di esercizio” e sussiste il concreto rischio dell’aggiramento dei limiti dimensionali.
In questo senso il provvedimento impugnato appare in piena consonanza anche con l’art. 23, comma 1, del d.lgs. n. 285/1992, “lungo le strade o in vista di esse è vietato collocare insegne, cartelli, manifesti, impianti di pubblicità o propaganda, segni orizzontali reclamistici, sorgenti luminose, visibili dai veicoli transitanti sulle strade, che per dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione possono ingenerare confusione con la segnaletica stradale, ovvero possono renderne difficile la comprensione o ridurne la visibilità o l’efficacia, ovvero arrecare disturbo visivo agli utenti della strada o distrarne l’attenzione con conseguente pericolo per la sicurezza della circolazione;”.
In particolare, il riferimento a “dimensioni, forma, colori, disegno e ubicazione” rendono chiaro che il complesso degli elementi di cui all’istanza può determinare l’accertamento in ordine alla pericolosità per la sicurezza stradale.
Nel caso di specie, dunque, la pletora delle insegne di cui all’istanza, pur non avendo rilevanza per se, contribuisce, quantomeno sotto il profilo della “ubicazione”, a dimostrare la correttezza della posizione della parte resistente.
Le considerazioni che precedono esplicano le ragioni per le quali i provvedimenti devono ritenersi legittimi, con evidente assorbimento degli ulteriori argomenti e deduzioni delle parti, inidonee a supportare una decisione di diverso segno.
Pertanto, il ricorso deve essere respinto.
Le spese di lite vanno compensate considerando la peculiarità della stessa.
TAR LAZIO – ROMA, IV – sentenza 20.08.2025 n. 15633