I. – Il primo motivo di appello.
I.1. Con il primo motivo di appello si contesta la decisione assunta dal T.A.R. poiché sussisterebbe l’interesse a ricorrere avverso gli atti impugnati.
I.2. Il T.A.R. ha ritenuto che “con la nota prot. 2314 del 25.01.2022 (allegato 002 al deposito documentale della resistente Amministrazione del 10.10.2023), il Dipartimento Regionale dell’Energia, con riferimento alla realizzazione della progettata discarica aveva rilevato “che la realizzazione della discarica di che trattasi, che occupa lo stesso sito dell’attuale cava di calcare denominata “Grotticelle” del Comune di Naro…potrà essere avviata una volta completata la coltivazione della cava come da progetto e che il giacimento minerario interessato venga pienamente e razionalmente sfruttato”.
La stessa ricorrente nel replicare, in data 24.06.2022 (cfr. pag. 8 della nota acclarata in data 04.07.2022 al prot. n. 63249 dell’Ispettorato ripartimentale delle Foreste di Agrigento, allegato 001 del deposito documentale della difesa erariale del 28.06.2023), ai rilievi di cui al parere interlocutorio della C.T.S. n. 91/2022 del 13.05.2022 aveva poi evidenziato che:
“L’intervento in esame prevede la realizzazione della discarica solo dopo avere completato il pieno e razionale sfruttamento della cava, come espressamente richiesto nel parere del Distretto Minerario. La discarica verrà realizzata una volta che siano completate tutte le attività, compreso il recupero ambientale, previste nell’autorizzazione rilasciata per la coltivazione della cava.
Questa scelta, sebbene appaia non ottimale, consente di separare il percorso realizzativo, autorizzativo e normativo relativo alla cava, rispetto al successivo intervento di realizzazione della discarica.
Ciò consente di evitare di confondere, come pare abbia fatto la CTS, la realizzazione della discarica in esame con un intervento di riassetto morfologico, connaturato alla gestione stessa della cava”.
Anche il parere istruttorio conclusivo della C.T.S. del 31 gennaio 2023 (cfr. allegato 003 del deposito originale, pag. 28) conferma che “…nel caso di specie, la prospettata discarica verrà realizzata una volta che siano state completate tutte le attività, ivi compreso il recupero ambientale previsto nell’autorizzazione per la coltivazione della cava e, dunque, in un’area completamente risanata e ripristinata sotto il profilo paesaggistico”.
Infine, alle pagine 8 e 9 del ricorso introduttivo, parte ricorrente pacificamente ammette che “Come già osservato in sede procedimentale, l’attività di discarica sarà avviata soltanto dopo l’esaurimento e la conclusione dell’attività estrattiva” e che “…il citato art. 23 delle NTA attiene soltanto alla fase di coltivazione della cava, ma allo stesso tempo non può essere posto come limite alle possibilità del
riutilizzo della cava stessa una volta cessata l’attività estrattiva”.
In sostanza, contrariamente a quanto sostenuto con la memoria conclusionale ed a quanto evidenziato dalla perizia di parte, anche a non tener conto di quanto emerge dalla documentazione in atti, parte ricorrente nel corso del procedimento e con l’atto introduttivo del presente giudizio ha pacificamente dato atto che la realizzazione della progettata discarica avrebbe potuto essere avviata non solo dopo l’esaurimento della cava, ma anche successivamente al recupero ambientale dell’area di coltivazione.
Tale circostanza esclude la sussistenza di un interesse attuale all’impugnazione dei decreti assessoriali del 24 febbraio 2023 e del 13 giugno 2023, con i quali è stato espresso giudizio di compatibilità ambientale negativo e respinta l’istanza di Provvedimento Autorizzatorio Unico Regionale per il progetto di realizzazione sul sito della cava di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi/non putrescibili, proposto dalla società ricorrente.
Anche a non voler considerare quanto esposto, in ogni caso la stessa ricorrente ammette che la cava, sulla scorta delle stime di parte, non si esaurirà prima di 27 mesi circostanza che, di per sé, esclude l’attuale sussistenza dell’interesse ad impugnare i predetti provvedimenti concernenti l’impatto ambientale della progettata discarica, che comunque non potrà essere realizzata in questo periodo di tempo.
10. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso introduttivo e dei primi motivi aggiunti deriva l’improcedibilità del secondo ricorso per motivi aggiunti con il quale, come detto, parte ricorrente aveva chiesto l’annullamento della nota, prot. 0085941 del 27.11.2023, con la quale il Dipartimento dell’Ambiente aveva rigettato la richiesta della ricorrente di trasmettere a tutti gli Enti coinvolti il sopravvenuto parere favorevole espresso sul progetto per cui è causa dalla Soprintendenza di Agrigento.
Anche a non considerare la dubbia impugnabilità di tale provvedimento, che ha natura di atto meramente confermativo atteso che con la nota citata l’Amministrazione ha respinto quella che, in sostanza, era una domanda volta al riesame dei predetti provvedimenti di diniego della compatibilità ambientale della discarica, dalla declaratoria di inammissibilità delle domande di annullamento di
questi ultimi consegue che parte ricorrente nessun vantaggio potrebbe ricavare dall’annullamento del provvedimento da ultimo impugnato”.
I.3. L’appellante contesta la decisione poiché sussisterebbe un suo concreto ed attuale interesse all’annullamento degli atti impugnati.
I.4. Il Collegio osserva che l’azione di annullamento davanti al giudice amministrativo è soggetta, sulla falsariga del processo civile, a tre condizioni fondamentali: il c.d. titolo o possibilità giuridica dell’azione (cioè, la posizione giuridica configurabile in astratto da una norma come di interesse legittimo o diritto soggettivo, ovvero, secondo un altro ordine di idee, la legittimazione a ricorrere discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all’esercizio del potere amministrativo); l’interesse ad agire (ex art. 100 c.p.c.), ossia il vantaggio attuale e concreto scaturente dall’accoglimento dell’azione; e la legitimatio ad causam (o legittimazione attiva/passiva), discendente dall’affermazione di colui che agisce/resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo.
I.4.1. Al riguardo si osserva che la legittimazione ad agire:
– si identifica con un interesse sufficientemente differenziato e qualificato, tendente al conseguimento o al mantenimento di un bene della vita ritenuto dall’ordinamento meritevole di tutela al punto da assurgere al rango di situazione giuridica soggettiva qualificabile come diritto soggettivo ovvero interesse legittimo;
– presuppone la titolarità di siffatta qualificata posizione sostanziale.
I.4.2. La personalità dell’interesse azionato costituisce, dunque, la regola generale, in ossequio al principio generale che vieta la sostituzione processuale “fuori dei casi espressamente previsti dalla legge” (art. 81 c.p.c.).
I.4.3. Occorre adesso soffermarsi sull’altra condizione dell’azione – la cui ratio, comune a quella delle legittimazione ad agire, è funzionale ad evitare la proposizione di giudizi non utili per colui il quale agisce, in ossequio ad un interesse di ordine pubblico processuale “meta individuale” volto a garantire efficienza ed efficacia al processo in conformità degli artt. 111 Cost., 6 e 13 CEDU, 47 Carta UE – ossia l’interesse a ricorrere, inteso come concreta possibilità di perseguire un bene della vita, anche di natura morale o residuale, attraverso il processo, in corrispondenza ad una lesione diretta ed attuale dell’interesse protetto, a norma dell’art. 100 c.p.c. (Cons. Stato, sez VI, n. 1156 del 2016).
I.4.4. L’interesse ad agire, o legitimatio ad processum, costituisce un quid pluris rispetto alla legittimazione (legitimatio ad causam), in quanto postula:
– la lesione, concreta e attuale, di quell’interesse sostanziale, differenziato e qualificato, che in abstracto conferisce la legittimazione ad agire:
– la effettiva utilitas ritraibile dalla invocata pronunzia; la tutela giurisdizionale deve costituire, infatti, il mezzo per il superamento della lamentata lesione alla propria sfera giuridica ed il soddisfacimento dell’interesse sostanziale per la cui tutela si agisce in giudizio, stante il generale divieto di azioni emulative ovvero di abuso del processo; donde, l’indissolubile legame tra l’interesse del domandante (art. 100 c.p.c.) e la concreta utilitas scaturente dalla pronuncia giurisdizionale che al soddisfacimento di quell’interesse è teleologicamente preordinata. La decisione di accoglimento deve, infatti, assicurare un vantaggio, di talché «l’interesse ad agire è dato dal rapporto tra la situazione antigiuridica che viene denunziata e il provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante l’applicazione del diritto, e questo rapporto deve consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per acquisire all’interesse leso la protezione accordata dal diritto» (Cass., sez. III, 12241/98).
I.4.5. Indefettibili requisiti dell’interesse a ricorrere sono, dunque:
– la personalità poiché la utilitas ritraibile deve, infatti, essere direttamente riconducibile alla sfera giuridica del ricorrente (e non di terzi);
– la attualità del vulnus, cioè la sussistenza di una lesione concreta non meramente ipotetica o futuribile, dipendente, dunque, dalla piena efficacia e dall’idoneità lesiva dell’atto impugnato;
– la concretezza della lesione sofferta, intesa come sua effettività ed apprezzabilità.
I.4.6. Nel giudizio amministrativo non è, dunque, consentito adire il giudice al solo fine di conseguire la legalità e la legittimità dell’azione amministrativa, se ciò non si traduca anche in uno specifico beneficio in favore di chi la propone, che dallo stesso deve essere dedotto ed argomentato, ciò in quanto in detto processo l’interesse a ricorrere è condizione dell’azione e corrisponde ad una specifica utilità o posizione di vantaggio che attiene ad uno specifico bene della vita, contraddistinto indefettibilmente dalla personalità e dall’attualità della lesione subita, nonché dal vantaggio conseguibile dal ricorrente (ex multis Cons. Stato, sez. VII, Sent., 13 dicembre 2022, n. 10922; Cons. Stato, sez. VI, 14 luglio 2022, n. 6001; Cons. Stato, sez. V, 27 gennaio 2016, n. 265).
I.4.7. Sulla consistenza dell’interesse al ricorso è intervenuta l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, secondo cui: “Il codice del processo amministrativo fa più volte riferimento, direttamente o indirettamente, all’interesse a ricorrere: all’art. 35, primo comma, lett. b) e c), all’art. 34, comma 3, all’art. 13, comma 4-bis e, in modo più sfumato, all’art. 7, 31, primo comma, sembrando confermare, con l’accentuazione della dimensione sostanziale dell’interesse legittimo e l’arricchimento delle tecniche di tutela, la necessità di una verifica delle condizioni dell’azione (più) rigorosa. Verifica tuttavia da condurre pur sempre sulla base degli elementi desumibili dal ricorso, e al lume delle eventuali eccezioni di controparte o dei rilievi ex officio, prescindendo dall’accertamento effettivo della (sussistenza della situazione giuridica e della) lesione che il ricorrente afferma di aver subito. Nel senso che, come è stato osservato, va verificato che “la situazione giuridica soggettiva affermata possa aver subito una lesione” ma non anche che “abbia subito” una lesione, poiché questo secondo accertamento attiene al merito della lite” (Cons. Stato, Adunanza Plenaria, 9 dicembre 2021, n. 22).
I.4.8. A fronte, dunque, di un interesse a ricorrere inizialmente dichiarato e comprovato dalla dedotta lesione della sfera giuridica di colui il quale agisce in giudizio legittimante il proposto gravame, la persistenza della condizione dell’azione deve presumersi sussistere sino a quando non siano introdotti in giudizio elementi tali da giustificare un mutamento di opinione oppure allorché il ricorrente espressamente dichiari di non avere più interesse alla decisione.
I.4.9. Nel primo caso, infatti, il giudice deve rilevare l’incidenza degli elementi di fatto o di diritto sopravvenuti sull’utilità che da un eventuale accoglimento della proposta azione potrebbe conseguire il ricorrente.
I.4.10. Nel secondo caso, invece, nessun accertamento deve essere condotto, costituendo jus receptum nella giurisprudenza amministrativa il principio secondo il quale, nel caso di espressa dichiarazione del ricorrente di non aver più alcun interesse alla decisione del ricorso, il giudice non può decidere la controversia nel merito, né procedere di ufficio, né sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell’interesse ad agire, ma solo adottare una pronuncia in conformità alla dichiarazione resa (Consiglio di Stato, sez. IV, 06/07/2023, n.6612).
I.4.11. Ed invero, nel processo amministrativo, in assenze di repliche e/o diverse richieste ex adverso, vige il principio dispositivo in senso ampio, nel senso che la parte ricorrente, sino al momento in cui la causa viene trattenuta in decisione, ha la piena disponibilità dell’azione e può dichiarare di non avere interesse alla decisione, in tal modo provocando la presa d’atto del giudice, il quale, non avendo il potere di procedere di ufficio, né quello di sostituirsi al ricorrente nella valutazione dell’interesse ad agire, non può che dichiarare l’improcedibilità del ricorso (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 15 novembre 2021 n. 7598; 22 giugno 2021, n. 4789).
I.4.12. Pertanto, se la dichiarazione di persistenza di interesse da parte del ricorrente non preclude le verifiche del caso in ordine all’effettiva sussistenza della condizione dell’azione in esame, l’opposta dichiarazione di sopravvenuta carenza di interesse alla decisione ad opera del ricorrente determina ipso iure l’esito del giudizio, potendo soltanto il giudice amministrativo prenderne atto e dichiarare l’improcedibilità della proposta azione.
I.5. Con riguardo al caso in esame, le ragioni ostative rilevate dalle Amministrazioni interpellate alla realizzazione del progetto proposto dall’appellante sono essenzialmente costituite da due motivi:
a) la presunta contrarietà della proposta progettuale al Piano per la Gestione dei Rifiuti Speciali della Regione Siciliana, adottato con O.C.D. n. 1260 del 30 settembre 2004 e ss.mm.ii., nella parte in cui prevede la realizzazione all’interno di cave attive o dismesse soltanto di impianti di trattamento di rifiuti inerti e non di discariche, come richiesto dall’appellante;
b) la presunta violazione dell’art. 12 della legge n. 127/1980 e dell’art. 23 delle Norme Tecniche di Attuazione del Piano Cave che obbligherebbero l’esercente l’attività di cava a provvedere al recupero ambientale senza disporre riempimenti con rifiuti diversi da quelli derivanti dall’attività estrattiva.
I.5.1. La compatibilità della tempistica di realizzazione della discarica con l’attuale prosieguo dell’attività estrattiva in corso non è stata, dunque, ritenuta ostativa al rilascio del provvedimento richiesto, pur essendo stata dalle Amministrazioni interpellate valutata, come desumibile dal passaggio del parere del C.T.S. in sentenza richiamato dal T.A.R. nella parte in cui si esclude la meritevolezza delle difese procedimentali formulate dall’appellante tendenti a sottolineare la rilevanza dell’intento del legislatore di privilegiare, nell’individuazione dei siti di ubicazione delle discariche, le aree degradate da risanare o da ripristinare sotto il profilo paesaggistico, poiché “nel caso di specie, la prospettata discarica verrà realizzata una volta che siano state completate tutte le attività, ivi compreso il recupero ambientale previsto nell’autorizzazione per la coltivazione della cava e, dunque, in un’area completamente risanata e ripristinata sotto il profilo paesaggistico”.
I.5.2. L’unico elemento in rilievo secondo le Amministrazioni interpellate è, dunque, la prospettiva di realizzare una discarica in un sito che, pur essendo attualmente adibito alla coltivazione di cave, dovrà essere ripristinato e risanato dal punto di vista paesaggistico prima dell’inizio dei lavori.
I.5.3. Ma non si pone in evidenza la tempistica della realizzazione dell’opera condizionata dalla necessità di ultimazione dell’attività estrattiva in corso.
I.5.4. Il che implica l’irrilevanza sul piano della procedibilità dell’istanza dell’appellante del rilascio della chiesta autorizzazione per la realizzazione di un progetto futuro che potrà avvenire soltanto dopo un cospicuo intervallo di tempo.
I.6. Il Collegio osserva che siffatto profilo costituisce oggetto di una valutazione discrezionale dell’Amministrazione non sindacabile da parte del giudice amministrativo in quanto afferente alla sfera dell’opportunità, ossia del merito, e non dell’illegittimità del provvedimento ampliativo richiesto dall’interessato.
I.6.1. Il dichiarato e programmato differimento della realizzazione dell’opera ad un momento futuro, infatti, può indurre l’Amministrazione procedente a non ritenere opportuno il rilascio di un’autorizzazione contraddistinta da una siffatta tempistica, ma non si tratta di una prospettiva vietata dalla legge.
I.6.2. In tal senso occorre precisare che se l’art. 2 co. 1 L. n. 241/1990 consente alle Amministrazioni di concludere il procedimento ad istanza di parte con una declaratoria di manifesta irricevibilità o inammissibilità o improcedibilità della domanda, deve, però, ritenersi che il rilevato fatto ostativo all’esame della richiesta sia oggettivo e non rimesso ad una valutazione di opportunità dipendente dalla convenienza della pretesa dell’istante rispetto agli interessi pubblici coinvolti.
I.6.3. Il fatto che i profitti dell’attività da autorizzare siano conseguibili per l’interessato nell’immediato futuro o fra diversi anni costituisce una valutazione di opportunità rimessa alla decisione discrezionale dell’Amministrazione sul piano della compatibilità dell’istanza con gli interessi pubblici coinvolti.
I.6.4. Rilevare, dunque, d’ufficio la carenza di interesse alla realizzazione di un progetto in ragione dell’impossibilità di procedere ai relativi lavori nell’immediatezza implica l’identificazione di una causa di diniego del chiesto provvedimento ampliativo ulteriore rispetto a quelle valutate dall’Amministrazione e ciò si traduce in una non consentita integrazione della motivazione dell’impugnato diniego.
I.6.5. Al riguardo, come noto, nel processo amministrativo la motivazione deve precedere e non seguire il provvedimento, a tutela, oltre che del buon andamento e dell’esigenza di delimitazione del controllo giudiziario, degli stessi principi di parità delle parti e giusto processo (art. 2 c.p.a.) e di pienezza della tutela secondo il diritto europeo (art. 1 c.p.a.) i quali convergono nella centralità della motivazione quale presidio del diritto costituzionale di difesa.
I.6.6. Tuttavia, il divieto di integrazione giudiziale della motivazione non ha carattere assoluto, in quanto non sempre i chiarimenti resi nel corso del giudizio valgono quale inammissibile integrazione postuma della motivazione: è il caso degli atti di natura vincolata di cui all’art. 21octies l. n. 241/1990, nei quali l’Amministrazione può dare anche successivamente l’effettiva dimostrazione in giudizio dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, oppure quello concernente la possibilità di una successiva indicazione di una fonte normativa non prima menzionata nel provvedimento, quando questa, per la sua notorietà, ben avrebbe potuto e dovuto essere conosciuta da un operatore professionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 9 ottobre 2012, n. 5257).
I.6.7. Infatti, sebbene il divieto di motivazione postuma, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, meriti di essere confermato, rappresentando l’obbligo di motivazione il presidio essenziale del diritto di difesa, non può ritenersi che l’Amministrazione incorra nel vizio di difetto di motivazione quando le ragioni del provvedimento siano chiaramente intuibili sulla base della parte dispositiva del provvedimento impugnato o si verta in ipotesi di attività vincolata (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 27 agosto 2012, n. 4610 e sez. IV, 7 giugno 2012, n. 3376).
I.6.8. Inoltre, ed in particolare, la facoltà dell’Amministrazione di dare l’effettiva dimostrazione dell’impossibilità di un diverso contenuto dispositivo dell’atto, nel caso di atti vincolati, esclude in sede processuale che l’argomentazione difensiva dell’Amministrazione, tesa ad assolvere all’onere della prova, possa essere qualificata come illegittima integrazione postuma della motivazione sostanziale, cioè come un’indebita integrazione in sede giustiziale della motivazione stessa.
I.6.9. Allorché, invece, non si tratti di attività vincolata occorre verificare, ai fini della convalida dell’atto viziato da insufficiente motivazione: a) se l’inadeguatezza della motivazione riflette un vizio sostanziale della funzione (in termini di contraddittorietà, sviamento, travisamento, difetto dei presupposti), non potendo il difetto degli elementi giustificativi del potere giammai essere emendato, tantomeno con un mero maquillage della motivazione, con conseguente doveroso annullamento, in questi casi, dell’atto impugnato; b) se, invece, la carenza della motivazione equivale unicamente ad una insufficienza delle argomentazioni sul piano giustificativo-formale, ovvero al non corretto riepilogo della decisione adottata, ricorrendo, in questi casi, un vizio formale dell’atto e non della funzione al punto da non sussistere ragioni per non riconoscersi all’Amministrazione la possibilità di esplicitare meglio le risultanze procedimentali, munendo l’atto originario di una argomentazione giustificativa sufficiente e lasciandone ferma l’essenza dispositiva, in quanto riflettente la corretta sintesi ordinatoria degli interessi appresi nel procedimento (Consiglio di Stato, sezione VI, sentenza 27 aprile 2021, n. 3385).
I.6.10. Nella fattispecie, non può di certo ritenersi il potere esercitato dall’Amministrazione vincolato.
I.6.11. Il che preclude l’emendabilità in sede processuale della motivazione del provvedimento.
I.6.12. Secondo quanto, infatti, affermato dal Consiglio di Stato (Sez. VI, n. 3666/2021), nel processo amministrativo l’integrazione in sede giudiziale della motivazione dell’atto amministrativo è ammissibile, nei limiti in cui lo sia, soltanto se effettuata mediante gli atti del procedimento – nella misura in cui i documenti dell’istruttoria offrano elementi sufficienti ed univoci dai quali possano ricostruirsi le concrete ragioni della determinazione assunta – oppure attraverso l’emanazione di un autonomo provvedimento di convalida (art. 21-nonies, secondo comma, della legge n. 241 del 1990). I.6.13. È invece inammissibile un’integrazione postuma effettuata in sede di giudizio, mediante atti processuali, o comunque scritti difensivi. La motivazione costituisce, infatti, il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990, il provvedimento affetto dai cosiddetti vizi non invalidanti (Consiglio di Stato, sez. VI, 19 ottobre 2018, n. 5984). In particolare, «la motivazione del provvedimento amministrativo rappresenta il presupposto, il fondamento, il baricentro e l’essenza stessa del legittimo esercizio del potere amministrativo (art. 3 della l. 241/1990) e, per questo, un presidio di legalità sostanziale insostituibile, nemmeno mediante il ragionamento ipotetico che fa salvo, ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della l. 241/1990, il provvedimento affetto dai c.d. vizi non invalidanti (si veda Cons. St., Sez. III, 7.4.2014, n. 1629), non potendo perciò il suo difetto o la sua inadeguatezza essere in alcun modo assimilati alla mera violazione di norme procedimentali o ai vizi di forma. La motivazione del provvedimento costituisce infatti “l’essenza e il contenuto insostituibile della decisione amministrativa, anche in ipotesi di attività vincolata” (Consiglio di Stato, III, 30 aprile 2014, n. 2247), e non può certo essere emendata o integrata, quasi fosse una formula vuota o una pagina bianca, da una successiva motivazione postuma, prospettata ad hoc dall’Amministrazione resistente nel corso del giudizio» (Consiglio di Stato, sez. V, 10 settembre 2018, n. 5291).
I.6.14. Il giudice, infatti, qualora escluda l’illegittimità del provvedimento impugnato sulla base di rationes decidendi che non trovano fondamento nell’impianto motivazionale dell’atto amministrativo, incorre nel vizio di ultrapetizione, oltre che nella violazione del principio di separazione dei poteri ex art. 34, comma 2, c.p.a..
I.6.15. Sotto il primo profilo, il principio della domanda di cui agli artt. 99 c.p.c. e 2907 c.c. – espressione del potere dispositivo delle parti, completamento del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato in base alla regula juris di cui all’art. 112 c.p.c. e pacificamente applicabile anche al processo amministrativo – comporta che sussiste il vizio di ultrapetizione, quando l’accertamento compiuto in sentenza finisce per riguardare un petitum ed una causa petendi nuovi e diversi rispetto a quelli fatti valere nel ricorso e sottoposti dalle parti all’esame del giudice.
I.6.16. La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato emerge, altresì, qualora, ammettendo una integrazione postuma della motivazione sottesa al provvedimento, il giudice statuisca su una fattispecie oggettivamente diversa da quella prospettata nel provvedimento gravato, con evidente lesione dei diritti di difesa della controparte (Consiglio di Stato, sez. VI, 2 gennaio 2020, n. 28).
I.6.17. Sotto il secondo profilo, attinente alla violazione del principio di separazione dei poteri, il giudice, qualora abbia formulato argomentazioni a sostegno del provvedimento impugnato che ne alterano l’impianto motivazionale, emette una pronuncia su poteri non ancora esercitati, in violazione del disposto di cui all’art. 34, comma 2, c.p.a., venendo esaminata la legittimità di nuove questioni a sostegno della decisione censurata, non previamente decise dal competente organo amministrativo.
I.6.18. Il T.A.R. ha, dunque, integrato la motivazione del provvedimento impugnato, reputando ostativo al rilascio della chiesta autorizzazione un profilo, ossia quello dell’interesse dell’appellante, che le Amministrazioni interpellate avevano reputato non rilevante.
I.7. In secondo luogo, il Collegio osserva che la decisione del T.A.R. non è condivisibile anche per un’ulteriore ragione.
I.7.1. Il Giudice Amministrativo deve, infatti, valutare l’interesse all’annullamento dell’impugnato provvedimento di diniego in termini di possibilità di conseguimento del bene della vita anelato dal ricorrente, ossia nel caso di specie di utilità pratica astrattamente ritraibile, e non di opportunità, altrimenti esprimendo un giudizio di valore sulla convenienza personale riservata alle scelte e decisioni dell’interessato.
I.7.2. La pronuncia giudiziaria è, invero, utile qualora, riscontrata l’illegittimità dell’azione amministrativa, consenta la realizzazione dell’interesse sostanziale di cui è portatrice la parte ricorrente, impedendo la sottrazione o garantendo l’acquisizione (o financo la chance di acquisizione) di utilità giuridicamente rilevanti e salvaguardando, per l’effetto, la sfera giuridica individuale da azioni autoritative difformi dal paradigma normativo di riferimento.
I.7.3. Qualora, invece, siffatto interesse sia stato già realizzato ovvero non possa più esserlo per sopravvenuta carenza di qualsivoglia possibilità di soddisfacimento, il giudizio non può concludersi con l’esame, nel merito, delle censure dedotte nell’atto introduttivo o nei motivi aggiunti, non potendo l’eventuale loro accoglimento arrecare alcuna utilità concreta in capo al ricorrente.
I.7.4. Con riguardo al caso in esame il vantaggio ad ottenere l’annullamento dell’impugnato diniego sussiste per l’appellante poiché: 1) anzitutto, si tratta di una forma di investimento per l’esercizio di un’attività imprenditoriale potenzialmente foriera di futuri profitti; 2) in secondo luogo è stato dimostrato, anche con la perizia tecnica depositata il 31 gennaio 2024 nel giudizio svoltosi dinanzi al T.A.R., che la programmazione dei lavori di realizzazione dell’opera può agevolare non poco l’attività dell’appellante anche sul piano del risparmio dei costi; 3) la prospettiva di proseguire l’attività estrattiva nella cava per ulteriori 15 anni sembrerebbe essersi ridotta soltanto ad alcuni mesi; 4) l’eventuale decorso del tempo di validità dell’autorizzazione non sarebbe astrattamente pregiudizievole per la realizzazione dell’opera, potendo l’interessato chiedere una proroga, considerato che ai sensi dell’art. 25 co. 5 D.Lgs. n. 152/2006 “Decorsa l’efficacia temporale indicata nel provvedimento di VIA senza che il progetto sia stato realizzato, il procedimento di VIA deve essere reiterato, fatta salva la concessione, su istanza del proponente corredata di una relazione esplicativa aggiornata che contenga i pertinenti riscontri in merito al contesto ambientale di riferimento e alle eventuali modifiche, anche progettuali, intervenute, di specifica proroga da parte dell’autorità competente”.
I.7.5. L’attualità dell’interesse pretensivo deve, dunque, essere valutata avendo quale parametro di riferimento le esigenze della produzione che, come noto, sono esclusivamente riservate all’imprenditore al quale soltanto compete l’intera organizzazione d’impresa con correlativa assunzione di responsabilità.
I.8. Il Collegio conviene, quindi, con le difese dell’appellante sulla sussistenza dell’interesse alla decisione di tutti i ricorsi proposti.
I.9. Peraltro, occorre osservare che il diniego assume una valenza immediatamente lesiva per l’appellante sul piano propriamente procedimentale, precludendo la futura presentazione di un progetto identico a quello non ritenuto dall’Amministrazione suscettibile di autorizzazione.
I.9.1. Come noto, la reiterazione di un’istanza procedimentale incontra il limite del precedente diniego non impugnato. Il rigetto dell’istanza originaria, infatti, legittima l’Amministrazione a non intraprendere alcuna attività istruttoria sulla seconda identica istanza, non essendo configurabile qualsivoglia obbligo di riesame della stessa, al punto da consentire l’adozione di un provvedimento meramente confermativo del precedente diniego (Cons. St., sez. IV, 13.01.2020, n. 279 e, nello stesso senso, Cons. St., sez. IV, 22.09.2020, n. 5549; in tal senso sulla reiterazione dell’istanza di accesso, Cons. St., sez. V, 2.03.2021, n. 1779; v. anche Cons. Stato, Ad. plen., 20 aprile 2006, n. 7; Consiglio di Stato, sez. V, 06/11/2017, n. 5099; Consiglio di Stato, sez. V, 31/03/2016, n. 1275; Consiglio di Stato sez. V, 30/07/2015, n.3760).
I.9.2. Laddove, invece, la seconda istanza presenti un quid novi l’Amministrazione è tenuta a riesaminare la domanda pronunciandosi all’esito di una nuova e rinnovata istruttoria procedimentale.
I.9.3. Il mancato sindacato giurisdizionale dei provvedimenti impugnati, pertanto, precluderebbe all’appellante la futura presentazione di un’istanza avente ad oggetto il medesimo progetto.
I.9.4. Ciò senza considerare la rilevanza delle possibili sopravvenienze di fatto (come il cambiamento delle condizioni morfologiche dell’area) e di diritto (come l’entrata in vigore di una nuova disciplina di settore) che potrebbero precludere del tutto la realizzazione dell’opera in futuro.
I.10. L’appello è, dunque, fondato e va accolto con conseguente annullamento della sentenza impugnata con rinvio al T.A.R..
I.10.1. Ricorrono, infatti, i presupposti per l’applicazione dei principi enunciati dal Supremo Consesso della giustizia amministrativa (cfr. sentenza n. 16 del 2024), nel senso che l’errato accoglimento di una eccezione preliminare da parte del Giudice di prime cure, con conseguente mancato esame della vicenda controversa, impone ex art. 105 cod. proc. amm. il rinvio al primo giudice.
I.10.2. L’Adunanza plenaria n. 10/2025 ha, peraltro, ampliato le ipotesi di rimessione al T.A.R. nei casi in cui la relativa decisione sia dichiarata nulla a seguito di impugnazione, così ampliando l’ambito di applicazione dell’articolo 105, comma 1, cod. proc. amm. nei casi di palese erroneità nell’escludere la legittimazione o l’interesse ad agire della parte ovvero di intempestività del gravame, determinando l’accoglimento di una delle predette eccezioni preliminari il mancato esame della vicenda nel rispetto della duplicità del grado di giudizio spettante alle parti.
I.10.3. Al pari della statuizione di inammissibilità, anche la decisione di irricevibilità che si basi su una motivazione tautologica o sia frutto di un errore palese, in fatto o in diritto, che abbia per conseguenza il mancato esame della totalità dei motivi di ricorso, concreta il vizio di ‘nullità della sentenza’, ai fini processuali di annullamento con rinvio.
I.10.4. Alla luce delle considerazioni che precedono, ai sensi e per gli effetti dell’art. 105 cod. proc. amm. va, pertanto, dichiarata la nullità della sentenza appellata con rinvio al primo giudice in accoglimento del primo motivo di appello che assume valenza assorbente di tutte le altre censure dedotte e non esaminate in questa sede.
II. Spese processuali.
II.1. Sussistono giusti motivi, stante l’esito processuale, per compensare le spese del doppio grado di giudizio.
CGA, GIURISDIZIONALE – sentenza 03.11.2025 n. 843