10.Con il primo motivo si deducono (in relazione all’art. 360, co.1, n.3, cod.proc.civ.) due profili.
10.1.Il primo attiene all’errata applicazione del principio di diritto introdotto dalla sentenza della Sezioni Unite civili n.18287/2018.La sentenza impugnata sarebbe incorsa in errata applicazione del principio di diritto ivi enunciato: dopo aver affermato che la ricorrente è già stata adeguatamente compensata per l’apporto dato alla vita matrimoniale con la propria dedizione al ménage domestico, e dopo aver accertato che le attribuzioni ricevute in sede di separazione avevano eliminato ogni possibile e significativo squilibrio, ha indebitamente duplicato uno degli aspetti di tale “sacrificio” – la rinuncia alla carriera lavorativa – per elevarlo a presupposto di ulteriore attribuzione, riconosciuta nonostante la constatata valenza delle attribuzioni già ricevute a colmare ogni profilo di squilibrio patrimoniale tra gli ex coniugi.
10.2.Il secondo profilo riguarda l’errata applicazione dell’art.2729 cod.civ: il ricorrente evidenzia che la Corte territoriale ha errato nel ritenere provata la circostanza per cui l’attività di esaminatrice della G.M. avrebbe comportato la percezione di una indennità aggiuntiva, quantificata dalla testimone G.T., per il successivo periodo 2006-2019, in € 300/400 mensili (cfr. sentenza n.1063/2024, p.12/22), in quanto ha valorizzato la cd “perdita di occasioni lavorative” da parte della G.M., sulla base di una testimonianza e, quindi, presumendo un pregiudizio patrimoniale privo di riscontro documentale.
11.Il motivo è infondato con riguardo ad entrambi i profili.
12.Con riguardo al primo profilo la decisione è conforme ai principi di diritto elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di riconoscimento dell’assegno divorzile.
12.1.È stato chiarito che “il diritto all’assegno di divorzio non sorge ove, all’esito dello scioglimento della comunione legale dei beni, la posizione economico patrimoniale e reddituale dei due ex coniugi risulti sostanzialmente paritaria.” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 27536 del 2024) e che “l’assegno divorzile, avendo una funzione compensativo-perequativa, va adeguato all’apporto fornito dal coniuge richiedente che, pur in mancanza di prova della rinuncia a realistiche occasioni professionali-reddituali, dimostri di aver contribuito in maniera significativa alla vita familiare, facendosi carico in via esclusiva o preminente della cura e dell’assistenza della famiglia e dei figli, anche mettendo a disposizione, sotto qualsiasi forma, proprie risorse economiche, come il rilascio di garanzie, o proprie risorse personali e sociali, al fine di soddisfare i bisogni della famiglia e di sostenere la formazione del patrimonio familiare e personale dell’altro coniuge, restando di conseguenza assorbito l’eventuale profilo prettamente assistenziale” (Cass.24795/2024).
12.2.La Corte d’appello ha correttamente applicato detti principi procedendo, peraltro, ad accertare, ai fini del riconoscimento dell’assegno in funzione perequativa-compensativa, l’esistenza al momento del divorzio di uno squilibrio economico tra gli ex coniugi riconducibile proprio all’organizzazione familiare durante la vita in comune, ponendo rimedio, in presenza di tali presupposti, agli effetti derivanti dalla rigorosa applicazione del principio di autoresponsabilità.
12.3. E ciò, nonostante, l’improprio riferimento contenuto nella sentenza impugnata agli accordi intervenuti fra le parti in sede di separazione i quali, invece, non rilevano, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, dovendosi effettuare l’accertamento con riferimento al momento del divorzio. La motivazione della sentenza va, dunque, corretta sul punto perché detti accordi fanno chiaro riferimento non alla compensazione del contributo dato dalla G.M. alla formazione del patrimonio familiare ma attengono alla suddivisione del patrimonio comune esistente in quel momento, senza alcun elemento che giustifichi una loro rilevanza ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile e delle sue funzioni.
13.Anche il secondo profilo è infondato.
13.1.Infatti la Corte d’appello ha ritenuto la perdita dell’indennità aggiuntiva sulla base della complessiva e coerente ricostruzione dell’organizzazione familiare procedendo alla valutazione di tutti gli elementi probatori emersi e raccolti in giudizio senza che, in proposito, il ricorrente abbia indicato elementi contrari che giustifichino la critica qui formulata.
14.Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di specificità. Come rilevato dalla controricorrente e non contestato dal ricorrente non vi è stato omesso esame di fatto dedotto ma statuizione di rigetto per irrilevanza della richiesta svolta dal ricorrente all’udienza del 30.1.2024, irrilevanza ai fini della decisione con la quale, peraltro, lo stesso non si confronta, limitandosi a riformulare la richiesta sotto la veste di omesso esame di fatto che neppure illustra rispetto alla necessaria decisività.
15.Il ricorso va, quindi, respinto.
16.In applicazione del principio di soccombenza, il ricorrente è condannato alla rifusione delle spese di lite a favore della controricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
17. Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione.
Cass. civ., I, ord., 08.09.2025, n. 24759