*Giurisdizione e competenza – Presupposti per la revocazione della sentenza per errore di fatto ex art. art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.

*Giurisdizione e competenza – Presupposti per la revocazione della sentenza per errore di fatto ex art. art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.

1. Il presente giudizio di revocazione origina dal giudizio di appello proposto dal Comune di Marciana, avverso la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Terza), n. 1037 del 26 settembre 2022 definito da questo Consiglio con la sentenza 2487 del 25 marzo 2025.

In particolare la questione controversa riguarda il permesso a costruire n. 50 rilasciato dal Comune di Marciana, in data 1° ottobre 2021, per “Ristrutturazione edilizia di fabbricato di civile abitazione” in relazione alla pratica edilizia n. 55 del 3 maggio 2021 unitamente ad altri provvedimenti.

Tali provvedimenti sono stati impugnati con ricorso e motivi aggiunti dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per la Toscana dai signori Giuseppe Grampa e Annette Seiltgen, proprietari di immobili confinanti con quello interessato dall’intervento edilizio autorizzato.

Con la sentenza n. 1037 del 26 settembre 2022 il T.a.r. per la Toscana ha accolto il ricorso ed i motivi aggiunti, annullando il permesso di costruire n. 50/2021 e condannando il Comune di Marciana e la controinteressata alla rifusione delle spese in favore dei ricorrenti.

Il Comune di Marciana ha proposto appello in base a quattro motivi; con la sentenza 2487/2025 questo Consiglio ha respinto l’appello con condanna alla spese

2.Il Comune propone ora ricorso per revocazione, ex artt. 106 c.p.a. e 395 c.p.c., avverso la pronunzia della Sezione di definitivo rigetto, deducendo un unico motivo non rubricato, quanto alla parte rescindente; in detto motivo rileva le seguenti censure che, va premesso, in diverse occasioni attengono alle decisioni del giudice di primo grado.

In particolare rileva che

a) l’intervento ricade interamente in Zona B0 (nella quale sono ammessi gli ampliamenti) e censura la decisione di questo Consiglio, così come quella del giudice di primo grado, che ha ritenuto l’intervento parzialmente ricadente in zona E1a (Aree ad esclusiva funzione agricola nella quale sono consentiti solo interventi di risanamento conservativo);

b) la decisione del giudice di appello e di primo grado, secondo il ricorrente, si fonderebbe su una errata lettura della cartografia del Regolamento urbanistico comunale (RUC); nel censurare l’errore sostiene che nel caso in questione si ha la sovrapposizione di ben quattro distinti confini: Territorio urbanizzato, centro abitato, UTOE e sottozona per cui i confini sarebbero stati “fittiziamente” affiancati sebbene del tutto coincidenti con la linea viola del territorio urbanizzato; in tal senso, a riprova, richiama la relazione del progettista del R.U.C. allegata alla Determina n. 9/2020 del quale sostiene l’inequivocabilità;

c) censura l’osservazione della sentenza del giudice di primo grado per cui, nella cartografia, la linea viola del territorio urbanizzato divide, in alcuni tratti, zone ricomprese nell’UTOE 4 e zone qualificate come “sottozona B0” rilevando che non è ipotizzabile, come ha fatto il giudice di primo grado, che all’interno della linea del Territorio urbanizzato tracciata sulla carta del R.U.C. sia stata inclusa una zona agricola E1a (che sarebbe esterna ai centri abitati);

d) sostiene quindi che la linea della sottozona B0 coincide con la linea del territorio urbanizzato con la conseguenza che l’intero intervento ricadente in zona B0 sarebbe l’unica possibile applicazione degli articoli 4 e 224 della l.r 65/2014; ciò emergerebbe in maniera chiara dalla Relazione generale finale del RUC, in particolare alla pagina 56 (doc. 16);

e) sostiene quindi l’esistenza dell’errore revocatorio nella parte in cui la sentenza revocanda ammette la possibilità che all’interno del territorio urbanizzato siano previste anche aree agricole sulla scorta dell’art 4, comma 5, della legge regionale n. 65/2014. In tal senso la legge regionale, secondo il ricorrente, affermerebbe l’opposto perché solo le aree rurali periurbane – E1c – potrebbero essere ricomprese nel territorio urbanizzato; l’errore di fatto revocatorio consisterebbe nell’aver confuso le aree E1a (zona agricola) e le aree E1c (zona periurbana) e tale lettura risulterebbe corretta indipendentemente dalla richiamata Determinazione 9/2020.

Inoltre svolge una serie di censure in relazione all’interesse ad agire degli odierni controinteressati sebbene non lo qualifica come errore revocatorio.

2.1 Quanto alla parte rescissoria censura:

“Ulteriori aspetti dichiarati assorbiti e di cui occorrerà pertanto affrontare l’esame nel giudizio rescissorio” ed in particolare ritiene che:

-l’intervento va qualificato come ampliamento e non ristrutturazione edilizia come statuisce la sentenza revocanda;

-non vi sarebbe alcuna violazione al divieto di aumento della sagoma;

-vada computata la volumetria, in relazione alle modalità di computo dell’incremento (volume o superficie di cui al punto 2.3 della decisione di primo grado) ex art 21 del RUC;

-sarebbe errato il conteggio come volume del garage, del locale accessorio interrato, del loggiato;

-non vi è la violazione dell’altezza massima dell’edificio.

2.2 In relazione al terzo motivo di appello sostiene che non vi è la riduzione delle visuali.

2.3 In relazione al quarto motivo censura le ritenute violazioni del PIT della Regione Toscana.

2.4 Sul quinto motivo di appello contesta la carenza di motivazione rilevata dagli odierni controinteressati sul parere della Commissione Comunale sul Paesaggio, sulla Nota della Soprintendenza e sull’ Autorizzazione paesaggistica.

2.5 Il ricorrente contesta i motivi aggiunti del ricorso di primo grado replicando – come lo stesso ricorrente dichiara – le difese già spese al riguardo.

3. Il ricorso è inammissibile e si prescinde dalle eccezioni di rito sollevate dalla parte resistente.

Il motivo revocatorio prospettato dal ricorrente non integra infatti le condizioni previste dell’art. 395, n. 4 c.p.c., come richiamato dall’art. 106 c.p.a.

In particolare il richiamato art 395 ,n. 4, c.p.c. prevede la revocazione:

se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare

Al riguardo occorre premettere alcuni elementi ormai con certezza definiti, provenienti dalla giurisprudenza di questo Consiglio, sulla natura del giudizio revocatorio utili ai fini della decisione del ricorso in esame.

Va preliminarmente rilevato, come da giurisprudenza consolidata, che l’errore di fatto revocatorio non ricorre nell’ipotesi di erroneo, inesatto o incompleto apprezzamento delle risultanze processuali ovvero di anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio ovvero quando la questione controversa sia stata risolta sulla base di specifici canoni ermeneutici o di un esame critico della documentazione acquisita, tutte ipotesi queste che danno luogo se mai ad un errore di giudizio, non censurabile mediante la revocazione.

L’errore di fatto revocatorio si sostanzia in una svista – o abbaglio dei sensi – che ha provocato l’errata percezione del contenuto degli atti del giudizio (ritualmente acquisiti agli atti di causa), determinando un contrasto tra due diverse proiezioni dello stesso oggetto, l’una emergente dalla sentenza e l’altra risultante dagli atti e documenti di causa: esso pertanto non può (e non deve) confondersi con quello che coinvolge l’attività valutativa del giudice, costituendo il peculiare mezzo previsto dal legislatore per eliminare l’ostacolo materiale che si frappone tra la realtà del processo e la percezione che di essa ha avuto il giudicante, a seguito della svista o abbaglio dei sensi. (cfr.Cons. Stato, Ad. Plen. Sent., 10 gennaio 2013, n. 1).

Inoltre è altrettanto consolidato l’orientamento per cui l’errore di fatto che consente di rimettere in discussione il decisum del Giudice con il rimedio straordinario del ricorso per revocazione è solo quello che consegue ad una errata od omessa percezione del contenuto materiale degli atti del giudizio, sempre che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza per revocazione abbia pronunciato. Il giudizio revocatorio, invero, in quanto rimedio dal carattere eccezionale, non può mai trasformarsi in un ulteriore grado di giudizio (cfr, Cons. Stato, Ad.Plen., 17 maggio 2010, n. 2).

In sostanza l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c. e dell’art. 106 c.p.a., deve essere caratterizzato:

a) dal derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del contenuto meramente materiale degli atti del giudizio, la quale abbia indotto l’organo giudicante a decidere sulla base di un falso presupposto di fatto, facendo cioè ritenere un fatto documentalmente escluso ovvero inesistente un fatto documentalmente provato;

b) dall’attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato;

c) dall’essere stato un elemento decisivo della decisione da revocare, necessitando perciò un rapporto di causalità tra l’erronea presupposizione e la pronuncia stessa; l’errore deve inoltre apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche (in tal senso Cons. Stato, Ad. Plen., 24 gennaio 2014, n. 5).

4.Poste queste coordinate ermeneutiche, ormai consolidate nella Giurisprudenza di questo Consiglio, occorre premettere che la sentenza revocanda, con argomentazioni tra loro collegate, è pervenuto alle seguenti conclusioni, di rilievo per la decisione in esame.

4.1 Quanto alla natura dell’intervento:

19. Nella specie, al contrario, il permesso di costruire e gli altri atti impugnati in primo grado si riferiscono a un insieme di opere che hanno determinato una profonda alterazione della fisionomia e consistenza del fabbricato originario, quantomeno attraverso: un rilevante ampliamento dello stesso, non riducibile a mera “pertinenza”, il mutamento della copertura, l’alterazione del prospetto e la creazione di un terrapieno artificiale, così da comportare la realizzazione di un edificio morfologicamente e funzionalmente assai distante da quello preesistente e perciò, in definitiva, un intervento costruttivo sicuramente appartenente alla categoria della ristrutturazione;

4.2 Quanto alla delimitazione della zona ove si svolge l’intervento:

21…Alla luce di tutti i documenti in atti e, in particolare, delle effettive previsioni del RUC e delle tavole 3b e 3b3, l’interpretazione fornita dal T.a.r. a seguito di un’approfondita analisi della cartografia appare corretta e ragionevole, in alcun modo smentita dall’inclusione dell’area E.1.a nel “perimetro urbanizzato”, non potendo la perimetrazione del territorio modificare all’attualità le singole destinazioni di zona. Ad ammettere la possibilità che all’interno del territorio urbanizzato siano previste anche aree agricole è, del resto, come sottolineato dagli originari ricorrenti, la stessa legge regionale n. 65/2014, che, all’art. 4, comma 5, specifica che “Non costituiscono territorio urbanizzato: le aree rurali intercluse, che qualificano il contesto paesaggistico degli insediamenti di valore storico e artistico, o che presentano potenziale continuità ambientale e paesaggistica con le aree rurali periurbane, così come individuate dagli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica dei comuni, nel rispetto…del PIT”, mentre nessuna incidenza sulla questione può assumere la determinazione n. 9/2020, semplice atto interno, non immediatamente lesivo, non proveniente, tra l’altro, dall’organo competente ad approvare il Regolamento e le eventuali modifiche ad esso, come chiarito dal T.a.r. per la Toscana nella sentenza n. 1622/2021 passata in giudicato.

Nella sostanza, emerge con chiarezza che la natura dell’intervento e la sua collocazione geografica sono punti controversi del giudizio di appello e ciò rende inammissibile il ricorso sulla base di testualmente dispone l’art 395, n. 4 c.p.c. cui l’art 106 c.p.a rinvia.

Risulta infatti che le questioni ora prospettate sono state esaminate ex professo dal giudice dell’appello e pertanto con l’odierno ricorso per revocazione si dà vita ad un inammissibile tentativo di svolgere un terzo grado di giudizio; in tal senso è necessario segnalare come anche il ricorrente in molteplici occasioni si sia riferito alla sentenza del giudice di primo grado.

4.3 Né tantomeno può ipotizzarsi un errore revocatorio quanto all’interpretazione dell’art. 4, comma 5 l.r. 10 novembre 2014 n.65 secondo la prospettazione del ricorrente sopra riportata sub 2 – e).

Preliminarmente va osservato che la questione è controversa e quindi non può ritenersi oggetto di errore revocatorio in base a quanto disposto ex art 395, n. 4, c.p.c.

Inoltre non può portare alla revocazione della sentenza una contestazione sull’attività di valutazione del giudice in quanto riguarderebbe un profilo diverso dall’erronea percezione del contenuto dell’atto processuale, in cui si sostanzia l’errore di fatto; un tale errore si configurerebbe necessariamente non come errore percettivo, bensì come errore di giudizio, investendo per sua natura l’attività valutativa ed interpretativa del giudice (cfr. tra le altre Consiglio di Stato sez. IV – 6 luglio 2022, n. 5622).

Sotto questo profilo revocatorio la censura è quindi inammissibile atteso che si tenta di qualificare come errore di fatto l’interpretazione di una norma che è una valutazione giuridica.

Ma la tesi prospettata dal ricorrente è anche infondata nel merito.

Nel caso in ispecie l’art.4, comma 5 della l.r.65/2014 dispone:

5. Non costituiscono territorio urbanizzato:

a) le aree rurali intercluse, che qualificano il contesto paesaggistico degli insediamenti di valore storico e artistico, o che presentano potenziale continuità ambientale e paesaggistica con le aree rurali periurbane, così come individuate dagli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica dei comuni, nel rispetto delle disposizioni del PIT;

b) l’edificato sparso o discontinuo e le relative aree di pertinenza.

Appare evidente che la disposizione in questione si pone il fine di delimitare il territorio urbanizzato e di escludere dalla qualificazione in tal senso quelle aree agricole che per la loro collocazione potrebbero rientrarvi; così è per le aree intercluse o per quelle che presentano potenziale continuità ambientale e paesaggistica. Ne consegue che è ben possibile che la citata norma regionale non escluda in ogni caso la possibilità che continuino a mantenere la natura agricola anche le altre aree agricole, ossia quelle che non costituiscano territorio urbanizzato anche quelle aree che non siano intercluse e non siano poste in continuità.

Peraltro il giudice di appello ha confermato quanto già ritenuto dal giudice di primo grado (Tar 1037/2022) che sul punto rilevava:

quanto alla natura dell’intervento

… stando alle indicazioni contenute nella predetta determinazione dirigenziale n. 9/2020, posta dal progettista a fondamento dell’attestazione di conformità dell’intervento, ad avviso del Comune l’intera area di intervento ricadeva all’interno della sottozona B0, con la conseguenza che non vi era alcuna necessità di fare ricorso alla scomposizione dell’intervento in frazioni idealmente distinte e sottoposte a una disciplina differenziata. Tale frazionamento ideale è unicamente il frutto della prospettazione difensiva del Comune e della controinteressata, che, tuttavia, non trova alcuna corrispondenza nel contenuto degli atti impugnati e si traduce nel tentativo di sostituire a posteriori la motivazione del provvedimento…È dunque insostenibile la tesi secondo cui la realizzazione della nuova cucina, essa solo integrante ristrutturazione edilizia, potrebbe essere scorporata da quella degli altri locali/ambienti previsti nello stesso corpo di fabbrica, che invece darebbe luogo a risanamento conservativo. L’intervento, nella sua complessità, non può che ricevere una qualificazione unitaria in termini di ristrutturazione nella misura in cui, comportando un’oggettiva trasformazione della preesistenza, e non la sua mera conservazione, eccede i limiti del risanamento.

Quanto alla collocazione il giudice di primo grado, richiamando altra sentenza Tar 5/2022, relativa alla controversia in esame rileva che

…non vi è alcuna valida ragione per presumere che la rappresentazione grafica del limite del territorio urbanizzato interferisca con la delimitazione delle sottozone, nel senso di averla modificata tacitamente

 Il risultato, nel caso in esame, porta a sovrapporre la linea viola indicativa del perimetro del territorio urbanizzato al limite della sottozona B0, e non il contrario, come sostenuto dal Comune. È questa, del resto, l’unica soluzione conforme alla lettera e al sistema della legge regionale n. 65/2014, che non conferisce all’inclusione nel perimetro del territorio urbanizzato l’effetto di modificare automaticamente la destinazione urbanistica o la categoria funzionale di una data area, essendo vero, piuttosto, che sono le destinazioni e le categorie funzionali in atto a identificare il territorio urbanizzato. E poiché le aree a esclusiva destinazione agricola, quali le sottozone E1a, sono pacificamente esterne a quest’ultimo, il relativo confine non può che coincidere con il limite attuale della sottozona B0.

Va ancora rilevato che l’art 224 della l.r.65/2014 dispone che “Nelle more della formazione dei nuovi strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica adeguati ai contenuti della presente legge, ai fini del perfezionamento degli strumenti della formazione delle varianti al piano strutturale, al regolamento urbanistico o ai piani regolatori generali (PRG) di cui al presente capo, nonché ai fini degli interventi di rigenerazione delle aree urbane degradate, di cui al titolo V, capo III, si considerano territorio urbanizzato le parti non individuate come aree a esclusiva o prevalente funzione agricola nei piani strutturali vigenti al momento dell’entrata in vigore della presente legge, o, in assenza di tale individuazione, le aree a esclusiva o prevalente funzione agricola individuate dal PTC o dal PTC”.

Quindi la previsione del perimetro urbanizzato non modifica la zonizzazione esistente come Ea1 – così graficamente riportata – e dunque agricola e quindi non edificabile.

5.In considerazione di quanto sin qui esposto il ricorso di revocazione è inammissibile, oltre che infondato nei presupposti indicati.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo; sussistono idonei motivi per la compensazione delle spese con il Ministero della Cultura.

CONSIGLIO DI STATO, IV – sentenza 05.11.2025 n. 8595

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