1. La Corte ritiene di proporre d’ufficio questione di costituzionalità delle disposizioni, rilevanti ai fini della decisione sul ricorso, contenute nell’art. 87-bis, comma 7, lett. c), e comma 8, d.lgs. n. 150 del 10/10/2022, introdotto dall’art. 5-quinquies del d.l. n. 162 del 31/10/2022, conv. con legge n. 199 del 30/12/2022, perché sacrificano irragionevolmente e indebitamente il diritto delle parti di difendersi adeguatamente in giudizio per mezzo della proposizione dell’impugnazione, in tal modo violando gli artt. 3 e 24 Cost.
Le disposizioni dell’art. 87-bis d. lgs. n. 150 del 2022 prescrivono che l’atto di impugnazione, inviato tramite PEC, è inammissibile quando «è trasmesso a un indirizzo di posta elettronica certificata non riferibile, secondo quanto indicato dal provvedimento del Direttore generale per i sistemi infornativi automatizzati di cui al comma 1, all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato», facendo quindi obbligo al giudice che ha emesso il provvedimento impugnato di dichiarare, anche d’ufficio, con ordinanza l’inammissibilità dell’impugnazione, e di disporre quindi l’esecuzione del provvedimento impugnato».
L’inammissibilità dell’impugnazione consegue, secondo una piana interpretazione letterale, non tanto – e non solo – alla trasmissione dell’atto di impugnazione ad un indirizzo non compreso nell’elenco del DGSIA, come già affermato, peraltro in modo non costante, dalla giurisprudenza di legittimità – secondo cui «in tema di impugnazioni, è inammissibile il ricorso per cassazione depositato telematicamente presso un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello indicato nel decreto del Direttore generale per i sistemi informativi automatizzati di cui all’art. 87-bis, comma 1, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150. (In motivazione, la Corte ha precisato che la ratio, sottesa alla citata disposizione, di semplificazione delle comunicazioni tra parti e uffici giudiziari e di accelerazione degli adempimenti di cancelleria non ammette interpretazioni che attenuino il rigore delle cause di inammissibilità previste dalla legge, nemmeno valorizzando l’idoneità della notifica al “raggiungimento dello scopo”)» (Sez. 2, n. 11795 del 21/02/2024, Rv. 286141; così Sez. 4, n. 48804 del 14/11/2023, Rv. 285399 e Sez. 1, n. 47557 del 29/11/2024, Rv. 287294) –; quanto all’invio ad un indirizzo non corrispondente all’ufficio del giudice a quo, a cui, secondo il quarto comma del menzionato articolo, esso deve essere inviato.
Nel caso in esame, l’impugnazione avrebbe dovuto essere inviata al magistrato di sorveglianza di Bologna, che aveva emesso il provvedimento impugnato, al quale il direttore generale dei sistemi informativi ha assegnato l’indirizzo di posta elettronica (OMISSIS), con evidenza diverso da quello utilizzato dal ricorrente, essendo peraltro l’ufficio di sorveglianza, a cui appartiene il magistrato di sorveglianza, un organo del tutto diverso dal tribunale di sorveglianza, e autonomo rispetto a questo.
Nonostante l’errore in cui è incorso l’impugnante, l’impugnazione è pervenuta, entro il termine di valida proposizione, al giudice che ha emesso il provvedimento oggetto di doglianza, e cioè il magistrato di sorveglianza, perché gli è stata trasmessa, per competenza, dal tribunale di sorveglianza a cui era stata, appunto erroneamente, inviata.
Il magistrato di sorveglianza ne ha allora dichiarato, in base al dato letterale delle disposizioni di legge, l’inammissibilità.
2. Difformemente da quanto sostenuto dal ricorrente, occorre precisare che non si sarebbe potuto giungere a soluzione diversa facendo applicazione dell’art. 69-bis ord. pen., che stabilisce la competenza del tribunale di sorveglianza a decidere ogni questione sui reclami proposti avverso le ordinanze del magistrato di sorveglianza, perché la norma in questione deve ritenersi superata da quella, sopravvenuta e di natura speciale, dell’art. 87-bis, comma 8, d.lgs. n. 150/2022, che ha stabilito la competenza del giudice a quo per la declaratoria di inammissibilità pronunciata a seguito del verificarsi dell’ipotesi prevista dall’art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150/2022.
Ancora, è utile chiarire che non rileva nel caso in esame la norma, di portata generale, di cui all’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. Essa stabilisce che «l’impugnazione è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione a essa data dalla parte che l’ha proposta. Se l’impugnazione è proposta a un giudice incompetente, questi trasmette gli atti al giudice competente». Questa Corte ha sempre ritenuto che essa si applichi nel solo caso della irregolarità sostanziale dell’impugnazione, o perché questa è stata proposta ad un giudice non competente, o perché è stato utilizzato un mezzo di impugnazione diverso da quello previsto dal codice di rito, ad esempio il ricorso per cassazione nei casi in cui è prevista l’opposizione ai sensi dell’art. 667, comma 4, cod. proc. pen. (tra le molte, Sez. 5, n. 42578 del 27/09/2024, Rv. 287234; Sez. 1, ord. n. 3063 del 15/09/2023, dep. 2024, Rv. 285720; Sez. U, n. 1626 del 24/09/2020, dep. 2021, Bottari, in motivazione).
Deve quindi ritenersi che essa non possa essere invocata nel caso di specie, in cui si è verificato un vizio solo formale, che non riguarda la sostanza dell’atto ma solo la sua trasmissione.
3. L’interpretazione dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. induce ad escludere che l’obbligo di trasmettere l’atto di impugnazione al giudice competente sussista nel caso di un’impugnazione proposta al giudice ad quem, competente per il giudizio di merito, ma presentata mediante invio ad un indirizzo telematico non riferibile all’ufficio del giudice a quo, al quale essa deve essere inviata.
Lo stesso testo dell’art. 87-bis, comma 7, lett. c), d.lgs. n. 150/2022, peraltro, esclude tale possibilità, in quanto l’errore nell’indicazione dell’indirizzo telematico non prevede alternative alla conseguenza della inammissibilità dell’atto. Il comma 8 della norma, poi, conferma la non operatività, in tale fattispecie, della norma di cui all’art. 568, comma 5 cod. proc. pen., in quanto stabilisce che il giudice a quo, quando riceve l’atto, inviato ad un indirizzo telematico errato ma evidentemente trasmessogli in quanto giudice competente a ricevere l’impugnazione avverso un provvedimento da lui emesso, deve dichiararne l’inammissibilità, senza poterlo trasmettere, a sua volta, al giudice ad quem, neppure se esso risulti pervenuto tempestivamente e non presenti alcuna delle ulteriori cause di inammissibilità, previste dall’art. 591 cod. proc. pen., come verificatosi nella vicenda oggetto del presente procedimento.
Questa Corte, in alcune pronunce (vedi Sez. 5, n.23192 del 29/04/2025, n.m.; Sez. 6, n. 19415 del 17/04/2025, Rv. 288084), ha ritenuto che il rigido formalismo introdotto già dall’art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020, convertito con legge n. 176/2020, e ribadito, in termini quasi identici, dall’art. 87-bis, commi 7 e 8, d.lgs. n. 150/2022, possa essere superato conformandosi ai principi dettati dalla sentenza Sez. U, n. 1626 del 24/09/2020, dep. 2021, Bottari, Rv. 280167, in particolare quanto alla valorizzazione del favor impugnationis e del principio del raggiungimento dello scopo dell’atto, ritenendo perciò che l’impugnazione non debba essere dichiarata inammissibile se, benché inviata al giudice non competente a riceverla, sia stata da questi trasmessa al giudice competente, ed egli l’abbia tempestivamente ricevuta. Detta pronuncia, infatti, ha affermato che «solo l’inosservanza del termine di presentazione determina, in realtà, l’inammissibilità del ricorso» cautelare perché, se esso, benché presentato in un luogo diverso da quello stabilito, perviene nel termine di legge al giudice competente a riceverlo, «non vi sono ragioni sostanziali per negare la validità del ricorso, in quanto … può ritenersi raggiunta la finalità del ricorrente di attivare il sistema impugnatorio».
Appare preferibile, però, il diverso e prevalente indirizzo giurisprudenziale, che nega l’estensibilità delle conclusioni della citata pronuncia alla disciplina introdotta dall’art. 87-bis, commi 7 e 8, d.lgs. n.150/2022. I suoi principi, infatti, sono stati dettati per il deposito dell’impugnazione in forma cartolare e non telematica, e soprattutto sono stati espressi in un contesto di regole non segnato, come invece l’attuale, dalla previsione di una specifica causa di inammissibilità per l’invio dell’atto ad un indirizzo telematico non corrispondente all’ufficio del giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
Non vi sono dunque margini per tentare, per via interpretativa, una correzione degli eccessi di formalismo regolatorio delle disposizioni in esame, attesa la vincolatività del testo normativo, che non autorizza a soluzioni diverse. Vanno a tal proposito richiamate le affermazioni della stessa sentenza Sez. U, n. 1626/2021, Bottari, secondo cui la valorizzazione delle regole del favor impugnationis e del raggiungimento dello scopo «non può … tradursi nell’attribuzione al diritto vivente di una potestà integrativa della voluntas legis, né quindi consentire l’individuazione di diverse forme di presentazione del ricorso rispetto a quelle volute dal legislatore», con l’ulteriore precisazione per la quale e «in presenza di un univoco tenore letterale della norma deve ritenersi precluso il ricorso ad un’interpretazione “adeguatrice” e, nel caso di dubbio circa la sua conformità ai principi costituzionali o convenzionali internazionali, si dovrebbe necessariamente lasciare spazio unicamente al sindacato di legittimità costituzionale».
4. Si pone, allora, attesa l’impossibilità di interpretazioni correttive e conformi ai principi costituzionali, la questione di legittimità dell’art. 87-bis, comma 7, lett. c), e comma 8, d.lgs. n. 150/2022 sotto il profilo della irragionevolezza e dell’indebito sacrificio del diritto di difesa, in ragione della consegna alla inammissibilità dell’atto di impugnazione pur quando, nonostante l’errore della parte nella trasmissione per via telematica, esso sia pervenuto al giudice a quo, e quindi all’organo individuato dalla legge, ben prima che siano decorsi i termini per la sua presentazione.
5. La questione è anzitutto rilevante.
Nel presente caso, come riferito dal ricorrente e comunicato dalla cancelleria del Tribunale del riesame di Bologna, l’atto di impugnazione presentato da P.A., un reclamo ai sensi degli artt. 35-ter e 69-bis Ord. pen., è pervenuto a detto ufficio, mediante PEC, in data 12 dicembre 2024, e nello stesso giorno è stato stampato in forma cartacea e consegnato alla cancelleria del magistrato di sorveglianza di Bologna mediante trasmissione brevi manu, avendo tale ufficio la medesima sede della cancelleria del Tribunale di sorveglianza, ed essendo medesimo anche il personale addetto ai due uffici.
Secondo tale comunicazione, perciò, l’atto di impugnazione è pervenuto tempestivamente al giudice a quo, risultando rispettato, per quanto rilevabile dagli atti, il termine di impugnazione di dieci giorni dall’ultima notifica del provvedimento impugnato; non è stata neppure indicata, dal giudice procedente, la sussistenza di una diversa causa di inammissibilità di detta impugnazione.
La questione risulta, perciò, rilevante, perché la declaratoria di incostituzionalità della norma, nella parte in cui stabilisce l’inammissibilità dell’impugnazione per il vizio formale verificatosi, o nella sola parte in cui non esclude tale sanzione nel caso in cui l’atto, sebbene viziato, pervenga tempestivamente nell’ufficio del giudice a quo, consentirebbe la trasmissione del reclamo al giudice ad quem ed il suo esame nel merito.
6. La questione è anche non manifestamente infondata. Le norme, ispirate ad un rigido formalismo, si pongono in contrasto con i principi del favor impugnationis, declinazione del diritto di difesa, e di ragionevolezza, espresso, per l’aspetto che ora interessa, dalla sapiente valorizzazione del criterio del raggiungimento dello scopo dell’atto, similmente a quanto il legislatore del codice dispone all’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., e all’art. 184, comma 1, cod. proc. pen., in tema di sanatoria delle nullità delle citazioni e degli avvisi, e che sorregge l’interpretazione, contenuta nella sentenza Sez. U, n.1626/2021, Bottari, sopra citata, dell’art. 582, comma 2, cod. proc. pen., abrogato dallo stesso d.lgs. n. 150/2022 e sostituito dall’art. 111-bis cod. proc. pen.
Con l’art. 87-bis, comma 7, lett. c), e comma 8, del d.lgs. n. 150/2022 si è introdotta nell’ordinamento una disciplina che attribuisce una non giustificata prevalenza della correttezza formale dell’atto, rectius delle sue modalità di invio, rispetto alla sua correttezza sostanziale, in una materia attinente all’esercizio dei diritti difensivi, facendo dipendere da un mero errore, anche se di fatto sanato e pertanto privo di effettive conseguenze, la perdita del diritto di ottenere dal giudice dell’impugnazione una pronuncia di merito.
6.1. Oggetto di violazione è il principio di cui all’art. 24 Cost.
Non può sfuggire che la diversa disciplina, operante – come si è detto – nei due diversi casi di un atto di impugnazione viziato, tutela adeguatamente il diritto di impugnazione delle parti a fronte di un vizio sostanziale dell’atto, mentre una pari tutela non è accordata per l’ipotesi di un vizio formale, costituito dal mero errore dell’invio ad un indirizzo telematico sbagliato.
Nel primo caso, l’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., in applicazione del principio del favor impugnationis, imponendo la trasmissione dell’atto al giudice competente, consente di correggere l’errore e di esaminare nel merito l’impugnazione anche se essa è stata presentata in modo sbagliato, salva la sussistenza di altre cause di inammissibilità. Nel secondo caso, invece, l’art. 87-bis, commi 7, lett. c), e 8 d.lgs. n. 150/2022 impone la declaratoria di inammissibilità, escludendo radicalmente l’applicabilità di tale principio anche in assenza delle cause previste dall’art. 591 cod. proc. pen., e non prevedendo neppure l’applicabilità del principio di conservazione degli atti, qualora l’impugnazione sia pervenuta tempestivamente al giudice competente a riceverla.
Ciò si risolve in un grave vulnus per l’impugnante, non giustificato dalla diversità degli errori da lui commessi, non potendo ritenersi il vizio formale più grave di un vizio sostanziale, tanto da risultare in ogni caso non sanabile.
6.2. Le disposizioni in esame violano contestualmente anche il principio di cui all’art. 3 Cost. che stabilisce, oltre all’uguaglianza di tutti i cittadini, il dovere del legislatore di disciplinare in modo analogo situazioni analoghe, ovvero di non disciplinare in modo irragionevolmente diverso situazioni che richiedono una analoga tutela.
Appaiono irragionevoli, infatti, l’introduzione di una causa di inammissibilità dell’impugnazione penale per un vizio solo formale, a fronte dell’esistenza, nel codice di rito, di una norma che esclude una simile inammissibilità per un vizio sostanziale, oltre che l’omessa previsione della insussistenza di tale inammissibilità quando l’atto abbia, comunque, raggiunto il suo scopo.
L’invio dell’atto di impugnazione a un indirizzo di posta elettronica certificata indicato dal DGSIA ma non riferibile all’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato costituisce un vizio solo formale, potendo essere dovuto ad un errore nell’individuazione del giudice competente a ricevere l’atto o del suo indirizzo telematico, o addirittura solo ad una svista nella lettura o nella trascrizione dell’indirizzo stesso, ma non pone dubbi circa la volontà del soggetto di proporre impugnazione al giudice competente.
La diversa qualificazione dell’impugnazione, perché proposta ad un giudice non competente o con un mezzo diverso da quello stabilito, costituisce invece un vizio sostanziale dell’atto, ma esso non comporta la declaratoria di inammissibilità, perché l’art. 568, comma 5, cod. proc. pen. fa obbligo al giudice che lo ha erroneamente ricevuto di trasmetterlo, previa eventualmente la sua diversa qualificazione, al giudice competente, il quale potrà valutare la sussistenza solo delle cause di inammissibilità previste dall’art. 591 cod. proc. pen.
Nel primo caso, pertanto, un atto di impugnazione corretto nella forma e nella sostanza, correttamente qualificato e indirizzato al giudice competente, viene dichiarato inammissibile solo perché trasmesso ad un indirizzo telematico diverso da quello indicato dal DGSIA.
Nel secondo caso, un atto di impugnazione indirizzato al giudice non competente, o qualificato erroneamente, e quindi viziato nella sua sostanza, produce i suoi effetti, in applicazione del principio del favor impugnationis, e deve essere fatto pervenire al giudice competente, il quale deve esaminarlo nel merito.
L’irragionevolezza di tale diversa disciplina emerge con evidenza nell’ipotesi, verificatasi nel presente caso, in cui l’atto di impugnazione inviato ad un indirizzo telematico non corrispondente al giudice a quo venga a questi trasmesso, e gli pervenga tempestivamente: mentre nel caso di un’impugnazione indirizzata al giudice non competente questa, se trasmessa tempestivamente a quello competente, ai sensi dell’art. 568, comma 5, cod. proc. pen., verrà esaminata e giudicata nel merito, l’errore nell’indirizzo telematico impone al giudice a quo di dichiararne l’inammissibilità, benché l’atto abbia raggiunto il suo scopo, pervenendo nel termine di legge al giudice a cui deve essere inviato.
Questi non può neppure ritenere sussistente alcuna sanatoria, in applicazione del principio del raggiungimento dello scopo costituente la ratio di una norma quale l’art. 184, comma 1, cod. proc. pen., perché non prevista dal legislatore.
Sotto altro profilo, appare irragionevole che la medesima tipologia di errore, quale l’invio dell’atto al giudice non indicato dalla legge, produca una conseguenza molto diversa se tale giudice non è competente ad esaminare nel merito l’impugnazione, ovvero se tale giudice, più semplicemente, non è competente a riceverla.
È irragionevole, pertanto, e perciò in contrasto con l’art. 3 Cost., la mancata previsione di una operatività dei predetti principi del favor impugnationis e della conservazione dell’atto che raggiunge il suo scopo, nell’ipotesi di un atto di impugnazione viziato solo per un errore formale nella sua trasmissione ma pervenuto tempestivamente al giudice a quo, mentre tali principi sono applicati dall’ordinamento processuale nell’ipotesi di un atto di impugnazione che presenta un vizio sostanziale.
La questione di costituzionalità qui proposta per la violazione dell’art. 3 Cost. appare, perciò, non manifestamente infondata.
7. La questione deve ritenersi non manifestamente infondata anche se la norma contestata è stata emessa, dal legislatore, in applicazione di un diverso principio costituzionale, quello del diritto ad una ragionevole durata del processo, stabilito dall’art. 111, comma 2, Cost.
I lavori preparatori del d.lgs. n. 150/2022 chiariscono che l’intera normativa è stata dettata in attuazione di tale principio, essendo finalizzata ad assicurare la celere definizione dei procedimenti giudiziari, anche mediante la semplificazione di atti e procedure.
L’art. 87-bis, introdotto nel d.lgs. n. 150/2022 dall’art. 5-quinquies del d.l. n. 162/2022, è sicuramente funzionale al rispetto del predetto principio, in quanto fornisce una disciplina organica e dettagliata delle disposizioni transitorie in materia di semplificazione delle attività di deposito di atti, documenti e istanze, applicabili sino alla piena operatività del processo penale telematico, ed escludendo il dovere di trasmettere ad altri uffici gli atti di impugnazione pervenuti erroneamente esonera le cancellerie da un’attività che comporta sicuramente un appesantimento e un rallentamento del loro lavoro. Il rispetto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo non può, però, giustificare l’introduzione di norme processuali che violano altri principi di pari rango, quali quelli stabiliti dagli artt. 3 e 24 Cost.
La costituzionalità della norma indicata, inoltre, deve essere valutata anche alla luce dei principi convenzionali internazionali. La Corte EDU riconosce agli Stati un ampio margine di apprezzamento, che consente l’imposizione di requisiti formali anche rigorosi per l’ammissibilità delle impugnazioni, ma a condizione che tali requisiti non limitino l’accesso del cittadino al giudice in modo tale da pregiudicare in modo sostanziale il suo diritto, pena la violazione dell’art. 6, par. 1 della Convenzione EDU (vedi la decisione n. 55064/11 del 28 ottobre 2021, Succi c/Italia, ed altre precedenti).
Occorre perciò valutare se il rigido formalismo della disciplina introdotta dall’art. 87-bis, commi 7, lett. c), e 8 d.lgs. n. 150/2022, con l’impossibilità anche solo di emendare o sanare un vizio puramente formale, risulti porre un limite eccessivo, oltre che ingiustificato, all’esercizio del diritto a un equo processo, anche nei gradi di giudizio successivi al primo, se previsti dall’ordinamento dello Stato.
Cass. pen., I, ud. dep. 01.09.2025, n. 30071