1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per avere la Corte d’Appello motivato in maniera apparente circa le ragioni del rigetto del terzo motivo di appello con cui si chiedeva la revoca dell’affidamento super esclusivo. È prospettata anche la falsa ed errata applicazione di norme di diritto e giurisprudenziali, in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. nella parte in cui la menzionata Corte di merito ha ritenuto sussistere i requisiti per l’affidamento super esclusivo.
Con il secondo motivo di ricorso in Cassazione è dedotta la nullità della sentenza di secondo grado per violazione dell’art. 132, comma 2, nn. 4 e 5, c.p.c., in riferimento all’art 360, comma 1, n. 4, c.p.c. per assenza totale di motivazione in riferimento alla necessità di confermare l’affidamento super esclusivo e non altro regime di affidamento, anche solo esclusivo semplice, oltre alla violazione dell’art. 337 bis e ss. c.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.
Con il terzo motivo di ricorso per Cassazione si deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 5, c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c. per avere la Corte d’Appello di Torino motivato in maniera apparente ed insufficiente, incompleta e non condivisibile circa le ragioni del rigetto del secondo motivo di appello inerente la richiesta di aggiunta del cognome alla figlia. È dedotta anche la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e principi giurisprudenziali in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. rispetto al mancato accoglimento del motivo di appello inerente la richiesta di aggiunta del cognome del padre a quello della madre.
Con il quarto motivo di ricorso è dedotta l’errata e falsa applicazione di norme di diritto in particolare dell’art. 91 c.p.c., in riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3. c.p.c., nella parte in cui ha ritenuto il ricorrente soccombente in entrambi i gradi di giudizio, senza tenere conto dell’oppositività della Ve.Ra., che aveva obbligato il padre della minore a radicare una causa per poter riconoscere la figlia ed ottenere una regolamentazione dell’affidamento, mantenimento, collocamento, diritto di visita.
2. Il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, tenuto conto della stretta connessione esisteste, risultando entrambi infondati sia nella parte in cui è dedotto il vizio di motivazione della decisione sia nella parte in cui è prospettata la violazione e falsa applicazione di legge in relazione al capo della decisione che ha confermato l’affidamento super-esclusivo alla madre della minore.
2.1. Com’è noto, in virtù della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c. (introdotta dalla novella del 2012) non è più consentita l’impugnazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. “per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma soltanto “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la richiamata modifica normativa ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In particolare, la riformulazione appena richiamata deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 prel., come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è divenuta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 è scomparso il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della stessa, ossia il controllo riferito a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. ancora Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248 del 30/06/2020).
A tali principi si è uniformata negli anni successivi la giurisprudenza di legittimità, la quale ha più volte precisato che la violazione di legge, come sopra indicata, ove riconducibile alla violazione degli artt. 111 Cost. e 132, comma 2, n. 4, c.p.c., determina la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. (così Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass., Sez. L, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Questa Corte ha, in particolare, affermato che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 3819 del 14/02/2020).
Ricorre, dunque, il vizio in questione, quando la decisione, benché graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 6758 del 01/03/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13248 del 30/06/2020).
Tale evenienza si verifica non solo nel caso in cui la motivazione sia meramente assertiva, ma anche qualora sussista un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, perché non è comunque percepibile l’iter logico seguito per la formazione del convincimento e, di conseguenza, non è possibile effettuare alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 12096 del 17/05/2018; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 16611 del 25/06/2018).
Alle stesse conseguenze è assoggettata una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, poiché anche in questo caso non è possibile comprendere il ragionamento seguito dal giudice e, conseguentemente, effettuare un controllo sulla correttezza dello stesso (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022).
Ovviamente il controllo della motivazione del giudice di merito, nei limiti sopra indicati, non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto tale giudice ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che ciò si tradurrebbe, pur a fronte di un possibile diverso inquadramento degli elementi probatori valutati, in una nuova formulazione del giudizio di fatto (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 16526 del 05/08/2016).
2.2. Nel caso di specie, la Corte d’Appello, dopo aver richiamato le emergenze processuali rilevanti, ha motivato come segue il rigetto del motivo di gravame riguardante l’affidamento della bambina: “In tale quadro, valutata la solo recente instaurazione di una relazione fra padre e figlia, che necessita comunque ancora di essere sostenuta e monitorata nella sua evoluzione ed approfondimento; la ancora scarsa consapevolezza del padre circa le esigenze della minore e la necessità di rispettare i suoi tempi e le sue caratteristiche di personalità; l’atteggiamento più rivendicativo che responsabile del padre, che non ha negato di non versare con regolarità il contributo di mantenimento per la minore; l’assenza di dialogo fra le parti, da ricondursi – come sottolineato dai Servizi – anche alla circostanza che il padre non assumeva una posizione chiara nella relazione con la madre, continuando la relazione contestuale anche con la precedente compagna, generando così un sentimento di sfiducia nella sig.ra Ve.Ra., e poneva poi in essere, tramite i social, condotte pubbliche rivendicative e denigratorie verso la madre, non si ritengono sussistenti i presupposti per prevedere un regime di affidamento diverso da quello già disposto.”
La motivazione è, dunque, esistente e chiara nella parte in cui ha confermato l’affidamento super esclusivo della minore alla madre.
2.3. Come anticipato, il motivo di doglianza risulta infondato anche ove è censurata la statuizione sull’affidamento della minore per violazione e falsa applicazione di legge.
Questa Corte, con una pronuncia richiamata anche dal ricorrente, ha di recente precisato che la scelta dell’affidamento ad uno solo dei genitori deve essere compiuta in base all’esclusivo interesse morale e materiale della prole, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di provvedimenti contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, senza che occorra operare un bilanciamento fra questi ultimi e l’interesse superiore del minore (così Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4056 del 09/02/2023, ove è stata respinta l’impugnazione proposta contro una decisione di merito che aveva disposto l’affidamento c.d. “super” esclusivo della figlia alla madre, all’esito dell’accertamento dell’inidoneità genitoriale del padre, desunta anche dalla decisione di quest’ultimo di cambiare cognome, per ragioni legate alla sua riconoscibilità in ambito scientifico, senza alcuna preventiva comunicazione alla madre della minore, così determinando altresì il ritiro del passaporto di quest’ultima).
2.4. Tale valutazione risulta effettuata alla Corte d’Appello.
Ricostruiti i rapporti tra il padre e la bambina, nata nel 2015, la Corte d’Appello ha dato rilievo alle motivazioni che hanno spinto il ricorrente a rivendicare il suo ruolo con la bambina, che non vedeva dal 2019, evidenziando che vi era l’espresso desiderio di riunire tutti i suoi figli, compreso il figlio maschio nato dalla donna che allora era sua moglie solo qualche mese prima di Ve.Al., all’interno del nuovo nucleo familiare comprendente la sua nuova compagna e il figlio di quest’ultima.
La Corte d’Appello ha ritenuto che tale ambizione personale deve rispettare le esigenze della bambina e tenere conto delle attenzioni da porre in essere, anche in considerazione della personalità della minore. In tale ottica, la Corte ha evidenziato la distanza tra genitore e figlia e le inadeguatezze del padre, emerse nel primo incontro tra padre e figlia, espletato, dopo tanto tempo, in spazio neutro, alla presenza dei Servizi sociali, i quali hanno rappresentato graduali progressi nel tempo, concludendo nel senso che “Il percorso di avvicinamento iniziato da poco tempo necessita ancora di essere sostenuto, in quanto la relazione padre-figlia è ancora in gran parte da costruire e le capacità del signore appaiono al momento ancora carenti. Si ritiene necessario proseguire con gli interventi educativi e psicologici di supporto alla genitorialità del signor Ca.Al.”.
La Corte d’Appello, inoltre, ha stigmatizzato il comportamento “più rivendicativo che responsabile” del ricorrente, evidenziando che, per alcuni periodi, non ha provveduto a contribuire al mantenimento della bambina, cui era tenuto anche in assenza di un ordine del giudice, tenendo condotte, anche pubbliche, rivendicative e denigratorie nei confronti della madre, in relazione alle quali era stato denunciato, avendo lo stesso ricorrente dedotto, nel ricorso per cassazione, che da tali accuse (violenza privata) è stato assolto solo per tenuità del fatto.
In tale contesto risulta conforme a diritto, la decisione della Corte d’Appello di disporre, allo stato, un affidamento super esclusivo, in presenza di un processo di effettiva conoscenza appena avviato tra la figlia e il padre, che comunque è chiamato a comprendere che il proprio progetto personale di costituire una nuova famiglia con la nuova compagna e i figli di entrambi deve rispettare i tempi e le esigenze della minore, come pure a tenere conto del fatto che un affido diverso da quello in atto, anche se esclusivo, richiede una capacità di un rapporto costruttivo con l’altro genitore, per l’adozione delle scelte di maggiore importanza nell’interesse della figlia, nella specie tutto da costruire.
3. Il terzo motivo di ricorso risulta in parte infondato e in parte inammissibile.
3.1. Nella sentenza impugnata si legge, infatti, quanto segue: “Deve essere rigettata anche la domanda dell’appellante di aggiunta del cognome paterno a quello materno della minore. Il primo giudice ha argomentato la propria decisione alla luce della lunga assenza del padre dalla vita della figlia e per la rilevata mancata collaborazione con i Servizi incaricati. Si è sopra è riferito circa le persistenti carenze del sig. Ca.Al. e che il rapporto padre/figlia ha appena avuto inizio; la minore è sinora cresciuta senza la figura paterna, tale figura genitoriale non è ancora coinvolta nella vita della bimba minore e quest’ultima certo non ha avuto sinora modo di riconoscersi in tale ascendenza. A ciò si aggiunga che Ve.Al. ha oggi nove anni, ha iniziato da tempo la formazione scolastica in cui è riconosciuta ed identificata con il cognome materno. Il rilievo dell’appellante secondo il quale non è a lui ascrivibile tale condizione, creatasi con il decorso del tempo trascorso dall’introduzione della domanda paterna, non tiene conto da un lato della necessità di tutelare l’identità personale della minore già formatasi, dall’altro che la richiesta paterna di riconoscimento interveniva a ben quattro anni dalla nascita della minore e che il percorso giudiziale scontava l’iniziale errata indicazione del giudice competente e la richiesta paterna di svolgimento di CTU immunogenetica, nell’ambito di un’azione in cui la paternità non era mai stata contestata e era inizialmente data per pacifica.”
3.2. Per quanto riguarda il dedotto vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., tenuto conto dei criteri di valutazione sopra illustrati, risulta evidente che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, la motivazione della decisione appena riportata è esistente e chiara.
3.3. Nell’illustrazione del motivo di doglianza, il ricorrente ha fatto riferimento anche al disposto dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., rappresentando, quale vizio di motivazione, il fatto che la Corte d’Appello ha posto ragioni diverse da quelle considerate dal Tribunale a fondamento del diniego dell’aggiunta del cognome paterno, con conseguente mancata valutazione di altri fatti rilevanti emersi nel corso del procedimento, asseritamente in grado di dimostrare la fondatezza della richiesta di aggiunta del cognome paterno.
La censura si rivela inammissibile, non investendo l’esame di fatti specificamente determinati, da intendersi come fatti storici, di cui peraltro non è specificata la decisività, e cioè l’idoneità a determinare una diversa decisione, emergendo, anzi il contrario, tenuto conto che, come emerge dalla motivazione sopra riportata, la statuizione assunta si fonda su plurimi argomenti tra loro concorrenti.
3.4. Con riferimento alla prospettata violazione e falsa applicazione di legge, occorre tenere conto che, a seguito del riconoscimento della paternità, ai sensi dell’art. 262 c.c., è ammissibile l’attribuzione del cognome del genitore che ha proceduto per secondo al riconoscimento del figlio, in aggiunta a quello del genitore che ha per primo effettuato il riconoscimento, purché non arrechi pregiudizio al minore, in ragione della cattiva reputazione del genitore lo stesso, e purché non sia lesiva dell’identità personale del figlio, ove questa si sia già definitivamente consolidata, con l’uso del solo primo cognome, nella trama dei rapporti personali e sociali (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 8762 del 28/03/2023; Cass., Sez. 6- 1, Ordinanza n. 772 del 16/01/2020).
Quando il giudice è chiamato a valutare l’attribuzione del cognome al figlio naturale riconosciuto non contestualmente dai genitori, egli è investito ex art. 262, commi 2 e 3, c.c. del potere-dovere di decidere su ognuna delle possibilità previste dalla disposizione in parola avendo riguardo, quale criterio di riferimento, unicamente all’interesse del minore, da valutarsi in concreto e con esclusione di qualsiasi automaticità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 18161 del 05/07/2019; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 12640 del 18/06/2015; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 2644 del 03/02/2011).
3.4. Tale valutazione è stata effettuata dal giudice di merito, che ha considerato plurimi elementi in fatto, giungendo a ritenere, nel caso concreto, la sussistenza dell’interesse della minore a mantenere esclusivamente il cognome materno, sicché ogni diversa valutazione si sostanzia nella prospettazione di un diverso esito valutativo in fatto, inammissibile in sede di legittimità.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
4.1. La Corte d’Appello, in ordine alle spese di lite in primo e in secondo grado, ha statuito come segue: “Il Tribunale argomentava la compensazione al 50% delle spese di lite e l’imposizione della restante parte a carico dell’attore sul rilievo che questi fosse “prevalente soccombente”, in quanto era stata accolta la domanda relativa al riconoscimento della minore, ma rigettata l’istanza paterna di affidamento condiviso, ed era stato posto a suo carico un contributo di mantenimento. A tale argomentazione sulla prevalente soccombenza in capo all’appellante deve aggiungersi: che nel giudizio avanti al Tribunale di Ivrea la madre non aveva formulato alcuna opposizione al riconoscimento della paternità, sollevando perplessità soltanto su eventuali provvedimenti da adottare in conseguenza di tale attribuzione, tenuto conto che la minore da tempo non incontrava il padre; che tale domanda del sig. CA.AL. comportava la necessità di approfondimento dell’istruttoria in quanto era il padre, che aveva adito l’autorità giudiziaria, che sollevava dubbi sulla sua stessa paternità; che veniva altresì rigettata, allo stato, la richiesta della previsione di un regime di frequentazione padre/figlia, non sussistendone i presupposti, e la domanda di attribuzione del cognome paterno alla minore, con statuizione che non viene riformata in questo grado. La parziale, reciproca soccombenza che ha comportato una parziale compensazione risulta giustificata dalla necessità, per il padre, di instaurare l’azione costitutiva, dalla circostanza che era stata rigettata dal Tribunale la domanda materna di rimborso delle spese sino a quel momento anticipate per il mantenimento della minore, e che il contributo di mantenimento per la minore era determinato in somma inferiore a quella richiesta dalla madre. La decisione del Tribunale sulla regolamentazione delle spese di lite deve quindi essere sul punto confermata, con rigetto sia dell’appello principale che di quello incidentale. Deve invece essere accolto l’appello incidentale in merito alle spese di CTU immunogenetica, alla luce del principio di causalità, posto che il ricorrente, che aveva introdotto una azione senza porre in dubbio la sua paternità, quando già la causa era ritenuta matura per la decisione dal primo giudice sollevava dubbi sulla ascendenza della minore. Non è stato provato in causa dal sig. Ca.Al. che egli avesse manifestato tali dubbi alla sig.ra Ve.Ra. e che ella rifiutò di far eseguire un accertamento del DNA. Il costo di tale approfondimento istruttorio, che negava la fondatezza dei dubbi sollevati, deve – in riforma della sentenza appellata – essere integralmente posto a carico del sig. CA.AL., nella misura già liquidata in primo grado…. Le spese del presente procedimento devono essere poste a carico dell’appellante, essendo prevalente soccombente in merito alla richiesta di revoca dell’affidamento cd. rafforzato alla madre, di aggiunta del cognome paterno alla minore, di revoca della condanna alla rifusione del 50% delle spese di lite a favore della sig.ra Ve.Ra., e tenuto conto del parziale accoglimento dell’appello incidentale relativo alle spese di CTU.”
In sintesi, la decisione si fonda sulla ritenuta prevalente soccombenza del ricorrente, che, in primo grado, ha giustificato la condanna al pagamento del 50% delle spese di lite della controparte a carico del ricorrente, con compensazione del restante 50%, ad esclusione delle spese di CTU, addebitate integralmente al ricorrente, che nel ha determinato la necessità, e, in secondo grado, ha portato alla condanna del ricorrente al pagamento di tutte le spese di lite sostenute dalla controparte.
4.2. Come evidenziato da questa Corte, nel regolare le spese di lite in caso di reciproca soccombenza, il giudice di merito deve effettuare una valutazione discrezionale, non arbitraria ma fondata sul principio di causalità, che si specifica nell’imputare idealmente a ciascuna parte gli oneri processuali causati all’altra per aver resistito a pretese fondate, ovvero per aver avanzato pretese infondate, e nell’operare una ideale compensazione tra essi, sempre che non sussistano particolari motivi, da esplicitare in motivazione, per una integrale compensazione o comunque una modifica del carico delle spese in base alle circostanze di cui è possibile tenere conto ai sensi degli artt. 91 e 92 c.p.c., nel testo temporalmente vigente (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3438 del 22/02/2016).
La valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono, ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., rientrano, poi, nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimità, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalità fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 30592 del 20/12/2017; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 14459 del 26/05/2021).
4.3. Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha illustrato con chiarezza le ragioni che hanno portato alla statuizione sulle spese di entrambi i gradi di giudizio, valutando la parte ritenuta con prevalenza soccombente e considerando il principio di causalità.
A tali argomenti il ricorrente ha inammissibilmente contrapposto la propria valutazione fondata su argomenti di cui in questa sede è richiesto il riconoscimento di valore in base a una valutazione in fatto diversa da quella operata dal giudice di merito.
5. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
6. La statuizione sulle spese segue la soccombenza.
7. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella decisione, a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003.
8. Trattandosi procedimento esente nessuna statuizione deve essere adottata ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002.
Cass. civ., I, ord., 26.08.2025, n. 23905