1. Con il primo motivo di ricorso, rubricato “violazione di legge in relazione all’art. 3, commi 1 e 3, L. n. 241/90 (richiamata dall’art. 7 della L. n. 212/2000) nonché all’art. 60, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73 sull’eccezione di ‘nullità dell’Avviso di Iscrizione Ipotecaria (in relazione a tutte le cartelle di rilevanza tributaria) per mancata conoscenza degli atti presupposti”, la ricorrente assume che il giudice del gravame avrebbe errato a ritenere validamente notificato il preavviso di iscrizione ipotecaria nonché le cartelle di pagamento, posto che in tutti i casi l’ufficiale addetto alla notifica aveva erroneamente seguito la procedura prevista per l’ipotesi di irreperibilità assoluta del destinatario, contemplata dall’art. 60, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73. Nelle memorie illustrative aveva, infatti, affermato e documentato che dal 23 giugno 2010 al 7 novembre 2019 ella risultava residente in Via (Omissis) a M con l’intera famiglia composta da 3 figli. A partire dal 7 settembre 2019 la stessa si era trasferita in Via (Omissis) sempre a M, ciò risultando inoppugnabilmente dal certificato di residenza storico allegato come doc. 1 alle memorie illustrative di primo grado. La composizione del suo nucleo familiare risultava dallo ‘stato di famiglia’, da cui si evinceva che la famiglia era composta dai tre figli Ce.El., Ce.Be. e Ce.Fi. (doc. 3, già allegato come doc. 2 alle memorie illustrative di primo grado). Dai certificati storici di residenza di Ce.El., Ce.Be. e Ce.Fi. risultava che essi – insieme alla madre – erano stati residenti in Via (Omissis) dal 23 giugno 2010 al 7 novembre 2019. Dunque, era rimasto comprovato che fino al 7 novembre 2019 ella aveva vissuto effettivamente in Via (Omissis) a M. In altri termini, contrariamente a quanto affermato dal Concessionario, essa ricorrente da oltre 10 anni viveva a M. In merito alla rilevanza della certificazione anagrafica, la difesa della De.Ma. sottolinea che recentemente la Corte di cassazione ha stabilito che il certificato anagrafico costituisce idonea prova per dimostrare la residenza effettiva del destinatario di un atto, chiarendo che “la dichiarazione dell’ufficiale giudiziario (o l’ufficiale postale, nel caso di notifica per mezzo del servizio postale) non postula alcun accertamento sull’effettiva residenza del destinatario, né costituisce un’attestazione dotata di pubblica fede…. La circostanza che la notifica risulti effettuata nel luogo indicato dal mittente costituisce una mera presunzione…. Tra i mezzi di prova idonei a vincere la suddetta presunzione ovviamente rientrano le certificazioni anagrafiche” (si cita Cass. Civ., Sez. III, Ord. 2 Settembre 2022 n. 25885). Sulla base di tali inoppugnabili elementi, quindi, la procedura corretta e dovuta secondo legge nella circostanza sarebbe stata quella dettata dall’art. 139 c.p.c. e poi dall’art. 140 c.p.c. per l’ipotesi dell’irreperibilità relativa, con conseguente nullità di tutte le notifiche.
1.1. Rileva il collegio che il motivo non si profila sufficientemente specifico, non essendo state trascritte nel ricorso le relate di notifica contestate (cfr., ex multis, Cass. n. 5185/2017; Cass. n. 31038/2018; Cass. n. 1150/2019; Cass. 21112/2022 e Cass. n. 34946/2024), secondo cui, ove sia denunciato il vizio di una relata di notifica, il principio di autosufficienza del ricorso esige la trascrizione integrale di quest’ultima, che, se omessa, determina l’inammissibilità del motivo, perché essa risulta strettamente funzionale alla comprensione del motivo.
1.2. In ogni caso, il motivo si profila infondato, dal momento che, per come risulta dalle relate di notifica riprodotte nel controricorso dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, il messo notificatore si era recato all’indirizzo in cui la ricorrente risultava formalmente residente ed aveva personalmente constatato che nessun citofono o cassetta postale riportava il nominativo della stessa, così dichiarando – in assenza di altri elementi utili allo scopo, pur avendo eseguito un doppio accesso – che la destinataria non era risultata in alcun modo reperibile. Conseguentemente, la notifica ex art. 60, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73 va ritenuta valida, vertendosi in ipotesi di irreperibilità assoluta, come correttamente ritenuto dal giudice del gravame.
Diversamente da quanto asserito dalla parte ricorrente, infatti, il certificato di residenza non ha efficacia fidefaciente tale da contrastare gli accertamenti compiuti dall’organo notificatore. Questa Corte ha, infatti, chiarito che, in materia di notificazione dell’avviso di accertamento, l’attestazione del pubblico ufficiale sulla relata di notifica di avere acquisito, da accertamenti eseguiti in loco, la conoscenza che il contribuente non è risultato reperibile presso l’indirizzo indicato costituisce atto pubblico e fa piena prova fino a querela di falso. Tale prova non può essere inficiata da certificati anagrafici o elettorali che attestino solo formalmente la persistente residenza in loco del destinatario della notifica, poiché le risultanze anagrafiche rivestono valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza, che, nel caso di specie, sono risultate di fatto smentite dagli accertamenti del pubblico ufficiale.
2. Con il secondo motivo, rubricato “violazione di legge in relazione all’art. 25, comma 1, D.P.R. n. 602/73 sull’eccezione di ‘tardiva notifica delle cartelle di pagamento dell’Agenzia Entrate n. (Omissis) (Irpef 2006) e n. (Omissis) (Sanzione pecuniaria D.P.R. n. 600 2010)”, la ricorrente deduce che il giudice di secondo grado sarebbe incorso in violazione di legge anche in relazione all’art. 25, comma 1, D.P.R. n. 602/73 sull’eccezione di ‘tardiva notifica’ delle cartelle di pagamento appena indicate, in quanto, anche in ipotesi di regolare notifica, il giudice del gravame avrebbe dovuto dichiarare la decadenza degli enti impositori. Si rammenta, infatti, che Il Giudice di secondo grado ha affermato che “con riferimento alla lamentata prescrizione, questo Collegio osserva che il diritto alla riscossione dei tributi erariali (IRPEF, IRES, IRAP ed IVA), in mancanza di un’espressa disposizione di legge, si prescrive nel termine ordinario di dieci anni e non nel più breve termine quinquennale, non costituendo detti crediti erariali prestazioni periodiche, ma dovendo la sussistenza dei relativi presupposti valutarsi in relazione a ciascun anno d’imposta (Cass. n. 32308 del 2019; Cass. n. 15244 del 2020, Cass. n. 11138 del 28.04.2021)” (pag. 8 della sentenza impugnata). Per quanto detto, il termine fissato dall’art. 25, comma 1, D.P.R. n. 602/73 è stabilito a pena di “decadenza” e, pertanto, il suo decorso avrebbe dovuto implicare l’immediato esaurimento del diritto di riscossione da parte del Concessionario. Quindi, il richiamo al termine decennale di prescrizione sarebbe errato, giacché questo può iniziare a decorrere solo ed esclusivamente se il (primo) termine di decadenza – fissato dal citato art. 25 del D.P.R. n. 602/73 – sia stato rispettato dal Concessionario. Nella fattispecie concreta le cartelle erano state notificate ben oltre il termine di decadenza triennale e, pertanto, l’avvenuta decadenza aveva determinato il venir meno del potere di riscossione da parte del Concessionario. Emergerebbe – ad avviso della ricorrente – in modo chiaro che gli assunti del Giudice ‘a quo’ confliggono apertamente con la lettera dell’art. 25, comma 1, D.P.R. n. 602/73, che fissa termini di notifica delle cartelle di pagamento ‘a pena di decadenza’.
2.1. Il motivo è infondato.
Discende infatti dalla regolare notifica delle cartelle di pagamento, per i motivi illustrati al punto precedente, unitamente alla mancata tempestiva impugnazione delle stesse nel termine di decadenza previsto dall’art. 21 del decreto legislativo n. 546/1992, la preclusione di ogni questione di merito, ivi compresa la decadenza ex art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 nel giudizio relativo all’impugnazione dell’avviso di iscrizione ipotecaria che viene in questa sede in rilievo, atto che dunque poteva essere impugnato solo per vizi propri. Dalla mancata impugnazione delle cartelle di pagamento ritualmente notificate deriva, infatti, l’irretrattabilità del credito (Cass. S.U. n. 23397/2016). Di conseguenza, il giudice del gravame non era tenuto ad esaminare l’eccezione di decadenza, per essere la stessa inammissibile.
3. Con il terzo motivo, rubricato “nullità della sentenza per ‘motivazione perplessa ed incomprensibile’, nonché per ‘motivazione apodittica ed apparente’ ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. in violazione degli artt. 132 c.p.c. e 36 D.Lgs. 546/92 sull’eccezione di ‘nullità dell’Avviso di Iscrizione Ipotecaria (in relazione a tutte le cartelle di rilevanza tributaria) per mancata conoscenza degli atti presupposti’ ex art. 3, commi 1 e 3, L. n. 241/90 (richiamata dall’art. 7 della L. n. 212/2000), nonché all’art. 60, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73″, la parte ricorrente evidenzia che la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, nel confermare la regolare notifica degli atti presupposti, ha riportato in motivazione la giurisprudenza relativa alle notifiche a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento, nonostante tutte le notifiche fossero state effettuate secondo la procedura prevista per l’ipotesi di irreperibilità assoluta del destinatario, contemplata dall’art. 60, comma 1, lett. e) del D.P.R. n. 600/73, frutto di un improprio “copia e incolla” che rendeva la motivazione perplessa e contraddittoria.
3.1. La censura è infondata.
La motivazione circa la regolarità delle notifiche secondo la procedura prevista per l’irreperibilità assoluta è presente nella sentenza impugnata e precisamente a pagina 6, dal rigo n. 8 al rigo n. 25 e si prospetta analitica, esauriente e specificamente riferita a ciascun atto notificato.
La presenza di un successivo parziale svolgimento motivazionale relativo alla giurisprudenza in materia di notifiche a mezzo del servizio postale, chiaramente frutto di un “refuso”, non inficia la coerenza e la completezza della motivazione adottata in relazione all’aspetto centrale e dirimente della legittimità delle controverse notifiche eseguite invero direttamente a mezzo dell’organo notificatore.
4. Il ricorso deve, in conclusione essere respinto.
5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
6. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115/2002 la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cass. civ., trib., ord., 08.09.2025, n. 24745