1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo.
1.1. Il primo motivo è inammissibile per genericità.
Il ricorrente ma non esprime alcuna critica nei confronti della sentenza di appello, limitandosi a prospettare l’assenza di colpa e di causalità, senza indicare in che modo o con che argomentazione il giudice del merito avrebbe dedotto automaticamente la responsabilità dalla posizione di amministratore dell’imputato, e dunque senza indicare le ragioni poste a fondamento della doglianza. D’altra parte, la posizione di garanzia dell’imputato risulta chiara, in forza del suo ruolo di legale rappresentante e il datore di lavoro, mentre – come si vedrà – gli elementi a discarico portati dalla difesa, relativi alla pretesa responsabilità di altri soggetti, risultano del tutto inconsistenti.
1.2. Il secondo motivo è ugualmente inammissibile per genericità.
Come emerge dalla motivazione della sentenza impugnata, il riferimento difensivo alla circostanza che l’imputato seguiva a distanza i lavori del cantiere attraverso “atti amministrativi” conferma il disinteresse dell’imputato stesso rispetto all’attività ivi svolta, risultando sostanzialmente confessoria della sua responsabilità colposa. Il richiamo alla prospettata delega delle funzioni, inoltre, non ne indica l’esatto oggetto, impedendo di determinare con esattezza di quali mansioni l’imputato si sarebbe effettivamente spogliato; esso risulta, comunque, in parte contraddetto dal fatto che questi si occupasse del cantiere, con i non meglio specificati “atti amministrativi”.
1.3. Il terzo motivo è, invece, fondato.
1.3.1. Merita rilevare che l’attuale formulazione dell’art. 131-bis, cod. pen., permette di tenere conto, ai fini dell’applicazione della disposizione, “anche della condotta susseguente al reato”. Tale aspetto è importante per tracciare il confine con l’oblazione speciale di cui all’art. 301 del d.lgs. n. 81, del 2008, secondo cui il reato si estingue con il pagamento della sanzione, successivo all’adozione delle misure di sicurezza. Con riguardo a quest’ultima disposizione deve osservarsi che l’effetto estintivo si verifica solo una volta verificatesi congiuntamente le due condizioni dell’adozione delle misure e del pagamento della sanzione, restando irrilevante la sola adozione delle misure dovute, senza il pagamento della sanzione, e viceversa. Invece, nel caso dell’art. 131-bis, l’adozione successiva delle misure inizialmente può essere considerata autonomamente quale indice dal quale dedurre la tenuità del fatto, in quanto qualificabile come “condotta susseguente al reato”. Ciò, comunque, non significa che l’adozione delle misure di sicurezza sia comunque sufficiente, dovendo il giudice del merito comunque valutare il valore dell’adempimento, e potendo essere apprezzati indici di segno negativo o cause ostative. Altrimenti, se si consentisse un’applicazione automatica della disposizione si finirebbe per abrogare, nella sostanza, il meccanismo estintivo previsto dalla legislazione speciale.
1.3.2. Deve perciò affermarsi il seguente principio: “in tema di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. il giudice del merito deve considerare la possibile rilevanza dell’adozione delle misure di sicurezza come comportamento successivo rilevante ai fini dell’applicazione della norma, senza che tale valutazione implichi automaticamente l’applicazione della causa di non punibilità, dovendo il giudice del merito effettuare una valutazione sull’episodio concreto, laddove altrimenti un improprio automatismo applicativo generebbe l’abrogazione tacita della causa di estinzione del reato di cui all’art. 301 d.lgs. n. 81, del 2008“.
1.3.3. Con riguardo al caso in esame, deve rilevarsi che il giudice del merito non ha fornito alcuna motivazione in ordine alla concreta valutazione dell’adozione delle misure di sicurezza da parte del ricorrente, limitandosi a stigmatizzare la pluralità delle violazioni delle misure riscontrate in sede di ispezione. La sentenza impugnata deve essere dunque annullato sul punto, con rinvio per nuovo giudizio; mentre il ricorso deve intendersi rigettata nel resto.
Cass. pen., III, ud. dep. 01.09.2025, n. 30030