All’esito di formale richiesta del sig. -OMISSIS- quale datore di lavoro, in data -OMISSIS- lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Parma rilasciava in favore del ricorrente, cittadino di nazionalità indiana, il ‘nulla osta’ al lavoro subordinato stagionale relativo al c.d. “Decreto-flussi”. Indi, con nota del 20 agosto 2024 l’Amministrazione dava comunicazione dell’avvio del procedimento di revoca del ‘nulla osta’ per essere carente l’istanza della “… documentazione minima per procedere all’istruttoria …”, seguita poi dal provvedimento prot. n. -OMISSIS- dell’-OMISSIS-, con cui lo Sportello Unico per l’Immigrazione di Parma disponeva la revoca del ‘nulla osta’, adducendo la perdurante carenza dell’asseverazione ex art. 44 del decreto-legge 21 giugno 2022, n. 73, del certificato di idoneità alloggiativa e della ‘cessione fabbricato’.
Secondo quanto esposto dal ricorrente, con p.e.c. del 22 novembre 2024 veniva depositata tutta la documentazione richiesta e veniva perciò sollecitata l’Amministrazione alla rivalutazione, in autotutela, della pratica. Ma ne seguiva un rigetto motivato con l’insussistenza di profili di illegittimità che giustificassero l’esercizio del potere di autotutela (v. nota prefettizia dell’11 dicembre 2024).
Avverso il provvedimento prot. n. -OMISSIS- dell’-OMISSIS- ha proposto impugnativa il ricorrente. In particolare, egli imputa all’Amministrazione l’ingiustificato mancato riconoscimento dell’effetto sanante della produzione documentale sopraggiunta, tanto più a fronte del fatto di essere entrato regolarmente in Italia e di non essere personalmente responsabile di quei ritardi, ascrivibili unicamente al datore di lavoro; peraltro, l’intempestività del deposito degli atti sarebbe dipesa esclusivamente da un problema tecnico legato al codice SPID del datore di lavoro, che ha poi prontamente rimediato a quelle carenze.
Di qui la richiesta di annullamento dell’atto impugnato.
Si sono costituiti in giudizio il Ministero dell’Interno e l’U.T.G. – Prefettura di Parma, a mezzo dell’Avvocatura dello Stato, opponendosi all’accoglimento del ricorso.
Con ordinanza n. 25 del 30 gennaio 2025 la Sezione ha accolto l’istanza cautelare del ricorrente “ai soli fini del riesame” e ha fissato il “… termine del 10 marzo 2025 per il deposito in giudizio di un nuovo atto, di conferma o di revoca delle precedenti determinazioni, motivato in ragione della successiva produzione documentale dell’interessato …”.
In data 21 marzo 2025 l’Amministrazione ha depositato il nuovo provvedimento (prot. n. -OMISSIS- del -OMISSIS-), con cui ha però confermato quello di revoca oggetto di impugnativa. Oltre a considerare ingiustificato il ritardo nel deposito della prescritta documentazione, è stato ivi osservato che “… quanto al merito della documentazione prodotta, essa appare ancora insufficiente a determinare la positiva definizione della domanda rigettata. Invero, l’asseverazione prodotta, oltre a non essere integralmente compilata, difettando totalmente dell’indicazione di un DURC in corso di validità e riportando, nel campo delle valutazioni effettuate sulla documentazione acquisita, delle circostanze del tutto generiche, non contiene l’elenco di tutti i (16) lavoratori per il quale il datore ha presentato istanza nell’ambito del c.d. decreto flussi 2023, unico elemento che consente al tecnico asseveratore di esprimere un giudizio motivato e complessivo sulla sua capacità reddituale (e difatti un conto è ritenere che il reddito del datore di lavoro sia sufficiente ad assumere un lavoratore, un altro è sostenere che lo stesso reddito sia sufficiente ad assumerne 16 nel solo anno 2023) …” ed è stata rilevata “… quanto al certificato di idoneità alloggiativa, una palese non corrispondenza tra la richiesta di rilascio del certificato, priva di protocollo e datata 03.10.2024, ed il certificato stesso, non nominativo (in quanto non riportante il cognome e nome del lavoratore) e rilasciato il 22.08.2024, ossia in data addirittura anteriore alla richiesta …”.
All’udienza pubblica del 5 novembre 2025, dato avviso alle parti – ai sensi dell’art. 73, comma 3, cod.proc.amm. – della possibile declaratoria di improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse, la causa è passata in decisione.
Il Collegio ritiene che il ricorso vada dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione.
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (v., tra le più recenti, Cons. Stato, Sez. VI, 7 marzo 2025 n. 1928), la concessione della misura cautelare del rinvio a nuova determinazione dell’Amministrazione resistente (c.d. remand) non solo anticipa alla sede cautelare gli effetti propri di una pronuncia di merito – come accade per ogni provvedimento cautelare c.d. anticipatorio –, ma nella maggior parte dei casi comporta che gli effetti anticipatori non abbiano carattere provvisorio, come dovrebbe essere proprio delle misure cautelari, bensì si risolvano, per la natura delle cose, in risultati irreversibili, giacché la nuova determinazione dell’Amministrazione assunta proprio in esecuzione del rinvio disposto in sede cautelare con l’ordinanza propulsiva, per il principio factum infectum fieri nequit, dà vita ad un nuovo assetto del rapporto amministrativo sorto dal precedente e impugnato provvedimento, quante volte l’Amministrazione effettui una nuova valutazione e adotti un atto espressione di nuova volontà di provvedere, che costituisce pertanto un nuovo giudizio, autonomo e indipendente dalla stretta esecuzione della pronuncia cautelare; con la conseguenza che il ricorso diviene improcedibile, ovvero si ha cessazione della materia del contendere laddove si tratti di un atto con contenuto del tutto satisfattivo della pretesa azionata. In altri termini, il c.d. remand costituisce manifestazione della atipicità della tutela cautelare, in ragione dell’attribuzione al giudice amministrativo dell’ampio potere di adottare tutte le misure idonee ad assicurare in via provvisoria gli effetti della decisione sul ricorso (v. art. 55, comma 1, cod.proc.amm.), e ciò fa sì che il giudice della tutela cautelare può modulare la misura in rapporto alla fattispecie concreta in esame e alla natura dell’interesse legittimo (di contenuto oppositivo o pretensivo) fatto valere in giudizio, essendo palese l’intento del legislatore, con l’esplicito superamento della tipicità delle misure cautelari, di assecondare fin da tale fase il progressivo spostamento del contenuto proprio del giudizio, non più incentrato sull’atto bensì sul rapporto sottostante tra privato e pubblica Amministrazione; in tale prospettiva, il c.d. remand costituisce una tecnica di tutela cautelare che si caratterizza proprio per il fatto di rimettere in gioco l’assetto di interessi definiti con l’atto impugnato, restituendo alla pubblica Amministrazione l’intero potere decisionale iniziale, senza pregiudicarne il risultato finale, per cui il nuovo atto, quando non sia meramente confermativo, costituendo una rinnovata espressione della funzione amministrativa, porta a una pronuncia di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere – ove abbia contenuto satisfattivo della pretesa azionata dal ricorrente –, oppure di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, visto che l’interesse del ricorrente è trasferito dall’annullamento dell’atto inizialmente impugnato all’annullamento dell’atto che lo ha interamente sostituito a seguito del riesame (v. Cons. Stato, Sez. VI, 9 giugno 2023 n. 5662).
Nella fattispecie, come è evidente, a seguito dell’ordinanza cautelare emessa dalla Sezione ed espressamente preordinata ad un riesame della posizione del ricorrente sulla base dell’esame della documentazione acquisita ex post, la Prefettura di Parma ha sì confermato la revoca del ‘nulla osta’ ma in ragione di una rinnovata valutazione e sulla scorta di una diversa motivazione, sicché il rapporto amministrativo tra le parti risulta oramai autonomamente regolato dal provvedimento adottato a seguito di remand. Difetta, dunque, qualsiasi residua utilità, anche soltanto strumentale o morale, ad una pronuncia di accoglimento, in quanto l’assetto di interessi resta a questo punto definitivamente delineato dalla successiva e definitiva determinazione amministrativa, neppure impugnata.
In conclusione, il ricorso va dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse alla decisione, ai sensi dell’art. 35, comma 1, lett. c), cod.proc.amm.
In ragione del peculiare andamento della controversia, le spese di giudizio possono essere compensate.
TAR EMILIA ROMAGNA – PARMA, I – sentenza 06.11.2025 n. 462