Famiglia – Filiazione – Separazione- Nuova domanda di assegno divorzile in sede di revisione delle condizioni di divorzio. Occorrono fatti nuovi e rilevanti

Famiglia – Filiazione – Separazione- Nuova domanda di assegno divorzile in sede di revisione delle condizioni di divorzio. Occorrono fatti nuovi e rilevanti

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

1. Con ricorso depositato in data 17 novembre 2023, (omissis) ha chiesto la modifica delle condizioni di divorzio del 2015, già modificate nel 2020, chiedendo l’assegno divorzile a carico dell’ex marito (omissis) un aumento del contributo mensile per il mantenimento della figlia (omissis) e la modifica della percentuale di ripartizione fra i genitori delle spese straordinarie nell’interesse di quest’ultima, con vittoria delle spese processuali.

Con comparsa di risposta, depositata tempestivamente il 22 dicembre 2023, si è costituito il convenuto che ha contestato in fatto ed in diritto le pretese avversarie e ha chiesto di dichiarare inammissibile la domanda di aumento dell’assegno in favore della figlia, per difetto di legittimazione attiva dell’ex moglie e comunque il rigetto delle domande di parte attrice con la revoca dell’assegno di mantenimento e, in subordine, la conferma dell’importo del contributo al mantenimento della figlia e della percentuale di ripartizione delle spese straordinarie, con vittoria delle spese processuali da distrarsi in favore del difensore.

La causa, istruita documentalmente e a mezzo di prove orali, è pervenuta all’udienza di rimessione in decisione del 19 febbraio 2025, nella quale le parti si sono riportate alle rispettive conclusioni: – parte attrice come da note di precisazione delle conclusioni depositate il 10 ottobre 2024, in cui ha concluso insistendo nelle conclusioni di cui al ricorso, con un ulteriore aumento (al 70%) della percentuale a carico dell’ex marito delle spese straordinarie sostenute in favore della figlia (omissis) percentuale già richiesta con la memoria ex art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c.; – parte convenuta come da note di precisazione delle conclusioni depositate in data 11 ottobre 2024, in cui ha concluso insistendo nelle conclusioni di cui alla comparsa di risposta.

Rimessa sul ruolo per procedere all’interrogatorio non formale delle parti, la causa è pervenuta all’udienza del 10 luglio 2025, nella quale è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti come da verbale che si ha qui per riportato. 2. Preliminarmente, osserva il Collegio che, a norma dell’art. 473-bis.29 c.p.c. (rubricato «modificabilità dei provvedimenti»), qualora sopravvengano giustificati motivi (analoga clausola generale era prevista dall’abrogato art. 9, comma 1, legge n. 898 del 1970), le parti possono chiedere, in ogni tempo e con le forme previste dalla sezione I del capo II del (omissis) c.p.c., la revisione dei provvedimenti a tutela dei figli minori (e dei figli maggiorenni economicamente non autosufficienti) e in materia di contributi economici che, quindi, sono rivedibili e divengono definitivi solo rebus sic stantibus (sul punto si veda già Cass. civ., n. 283/2020 espressa con riferimento all’art. 9, comma 1, legge n. 898 del 1970).

Ciò significa che la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio di divorzio è esclusa dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (che copre il dedotto ed il deducibile), pertanto, la valutazione del Tribunale, in sede di revisione delle condizioni di divorzio, è limitata ai soli fatti sopravvenuti rispetto al giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Analogo discorso vale rispetto alle ulteriori modifiche delle condizioni di divorzio poiché, anche in tal caso, la pronuncia è rivedibile e diviene definitiva solo rebus sic stantibus, stante la finalità tipica del giudizio di revisione che è proprio quella di incidere direttamente ed immediatamente sulle precedenti statuizioni inter partes di ordine economico e di determinarne la modifica, ove sussistano “giustificati motivi” sopravvenuti.

Nel caso in esame, pertanto, la valutazione del Tribunale è limitata ai soli fatti sopravvenuti rispetto al primo giudizio di revisione (definito nel 2020) e deve tenere conto di tutto quanto dedotto e deducibile sia in quello sia nel giudizio di divorzio. 3. Occorre premettere, in fatto, che le parti hanno contratto nozze il 15 aprile 1993.

Con decreto depositato il 3 giugno 2010, il Tribunale di Marsala ha omologato l’accordo di separazione personale che, fra l’altro, ha disposto: la separazione personale dei coniugi; l’affidamento esclusivo delle due figlie (omissis) e (omissis) (allora minori) alla madre, con collocamento prevalente presso la stessa nella casa familiare sita in (omissis), assegnata alla moglie; un diritto di visita del padre; un contributo mensile indiretto a carico del padre per il mantenimento delle figlie pari a euro 1.400 (euro 700 per ciascuna figlia) soggetto a rivalutazione e la ripartizione al 50% fra i genitori delle spese straordinarie sostenute in favore delle figlie.

Con sentenza di divorzio n. 776/2015, pubblicata il 14 ottobre 2015, in conformità del ricorso congiunto delle parti, il Tribunale di Marsala ha disposto: la cessazione degli effetti civili del matrimonio; l’affidamento esclusivo alla madre delle due figlie (omissis) ed (omissis) con diritto del padre di frequentazione delle figlie come in ricorso; la perdita del cognome del marito da parte della moglie che lo aveva aggiunto con il matrimonio; a carico del padre un contributo mensile indiretto per il mantenimento delle figlie pari a euro 1.500 (euro 750 per ciascuna figlia) soggetto a rivalutazione e la ripartizione al 50% fra i genitori delle spese straordinarie sostenute in favore delle figlie; l’assegnazione della casa familiare alla moglie.

Con decreto n. 546/2020, depositato il 16 luglio 2020, il Tribunale di Marsala ha revocato l’obbligo del padre di contribuire al mantenimento della figlia (omissis) stante l’intervenuta indipendenza economica della stessa, e ha confermato l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia (omissis) per l’importo di euro 770,94 (così rivalutato) oltre al 50% delle spese straordinarie nell’interesse della figlia.

Nel caso in esame, quindi, in sede di separazione (2010) le parti hanno rinunciato a qualsiasi tipo di mantenimento fra loro (cfr. punto 7 decreto omologa della separazione) e, in sede di divorzio (2015) e di prima revisione delle relative condizioni (2020), (omissis) non ha avanzato istanza di assegno divorzile, proposta per la prima volta con il ricorso introduttivo (novembre 2023) del presente procedimento.

Oltre ad un assegno divorzile di 500 euro mensili in proprio favore, la ricorrente ha chiesto un aumento di euro 500 del contributo indiretto a carico del convenuto per il mantenimento della figlia (omissis) ed un aumento dal 50% al 60% (con ricorso introduttivo) e poi al 70% (già con la memoria ex art. 473-bis.17, comma 1, c.p.c.) della percentuale a carico del convenuto delle spese straordinarie per la figlia. 4. Contrariamente a quanto sostenuto dal convenuto, la circostanza che, in sede di divorzio e di successiva revisione, l’odierna attrice abbia rinunciato all’assegno divorzile non esclude, in astratto, che detto diritto possa essere riconosciuto in presenza di circostanze sopravvenute capaci di mutare l’assetto in virtù del quale l’ex coniuge si era determinato alla rinuncia.

E, infatti, secondo l’orientamento della Corte di Cassazione (Cass. civ., n. 108/2014; Cass. civ., 25327/2017 e Cass. civ., n. 5055/2021) al quale questo Collegio intende dare continuità, l’assegno divorzile non richiesto in sede di divorzio può essere richiesto successivamente, con il procedimento ex art. 9 legge n. 898 del 1970. Qualora, come nella specie, venga delibato per la prima volta il diritto dell’ex coniuge alla spettanza dell’assegno divorzile, l’indagine dovrà essere orientata valutando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del suddetto assegno e facendo applicazione degli innovativi principi affermati dalla Cassazione (Cass. civ., sezioni unite, n. 18287/2018), pur con gli adattamenti che si rendono necessari in relazione ad alcune peculiarità tipiche del giudizio di revisione che, come precisato, è di per sé limitato a valutare la incidenza dei fatti nuovi sopravvenuti, e non ad accertare ex novo la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno divorzile (Cass. civ., n. 354/2023; Cass. civ., n. 1645/2023).

I medesimi principi trovano conferma nella riforma introdotta dal d.lgs. n. 149 del 2022, applicabile al presente procedimento ratione temporis, ove nel titolo dedicato al “procedimento in materia di persone, minorenni e famiglie”, tra le norme che disciplinano il giudizio di primo grado, vi è l’art. 473-bis.29 c.p.c., che prevede: «qualora sopravvengano giustificati motivi, le parti possono in ogni tempo chiedere, con le forme previste nella presente sezione la revisione dei provvedimenti a tutela dei minori e in materia di contributi economici».

Nella relazione illustrativa al citato decreto legislativo si dà atto dell’orientamento fino maturato nel tempo, nei termini di seguito evidenziati:

«La norma di cui all’articolo 473-bis.29 c.p.c. corrisponde a un principio generalmente riconosciuto nell’ordinamento (pur se sino a oggi, nella complessiva differenziazione dei riti, evidenziato soprattutto per i giudizi di separazione, divorzio, scioglimento delle unioni civili e i procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) per il quale i provvedimenti, anche definitivi, che dettano una regolamentazione giuridica al flusso di rapporti personali e patrimoniali intercorrenti tra le parti o tra le stesse e la prole (si pensi, tra i molti esempi, alle decisioni relative all’assegno di mantenimento o divorzile, a quelle relative all’assegnazione della casa familiare, alle modalità di affidamento dei figli minori e di mantenimento degli stessi e di quelli anche maggiorenni non economicamente indipendenti) vengono sempre emanati rebus sic stantibus …».

Una volta accertata, in fatto, la sopravvenienza di circostanze potenzialmente idonee, con riferimento alla fattispecie concreta, ad alterare l’assetto economico stabilito tra gli ex coniugi al momento della pronuncia sulle condizioni del divorzio, quale presupposto necessario per l’instaurazione del giudizio di revisione dell’assegno, il giudice deve, poi, procedere alla valutazione, in diritto, dei “giustificati motivi” che ne consentono la revisione sulla base del “diritto vivente”, tenendo conto della interpretazione giurisprudenziale delle norme applicabili corrente al momento della decisione ( civ., n. 1645/2023).

La revisione dell’assegno divorzile, dunque, richiede la presenza di “giustificati motivi”, ma, prima di tutto, impone la verifica di una sopravvenuta, effettiva e significativa modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi sulla base di una valutazione comparativa delle rispettive situazioni reddituali e patrimoniali. In presenza di sopravvenienze, dunque, è indispensabile accertare con rigore l’effettività dei mutamenti e verificare l’esistenza del nesso di causalità tra gli stessi e la nuova situazione economica instauratasi (Cass. civ. n. 354/2023). E infatti, «La sentenza di divorzio, in relazione alle statuizioni di carattere patrimoniale in essa contenute, passa in cosa giudicata “rebus sic stantibus”; tuttavia, la sopravvenienza di fatti nuovi, successivi alla sentenza di divorzio, non è di per sé idonea ad incidere direttamente ed immediatamente sulle statuizioni di ordine economico da essa recate e a determinarne automaticamente la modifica, essendo al contrario necessario che i “giustificati motivi” sopravvenuti siano esaminati, ai sensi dell’art. 9 della l. n. 898 del 1970, dal giudice di tale norma, e che questi, valutati detti fatti, rimodelli, in relazione alla nuova situazione, ricorrendone le condizioni di legge, le precedenti statuizioni» (Cass. civ., n. 4170/2024).

In ogni caso, in sede di giudizio divorzile, la sproporzione economica di non modesta entità si configura come prerequisito fattuale e non è più il fattore primario per l’attribuzione dell’assegno divorzile (cfr. Cass. civ., n. (omissis)/2019). La rilevanza dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente va accertata considerando che l’assegno è finalizzato a garantire un livello reddituale parametrato alle pregresse dinamiche familiari ed è perciò necessariamente collegato, secondo la composita declinazione delle sue tre componenti (assistenziale, perequativa e compensativa), alla pregressa storia coniugale e familiare, senza che sia consentito travalicare nell’indebita locupletazione ai danni dell’altro coniuge.

Tutto ciò premesso, tuttavia, l’accertamento del prerequisito fattuale nei termini precisati si configura con connotazioni peculiari nel giudizio di revisione, ove la disparità economica sia allegata quale fatto sopravvenuto, ossia non sussistente all’epoca dello scioglimento del vincolo matrimoniale. In tal caso, l’accertamento del nesso causale tra la sproporzione reddituale di non modesta entità e le dinamiche familiari di rilevanza presenta profili di particolare delicatezza.

Ancora più particolare risulta tale accertamento nel presente procedimento che è il secondo giudizio di revisione delle condizioni di divorzio fra le parti (dopo quello del 2020) e viene allegato un aumento ulteriore della sproporzione già esistente fra le parti nei precedenti giudizi.

Se tale è l’oggetto della delibazione rimessa al Tribunale, in sede di giudizio di revisione, ne consegue che lo scrutinio circa la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento dell’assegno e/o dei criteri per la sua determinazione, così come per la modifica delle altre previsioni di natura personale regolanti lo stato divorzile, deve intervenire solo dopo che sia stato accertato il sopraggiungere delle nuove circostanze.

Nel caso di specie, l’attrice ha adito il Tribunale per ottenere, per la prima volta, il riconoscimento di un assegno divorzile (di euro 500 mensili), introducendo il presente giudizio dopo circa otto anni dalla pronuncia della sentenza di divorzio e dopo circa tre anni dalla pronuncia di revisione delle relative condizioni.

A sostegno della propria richiesta, l’attrice ha prospettato un ulteriore miglioramento delle situazioni reddituale e patrimoniale dell’ex marito, a fronte di una sostanziale non variazione delle proprie. Dalle allegazioni dell’attrice, tale miglioramento sarebbe conseguenza dell’impegno profuso dall’ex marito nel lavoro a scapito delle esigenze familiari alla cui cura avrebbe provveduto lei stessa in via quasi esclusiva (rinunciando così anche a progressioni di lavoro), come si ricaverebbe tra l’altro dall’affidamento esclusivo delle figlie in sede di separazione e divorzio.

Orbene, in applicazione dei principi espressi dalla Cassazione, la domanda va rigettata poiché le allegazioni dell’attrice in ordine all’adempimento dei doveri familiari da parte dei coniugi non si riferiscono ad un fatto sopravvenuto alla pronuncia di revisione delle condizioni di divorzio e, a fronte di due ricorsi congiunti (in sede di separazione prima e di divorzio poi), e del successivo giudizio di modifica delle condizioni di divorzio, l’attrice non ha specificamente provato (stante il carattere generico delle sue richieste di prova) il nesso di causa fra le stesse e l’ulteriore miglioramento della situazione reddituale e patrimoniale dell’ex marito.

Va premesso che, nel caso in esame, non può essere riconosciuta la funzione assistenziale dell’assegno divorzile, considerato che l’attrice: a) è insegnante a tempo indeterminato con una retribuzione mensile di euro 1.870 circa; b) è titolare di due beni mobili registrati (due utilitarie) e di un bene immobile (quota del 50% della casa familiare nella quale abita), e di un “deposito amministrato” di titoli (con controvalore di euro 151.029,10 al 31 dicembre 2022), per cui non sussiste il prerequisito della inadeguatezza dei mezzi e della impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive.

Non può essere apprezzata neanche la componente compensativo-perequativa dell’assegno, essendo stata la sproporzione reddituale fra i coniugi rilevante già al momento del precedente giudizio di revisione delle condizioni di divorzio (definito nel 2020) e nel quale (omissis) risultava avere percepito un reddito lordo pari a euro 29.373 (cfr. 730/2021, redditi 2020), mentre (omissis) un reddito lordo di euro 130.639 nel 2020 (fatto allegato dall’attrice e non contestato dal convenuto).

Sulla base di quanto emerso dall’istruttoria, nell’anno 2023, l’attrice ha percepito un reddito lordo annuo di euro 31.256 (cfr. pag. 9/16, allegato 20_2 al ricorso) e il convenuto un reddito lordo annuo di euro 185.453 (cfr. pag. 17/19 nota (omissis) 2023 allegato alla nota depositata il 2 maggio 2024).

In conclusione, già all’epoca della prima revisione delle condizioni di divorzio, fra le parti vi era un notevole divario reddituale. Dagli atti risulta infatti che, a fronte di una sostanziale non variazione del reddito dell’attrice negli ultimi anni (fatto allegato dalla stessa e non specificamente contestato dal convenuto), il convenuto aveva percepito redditi molto elevati (euro 165.613 nel periodo di imposta 2015; euro 144.478 nel periodo di imposta 2016; euro 94.534 nel periodo di imposta 2017; euro 115.318 nel periodo di imposta 2018).

Ciononostante, l’attrice non ha avanzato prima del presente giudizio istanza di assegno e le sue allegazioni in ordine all’adempimento dei genitori dei doveri familiari, a prescindere dalla loro fondatezza o meno, sono riferite a comportamenti dell’ex coniuge risalenti anche al periodo matrimoniale, quindi, deducibili nei precedenti giudizi e pertanto coperti da giudicato nel senso sopra chiarito, con la conseguenza che la domanda di assegno divorzile va respinta. 5. Con riferimento al contributo per il mantenimento della figlia maggiorenne, (omissis) come accennato, l’attrice ha chiesto un aumento di euro 500 mensili del contributo e il convenuto ha richiesto, in via preliminare, dichiarare l’inammissibilità della domanda per difetto di legittimazione attiva dell’attrice; nel merito, in via riconvenzionale, ha chiesto la revoca (come si ricava dal tenore stesso del ricorso, ove si precisa che «si insta affinché il (omissis) voglia disporre la revoca del contributo al mantenimento della figlia maggiorenne per assenza delle condizioni di legge» cfr. pag. 10 del ricorso) e, in via subordinata, la conferma dell’importo.

Tanto premesso, va osservato che i genitori continuano ad essere chiamati ad adempiere l’obbligazione di mantenimento in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la capacità di lavoro professionale o casalingo di ciascuno anche a seguito del raggiungimento della maggiore età del figlio, e ciò fintantoché non si dia la prova che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica, ovvero sia stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o scelta (tra le altre, Cass. civ., n. 1830/2011). L’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni, secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 c.c., cessa a seguito del raggiungimento, da parte di questi ultimi, di una condizione di indipendenza economica (Cass. civ., n. 17738/2015).

La cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, da parte dell’avente diritto, dal momento del raggiungimento della maggiore età. (Cass. civ., n. 12952/2016. Conforme Cass. civ., n. 5088/2018; Cass. civ., n. 17183/2020 e Cass. civ., n. 27904/2021).

Segnatamente, è stato ritenuto che l’autosufficienza economica è raggiunta in presenza di un impiego lavorativo tale da garantire al figlio un reddito corrispondente alla sua professionalità ed una appropriata collocazione nel contesto economico sociale adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (Cass. civ., n. 1773/2012).

Da un lato, il raggiungimento della menzionata autosufficienza economica può essere escluso dalla breve durata del rapporto o dalla ridotta misura della retribuzione (Cass. civ., n. 40282/2021), dall’altro l’autosufficienza non deve necessariamente equivalere all’occupazione desiderata ( civ., n. 26875/2023) e prescinde dalle condizioni economiche del genitore obbligato e dal tenore di vita della famiglia prima della crisi coniugale.

Rimane inoltre fermo che, una volta raggiunta una adeguata capacità di sostentamento, l’obbligo si estingue definitivamente, residuando eventualmente solo il generico obbligo agli alimenti di cui agli artt. 433 e ss. c.c. (sul punto, Cass. civ., n. 26259/2005. Conforme Cass. civ., n. 6509/2017).

Quanto all’onere della prova, la più recente giurisprudenza di legittimità ha precisato che «In tema di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti, spetta a chi agisce in giudizio invocando la sussistenza del diritto o, all’opposto, il venir meno dei presupposti della sua persistenza, ovvero una estinzione o modificazione dei fatti costitutivi che avevano sorretto il suo riconoscimento, l’onere di allegare e di dimostrare le circostanze dedotte e, in ipotesi, contestate, anche attraverso presunzioni semplici» (Cass. civ., n. 12121/2025. Conforme Cass. civ., 26875/2023).

Venendo al caso in esame, emerge dalla documentazione in atti che (omissis) (nata il (omissis)) sia stata assunta con contratto a tempo indeterminato a partire da dicembre 2024 con una retribuzione netta mensile di circa euro 1.800/1.900. Tale fatto è stato confermato da entrambe le parti all’udienza del 10 luglio 2025 (cfr. verbale udienza di pari data).

Nessuna rilevanza può ascriversi al fatto che la stessa abbia percepito la relativa retribuzione nel successivo mese di febbraio 2025, né all’intenzione della figlia (omissis) (dichiarato dalla madre in sede formale) di transitare presso altra amministrazione pubblica per aver vinto un’altra selezione. Tale fatto è irrilevante, sulla base dei principi sopra esposti, trattandosi – a prescindere dal rilievo processuale della dichiarazione resa in sede formale da una parte e non provata – di un fatto futuro ed incerto che comunque non incide sulla raggiunta autosufficienza della figlia.

Il quadro esposto, secondo i richiamati principi giurisprudenziali, consente di ritenere cessato a carico di (omissis) l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia (omissis) la quale ha indubbiamente raggiunto l’indipendenza economica, svolgendo un’attività lavorativa a tempo indeterminato corrispondente alla professionalità acquisita e tale da garantirle la possibilità di provvedere completamente ed autonomamente alle spese necessarie per fare fronte alle proprie esigenze di vita.

Risulta pertanto assorbita ogni ulteriore considerazione in ordine alla legittimazione attiva della attrice a domandare la modifica del contributo per il mantenimento della figlia.

Nel caso in esame, quindi, avendo il convenuto provato la sopravvenuta indipendenza economica della figlia (art. 473-bis.29 c.p.c.), la sua domanda riconvenzionale può essere accolta e, pertanto, va revocato l’obbligo posto a carico del padre con la sentenza di divorzio (n. 776/2015 pubblicata il 14 ottobre 2015), confermato sul punto dal successivo decreto di modifica delle condizioni (n. 546/2020, depositato il 16 luglio 2020) di versare a (omissis) un contributo indiretto per il mantenimento della figlia e di corrispondere il 50% delle spese straordinarie sostenute in favore della stessa.

Considerato che la prova è emersa nel corso del giudizio, la revoca dell’obbligo decorre dalla data di pubblicazione della presente sentenza. 6. Le spese processuali seguono la soccombenza di parte attrice e vanno liquidate, come indicato in dispositivo, in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, come da ultimo modificato dal D.M. n. 147 del 2022.

In particolare, deve considerarsi – quanto alla determinazione del valore della controversia – che, ai sensi dell’art. 5, comma 1, D.M. citato, trattasi di un giudizio di cognizione davanti al Tribunale ordinario, valore indeterminabile, complessità bassa.

Tenuto conto dei parametri previsti dall’art. 4 D.M. citato – in particolare evidenziati le caratteristiche e la natura dell’attività prestata, il modesto numero delle questioni di fatto e di diritto trattate e la loro media difficoltà e complessità, il valore della causa, i risultati conseguiti (rigetto delle domande di parte attrice e accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto) – si ritiene congrua una liquidazione ai valori medi per tutte le fasi processuali (di studio, introduttiva, istruttoria e decisionale) effettivamente svolte (pari a euro 7.616), oltre una somma per rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% del compenso (art. 2, comma 2, D.M. citato), oltre oneri fiscali e previdenziali come per legge. (omissis) come sopra liquidato, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., deve essere distratto in favore del difensore di parte convenuta che si è dichiarato antistatario. 7. Infine, l’art. 52, comma 2, d.lgs. n. 196 del 2003, per motivi legittimi, da intendersi anche come motivi opportuni, fra i quali rientra la delicatezza della vicenda oggetto del presente giudizio, d’ufficio può essere disposto che sia apposta a cura della cancelleria, sull’originale della presente decisione, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi degli interessati.

Trib. Marsala, 16.07.2025, n. 406

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