* Giurisdizione e competenza – Difetto di giurisdizione, mancata impugnazione della sentenza di primo grado e formazione del giudicato interno

* Giurisdizione e competenza – Difetto di giurisdizione, mancata impugnazione della sentenza di primo grado e formazione del giudicato interno

8. Con le censure prospettate nel gravame, l’appellante contesta la sentenza impugnata, assumendo che la decisione corretta sarebbe stata quella di respingere le domande principali, in quanto ancorate ad un procedimento espropriativo in realtà inesistente e di dichiarare la carenza di giurisdizione del giudice amministrativo sulla domanda di accertamento di avvenuto acquisto di proprietà a titolo di usucapione. Secondo l’Azienda, il capo della sentenza oggetto di gravame, laddove ha accolto la domanda di usucapione formulata con il ricorso, statuendo, per l’effetto, su un istituto prettamente civilistico, sarebbe, in definitiva, viziato per difetto di giurisdizione, pertanto la sentenza meriterebbe di essere riformata. La ricorrente deduce che la lettura e la prospettazione dei fatti operata dal T.A.R. sarebbe in ogni caso errata, perché la gran parte degli ex proprietari non ha esercitato, dopo l’atto di compravendita, alcun tipo di possesso delle aree. Inoltre, sarebbe contraddittoria l’affermazione sostenuta dal Giudice di prime cure, secondo cui “il trasferimento dei beni a favore dell’ente non è mai avvenuto”, posto che in sentenza si dà atto che con gli atti di cessione è stato “disposto l’immediato pagamento del prezzo pattuito, da un lato, e dell’immissione in possesso dall’altro…”. Da questo errato inquadramento fattuale sarebbe conseguita la ritenuta, erronea, applicazione, al caso di specie, dell’art. 1141 c.c. e, quindi, l’altrettanto erronea statuizione sull’esercizio del potere di fatto sulla cosa “con attività corrispondenti all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale” tale da determinare la presunzione di un possesso valido ad usucapionem e l’inversione dell’onere della prova. Infine, rappresenta che l’avvenuta vendita delle aree, su spontanea iniziativa dei proprietari delle stesse, escluderebbe anche il semplice intento di tenere la cosa come propria mediante attività corrispondente all’esercizio della proprietà e potrebbe dare luogo solo a una detenzione inidonea a confluire in (ri)acquisto delle stesse aree a titolo originario per usucapione.

8.1. Le critiche non possono trovare accoglimento.

Va premesso in fatto che, con delibera 5 maggio 1974, n. 43, il Comune di Roè Volciano aveva vincolato allo scopo di realizzare il nuovo complesso ospedaliero Chiese – Garda Nord alcuni terreni di proprietà dei resistenti. In relazione all’avvio del procedimento espropriativo taluni proprietari dei terreni interessati dall’opera pubblica avevano sottoscritto contratti di cessione volontaria con l’ex Ente Ospedaliero di Gavardo Salò, a cui poi è subentrata l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale del Garda, odierna appellante.

Non è contestato che il nuovo ospedale non è stato mai realizzato e risulta dai fatti di causa che il procedimento espropriativo non è proseguito, come dichiarato dalla stessa Amministrazione resistente, che, in relazione alle aree di cui è causa, ha riferito esserci solo l’apposizione del vincolo, difettando la dichiarazione di pubblica utilità e la determinazione dell’indennità di esproprio.

Orbene, la censura relativa all’assunto difetto di giurisdizione è inammissibile, atteso che sulla questione si è formato il giudicato.

Sulla questione di giurisdizione si è pronunciato il Tribunale di Brescia con la sentenza n. 1190/2006, che ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, affermando la giurisdizione del giudice amministrativo. La decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Brescia con sentenza n. 1330 del 2014, che è passata in giudicato.

Come precisato dalla Corte di Cassazione, “Il giudicato interno sulla giurisdizione si forma tutte le volte in cui il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando anche implicitamente la propria giurisdizione, e le parti abbiano prestato acquiescenza a tale statuizione, non impugnando la sentenza sotto questo profilo, sicché non può validamente prospettarsi l’insorgenza sopravvenuta di una questione di giurisdizione all’esito del giudizio di secondo grado” (Cass. civ. n. 12744 del 2023).

Né si può predicare che non sia intervenuto il giudicato, atteso che la sentenza di appello n. 1330 del 2014 non è stata impugnata, dovendosi rilevare un comportamento contraddittorio dell’Azienda appellante, la quale non ha prospettato la questione di giurisdizione nel corso del giudizio di primo grado, proponendola solo nel presente giudizio, a fronte del fatto che la stessa l’Azienda Ospedaliera, in sede di giudizio dinanzi alla Corte di Appello di Brescia, aveva chiesto con memoria la conferma della sentenza n. 1190 del 2006 del Tribunale di Brescia, che aveva declinato la giurisdizione a favore del giudice amministrativo.

Il giudicato interno sulla questione processuale relativa alla devoluzione della controversia alla giurisdizione amministrativa, una volta formatosi, vincola le parti e il giudice nei successivi gradi di giudizio, non potendo essere rimessa in discussione la questione già definitivamente risolta (Cass.SS.UU. n. 28179 del 2020).

8.2. Passando all’esame del merito del ricorso, nel caso di specie, il Tribunale adito ha correttamente accolto la domanda di usucapione prospettata dai ricorrenti, atteso che nella specie sussistono tutti i presupposti di cui all’art. 1158 c.c..

L’usucapione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà, mediante il possesso continuativo del bene immobile o mobile per un periodo di tempo determinato ex lege.

I requisiti per un valido esercizio dell’usucapione sono individuati dall’art. 1158 c.c., in base al quale sono necessari: il possesso continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico del bene in oggetto; l’esercizio di un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale; la continuità nel possesso ininterrotto per un arco temporale pari a venti anni; l’intenzione dell’interessato di esercitare un potere sulla cosa, in buona o mala fede (non è necessario, in tal caso, la buona fede del possessore).

Il Collegio di prima istanza ha accertato correttamente che il possesso delle aree in favore dell’Ente pubblico non era mai stato trasferito e che i privati cedenti avevano continuato ad esercitare sulle stesse tutte le facoltà proprie del soggetto proprietario. Il possesso in capo agli originari danti causa è proseguito con quello degli eredi, attuali appellati, ai sensi dell’art. 1146 c.c., secondo cui: “Il possesso continua nell’erede per effetto dell’apertura della successione. Il successore a titolo particolare può unire al proprio possesso quello del suo autore e goderne gli effetti”.

Infatti, i precedenti proprietari delle aree, come accertato dal T.A.R., anche dopo la cessione risalente al 1978, hanno continuato ad esercitare il potere di fatto sugli immobili con un comportamento continuo, ininterrotto, pacifico e pubblico. Risulta dai fatti di causa che i resistenti e i loro danti causa hanno provveduto alla coltivazione delle aree e hanno mantenuto un possesso sui terreni ‘uti dominus’, per oltre venti anni, esercitando le facoltà dominicali, recintando i terreni e impedendo l’accesso a terzi, mentre il contratto di comodato invocato dall’Amministrazione per provare la detenzione dei terreni non è stato in alcun modo provato; né depone in senso contrario la delibera n. 215 del 1979, o ulteriori delibere invocate, atteso che il suddetto provvedimento condizionava l’insorgere del diritto di comodato alla sottoscrizione da parte dei comodatari del relativo contratto, che non è mai avvenuta.

Nella specie, l’Azienda non ha allegato alcun elemento per ritenere la sussistenza di un titolo idoneo a qualificare la detenzione del bene dei ricorrenti, assumendo un presunto comodato gratuito, ma senza fornire alcuna prova.

In definitiva, il possesso è stato protratto in modo pacifico ed ininterrotto per oltre venti anni, mentre l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale del Garda non ha fornito alcuna prova dell’esistenza di un titolo (comodato o altro) che qualificasse la detenzione dei terreni da parte dei ricorrenti.

Il T.A.R. condivisibilmente osserva che: “L’argomento dedotto dalla ASST non trova peraltro conferma nell’allegazione di un effettivo titolo giuridico, atteso che la stipula dei nominati contratti di comodato con i privati, pur prevista dall’amministrazione (peraltro, analogamente alla retrocessione dei beni, anch’essa prevista ma mai effettuata), non è mai intervenuta. La parte resistente non ha quindi provato che la relazione di fatto con gli immobili sia iniziata per i ricorrenti a titolo di mera detenzione sulla base di un rapporto giuridico di natura obbligatoria”.

Né si può predicare che sia onere processuale dei ricorrenti provare l’animus possidendi, atteso che una volta provato il possesso ultraventennale, opera la presunzione di cui all’art. 1141 c.c., ossia spetta a chi contesta il potere di fatto esercitato sul bene provare ‘che l’attività materiale corrispondente al possesso sia iniziata in base ad un titolo diverso’.

E neppure si può ritenere che il provvedimento ablativo possa avere determinato, di per sé, un mutamento dell’animus rem sibi detinendi in capo al proprietario espropriato, il quale può, del tutto legittimamente, invocare, nel concorso delle condizioni di legge, il compimento in suo favore dell’usucapione, tutte le volte in cui, come nella specie, alla dichiarazione di pubblica utilità non siano seguiti né l’immissione in possesso, né l’attuazione del previsto intervento urbanistico da parte dell’espropriante, del tutto irrilevante appalesandosi, ai fini de quibus, l’acquisita consapevolezza dell’esistenza dell’altrui diritto dominicale (Cass. n. 5996 del 2014).

Invero, come osservato correttamente dai resistenti in memoria, la mera circostanza che il bene sia stato originariamente ceduto all’Ente pubblico non esclude la possibilità di usucapione, quando non sia stata data effettiva destinazione pubblica al bene e questo sia rimasto nella materiale disponibilità degli originari proprietari.

A tale riguardo, va richiamato l’indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione SS.UU. n. 651 del 2023), dal quale non vi sono ragioni per discostarsi, secondo cui è possibile acquisire per usucapione un bene immobile, pur se ex ante validamente espropriato dalla pubblica amministrazione, nell’ipotesi in cui il proprietario espropriato abbia usufruito del godimento del bene immobile per un tempo utile a usucapirlo (art. 1158 c.c.). Pertanto, la cessione volontaria del bene, nell’ambito di una procedura espropriativa, non è requisito idoneo ad impedire l’esercizio del possesso ad usucapionem da parte del proprietario, nel caso in cui, come nella specie, l’Amministrazione non sia entrata nel possesso materiale ed effettivo del bene.

Nel caso in esame, come correttamente osservato dal Giudice di prime cure, l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale del Garda non ha mai dato attuazione alla destinazione pubblicistica dei terreni, né ha mai esercitato un potere di fatto sugli stessi, mentre le parti appellate hanno continuato ad esercitare il possesso ‘uti dominus’ in modo pacifico ed interrotto per oltre venti anni.

Pertanto, occorre concludere, si sono perfezionati i presupposti per l’acquisto della proprietà per usucapione.

Infine, neppure un rinnovato interesse per le aree in questione, in vista della realizzazione di un presidio socio – sanitario, può impedire l’accoglimento della domanda di usucapione.

Come osservato dai resistenti nelle memorie, l’usucapione si è perfezionata prima che l’Amministrazione manifestasse un rinnovato interesse, come sopra ampiamente dedotto.

9. In definitiva, l’appello va respinto e la sentenza impugnata va confermata.

10. La complessità, anche fattuale, delle questioni trattate, giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite del grado tra le parti.

CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 01.09.2025 n. 7168

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