1. Il ricorso è fondato, e la richiesta di sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 37 cod. proc. pen. e dei connessi artt. 38 e 409 cod. proc. pen., in relazione agli artt. 111 e 117, comma 2, Cost. e all’art. 6, par. 1, della Carta Europea dei diritti dell’uomo deve essere accolta, per la sua rilevanza e non manifesta infondatezza.
2. Tale questione è, in primo luogo, rilevante.
Il giudice ha dichiarato inammissibile, per difetto di legittimazione degli istanti, la dichiarazione di ricusazione presentata dalle persone offese nei confronti del giudice designato a decidere sulla loro opposizione all’istanza di archiviazione, avanzata dal pubblico ministero nel procedimento a carico della persona accusata dell’omicidio del loro familiare.
2.1. Tale decisione si fonda sulla prescrizione dell’art. 37 cod. proc. pen., secondo cui «il giudice può essere ricusato dalle parti»: la giurisprudenza di legittimità, infatti, ha costantemente affermato che «la dichiarazione di ricusazione può essere proposta esclusivamente dalle “parti”, fra le quali non rientra la persona offesa dal reato, che tale qualifica non riveste in senso tecnico» (Sez. 2, n. 23901 del 12/04/2024, Rv. 286537, tra le molte). La estraneità della persona offesa alla qualifica di “parte processuale” in senso tecnico è stata sempre ribadita da questa Corte, anche nelle pronunce che hanno riconosciuto ad essa alcuni poteri e diritti, come quello di chiedere la rimessione in termini per costituirsi parte civile (Sez. 6, n. 25287 del 30/03/2023, Rv. 284791; Sez. 5, n. 34794 del 22/06/2022, Rv. 283673).
La giurisprudenza di legittimità, inoltre, ha sempre affermato che le disposizioni sulla ricusazione hanno natura di norme eccezionali e sono, pertanto, insuscettibili di interpretazione estensiva (Sez. 5, n. 36657 del 14/06/2007, Rv. 237713; Sez. 1, n. 15834 del 19/03/2009, Rv. 243747; Sez. 5, n. 2263 del 04/11/2022, dep. 2023, Rv. 284328; vedi anche Corte Cost. n. 179/2024). La qualificazione di tali disposizioni come «norme eccezionali» impedisce una loro interpretazione costituzionalmente orientata, come richiesto dai ricorrenti: tale interpretazione, infatti, imporrebbe un’applicazione estensiva o addirittura analogica dell’istituto della ricusazione, mentre la stessa Corte costituzionale ha ritenuto necessario il vaglio di costituzionalità per l’estensione degli istituti della incompatibilità e della astensione del giudice, quanto alle cause che ne legittimano o impongono l’applicazione, e di conseguenza anche quanto alle cause che legittimano la ricusazione (si vedano, in particolare, Corte Cost. n. 74/2024, e le sentenze nn. 306/1997, 307/1997 e 308/1997, in cui la Corte costituzionale ha indicato la possibilità di proporre questioni di costituzionalità delle norme di cui agli artt. 36 e 37 cod. proc. pen., al fine di ricomprendere situazioni diverse da quelle inquadrabili tra le cause di incompatibilità di cui all’art. 34 cod. proc. pen.).
La Corte costituzionale, nella sentenza n. 129/2025, ha altresì affermato che «in presenza di un orientamento giurisprudenziale consolidato, il giudice a quo ha la facoltà di assumere tale interpretazione in termini di “diritto vivente” e di farne il presupposto interpretativo su cui richiedere il controllo del rispetto dei parametri costituzionali, anche ai soli fini della rilevanza della questione»: nel caso in esame il costante orientamento della Corte di cassazione in ordine alla natura eccezionale della norma di cui all’art. 37 cod. proc. pen. e alla sua non applicabilità alla persona offesa costituisce “diritto vivente”, rispetto al quale è consentito chiedere la verifica del rispetto dei principi costituzionali.
2.2. La rilevanza della questione emerge con evidenza, dal momento che la carenza di legittimazione è l’unico motivo della declaratoria di inammissibilità della dichiarazione di ricusazione presentata dalle persone offese: tale carenza di legittimazione, infatti, ha impedito alla Corte di appello la verifica dell’ammissibilità di tale dichiarazione sotto il profilo processuale e della sua fondatezza nel merito. Non incidono, pertanto, sulla rilevanza della questione proposta le valutazioni in merito all’astratta proponibilità della ricusazione nella fase processuale dell’opposizione alla richiesta di archiviazione, o in merito alla fondatezza nel merito della dichiarazione proposta, essendo la decisione circa la legittimazione dei proponenti prodromica ad ogni ulteriore esame.
La Corte costituzionale, inoltre, ha affermato che ai fini dell’ammissibilità di una questione di legittimità, sotto il profilo della sua rilevanza, «è sufficiente che la norma censurata sia applicabile nel giudizio a quo e che la pronuncia di accoglimento possa influire sull’esercizio della funzione giurisdizionale» (Corte Cost. n. 129/2025, che richiama Corte Cost. n. 247/2021 e n. 215/2021): tale situazione sussiste nel presente caso, in cui la decisione censurata dai ricorrenti è stata assunta in applicazione dell’art. 37 cod. proc. pen., e l’eventuale accoglimento della questione consentirebbe la proposizione della ricusazione, altrimenti ritenuta impossibile.
3. La questione risulta, altresì, non manifestamente infondata.
La Corte Costituzionale, in numerose pronunce, ha affermato che il principio del giudice terzo e imparziale ha assunto un’autonoma rilevanza con l’inserimento dei principi del “giusto processo” nell’art. 111 Cost., prevedendolo espressamente, al secondo comma, come un requisito essenziale dell’esercizio di ogni giurisdizione, e che la regola dell’imparzialità del giudice è codificata anche dall’art. 6, par. 1, della CEDU, e dall’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Corte Cost. n. 179/2024). L’istituto della ricusazione, unitamente a quelli dell’incompatibilità e dell’astensione, è posto a garanzia del rispetto di tale principio, consentendo al soggetto che partecipa ad una fase processuale di richiedere il controllo della imparzialità del giudice in tutte quelle ipotesi in cui tale sua imparzialità appaia compromessa da situazioni concrete, non tipizzate, relative a comportamenti extraprocessuali o a decisioni assunte nel medesimo o in altri procedimenti, anche non penali. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 93/2024, ha affermato che il principio della imparzialità e terzietà del giudice deve essere rispettato anche nella procedura di archiviazione, sia pure con riferimento a quella pronunciata per la particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131-bis cod. pen., che presuppone l’accertamento della sussistenza del reato, nonostante l’ordinanza di archiviazione abbia una natura sommaria e interlocutoria.
3.1. La mancata previsione della legittimazione della persona offesa a richiedere tale verifica della imparzialità e terzietà del giudice, a causa della mancata assunzione della qualità di parte nella fase delle indagini preliminari, e quindi anche nella fase conseguente alla proposizione di una opposizione alla richiesta di archiviazione, contrasta in primo luogo con il principio del “giusto processo” stabilito dall’art. 111, comma 2, Cost., ed appare irragionevole.
La persona offesa, pur non rivestendo la qualifica di “parte” in senso tecnico, è ritenuta, dall’ordinamento processuale, portatrice di facoltà e diritti, come previsto ad esempio dagli artt. 90 e ss. cod. proc. pen., che sono stati notevolmente ampliati dal d.lgs. 212/2015 nonché dal d.lgs. n. 150/2022, sia sotto il profilo del diritto ad essere informata in merito a specifiche vicende processuali, sia sotto il profilo della possibilità di dare un impulso processuale, con la presentazione di denunce e querele e con l’interlocuzione con il pubblico ministero e la sollecitazione del suo intervento, sia sotto il profilo del diritto ad essere coinvolta nelle procedure alternative di conclusione del procedimento, come la messa alla prova e l’applicazione della giustizia riparativa.
Uno di tali diritti, attribuiti dall’ordinamento, è quello di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero, ai sensi dell’art. 410 cod. proc. pen.: l’esercizio di tale diritto impone al giudice, se non rileva l’inammissibilità dell’opposizione, di fissare l’udienza camerale ed instaurare il contraddittorio, a cui lo stesso opponente è chiamato a partecipare, come previsto dall’art. 409, comma 2, cod. proc. pen. L’ordinamento riconosce, quindi, che la persona offesa, nei reati commessi in suo danno, è portatrice di un interesse all’esercizio dell’azione penale meritevole di tutela, potendo essa sostenere davanti ad un giudice le proprie ragioni circa la necessità di proseguire le indagini preliminari e di svolgere il processo penale.
L’opposizione presentata dalla persona offesa instaura una fase procedimentale autonoma, che si svolge davanti ad un giudice e che, pur non concludendosi con una decisione definitiva, è funzionale alla tutela di un interesse della stessa: essa, quindi, è legittimata a rivolgersi ad un giudice per chiedere detta tutela, mediante un’attività giurisdizionale. La sua carenza di legittimazione a chiedere il controllo sulla imparzialità del giudice chiamato a svolgere tale attività giurisdizionale, però, impedisce, di fatto, di verificare che il giudizio conseguente alla sua domanda si svolga, con certezza, «davanti a giudice terzo ed imparziale», stante anche la limitata possibilità di impugnare l’ordinanza emessa da quel giudice, come stabilito dall’art. 410-bis, comma 2, cod. proc. pen.
La mancata previsione della legittimazione della persona offesa a proporre istanza di ricusazione, non consentendo la valutazione della imparzialità del giudice chiamato ad assumere una decisione in quella fase processuale, viola pertanto l’art. 111, comma 2, Cost., che stabilisce per «ogni processo» l’obbligatorietà del suo svolgimento «davanti a giudice terzo e imparziale», senza distinguere in merito alla natura del processo stesso e ai soggetti in esso coinvolti. La carenza di legittimazione della persona offesa appare, inoltre, irragionevole, non essendo ragionevole che l’ordinamento attribuisca ad un soggetto processuale un diritto, in questo caso quello di interloquire con il giudice in merito all’accoglibilità della richiesta di archiviazione di un’indagine penale, ma non gli attribuisca anche la possibilità di verificare che tale giudice sia terzo e imparziale, rispetto agli interessi che essa intende tutelare.
3.2. Il principio della imparzialità del giudice deve ritenersi operante in favore della persona offesa, nella procedura conseguente alla sua opposizione alla richiesta di archiviazione, anche alla luce dell’art. 6, par. 1, della CEDU, secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo.
L’indicata norma della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo stabilisce che «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata in modo imparziale, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale», principio che codifica il diritto ad un giusto processo, secondo la definizione adottata dall’art. 111, comma 1, Cost., e la Corte EDU, occupandosi di casi particolari, propri dell’ordinamento italiano, ha ritenuto che il diritto ad un “giusto processo” si applichi a qualunque soggetto legittimato a proporre una causa ad un giudice, indipendentemente dalla sua qualità di “parte processuale” o meno, e dal tipo di “causa”.
In molti procedimenti contro l’Italia (cfr. Sottani c/Italia del 24/02/2005, Patrono, Cascini e Stefanelli c/Italia del 20/04/2006, Mihova c/Italia del 30/03/2010, Arnoldi c/Italia del 07/12/2017, Petrella c/Italia del 18/03/2021), la Corte EDU ha preso atto che, nel processo penale italiano, la persona lesa non è «parte» ma solo «soggetto eventuale» (secondo le affermazioni della Corte costituzionale, ord. n. 254/2011 e sent. n. 23/2015, come ricordato al par. 15 della sentenza Arnoldi c/Italia), ma che l’ordinamento processuale le attribuisce alcune facoltà, nonché il diritto di ricevere informazioni, di ottenere un risarcimento, di svolgere indagini in modo indipendente, di nominare difensori e consulenti tecnici e di accedere al patrocinio a spese dello Stato, e infine di opporsi alla richiesta di archiviazione presentata dal pubblico ministero. Alla luce di tale normativa, la Corte europea ha ripetutamente affermato che l’art. 6, par. 1, CEDU è applicabile ad una parte lesa, non costituitasi parte civile, che abbia esercitato uno dei diritti o delle facoltà riconosciutele dall’ordinamento, dal momento che l’esercizio di tali diritti può rivelarsi fondamentale per una efficace costituzione di parte civile, cioè l’attività che le consente di essere “parte” nel processo. Nella sentenza Arnoldi c/Italia, del 07/12/2017, in particolare, la Corte EDU ha ribadito che «la questione dell’applicabilità dell’art. 6, par. 1, non può dipendere dal riconoscimento dello status formale di “parte” ad opera del diritto nazionale» ed ha esplicitamente ritenuto che «nel diritto italiano la posizione della parte lesa che, in attesa di potersi costituire parte civile, ha esercitato almeno uno di tali diritti e facoltà nel procedimento penale, non differisca, in sostanza, per quanto riguarda l’applicabilità dell’art. 6, da quella della parte civile» (par. 40 di detta sentenza; par. 22 e 23 della sentenza Petrella c/Italia). Inoltre, considerando che «l’esito delle indagini preliminari sia determinante per il diritto di carattere civile in causa», ha altresì affermato che la possibilità per la parte lesa di adire altre vie, idonee per tutelare la sua pretesa civilistica, non incide sull’applicabilità dell’art. 6 CEDU, in quanto lo Stato ha l’obbligo di vigilare affinché un ricorso volto alla tutela di un diritto di carattere civile goda delle garanzie fondamentali dell’articolo 6, «anche quando i ricorrenti, in base alle norme interne, potrebbero o avrebbero potuto benissimo intentare un’azione diversa» (par. 42 della sentenza citata; par. 52 e 53 della sentenza Petrella c/Italia). Nel caso Arnoldi c/Italia, pertanto, la Corte EDU ha concluso per la sussistenza di una violazione del diritto della persona offesa alla ragionevole durata del processo, ritenendo pienamente applicabile, in suo favore, l’art. 6, par. 1, della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, e quindi riconoscendole il diritto ad un giusto processo, nonostante essa non si fosse costituita parte civile, essendo stata la sua denuncia archiviata per la prescrizione del reato, sopravvenuta a causa dell’ingiustificato protrarsi della fase delle indagini preliminari nonostante le sollecitazioni inviate per la sua definizione.
3.3. Alla luce della giurisprudenza convenzionale, pertanto, la mancata previsione della legittimazione della persona offesa a proporre ricusazione si traduce in una violazione del suo diritto ad un giusto processo, previsto dall’art. 6, par. 1, CEDU: la persona offesa che ha esercitato un diritto attribuitole dall’ordinamento, quale quello di opporsi alla richiesta di archiviazione, agendo al fine di tutelare un proprio diritto civile, sul quale l’esito delle indagini preliminari è determinante, riveste una posizione analoga a quella della parte civile sotto il profilo del diritto alle garanzie del “giusto processo”, quale quella a vedere la sua richiesta esaminata da un giudice terzo e imparziale, essendo altresì irrilevante il fatto che essa possa adire il giudice civile per far valere la sua pretesa risarcitoria. L’impossibilità di far valutare l’imparzialità del giudice, della quale ha motivo di dubitare, costituisce una irragionevole e ingiustificata limitazione di tale diritto, dal momento che ne impedisce la tutela.
La carenza di legittimazione della persona offesa a proporre istanza di ricusazione, derivante dall’art. 37 cod. proc. pen. secondo l’interpretazione fornita dal “diritto vivente”, come esposto al superiore par. 2.1., comporta pertanto la violazione anche dell’art. 117, comma 1, Cost., risultando non rispettato il principio dell’esercizio della potestà legislativa nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario.
4. La questione posta, che riguarda l’art. 37 cod. proc. pen. ed i connessi artt. 38 e 409, commi secondo, terzo, quarto e quinto cod. proc. pen., appare, pertanto, rilevante per la definizione della dichiarazione di ricusazione presentata dalle persone offese ricorrenti nel corso della procedura di opposizione alla richiesta di archiviazione, e non manifestamente infondata, avuto riguardo ai principi costituzionali di cui agli artt. 111, comma 2, Cost., 117, comma 1, Cost. e 6, par. 1, Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Cass. pen., I., ud. dep. 21.10.2025, n. 34334