Esami e concorsi – Bando comunale di assunzione di un dirigente e legittimità della previsione dei requisiti di partecipazione in via cumulativa e non alternativa

Esami e concorsi – Bando comunale di assunzione di un dirigente e legittimità della previsione dei requisiti di partecipazione in via cumulativa e non alternativa

4. Il ricorso introduttivo è infondato.

5. Il Collegio, per ragioni di priorità logica, ritiene di dover prendere le mosse dagli ultimi due motivi, in quanto recanti censure in punto di competenza.

5.1. Con il sesto motivo il ricorrente si duole dell’incompetenza della Conferenza dei sindaci a stabilire i requisiti di partecipazione al concorso.

La censura non è meritevole di positivo apprezzamento.

Nella riunione del 9 aprile 2024 la Conferenza ha espresso un indirizzo relativo alle preferibili caratteristiche del profilo dirigenziale, successivamente attuato nel decreto dirigenziale -OMISSIS- di indizione del concorso. Tale modulo è pienamente compatibile con quanto previsto dall’art. 4, co. 1 del T.U.P.I., che tra le funzioni degli organi politici annovera «la definizione di obiettivi, priorità, piani, programmi e direttive generali per l’azione amministrativa e per la gestione» e «la individuazione delle risorse umane, materiali ed economico-finanziarie da destinare alle diverse finalità e la loro ripartizione tra gli uffici di livello dirigenziale generale». A tale norma fa da pendant il disposto di cui all’art. 107 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (di seguito anche “T.U.E.L.”), che, nell’elencare «i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti di indirizzo» assegnati ai dirigenti, vi comprende la responsabilità delle procedure di concorso e l’eventuale presidenza delle commissioni, senza menzionare l’organizzazione degli uffici e le modalità di conferimento della titolarità degli stessi.

5.2. Il settimo motivo di ricorso è teso a censurare l’incompetenza del Segretario comunale ad adottare la determina di indizione del concorso.

Anche tale doglianza è infondata.

Il decreto dirigenziale n. 4739 del 2024 è chiaramente attribuibile al Dirigente del Settore Affari Generali, che coincide con il Segretario Comunale poiché, per quanto è dato apprendere dallo stesso ricorso (pagg. 27 e ss.), il relativo incarico è stato attribuito, a tempo determinato, con decreto del Sindaco -OMISSIS-.

Anzitutto, va osservato che, sebbene il ricorrente abbia formalmente impugnato l’atto da ultimo citato, non ha circostanziato elementi di fatto ostativi (es. relativi all’organico del Comune) alla nomina temporanea del Segretario comunale come dirigente del Settore. In ogni caso, il Collegio osserva che la possibilità che il segretario comunale assuma funzione dirigenziali trova un ancoraggio nell’art. 97, co. 4, lett. d) del T.U.E.L., il quale dispone che il segretario «esercita ogni altra funzione […] conferitagli dal sindaco». Tale previsione assume valenza generale e ciò si desume, oltre che dalla collocazione, in apertura del capo dedicato ai segretari, anche dalla circostanza che l’art. 109, co. 2, nell’enunciare la possibilità di attribuire funzioni dirigenziali ai responsabili degli uffici o dei servizi nei comuni privi di personale dirigenziale, fa salva l’applicazione dell’art. 97, co. 4 lett. d) (per concrete applicazioni si vedano tra le altre, T.A.R. Veneto, Sez. I, 21 marzo 2025, n. 389; T.A.R. Sardegna, Sez. I, 8 febbraio 2018, n. 95).

A tali previsioni si è conformato l’art. 15 del regolamento comunale sull’ordinamento degli uffici e dei servizi, che prevede espressamente la facoltà di incaricare ad interim il segretario di una posizione dirigenziale, oltre che nell’eventualità di assenza temporanea del titolare, citata dal ricorrente, anche laddove la posizione risulti scoperta o a fronte di un’assenza prolungata o di un impedimento del titolare (co. 8).

5.3. Il primo e il terzo motivo possono essere trattati congiuntamente stante l’omogeneità delle censure.

L’esclusione dalla procedura concorsuale risulta in primo luogo motivata con riferimento al licenziamento disciplinare del ricorrente, in conformità a quanto previsto dall’art. 2, co. 7 del D.P.R. n. 487 del 1994, a mente del quale «non possono essere assunti nelle pubbliche amministrazioni coloro che siano stati […] licenziati […] per motivi disciplinari».

Il regolamento del 1994 è richiamato anzitutto dall’art. 70, co. 13 del T.U.P.I. e si applica per le procedure di reclutamento «per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli articoli 35 e 36».

Tale richiamo consente di sottrarre il regolamento alle censure in punto di violazione della riserva di legge di cui all’art. 97 Cost., che tradizionalmente viene ritenuta come relativa e dunque compatibile con l’integrazione da parte di fonti secondarie. Peraltro, la disposizione regolamentare in commento trova una copertura ancor più risalente nell’art. 2 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, che, precludendo l’accesso agli impieghi per coloro che «siano stati destituiti o dispensati dall’impiego presso una pubblica amministrazione», «ricomprende ogni forma di cessazione unilaterale del rapporto di lavoro da parte datoriale, in primis dunque quella di natura disciplinare» (Cons. Stato, Sez. IV, 4 aprile 2022, n. 2448).

5.3.1. Quanto all’art. 35-ter del T.U.P.I., che enuncia il principio di massima partecipazione, invocato dal ricorrente, si tratta di una disposizione generale che in quanto tale non può comportare l’abrogazione delle previsioni speciali anteriori che prevedono specifiche ragioni ostative all’accesso all’impiego. Tale principio non può comunque spingersi fino al punto di svalutare quello di buon andamento, che i requisiti di partecipazione e le cause di esclusione sono volti ad assicurare, effettuando a monte una selezione dei candidati potenzialmente idonei all’impiego: del resto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il principio del favor partecipationis trova applicazione solo in presenza di clausole dubbie e non a fronte di una lex specialis chiara e univoca (Cons. Stato, Sez. V, 13 gennaio 2005, n. 82; più di recente, con specifico riferimento a un concorso, T.A.R. Lazio, Sez. II-quater, 11 marzo 2019, n. 3141).

5.3.2. La circostanza che il bando abbia sostanzialmente riprodotto una prescrizione di natura regolamentare che a sua volta trova fondamento in una disposizione di legge esclude in radice la possibilità che l’Amministrazione abbia posto in essere una ritorsione ai sensi del d.lgs. 10 marzo 2023, n. 24, emanato in attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali; ne discende che il ricorrente non può invocare il relativo comparto di tutele.

5.3.4. A questo punto, occorre brevemente soffermarsi sulla censura di illegittimità costituzionale dell’art. 2 del D.P.R. n. 3 del 1957, formulata dal ricorrente.

Il Collegio ritiene che la questione, nei termini prospettati, sia manifestamente infondata.

Occorre ricordare che il ricorrente è stato licenziato per motivi disciplinari. Senza entrare nel merito della vicenda, che non spetta questo Tribunale delibare, è qui solo il caso di rammentare che il licenziamento disciplinare, per costante orientamento giurisprudenziale, si sovrappone alle ipotesi di recesso del datore per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo (cfr. Cass. civ., Sez. lavoro, 13 maggio 2002, n. 6889). Ebbene, se si considera che tali figure abbracciano inadempimenti del lavoratore di entità tale da minare la possibilità di una prosecuzione del rapporto e legittimarne la rottura, è agevole rendersi conto che il licenziamento disciplinare è posto a tutela di esigenze datoriali che si manifestano, in maniera ancor più pressante, nel pubblico impiego, nell’ambito del quale la non corretta esecuzione della prestazione si riverbera direttamente sull’amministrazione dell’interesse pubblico. Pertanto, il Collegio ritiene che la norma in commento, della cui legittimità costituzionale il ricorrente dubita, assicuri un ragionevole contemperamento tra il diritto di accesso al pubblico impiego (art. 51 Cost.) e l’esigenza di garantire il buon andamento e l’imparzialità dell’organizzazione amministrativa (cfr. Corte Costituzionale, 27 luglio 2007, n. 329).

5.3.4.1. Del resto, se astrattamente potrebbe porsi un problema di proporzionalità e ragionevolezza della misura quanto alla durata della preclusione e alla sua estensione rispetto a una vasta e variegata gamma di posti messi a concorso dalle più disparate amministrazioni, nel caso di specie siffatti profili non vengono in rilievo: l’Amministrazione che ha indetto il concorso è la medesima che ha provveduto a licenziare il ricorrente pochi mesi prima; non si vede dunque come il decorso di un limitato lasso di tempo possa ripristinare un legame fiduciario reciso di recente.

Tanto considerato, il Collegio osserva che non sussistono neanche i presupposti per la sospensione del giudizio in ragione della pendenza del ricorso giurisdizionale, avente ad oggetto il licenziamento, dinanzi al Tribunale di Imperia, in ragione della portata assorbente della reiezione del secondo motivo di ricorso, che si passa ad esaminare.

5.4. Il ricorrente si duole della circostanza che il bando di concorso ha previsto dei requisiti di ammissione in maniera cumulativa anziché alternativa. In particolare, stando alla ricostruzione del ricorrente, la l.r. n. 12 del 2006 e il piano sociale integrato regionale prevedono per l’incarico di direttore sociale il possesso di una qualsiasi laurea del vecchio ordinamento o di una laurea magistrale o specialistica del nuovo e, in aggiunta, alternativamente, l’esperienza quinquennale nella direzione dei servizi sociali o l’iscrizione nell’albo degli assistenti sociali.

Va premesso che l’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità nell’individuazione dei requisiti di partecipazione e dei titoli valutabili nell’ambito di una procedura concorsuale, purché la scelta sia finalizzata alla migliore cura dell’interesse pubblico e non risulti palesemente arbitraria o illogica (Cons. Stato, Sez. V, 13 gennaio 2014, n. 75); conseguentemente, sono legittimi i requisiti coerenti con le professionalità che i vincitori della selezione saranno chiamati a esercitare (da ultimo T.A.R. Veneto, Sez. IV, 10 settembre 2024, n. 2133).

5.4.1. Muovendo da tali assunti, non si può ritenere che l’Amministrazione abbia travalicato i limiti della discrezionalità assegnatale nella configurazione del bando.

5.4.1.1. La classe di laurea richiesta (LM-87 Servizio sociale e politiche sociali) risulta aderente rispetto alle caratteristiche della posizione messa a concorso. A tal proposito, la scelta dell’Amministrazione non può essere certo invalidata dalla considerazione che la l. r. n. 12 del 2006 non specifichi la classe di laurea; infatti, la norma regionale prevede dei requisiti minimi e non può essere intesa nel senso di precludere all’ente locale la specificazione del titolo, purché ciò avvenga nei margini sopra descritti.

5.4.1.2. Quanto all’iscrizione all’albo, tale requisito è previsto dall’art. 3 della l. 23 marzo 1993, n. 84 ed è valevole anche per gli assistenti che operano in regime di lavoro subordinato (art. 2). Anche la richiesta di tale abilitazione, come requisito essenziale e non surrogabile, non risulta censurabile in considerazione delle specifiche mansioni attribuite alla figura del direttore sociale. Più nello specifico, l’art. 24 della l.r. n. 12 del 2006 prevede che al direttore sociale spettino «la direzione tecnica, il coordinamento, la programmazione e il management dei servizi sociali». Ebbene, l’art. 21 del D.P.R. 5 giugno 2021, n. 328 menziona le seguenti attività tra quelle tipicamente svolte da coloro che sono iscritti nella sezione A dell’albo degli assistenti: «a) elaborazione e direzione di programmi nel campo delle politiche e dei servizi sociali; b) pianificazione, organizzazione e gestione manageriale nel campo delle politiche e dei servizi sociali; c) direzione di servizi che gestiscono interventi complessi nel campo delle politiche e dei servizi sociali». Come è agevole notare, si tratta di mansioni sostanzialmente sovrapponibili; ne discende che a pieno titolo l’Amministrazione ha richiesto l’iscrizione all’albo come garanzia dell’acquisizione di specifiche competenze.

Per altro verso, tale scelta si giustifica anche perché «l’eventuale assunzione, da parte del Comune ed all’esito delle prove selettive, di un soggetto non iscritto al corrispondente albo, non autorizza certamente costui, né tanto meno l’ente datore di lavoro potrebbe arrogarsi questo diritto, ad esercitare la professione di Assistente Sociale senza la prescritta iscrizione all’Albo, a norma della legge n. 84 del 1993» (T.A.R. Campania-Napoli, Sez. V, 5 aprile 2011, n. 1919).

5.5. La reiezione dei motivi recanti censure di incompetenza e di quelli volti a contestare la fissazione di requisiti di partecipazione aventi carattere escludente consente di ritenere assorbite tutte le altre doglianze.

I motivi aggiunti devono essere dichiarati improcedibili, in quanto, non potendo il ricorrente partecipare alla procedura, nessuna utilità può ricavare dalla contestazione dello svolgimento e dei relativi esiti.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore dell’Amministrazione costituita.

TAR LIGURIA, I – sentenza 12.08.2025 n. 974 

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