1.– Il Tribunale di Firenze, prima sezione penale, in composizione monocratica, solleva quattro gruppi di questioni di legittimità costituzionale, in via di gradato subordine.
1.1.– Il rimettente censura primariamente, in riferimento all’art. 76 Cost., l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016, nella parte in cui – dopo aver disposto, al primo periodo, che la depenalizzazione dei reati puniti con sola pena pecuniaria, prevista dal comma 1 dello stesso articolo, si applica anche ai reati che nelle ipotesi aggravate sono puniti con pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria – soggiunge, al secondo periodo, che «[i]n tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato».
Ad avviso del giudice a quo, quest’ultima previsione si porrebbe in contrasto con i principi e i criteri direttivi della legge di delegazione, alla luce dei quali, nel caso considerato, la depenalizzazione avrebbe dovuto investire l’intera fattispecie, tanto nell’ipotesi base, quanto in quella aggravata. L’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014 si limitava, infatti, a stabilire la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati per i quali era prevista la sola pena della multa o dell’ammenda (fatta eccezione per quelli inerenti alle materie successivamente elencate), senza autorizzare il legislatore delegato a mantenere la rilevanza penale, come fattispecie autonome, di eventuali ipotesi aggravate punite con pena detentiva.
La questione è sollevata con riferimento a tutti i reati rientranti nell’ambito applicativo della norma censurata o, in subordine, in relazione al solo reato di guida senza patente, di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada, che viene in rilievo nel giudizio principale.
Secondo il rimettente, l’accoglimento della questione dovrebbe inoltre comportare la dichiarazione di illegittimità costituzionale, in via consequenziale, della disposizione di coordinamento di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016, in base alla quale, quando i reati trasformati in illeciti amministrativi da tale decreto legislativo prevedono ipotesi aggravate fondate sulla recidiva e sottratte alla depenalizzazione, «per recidiva è da intendersi la reiterazione dell’illecito depenalizzato».
1.2.– In via subordinata, il Tribunale fiorentino solleva, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 116, comma 15, cod. strada, nella parte in cui, dopo la depenalizzazione della fattispecie base del reato ivi previsto per effetto del d.lgs. n. 8 del 2016, continua ad attribuire rilievo penale alla guida senza patente nel caso di recidiva nel biennio, precedentemente configurata come ipotesi aggravata del reato stesso.
In questo modo la norma censurata farebbe dipendere la rilevanza penale di un fatto, che per la generalità dei consociati costituisce mero illecito amministrativo, da una condizione personale dell’agente avulsa rispetto all’offesa al bene giuridico protetto, in quanto non indicativa di un maggior pericolo per la sicurezza della circolazione stradale, enfatizzando così oltre misura, sul piano sanzionatorio, le componenti soggettive della violazione a discapito di quelle oggettive: donde la compromissione dei principi di eguaglianza e di offensività del reato, nonché della funzione rieducativa della pena, dato che il condannato, il quale si veda inflitta per effetto della recidiva una sanzione penale (per giunta detentiva), in luogo di una semplice sanzione amministrativa pecuniaria, avvertirebbe inevitabilmente detta sanzione come ingiusta.
1.3.– In via ulteriormente subordinata, il giudice a quo censura, in riferimento ancora all’art. 76 Cost., l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016, nella parte in cui non prevede – in generale o, in subordine, in relazione al solo reato di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada – che, con riguardo alle ipotesi aggravate dei reati puniti con sola pena pecuniaria divenute fattispecie autonome di reato, il giudice continui ad applicare per il calcolo della pena la disciplina previgente.
Il rimettente osserva che, escludendo dalla depenalizzazione le predette ipotesi e trasformandole in fattispecie autonome di reato, il legislatore delegato ne ha inasprito il trattamento sanzionatorio, sottraendole al giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti concorrenti: ciò, in assenza di qualsiasi legittimazione da parte della legge delega e in contrasto, altresì, con la logica del ricorso minimo al diritto penale e di razionalizzazione del sistema giustizia, che ispirava l’intero impianto di tale legge.
1.4.– In estremo subordine, il rimettente deduce infine l’illegittimità costituzionale, di nuovo in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., dell’art. 116, comma 15, cod. strada, nella parte in cui prevede che, nel caso di guida senza patente con recidiva nel biennio, si applichi la pena dell’arresto fino a un anno e dell’ammenda da euro 2.257 a euro 9.032, anziché la pena dell’ammenda da euro 5.000 a euro 30.000.
A parere del giudice a quo, ove pure si ritenesse costituzionalmente legittima la previsione di una fattispecie autonoma di reato per la guida senza patente con recidiva nel biennio, non si potrebbe però, alla luce dei parametri costituzionali evocati, far dipendere da «un elemento estraneo al fatto di reato», quale la recidiva, l’applicazione di una pena detentiva, anziché (solo) pecuniaria. Per l’individuazione della pena da sostituire a quella denunciata come contraria a Costituzione sarebbe, d’altro canto, possibile assumere quale punto di riferimento l’ammontare della sanzione amministrativa pecuniaria applicabile nell’ipotesi semplice di guida senza patente.
2.– L’Avvocatura generale dello Stato ha eccepito l’inammissibilità delle questioni, sull’assunto che il rimettente, nel sollevarle, sarebbe incorso «in un rilevante errore procedimentale».
Chiamato a giudicare una persona imputata, tra l’altro, della contravvenzione di cui all’art. 73 cod. antimafia (reato speciale rimasto estraneo all’intervento di depenalizzazione in ragione del suo trattamento sanzionatorio: tra le altre, Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 12 dicembre 2017-20 febbraio 2018, n. 8223), il giudice a quo avrebbe a torto ritenuto di poter riqualificare il fatto per cui si procede come contravvenzione di guida senza patente con recidiva nel biennio, di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada: operazione che risulterebbe, di contro, a lui inibita, in quanto implicante un mutamento del fatto contestato. In luogo di promuovere l’incidente di legittimità costituzionale, il Tribunale di Firenze avrebbe dovuto, dunque, restituire gli atti al pubblico ministero ai sensi dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen. per la riformulazione dell’imputazione, a fronte della riscontrata diversità del fatto. Ciò renderebbe irrilevanti le questioni, in quanto il censurato art. 116, comma 15, cod. strada non sarebbe applicabile nel giudizio principale.
L’eccezione non è fondata.
Il rimettente ha escluso la configurabilità della contestata contravvenzione di cui all’art. 73 cod. antimafia – che punisce chi guida autoveicoli o motoveicoli senza patente, o dopo che essa è stata negata, sospesa o revocata, essendo già sottoposto, con provvedimento definitivo, a una misura di prevenzione personale – in quanto l’avviso orale del questore, da cui l’imputato era stato raggiunto nel caso di specie, non conteneva la prescrizione dei divieti di cui all’art. 3, comma 4, cod. antimafia: prescrizione in assenza della quale, secondo la giurisprudenza di legittimità predominante, il reato in questione non può ritenersi integrato (ex plurimis, Corte di cassazione, quinta sezione penale, sentenza 28 febbraio-7 aprile 2023, n. 14935; prima sezione penale, sentenza 3 febbraio-6 settembre 2023, n. 36857).
Il giudice a quo ha, peraltro, rilevato che nel capo di imputazione relativo al predetto reato risulta contestata, in fatto, anche la contravvenzione di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada, giacché all’imputato viene specificamente addebitato di aver condotto un’autovettura «privo della patente di guida mai conseguita e già sanzionato nel biennio per tale motivo»: contravvenzione sulla quale il rimettente si reputa, dunque, abilitato a pronunciare (a norma dell’art. 521, comma 1, cod. proc. pen.) e che ritiene in concreto sussistente alla luce delle risultanze processuali (donde la rilevanza delle questioni).
Tale motivazione appare senz’altro in grado di superare il vaglio di “non implausibilità”, sul quale si arresta il controllo “esterno” della rilevanza da parte di questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 179, n. 148 e n. 80 del 2024).
3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
4.– Ciò vale, anzitutto, per la questione sollevata in via principale, con la quale si denuncia un supposto vizio di eccesso di delega.
4.1.– Al riguardo, giova preliminarmente ricordare che, per costante giurisprudenza di questa Corte, «la previsione di cui all’art. 76 Cost. non osta all’emanazione, da parte del legislatore delegato, di norme che rappresentino un coerente sviluppo e un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del primo sia limitata ad una mera scansione linguistica di previsioni stabilite dal secondo» (tra le molte, sentenze n. 36 del 2025 e n. 96 del 2020). La verifica di conformità della norma delegata a quella delegante deve quindi svolgersi attraverso un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, riguardanti, da un lato, le disposizioni che determinano l’oggetto, i principi e i criteri direttivi indicati dalla legge di delegazione e, dall’altro, le disposizioni stabilite dal legislatore delegato, da interpretare nel significato compatibile con la delega (ex plurimis,sentenze n. 36 del 2025, n. 129 del 2024 e n. 166 del 2023).
4.2.– Nella specie, la legge di delegazione n. 67 del 2014 persegue nel suo complesso – come questa Corte ha già avuto modo di rilevare – «l’obiettivo di deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione criminale. La chiara finalità politico-criminale delle deleghe recate dalla suddetta legge è quindi rinvenibile nell’esigenza di un alleggerimento del sistema penale coerente con il principio della extrema ratio del ricorso alla pena» (sentenze n. 81 del 2025 e n. 88 del 2024).
In questa prospettiva, l’art. 2 della citata legge ha delegato il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi «per la riforma della disciplina sanzionatoria dei reati e per la contestuale introduzione di sanzioni amministrative e civili» (comma 1), sulla base di principi e criteri direttivi che contemplano, come prima linea d’intervento, la trasformazione in illeciti amministrativi di un insieme di figure criminose, selezionate con due tecniche distinte. Da un lato, mediante una clausola generale che prevede la depenalizzazione di «tutti i reati» puniti con «la sola pena della multa o dell’ammenda», ad eccezione di quelli riconducibili a determinate materie (comma 2, lettera a: cosiddetta depenalizzazione “cieca”); dall’altro lato, tramite l’elencazione “nominativa” di ulteriori fattispecie attratte nell’operazione (comma 2, lettere da b a d).
Con l’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016 il legislatore delegato ha dato attuazione alla delega relativa alla depenalizzazione “cieca”, stabilendo che «[n]on costituiscono reato e sono soggette alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro tutte le violazioni per le quali è prevista la sola pena della multa o dell’ammenda» (comma 1), fatte salve talune esclusioni (commi 3 e 4), e fissando quindi i criteri di quantificazione delle sanzioni amministrative pecuniarie per le violazioni depenalizzate (commi 5 e 6).
Per quanto qui più direttamente interessa, il comma 2 del medesimo art. 1 chiarisce che la depenalizzazione disposta dal comma 1 «si applica anche ai reati in esso previsti che, nelle ipotesi aggravate, sono puniti con la pena detentiva, sola, alternativa o congiunta a quella pecuniaria» (primo periodo), precisando ulteriormente che, «[i]n tal caso, le ipotesi aggravate sono da ritenersi fattispecie autonome di reato» (secondo periodo).
4.3.– Proprio su quest’ultima previsione si incentra il dubbio di legittimità costituzionale del giudice rimettente. Ad avviso del Tribunale fiorentino, come già precisato, essa risulterebbe incompatibile con i dettami della legge delega, il cui art. 2, comma 2, lettera a), si limitava a prevedere la trasformazione in illeciti amministrativi di tutti i reati puniti con sola pena pecuniaria: non consentendo – in assunto – con ciò al legislatore delegato di mantenere la rilevanza penale, come fattispecie autonome, delle ipotesi aggravate di tali reati punite (anche o soltanto) con pena detentiva.
La tesi sarebbe corroborata dal rilievo che, in occasione della precedente depenalizzazione “cieca” dei reati puniti con pena pecuniaria prevista dall’art. 32 della legge n. 689 del 1981, il secondo comma di tale articolo ne aveva espressamente escluso l’applicabilità ai «reati che, nelle ipotesi aggravate, [fossero] punibili con pena detentiva, anche se alternativa a quella pecuniaria». L’assenza di una previsione similare nella legge n. 67 del 2014 andrebbe interpretata quindi nel senso che, negli intenti del legislatore delegante, la nuova depenalizzazione doveva investire i reati in questione nella loro interezza, sia quanto alla fattispecie base, sia quanto alle ipotesi aggravate. Il Governo non avrebbe potuto pertanto lasciare ferma la rilevanza penale di queste ultime, trasformandole in autonome figure di reato, con il risultato – antitetico rispetto agli obiettivi generali della legge di delegazione – di inasprirne il trattamento sanzionatorio, in ragione della loro sottrazione al giudizio di bilanciamento con eventuali circostanze attenuanti concorrenti (giudizio che, ove queste ultime fossero ritenute equivalenti o prevalenti, avrebbe reso applicabile la sola pena pecuniaria prevista per la fattispecie base).
4.4.– La tesi del rimettente non appare suscettibile di avallo.
In sede di attuazione della delega, il legislatore delegato si è posto in effetti il problema di stabilire se – a fronte della mancanza, nella legge di delegazione, di una disposizione preclusiva analoga a quella dell’art. 32, secondo comma, della legge n. 689 del 1981 – la depenalizzazione dei reati puniti con sola pena pecuniaria, prevista dall’art. 2, comma 2, lettera a), della legge n. 67 del 2014, dovesse o meno estendersi alle figure criminose che rispondevano a tale condizione quanto alla fattispecie base, ma le cui ipotesi aggravate risultavano represse con pena detentiva.
Il Governo ha recepito, sul punto, le indicazioni della Commissione di studio costituita con decreto del Ministro della giustizia 27 maggio 2014 «per elaborare proposte in tema di revisione del sistema sanzionatorio e per dare attuazione alla legge delega 28 aprile 2014, n. 67 in materia di pene detentive non carcerarie e di depenalizzazione»: ha ritenuto, cioè, di dover «attribuire il massimo ambito applicativo alla clausola generale» di depenalizzazione recata dalla legge delega, facendone beneficiare anche i reati dianzi indicati (così la relazione illustrativa dello schema preliminare del d.lgs. n. 8 del 2016, che parafrasa il punto 5 della relazione sulla depenalizzazione della suddetta Commissione). Questa soluzione asseconda e valorizza, in effetti, le generali finalità di deflazione del sistema penale sottese alla legge di delegazione.
Nell’operare in tale direzione, il legislatore delegato – sempre in adesione alle proposte della Commissione – ha lasciato, tuttavia, doverosamente ferma la rilevanza penale delle fattispecie aggravate dei reati di cui si discute, per le quali la normativa allora vigente prevedeva, in ragione del più accentuato disvalore del fatto, anche o soltanto la pena della reclusione o dell’arresto. Contrariamente a quanto mostra di ritenere il rimettente, infatti, tali fattispecie non sarebbero potute comunque rientrare nel perimetro applicativo del criterio di delega, il quale non riferiva la condizione di operatività della depenalizzazione “cieca” – l’essere, cioè, il reato punito unicamente con pena pecuniaria – alla sola fattispecie base, così da rendere irrilevante il diverso trattamento sanzionatorio eventualmente riservato alle ipotesi aggravate.
La trasformazione di tali ipotesi aggravate in fattispecie autonome di reato – con ogni effetto a ciò conseguente, anche se sfavorevole – rappresenta, d’altro canto, un portato ineludibile della soluzione adottata: è evidente, infatti, che le vecchie aggravanti non potevano sopravvivere come tali una volta venuta meno la rilevanza penale della fattispecie base.
Le considerazioni ora esposte trovano, d’altra parte, conforto nei pareri espressi dalle commissioni parlamentari sullo schema di decreto: pareri che, come più volte rilevato da questa Corte, pur non essendo vincolanti, né esprimendo interpretazioni autentiche della legge delega, costituiscono pur sempre elemento che contribuisce alla corretta esegesi di quest’ultima (ex plurimis,sentenze n. 81 del 2025, n. 96 del 2020, n. 127 del 2017 e n. 250 del 2016; analogamente, sentenze n. 79 del 2019 e n. 47 del 2014).
Nella specie, mentre il parere della 2a Commissione permanente (Giustizia) del Senato della Repubblica nulla ha obiettato sul punto, il parere della 2a Commissione permanente (Giustizia) della Camera dei deputati ha condiviso in modo espresso «la scelta relativa alle fattispecie penali punite con sola pena pecuniaria nell’ipotesi base e, nella ipotesi aggravata, anche con pene detentive, secondo cui la fattispecie base è depenalizzata mentre l’aggravante diventa una autonoma fattispecie di reato».
4.5.‒ Le considerazioni fin qui svolte valgono, all’evidenza, a escludere altresì la fondatezza del sospetto di illegittimità costituzionale della disposizione censurata avanzato dal rimettente, in via subordinata, con riferimento al solo reato di guida senza patente, di cui all’art. 116, comma 15, cod. strada.
4.6.– Cade, inoltre, automaticamente, per quanto esposto, anche la censura mossa «in via consequenziale» dal rimettente alla disposizione di coordinamento di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016, in forza della quale, quando le ipotesi aggravate escluse dalla depenalizzazione si basano sulla recidiva (come nel caso della guida senza patente con recidiva nel biennio), per «recidiva» deve intendersi «la reiterazione dell’illecito depenalizzato».
Si tratta, infatti, pure in questo caso, di un corollario logico della soluzione adottata dal legislatore delegato. Come si legge nella relazione illustrativa dello schema preliminare del decreto legislativo, infatti, «[i]n assenza della norma di coordinamento, la fattispecie aggravata sarebbe stata destinata a “cadere” in quanto sarebbe venuto meno quel suo elemento costitutivo rappresentato appunto dalla “recidiva”, non essendo più possibile riferire tale istituto giuridico ad un illecito amministrativo».
5.– Parimenti non fondate si palesano le questioni sollevate in via subordinata, che investono in modo specifico l’attuale assetto sanzionatorio della guida senza patente delineato dall’art. 116, comma 15, cod. strada, nella parte in cui continua ad annettere rilievo penale all’illecito commesso da chi sia recidivo nel biennio.
5.1.– Come lo stesso rimettente ricorda, prima della riforma operata dal d.lgs. n. 8 del 2016, la conduzione di veicoli a motore senza la corrispondente patente di guida – perché mai conseguita, ovvero revocata o non rinnovata per mancanza dei requisiti fisici e psichici – era punita dal citato art. 116, comma 15, cod. strada con la pena dell’ammenda da euro 2.257 a euro 9.032 (primo periodo del comma 15); in caso di recidiva nel biennio si applicava altresì l’arresto fino ad un anno (secondo periodo). La giurisprudenza di legittimità non dubitava che tale ultima ipotesi configurasse una circostanza aggravante, e non già un’autonoma figura di reato (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 30 aprile-1° ottobre 2014, n. 40617; sentenza 12-30 gennaio 2012, n. 3566).
A seguito dell’intervento di depenalizzazione disposto dall’art. 1 del d.lgs. n. 8 del 2016, nei termini che si sono dianzi ricordati, la guida senza patente risulta quindi punita, in via generale, con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 5.000 a euro 30.000, sostituitasi alla pregressa ammenda in base al comma 5, lettera b), del citato art. 1 (salvi i successivi aggiornamenti disposti ai sensi dell’art. 195, comma 3, cod. strada). Quando, però, vi sia recidiva nel biennio il fatto integra una autonoma ipotesi di reato, punita con l’arresto fino a un anno e l’ammenda da 2.257 a 9.032 euro (Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 4 giugno-4 luglio 2024, n. 26285, ove si esclude che la fattispecie possa ritenersi sanzionata attualmente con la sola pena detentiva), reato del quale la recidiva integra un elemento costitutivo (tra le altre, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 28 gennaio-4 marzo 2025, n. 8871; sentenza 10 maggio-15 settembre 2017, n. 42285).
È utile altresì rilevare che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, la recidiva deve ritenersi a tal fine integrata tanto dal precedente giudiziario specifico (segnatamente in relazione ai fatti commessi prima della riforma), quanto – alla luce del disposto dell’art. 5 del d.lgs. n. 8 del 2016 – da una precedente violazione amministrativa, purché definitivamente accertata (ex plurimis, Corte di cassazione, sezione quarta penale, sentenza 6-12 maggio 2025, n. 17795; sentenza 6 aprile-14 giugno 2018, n. 27398), non essendo sufficiente la mera contestazione dell’illecito (Corte di cassazione, sezione quarta penale, n. 8871 del 2025; sentenza 12 ottobre-8 novembre 2023, n. 44905).
Anteriormente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 8 del 2016, la giurisprudenza di legittimità appariva inoltre orientata nel senso che, ai fini della configurabilità della recidiva nel biennio, rilevasse come dies a quo la data del passaggio in giudicato della sentenza relativa al fatto precedente e non quella di commissione di tale fatto (tra le altre, Corte di cassazione, sezione quarta penale, 30 aprile-1° ottobre 2014, n. 40617): indirizzo ribadito dopo la riforma (Corte di cassazione, sezione quarta penale, 30 settembre-31 ottobre 2016, n. 45769) e che appare riferibile, mutatis mutandis, anche alla reiterazione dell’illecito depenalizzato (nel senso che il biennio decorrerà dal momento in cui il relativo accertamento diviene definitivo).
5.2.– Tanto puntualizzato, va ricordato che, secondo il rimettente, la previsione come ipotesi di reato della guida senza patente nel caso di recidiva nel biennio violerebbe i principi di eguaglianza, di offensività del reato e della funzione rieducativa della pena (artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.). Il giudice a quo basa, nella sostanza, le sue censure su una duplice linea argomentativa.
Sotto un primo profilo, nella ordinanza di rimessione si sostiene che la norma censurata farebbe dipendere la rilevanza penale di un fatto, che per ogni altra persona resta sanzionato solo in via amministrativa, da una condizione soggettiva dell’agente (la recidiva nel biennio) priva di incidenza sull’offesa al bene giuridico protetto. In tal modo, la disposizione verrebbe a configurare – similmente a quanto era avvenuto a suo tempo per la contravvenzione di ubriachezza (art. 688, secondo comma, cod. pen.), rimossa dalla sentenza n. 354 del 2002 di questa Corte – una responsabilità penale cosiddetta “d’autore”, non tollerabile sul piano costituzionale.
Sotto un secondo e concorrente profilo, il Tribunale di Firenze ‒ richiamando la giurisprudenza di questa Corte relativa al divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata – ritiene che la norma denunciata enfatizzi oltre misura il peso della recidiva sul piano sanzionatorio, rendendolo soverchiante rispetto alle componenti oggettive del fatto. Secondo il giudice a quo, la recidiva potrebbe giustificare, bensì, un incremento (entro certi limiti) della pena, ma non assurgere a discrimen tra ciò che rientra nell’area di rilevanza penale e ciò che esula da essa.
5.3.– Anche in questo caso la prospettazione del rimettente non può essere condivisa.
Quanto alla prima linea argomentativa, questa Corte ha, in effetti, affermato che il principio di offensività del reato, desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost. – il quale impegna il legislatore a limitare la repressione penale ai comportamenti che nella loro configurazione astratta appaiano offensivi di beni meritevoli di protezione, anche solo nella forma dell’esposizione a pericolo (ex plurimis, sentenza n. 211 del 2022) –, osta alla previsione di fattispecie penali che «abbia[no], come presupposto, una qualità della persona non connessa alla condotta» (sentenza n. 116 del 2024), come pure a disposizioni che stabiliscano trattamenti penali più severi fondati su qualità personali derivanti dal precedente compimento di atti «del tutto estranei al fatto-reato» (sentenza n. 249 del 2010).
In questa logica, si è escluso che la qualità di condannato per delitti non colposi contro la vita o l’incolumità individuale possa essere elevata a elemento costitutivo del reato di ubriachezza (sentenza n. 354 del 2002); o che la qualità di migrante irregolare possa integrare una circostanza aggravante di ordine generale, riferibile a qualsiasi reato (sentenza n. 249 del 2010); ovvero ancora che la configurabilità dei reati di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli (art. 707 cod. pen.) e di possesso ingiustificato di valori (art. 708 cod. pen.) possa essere collegata alla condizione di condannato per mendicità, di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta (in questo senso, sulla base di uno scrutinio di ragionevolezza, sentenze n. 14 del 1971 e n. 110 del 1968), nonché, limitatamente al secondo reato, a quella di condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio (sentenza n. 370 del 1996).
In senso contrario questa Corte si è espressa, quanto alla condizione da ultimo indicata, con riguardo al reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli, ritenendo non irragionevole che, a fronte di una condotta che deve presentare una potenziale proiezione verso l’offesa al patrimonio, il legislatore tenga conto delle precedenti condanne riportate dal soggetto attivo per reati aggressivi del medesimo bene, o comunque connotati da finalità di lucro, in quanto idonee a rendere maggiormente concreta detta proiezione offensiva (sentenza n. 225 del 2008).
Con particolare riguardo alla contravvenzione prevista dall’art. 73 cod. antimafia, originariamente contestata nel giudizio a quo,questa Corte ha ritenuto, del pari, non costituzionalmente illegittima l’incriminazione della condotta di guida in mancanza del titolo abilitativo da parte di soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale, allorché il prevenuto non abbia la patente per non averla mai richiesta o perché, pur avendola richiesta, gli sia stata negata, oppure gli sia stata revocata in ragione dell’applicazione della misura di prevenzione, essendo tale incriminazione finalizzata a tutelare l’ordine pubblico, in correlazione alla necessità di porre limitazioni agli spostamenti, di impedire o ostacolare la perpetrazione di attività illecite e di rendere meno agevole la sottrazione ai controlli dell’autorità da parte di soggetti pericolosi (sentenza n. 211 del 2022).
Sulla base dei predetti principi questa Corte è pervenuta, per converso, ad una pronuncia di illegittimità costituzionale con riguardo al caso in cui il prevenuto abbia guidato autoveicoli senza patente per essere stata la stessa sospesa o revocata per cause ricollegabili, non già alla misura di prevenzione, ma alla violazione di norme del codice della strada (quale quella sui limiti di tasso alcolemico del conducente). In una simile evenienza, che non lascia emergere la prospettiva di tutela dianzi indicata, «[s]ia per il prevenuto, sia per gli altri soggetti, la successiva condotta di guida con patente sospesa o revocata per violazioni di norme del codice della strada non può non avere lo stesso trattamento giuridico»: deve costituire, cioè, illecito amministrativo, «salva l’ipotesi della recidiva nel biennio» (sentenza n. 116 del 2024).
5.4.– Venendo allora proprio all’ipotesi fatta salva da quest’ultima sentenza, deve rilevarsi come la fattispecie oggi in esame, al di là degli apparenti punti di contatto, risulti significativamente dissimile da quella sulla quale si è pronunciata la sentenza n. 354 del 2002, specificamente evocata dal giudice a quo.
In tale sentenza questa Corte ha rilevato che, a seguito della depenalizzazione della fattispecie base del reato di ubriachezza attuata dal d.lgs. n. 507 del 1999, la precedente condanna dell’agente per un delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale – già integrativa di una circostanza aggravante – veniva ad assumere «le fattezze di un marchio, che nulla il condannato [poteva] fare per cancellare e che vale[va] a qualificare [come penalmente rilevante] una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale». La circostanza poi che il precedente penale che veniva in rilievo fosse «evenienza del tutto estranea al fatto-reato» e «privo di una correlazione necessaria con lo stato di ubriachezza», rendeva chiaro che la norma incriminatrice finiva col punire non tanto l’ubriachezza in sé, quanto una qualità personale del soggetto, così che la contravvenzione assumeva «i tratti di una sorta di reato d’autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato».
Nell’odierno frangente, di contro, il precedente che viene in rilievo non può dirsi privo di correlazione con la condotta di guida senza patente sanzionata dalla norma censurata, essendo costituito dalla commissione, definitivamente accertata, del medesimo illecito. A quest’ultimo deve intendersi infatti riferita, nel contesto della norma incriminatrice, la formula «[n]ell’ipotesi di recidiva nel biennio», non essendo dunque sufficiente – come invece ai fini della recidiva specifica di cui all’art. 99, secondo comma, numero 1), cod. pen. – la commissione di una violazione semplicemente della «stessa indole». Ne consegue che, come lo stesso rimettente riconosce, nel caso in esame «il collegamento tra requisito soggettivo e condotta illecita è più stretto rispetto al caso dell’ubriachezza».
La recidiva, d’altra parte, per assumere rilievo agli effetti dell’art. 116, comma 15, secondo periodo, cod. strada, deve manifestarsi entro un arco temporale assai circoscritto: due anni, a decorrere – secondo la tesi più accreditata – dall’accertamento definitivo del precedente illecito. Non si può ritenere, dunque, che tale accertamento assuma – come la precedente condanna cui aveva riguardo l’art. 688, secondo comma, cod. pen. – «le fattezze di un marchio, che nulla potrebbe fare il condannato per cancellare» (sentenza n. 354 del 2002, già citata): decorso il biennio senza che il soggetto abbia reiterato la violazione, egli torna a porsi – riguardo agli eventuali successivi fatti di guida senza patente – nella medesima condizione della generalità dei consociati.
5.5.– Con riguardo, poi, alla seconda linea argomentativa che sorregge le censure del rimettente, si deve ricordare come questa Corte, al pari della giurisprudenza di legittimità, abbia individuato la ragione atta a giustificare gli aumenti di pena previsti dall’art. 99 cod. pen. per i vari casi di recidiva, non solo nella più elevata pericolosità del reo attestata dai suoi trascorsi criminali, ma anche nel maggior grado di colpevolezza ravvisabile in capo a chi «non rinuncia alla commissione di nuovi reati, pur essendo già stato destinatario di un ammonimento individualizzato sul proprio dovere di rispettare la legge penale, indirizzatogli con le precedenti condanne» (sentenza n. 73 del 2020; nella giurisprudenza di legittimità, in analogo ordine d’idee, Corte di cassazione, sezioni unite penali, 27 maggio-5 ottobre 2010, n. 35738). Maggior grado di colpevolezza che a sua volta si traduce in una più elevata gravità (soggettiva) del reato.
Nell’ampia giurisprudenza concernente il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata stabilito dall’art. 69, quarto comma, cod. pen. – giurisprudenza ripercorsa, in sintesi, quanto alle pronunce anteriori, nella sentenza n. 94 del 2023 (punto 10 del Considerato in diritto) e alla quale fa appello il giudice a quo – questa Corte ha posto, peraltro, l’accento sull’esigenza di mantenere «un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, evitando in particolare quella che la sentenza “capostipite” n. 251 del 2012 già aveva definito l’“abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato”» (sentenza n. 141 del 2023; negli stessi termini, altresì, sentenza n. 188 del 2023). Fenomeno, questo, che è stato ravvisato nella “sterilizzazione”, indotta dal divieto in parola, dell’effetto mitigatore di determinate circostanze attenuanti, e particolarmente di quelle espressive di una ridotta offensività del fatto, cui sovente si accompagna la previsione di una pena nettamente inferiore a quella base del reato (con riguardo a queste, sentenze n. 205 del 2017, n. 106 e n. 105 del 2014, n. 251 del 2012): il che rischiava di rendere la pena inflitta non proporzionata al singolo fatto per il quale il soggetto era giudicato, in contrasto con i principi costituzionali evocati dall’odierno rimettente.
5.6.– Le ricordate affermazioni risultano estensibili, con i dovuti adattamenti, all’ipotesi in cui la recidiva (o reiterazione dell’illecito) sia configurata – come nel caso in esame – non quale circostanza aggravante, ma come elemento che determina il passaggio da una violazione amministrativa a una fattispecie di reato (ciò, pur in presenza del dato differenziale rappresentato dal fatto che la recidiva di cui all’art. 99 cod. pen. riguarda i soli delitti non colposi, mentre nella specie si discute di un illecito punibile anche a titolo di colpa).
Nell’odierno frangente, tuttavia, il predetto fenomeno di abnorme sopravvalutazione delle componenti soggettive dell’illecito non appare riscontrabile.
In proposito, occorre osservare che la guida senza patente – la cui disciplina è passata attraverso un’alternanza di interventi di penalizzazione e depenalizzazione (ripercorsi analiticamente nella sentenza di questa Corte n. 211 del 2022, punto 5 del Considerato in diritto) – rappresenta comunque un illecito di significativo disvalore nel quadro di quelli contemplati dal codice della strada, consistendo nel compimento di un’attività intrinsecamente pericolosa per la sicurezza della circolazione stradale, e dunque per l’incolumità di persone e cose – quale la conduzione di veicoli a motore –, in difetto del titolo abilitativo che attesta l’idoneità del soggetto ad esercitarla.
Già nella disciplina antecedente al d.lgs. n. 8 del 2016, quando il fatto assumeva in generale rilevanza penale, la recidiva nel biennio provocava un mutamento qualitativo della risposta punitiva, essendo configurata come circostanza aggravante autonoma, che implicava l’aggiunta di una pena detentiva alla pena pecuniaria prevista per l’ipotesi base. La trasformazione di quest’ultima in illecito amministrativo ha ampliato lo scarto, ma senza con ciò rendere la reazione sanzionatoria alla nuova violazione eccedente i limiti della proporzionalità al fatto.
Non appare idonea, in specie, a produrre tale effetto la soluzione di prevedere che la reiterazione in un ristretto arco temporale della medesima violazione – per quanto detto, di significativo rilievo nel sistema degli illeciti in materia stradale – renda applicabile al suo autore, in luogo della sanzione amministrativa pecuniaria ordinariamente prevista, sanzioni di natura penale. Ciò, tenendo conto che si discute di un reato di tipo contravvenzionale, punito bensì, oltre che con la pena dell’ammenda (di ammontare, peraltro, sensibilmente inferiore a quello della sanzione amministrativa), anche con la pena dell’arresto, ma in limiti edittali contenuti – fino a un anno, e dunque con un minimo di soli cinque giorni, ai sensi dell’art. 25 cod. pen. (che notoriamente è quello che più conta nella prassi giudiziaria) – e tali da rendere la pena stessa, nei congrui casi, attualmente sostituibile con la pena pecuniaria anche se applicata nella misura massima (art. 53, primo comma, della legge n. 689 del 1981).
La conclusione non appare inficiata dal rilievo – su cui pure fa leva il rimettente – che la recidiva prevista dall’art. 116, comma 15, cod. strada, diversamente da quella contemplata dall’art. 99 cod. pen., non abbia carattere facoltativo, non richieda, cioè, ai fini della sua applicazione, una verifica in concreto da parte del giudice della significatività della nuova violazione quale indice di una più accentuata colpevolezza e pericolosità dell’agente. Ciò, considerato il fatto che i due principali elementi sui quali tale verifica deve basarsi – vale a dire la natura e il tempo di commissione dei fatti precedenti (ex plurimis,sentenze n. 185 del 2015 e n. 192 del 2007) – formano nella specie oggetto di tipizzazione normativa (la violazione deve essere la medesima, la reiterazione deve aversi entro un ristretto lasso temporale).
5.7.– Alla luce delle considerazioni che precedono deve, dunque, escludersi, oltre alla dedotta violazione del principio di offensività, anche quella del principio di eguaglianza – non potendo il diverso trattamento riservato a chi sia recidivo nel biennio ritenersi privo di giustificazione o sproporzionato – come pure della funzione rieducativa della pena – la quale non si presta nella specie ad essere apprezzata come iniqua, e perciò inidonea alla rieducazione, da parte del condannato.
6.– Non fondata è anche la questione, sollevata in via ulteriormente subordinata, con la quale il giudice rimettente chiede che l’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 8 del 2016 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo, sotto il profilo dell’eccesso di delega, nella parte in cui non prevede che, con riguardo alle ipotesi aggravate ora trasformate in fattispecie autonome di reato, il giudice per il calcolo della pena continui ad applicare la disciplina sanzionatoria prevista prima della riforma.
La non fondatezza di tale questione – a base della quale il rimettente, come precisato, deduce l’asserita incompatibilità con la legge delega dell’inasprimento del trattamento sanzionatorio delle ipotesi aggravate conseguente alla loro trasformazione in fattispecie autonome di reato, che ne impedisce il bilanciamento con eventuali attenuanti – è già insita in quanto osservato in precedenza al punto 4.4., con riguardo alla questione sollevata in via principale.
Può aggiungersi che la pronuncia richiesta per questo verso dal rimettente darebbe luogo a un assetto “extra ordinem” e del tutto asistematico: il giudice dovrebbe continuare a trattare come circostanza aggravante una previsione sanzionatoria alla quale non corrisponde più alcuna fattispecie base di reato.
7.– Analogamente, quanto rilevato in precedenza al punto 5.6., relativamente alle questioni sollevate in via subordinata, vale ad escludere anche la fondatezza delle questioni sollevate in via di estremo subordine con riferimento ai medesimi parametri (artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost.), intese ad ottenere la sostituzione della pena attualmente prevista per la guida senza patente con recidiva nel biennio (arresto fino a un anno e ammenda da euro 2.257 a euro 9.032) con quella dell’ammenda da euro 5.000 a euro 30.000: ciò, sull’assunto che la recidiva nel biennio possa giustificare al più, nella specie, la previsione della sola pena pecuniaria.
8.– In conclusione, dunque, tutte le questioni sottoposte all’esame della Corte debbono essere dichiarate non fondate.
CORTE COSTITUZIONALE – sentenza 21.10.2025 n. 154