Enti locali – Regolamento di polizia e sicurezza urbana e legittima disposizione sul divieto di incatenare biciclette a infrastrutture pubbliche

Enti locali – Regolamento di polizia e sicurezza urbana e legittima disposizione sul divieto di incatenare biciclette a infrastrutture pubbliche

5. L’appello non è fondato nel merito e deve essere respinto, ragione che esime il Collegio dall’esaminare l’eccezione preliminare di inammissibilità del ricorso di primo grado, riproposta, ai sensi dell’art. 101 c.p.a., dall’amministrazione comunale.

6. L’associazione appellante ha impugnato alcune specifiche disposizioni del Regolamento di polizia e sicurezza urbana del Comune di Cagliari, approvato con delibera n. 30 del 21 febbraio 2023, il cui oggetto è la disciplina dei comportamenti e delle attività “a diverso titolo suscettibili di incidere sulla vita della collettività nelle sue diverse espressioni” e le cui finalità sono la tutela della “convivenza civile, con particolare riguardo ai soggetti deboli, agli anziani e ai bambini”, della “sicurezza urbana”, della “pubblica incolumità”, del “decoro urbano” e della “migliore fruibilità degli spazi e dei beni di interesse artistico, storico, culturale e ambientale” (art. 1).

6.1. Oggetto di contestazione da parte dell’associazione appellante sono l’art. 19, incluso nel capo II dedicato al decorso, ai sensi del cui comma 1 lett. b) “Nei luoghi pubblici o aperti al pubblico, a salvaguardia della vivibilità e del decoro della città, è vietato: … b) incatenare biciclette, ciclomotori o motocicli a infrastrutture pubbliche non destinate allo scopo” e l’art. 27 che al comma 1 prevede per chi violi l’art. 19 l’assoggettamento ad una “sanzione amministrativa pecuniaria pari ad una somma da euro 75,00 ad euro 500,00” e al comma 3, in ipotesi di comportamento commesso “all’interno di una delle aree individuate, indicate e perimetrate negli allegati al presente Regolamento, costituendo impedimento alla fruizione delle stesse aree”, l’applicazione anche delle sanzioni e delle misure “di cui all’articolo 9 del Decreto Legge 20 febbraio 2017, n. 14 convertito con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017, n. 48 ovvero la sanzione amministrativa pecuniaria pari ad una somma da euro 100,00 ad euro 300,00”, nonché “l’ordine di allontanamento ai sensi dell’art.10 del Decreto Legge 20 febbraio 2017, n. 14 convertito con modificazioni dalla legge 18 aprile 2017, n. 48 e successive modificazioni”.

7. Con un unico motivo, declinato in relazione a ciascuna delle censure articolate in primo grado, l’associazione appellante deduce l’erroneità della sentenza impugnata perché il giudicante avrebbe perimetrato male il thema decidendum sottoposto al suo vaglio concentrandosi sugli spazi urbani in cui la sosta è vietata e non, invece, come prospettato da parte ricorrente, sulla legittimità del divieto d’incatenamento delle biciclette che si trovino in posizione di sosta regolare su spazi di sosta non regolamentata nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 157, commi 2, 3 e 4, del codice della strada. Di qui, ad avviso dell’appellante, il giudice di primo grado avrebbe omesso di pronunciarsi su tutti i motivi articolati sia con il ricorso principale che con i motivi aggiunti, mentre, in assenza di una specifica domanda di accertamento, avrebbe ritenuto che “le infrastrutture pubbliche alle quali fa riferimento il regolamento . . . insistono principalmente sui marciapiedi e sugli altri elementi di arredo urbano di piazze, parchi, scale . . . aree in cui è generalmente vietata la sosta dei veicoli”.

8. Le censure non sono fondate sia quanto alla dedotta omessa pronuncia sui vizi lamentati in relazione alle disposizioni del Regolamento contestate, sia in relazione alla lamentata ultrapetizione.

8.1. Dalla lettura della sentenza impugnata si evince che il giudice di primo grado ha dato atto che secondo la prospettazione dell’associazione ricorrente l’art. 19 “creerebbe una discriminazione tra i “cd utenti deboli”, ossia quelli che si spostano (o vorrebbero spostarsi) in bicicletta e i “cd utenti forti” che si spostano in auto o con altri veicoli a motore”, che “in città non sarebbero presenti sufficienti rastrelliere per le biciclette rispetto ai numerosi posteggi delimitati per le macchine e le moto e che, pertanto gli unici spazi per le bici sarebbero le aree di sosta non regolamentate” e che, pertanto, in tale contesto urbano “il divieto di incatenamento delle bici alle strutture esistenti penalizzerebbe gravemente l’utilizzo delle biciclette”.

8.2. Alla luce delle predette considerazioni il Collegio ritiene che, a differenza di quanto prospettato dall’appellante, il giudice di primo grado abbia correttamente inquadrato il thema decidendum non limitando la propria decisione ai soli spazi in cui la sosta è vietata, ma avendo riguardo all’intero territorio comunale, come si evince dalla considerazione sugli obiettivi di salvaguardia della vivibilità e del decoro della città che “resterebbero inevitabilmente pregiudicati da un disordinato e incontrollato accatastamento di biciclette ancorate a supporti pubblici destinate ad altre finalità anche negli ipotizzati casi di assenza di ragioni di intralcio alla circolazione”.

Come affermato dal giudice di primo grado, il Regolamento e, segnatamente, l’art. 19 non introduce nessuna nuova “ipotesi di divieto di sosta ma è intervenuto in relazione a beni giuridici estranei a quelli presi in considerazione dal codice della strada in tema di circolazione per impedire modalità di utilizzo improprie e lesive dei beni indicati”.

Tale conclusione trova ulteriore supporto anche nella collocazione dell’art. 19 all’interno del Regolamento nel capo II, intitolato “Il decoro”, che è espressamente definito all’art. 3 come “il rispetto della dignità dello spazio urbano, soprattutto nelle sue parti di uso collettivo”.

Ne discende, pertanto, che il divieto di incatenamento non mira a modificare le zone in cui è vietata la sosta delle biciclette con conseguente irrilevanza del richiamo degli artt. 157 e 158 del codice della strada, ma a tutelare nell’ottica del decoro urbano quelle “infrastrutture pubbliche che (…) insistono principalmente sui marciapiedi e sugli altri elementi di arredo urbano di piazze, parchi, scale, gallerie, portici, recinzioni di monumenti” e in relazione alle quali è già “generalmente vietata la sosta dei veicoli”.

Pertanto, la disposizione in questione non viola le norme del codice della strada perché, a differenza di quanto affermato da parte appellante, dal divieto di incatenamento non si può inferire il divieto di sosta delle biciclette sul presupposto della maggiore probabilità di subirne il furto.

8.3. Alla luce delle predette considerazioni sono, pertanto, infondate le censure relative ai primi tre motivi di ricorso in primo grado. Al riguardo merita anche di essere evidenziato che non sussiste neanche la lamentata disparità di trattamento tra gli “utenti deboli” che si spostano con la bicicletta e gli “utenti forti” che si spostano con l’auto o con altri veicoli a motore, disparità di trattamento che è configurabile solo a fronte di perfetta identità delle situazioni messe a confronto e che non ricorre nel caso di specie. Né, infine, la detta disparità, invocata in appello anche rispetto ai monopattini, appare in alcun modo dimostrata.

9. Sono infondate anche le censure con le quali l’appellante deduce l’erroneità della sentenza perché il giudice di primo grado non avrebbe rilevato la contraddittorietà delle disposizioni del Regolamento con gli obiettivi fissati dal PUMS di miglioramento dell’attrattività del trasporto ciclopedonale, della sicurezza per pedoni e ciclisti, della mobilità per le persone a basso reddito e di promozione dei mezzi a basso impatto inquinante, non ne avrebbe debitamente considerato l’impatto deflattivo sull’uso della bicicletta con conseguente peggioramento generalizzato legato alla qualità dell’aria, al rumore dell’ambiente cittadino, alla sicurezza degli utenti della strada, né l’irragionevolezza per l’assenza di modulazione e di misure di adattamento a ciascun specifico contesto cittadino, a differenza di quanto previsto da altri articoli in ordine allo scuotimento di panni (art. 23) e allo sciorinamento della biancheria (art. 24).

9.1. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nella valutazione discrezionale, ma può solo verificarne la manifesta irragionevolezza, la violazione di principi giuridici o la palese irrazionalità, nonché il vizio nella motivazione o la carenza di presupposti tecnici – scientifici.

Nel caso di specie non ricorre nessuna delle predette ipotesi perché non sussiste alcun contrasto con le prescrizioni del PUMS che “esprimono obiettivi di carattere generale”, quali quelli di miglioramento dell’attrattività del trasporto ciclopedonale, della sicurezza per pedoni e ciclisti, della mobilità per le persone a basso reddito e di promozione dei mezzi a basso impatto inquinante che non solo sono differenti da quelli perseguiti dalla disposizione in controversia, ma neanche confliggono con gli stessi, a meno di non voler elevare una situazione patologica, quale è il possibile furto della bicicletta, a situazione fisiologica tale da elidere anche qualsiasi bilanciamento con il decoro urbano e la tutela di elementi di arredo urbano di piazze, parchi, scale etc..

Peraltro, come affermato dal giudice di primo grado, il PUMS è espressione della “potestà programmatoria dell’ente”, il che vuole dire che gli obiettivi in esso prefissati “per tradursi in opzioni concrete devono essere contemperati con gli ulteriori interessi pubblici coinvolti quali quello alla rapidità, alla sicurezza e all’efficienza dei collegamenti viari”, oltre che con quelli del decoro urbano e con altri di volta in volta scelti dalla P.A. che non necessariamente debbono essere ritenuti recessivi rispetto “al contrapposto interesse agli spostamenti col mezzo della bicicletta”.

10. E’, infine, infondata anche l’ultima censura relativa all’erroneità della decisione sui motivi aggiunti per non avere utilizzato nel bilanciamento dei contrapposti interessi come parametri la vivibilità e il decoro e per avere operato al fine di giustificare il divieto e la legittimità sia della sanzione pecuniaria ulteriore che dell’ordine di allontanamento.

10.1. Il Collegio non può che richiamare le considerazioni esposte in relazione agli altri motivi per quanto attiene agli interessi considerati dall’amministrazione comunale in sede di bilanciamento.

10.2. Con riguardo, infine, alla ragionevolezza e alla proporzionalità delle sanzioni previste dall’art. 27 merita di essere evidenziato che la detta disposizione dispone l’aggravamento della sanzione soltanto per ipotesi particolari e ben delimitate, commesse “all’interno di una delle aree individuate, indicate e perimetrate negli allegati al presente Regolamento, costituendo impedimento alla fruizione delle stesse aree”. Ne discende, quindi, che non vi alcuna generalizzata equazione tra incatenamento e impedimento alla fruizione, essendo quest’ultima ipotesi prevista anzi come caso particolare di aggravamento della sanzione.

Con riguardo infine alla valutazione di proporzionalità della sanzione concretamente irrogata, intesa come “rapporto fra l’illecito commesso e l’adeguatezza\congruità di quest’ultima alla “forbice edittale” (e cioè in ordine al suo minimo e al suo massimo)”, come condivisibilmente osservato dal giudice di primo grado, la stessa non potrà che riguardare il provvedimento applicativo che nel caso di specie non è stato ancora adottato, né fatto oggetto di contestazione.

11. Per le esposte considerazioni l’appello deve essere respinto.

12. In considerazione della natura degli interessi sottesi alla controversia sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese di lite.

CONSIGLIO DI STATO, V – sentenza 17.09.2025 n. 7353

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