Diritti fondamentali – Istanza di mutamento del cognome e diniego della P.A.

Diritti fondamentali – Istanza di mutamento del cognome e diniego della P.A.

1.1. -Alfa-, nato il -OMISSIS-, presentò il 9 ottobre 2023 alla Prefettura di -Beta- istanza per il cambiamento del proprio cognome in Gecko [sic], fornendo la seguente motivazione «sin dall’infanzia sono stato oggetto di scherno in quanto vengo chiamato con nomiglioli contenenti il mio cognome (del tipo “sbrusu”, “sdrusu”, “sbusurusu”, etc..) per poi passare all’età adulta in cui, una volta scoperte le prime tre lettere del mio codice fiscale (RSU), vengo deriso per l’acronimo a cui esse sono maggiormente legate (Rifiuti Solidi Urbani). Inoltre, il mio cognome è prettamente legato a due cose: mio padre e la Romania. Con il primo, non ho rapporti umani da tempo (ideologicamente non lo considero come tale). Per la Romania: capisco che generalmente, alla nascita, prendiamo il cognome del padre ma, in questo caso e agli occhi degli altri, ho ereditato una nazionalità che non sento mia. Sono nato e cresciuto qua, mi sento Italiano e purtroppo il mio cognome richiama subito la Romania. Per passare all’aspetto positivo, vorrei cambiare cognome in GECKO (derivante proprio dal rettile) in quanto è un animale che mi piace e che ho sempre ammirato».

1.2.1. Conclusa l’istruttoria, il Prefetto di -Beta- ha respinto l’istanza con il provvedimento 5 aprile 2024, qui impugnato, la cui motivazione procede dalle considerazioni generali per cui il diritto al nome «si annovera tra i diritti fondamentali della persona, la cui funzione è quella di radicare e collegare l’individuo con la propria comunità familiare di appartenenza». Tale diritto, tuttavia, deve «essere bilanciato con l’interesse pubblicistico alla stabilità degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale, da cui dipende la certezza degli atti e dei rapporti giuridici», per cui, «con specifico riguardo alla disciplina relativa alla modifica del cognome, il principio generale è quello della tendenziale non modificabilità del medesimo, superabile unicamente in presenza di situazioni ritenute meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento».

1.2.2. Lo stesso provvedimento, passando ad esaminare il caso di specie, ricorda che «con nota prot. n. -OMISSIS- del 22/11/2023, questa Prefettura ha comunicato all’interessato i motivi ostativi all’accoglimento della suddetta istanza, evidenziando l’assenza del carattere ridicolo del cognome, la mancanza della documentazione attestante l’asserito inesistente o, quantomeno, difficile rapporto con il padre, nonché l’impossibilità di scegliere il proprio cognome sulla base di una generica preferenza per una specie animale».

A tale preavviso il -Alfa- aveva replicato con la memoria del 16 gennaio 2024, in cui « viene reiterato quanto già espresso nell’istanza in ordine all’asserita rilevanza, per la propria identificazione, dell’assunzione del cognome “Gecko”, in ragione del difficile rapporto col padre e del disagio provato dal Sig. -Alfa- in relazione al cognome rivelante l’origine rumena» allegando un’approfondita relazione, sottoscritta dallo psicoterapeuta che aveva in cura lo stesso -Alfa- (in aggiunta a una prima relazione, assai laconica, già allegata all’istanza).

1.2.3. Peraltro, prosegue il provvedimento, «nemmeno le suddette osservazioni possono ritenersi meritevoli di accoglimento, in quanto, nella sostanza, reiterano quanto già asserito nell’istanza, senza prendere in considerazione i rilievi che questa Prefettura aveva mosso con la comunicazione ex art. 10 bis 1. n. 241/1990», poiché «né con l’istanza né con la successiva memoria ex art. 10 bis, il Sig. -Alfa- ha fornito la documentazione attestante il supposto inesistente o, quantomeno, difficile rapporto con il genitore né alcuna prova in ordine al disagio subito a causa del cognome asseritamente rivelatorio delle origini rumene».

In particolare, la relazione clinica «non può dirsi attestante i fatti affermati dal Sig. -Alfa- e addotti a supporto dell’istanza, i quali risultano tra loro contraddittori, posto che l’interessato afferma di aver subito atti di bullismo in Italia e di “essere nato e cresciuto in Italia”, mentre la relazione «richiama “esperienze di orfanotrofio” che il Sig. -Alfa- avrebbe subito in Romania e che, nell’ambito dell’odierno procedimento, non risulta provata nemmeno la permanenza in Romania».

1.2.4. In ogni caso, seguita l’atto impugnato, «dalla documentazione trasmessa a questa Prefettura non emerge alcun collegamento tra la scelta del cognome “Gecko”, che, secondo quanto affermato dall’istante, si riferisce alla generica preferenza per una specie animale, e la propria volontà di riscatto a seguito degli asseriti – e non documentati – atti di bullismo subiti»; ancora, «la scelta del cognome Gecko risulta contraddittoria con le esigenze esposte dal Sig. -Alfa-, concernenti il desiderio di una migliore integrazione in Italia».

Infatti, a parte che l’interessato è nato e cresciuto in Italia, «con la conseguenza che non dovrebbe porsi nessun problema di integrazione, il cognome prescelto, Gecko, contiene lettere e fonemi non appartenenti all’alfabeto italiano (la lettera “k” e la consecuzione delle due consonanti “ck”) e, inoltre, secondo il sito Forebears, tale cognome risulta essere poco diffuso a livello mondiale, riscontrandosi in Paesi quali Repubblica Ceca e Canada, ma non in Italia», mentre «non è dato comprendere come il cognome -Alfa- possa essere considerato fonte di disagio per l’odierno istante, atteso che, secondo quanto risulta dal sito Forebears, risulta essere diffuso in Italia, in particolar modo in Lombardia ed Emilia Romagna».

2.1. Alla reiezione dell’istanza è seguito il ricorso in esame, il cui unico articolato motivo di ricorso è rubricato nella violazione di legge in relazione agli artt. 89 e ss. del d.P.R. n. 396/2000, e 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nonché nell’eccesso di potere per difetto di istruttoria e carenza di motivazione.

2.2.1. L’art. 89 del d.P.R. 396/2000, per quanto d’interesse, stabilisce che chiunque voglia cambiare il proprio cognome “anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela l’origine naturale” deve farne domanda al prefetto territorialmente competente, esponendo “le ragioni a fondamento della richiesta”.

2.2.2. Ebbene, ad avviso del -Alfa-, dal tenore della disposizione, quale modificata con l’inserimento dell’avverbio “anche” mediante il d.P.R. 13 marzo 2012, n. 54, si desume che il cambio di cognome non ha più l’originario carattere eccezionale, e può essere richiesto per le ragioni più diverse, purché specificate nella relativa istanza. La valutazione prefettizia assumerebbe, pertanto, natura discrezionale, da esercitarsi mediante un bilanciamento tra l’interesse individuale e quello pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, tra cui appunto il cognome: in altre parole, nell’esaminare la relativa richiesta, l’amministrazione non può “interferire sulle scelte individuali del richiedente, ma deve limitarsi a valutare se il nuovo cognome, liberamente scelto, svolge una funzione di identificazione e riconoscibilità sociale equivalente a quella di qualsiasi altro cognome”.

2.2.3. La facoltà di cambiare cognome sarebbe dunque ormai pienamente riconosciuta, con l’avallo della giurisprudenza, e la discrezionalità riservata alla pubblica Amministrazione dovrebbe intendersi circoscritta all’individuazione di puntuali ragioni di pubblico interesse, le quali giustifichino il sacrificio dell’interesse privato a tale cambiamento.

Dal raffronto di tali opposti interessi, coordinati tra loro dal principio di proporzionalità, emergerebbero i limiti del potere dell’amministrazione nella valutazione delle richieste dei privati: la domanda di cambio del cognome potrebbe essere sostenuta “anche da intenti soggettivi ed atipici, purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale”.

2.3.1. Orbene, seguita il ricorso, trasfondendo le precedenti considerazioni nella fattispecie in esame, va rilevato che il richiedente, nella domanda e con la successiva documentazione “ha evidenziato la sofferenza e il disagio derivante dal suo cognome e perché le sue origini rumene sono state oggetto di dileggio da parte di conoscenti e perché riconducibile alla figura paterna con cui non ha più legami”, allegando le due citate relazioni, redatte dal suo psicoterapeuta, in cui si evidenzia “l’utilità del cambio di cognome all’interno del percorso terapeutico intrapreso” dal -Alfa-, che sarebbe affetto da “disturbo post traumatico complesso”, da imputarsi “ai maltrattamenti fisici e psicologici subiti dalla famiglia di origine e in particolar modo dal padre che ha assunto una condotta violenta e degradante nei confronti dal paziente”, e altresì “alle origini rumene dello stesso”.

2.3.2. Così, le circostanze dedotte dall’interessato sarebbero “indicative di una divergenza tra identità personale del richiedente ed il cognome attuale”, e il nuovo cognome sarebbe “perfettamente idoneo a svolgere la funzione di identificazione e riconoscibilità sociale”.

2.3.3. Comunque, il provvedimento prefettizio impugnato non sarebbe sorretto da una motivazione adeguata, che dia conto dei diversi valori in gioco nel caso concreto e dei criteri utilizzati per contemperarli adeguatamente.

Infatti, l’ Amministrazione nel provvedimento impugnato si sarebbe limitata a confutare le ragioni poste a fondamento della richiesta, senza soffermarsi sul rapporto tra la necessità manifestata dal ricorrente e l’interesse pubblico alla stabilità delle generalità dello stesso; non avrebbe invece evidenziato, come dovuto, le ragioni di pubblico interesse che giustificano la compromissione dell’interesse del privato, limitandosi “a svolgere delle considerazioni, basate su presupposti di fatto erronei o non esplicitati, circa l’infondatezza delle ragioni poste a sostegno dell’istanza”.

2.3.4. In ogni caso, in merito alle specifiche considerazioni espresse dall’Amministrazione resistente, osserva parte ricorrente che “il cognome scelto dal richiedente sebbene poco diffuso a livello mondiale, è perfettamente idoneo a svolgere la funzione di identificazione e riconoscibilità sociale”; quanto al cognome -Alfa-, “come riportato dal sito Forebears (fonte citata dalla P.A nell’impugnato provvedimento) è il cognome più diffuso in Romania e, pertanto, riconducibile alle origini rumene del richiedente”.

2.3.5. Invero, come già ricordato, le origini rumene sarebbero “fonte di sofferenza e disagio per il richiedente che nato e cresciuto in Italia, in passato è stato bullizzato ed escluso dai compagni di scuola”, oltre a esprimere il vincolo familiare con il padre che avrebbe posto in essere nei confronti del figlio maltrattamenti fisici e psicologici.

2.3.6. Il richiedente avrebbe avuto “un’infanzia alquanto difficile e, pur essendo nato in Italia, ha trascorso, come si evince dal certificato storico di residenza che si allega (doc.8), i primi anni della sua infanzia in Romania”: abbandonato dalla madre, sarebbe stato portato dal padre, che non era in grado di accudirlo, in Romania ove ha trascorso alcuni anni in orfanatrofio”, e anche tale esperienza avrebbe “segnato profondamente il ricorrente e deve ritenersi legittimo il desiderio dello stesso di voler prendere le distanze dalle origini rumene”, anche con il cambio di cognome, che avrebbe una particolare utilità “all’interno del percorso psicoterapeutico intrapreso”.

3.1.1. Orbene, il ricorso è infondato.

Il Collegio, per giustificare tale conclusione, ritiene di muovere dalla ricostruzione fattuale proposta in ricorso, che appare in parte errata, e comunque priva di adeguati principi di prova.

3.1.2. Anzitutto, va evidenziato che -Alfa- è cittadino italiano, come si desume dal documento d’identità prodotto in atti (allegato 4 al ricorso). Non è stato chiarito dalle parti se egli abbia conseguito tale cittadinanza dalla nascita, o gli sia stata attribuita successivamente: tuttavia, il solo fatto che ne sia in possesso rende anzitutto scarsamente comprensibili alcuni passaggi della relazione clinica – che è, in fondo, il principale tangibile fondamento dell’istanza – come quello in cui si afferma che l’identità “più sana” del -Alfa- “è legata alla vita in Italia dove sta portando avanti con grande impegno un’esistenza fatta di lavoro e rispetto delle regole e leggi del nostro paese”, come se egli non ne facesse parte dalla nascita fino ad oggi, tranne un trascurabile intervallo, come si dirà.

3.1.3 Analogamente, il Collegio condivide le perplessità dell’Amministrazione circa la reiterata affermazione del -Alfa- di volersi sentire maggiormente italiano attraverso la sostituzione del suo cognome attuale, comunque di pretta matrice neolatina (e ormai alquanto diffuso in Italia e certo a pochi noto come di origine rumena), con altro – Gecko – che indica un particolare ordine di lucertole nella sua forma anglosassone, e che dunque lo farebbe spiccare come alieno nel nostro Paese, se addirittura non suonerebbe “ridicolo”: e questo Giudice non può dunque, sul punto, che condividere le considerazioni esposte nella parte conclusiva del provvedimento impugnato (§ 1.2.4.).

3.1.4. Quanto poi al padre, di cui soltanto si dichiara la cittadinanza rumena, e al quale si imputa nel tempo un comportamento irritrattabilmente negativo, cagione delle dichiarate fragilità del ricorrente, come osserva la Prefettura manca qualsiasi elemento che confermi in qualche modo tali asserzioni, comprese le generalità del genitore. Lo stesso vale per l’anonima figura materna, menzionata unicamente in riferimento a un presunto abbandono.

3.2.1. Quanto poi all’affermazione per cui il -Alfa- avrebbe trascorso alcuni anni in un orfanotrofio rumeno, ciò è assolutamente inconciliabile con il certificato di residenza storico rilasciato dal comune bresciano di -Gamma-.

3.2.2. Da tale documento, risulta che egli fu iscritto per nascita nell’anagrafe della popolazione residente di -Gamma-, in una determinata dimora. Ne fu cancellato il 28 luglio 1998 per emigrazione in Romania, da cui però riemigrò a -Gamma-, nella precedente residenza, meno di sei mesi dopo, per cui in Romania si trattenne solo per pochi mesi, e tra i 4 e i 5 anni d’età, e non vi è alcuna prova del ricovero in orfanotrofio, circostanza che, peraltro, risulta marginale alla luce della sua brevità e dell’età del ricorrente.

3.2.3. Non risultano trasferimenti di sorta per i successivi dieci anni, fino al cambio di residenza, sempre a -Gamma-, presumibilmente con un genitore o figura equivalente, essendo il ricorrente ancora minorenne: nella nuova abitazione il -Alfa- ha continuato a risiedere fino al 24 novembre 2020, quando, a ventisei anni, si è trasferito a -Beta-.

3.3.1. I precedenti rilievi sono sufficienti a evidenziare un notevole margine d’approssimazione nell’esposizione di parte ricorrente, talvolta di dubbia attendibilità: tanto basta comunque a giustificare il contenuto del provvedimento negativo impugnato, nella parte in cui rileva che le vicende, quali esposte tanto nell’istanza quanto nelle memorie – e si deve aggiungere, nel ricorso – e su cui la richiesta di mutare cognome si fonda, sono pressoché prive di prova e anzi contrastate dai pochi elementi conosciuti (cfr. sopra § 1.2.3.).

3.3.2. Né a conclusioni opposte si può pervenire attraverso i referti dello psicoterapeuta: ciò che egli vi espone è di aver riscontrato una sintomatologia ascrivibile ad un disturbo post traumatico complesso, che ha imputato tanto “ai maltrattamenti fisici e psicologici molto pesanti subiti dalla famiglia di origine in particolar modo dal padre, che ha tenuto una condotta violenta e degradante”, quanto a un ambiente “non acculturato e intriso di tradizioni e superstizioni appartenenti ad una cultura rurale rumena”; e, ancora al fatto che “durante il percorso scolastico è stato bullizzato ed escluso, additato come possibile ladro e disonesto in quanto rumeno”.

3.3.3. Ebbene, è per il Collegio evidente che, diagnosi a parte, le affermazioni del terapeuta, presumibilmente desunte dalle dichiarazioni del -Alfa-, mancano di riferimenti temporali e fattuali sufficientemente precisi e dettagliati. Esse non vanno perciò oltre la generica espressione di opinabili valutazioni soggettive, ovvero di testimonianze de relato, e sono dunque prive di reale valore probatorio.

È dunque giustificato che dapprima l’Amministrazione e ora il Collegio non si siano sentiti vincolati da tali relazioni, le quali non aggiungono infine nulla di significativo alle ragioni esposte direttamente dal -Alfa- a fondamento della sua richiesta, che l’Amministrazione ha ritenuto indimostrate, e con piena ragione, per quanto si è esposto.

3.4.1. Insomma, se è vero che attualmente la legge non prevede più che il cambiamento di cognome sia consentito solo in ipotesi tassative, ciò non significa che, a fondamento della richiesta, sia sufficiente invocare un generico impulso emotivo (il quale potrebbe reiterarsi, mutato, in un tempo successivo).

La normativa continua invece a richiedere che la richiesta abbia un ragionevole fondamento, e questo deve di certo essere adeguatamente dimostrato: ciò che, invece, il -Alfa- non è stato in grado di fare, nemmeno nel presente giudizio.

3.4.2. Non pare invero al Collegio che la decisione reiettiva si ponga in contrasto con il condivisibile principio per cui “la valutazione del prefetto circa l’istanza di cambio del cognome si configura come un potere di natura discrezionale, che si esercita bilanciando l’interesse dell’istante con l’interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, collegato ai profili pubblicistici del cognome stesso come mezzo di identificazione dell’individuo nella comunità sociale” (così da ultimo , C.d.S., III, 27 maggio 2025, n. 4578): regola che si accorda con quanto affermato nel preambolo del provvedimento impugnato (cfr. sopra sub § 1.2.1.).

3.4.3. In effetti, la determinazione impugnata non esclude in assoluto che al -Alfa- possa essere consentito in futuro di cambiare il proprio cognome, ma rileva che gli argomenti sinora forniti a fondare tale richiesta – “terapeutica” si vorrebbe dire – si presentano volta a volta insufficienti, incongrui, indimostrati ovvero non credibili, e le motivazioni, su cui tali rilievi si fondano, sembrano al Collegio coerenti e adeguate.

3.4.4. D’altronde – e questa è una considerazione di questo Giudice –qui non viene in questione la posizione di chi rivendica la tutela della propria identità personale, mediante l’attribuzione di un nome che già lo contraddistingue e lo identifica nella comunità, fondandosi tra l’altro sull’art. 8 CEDU (vedi amplius in motivazione la sentenza C.d.S. 4578/2025 cit.).

L’interessato vuole invece sostituire un cognome portato per circa trent’anni, e sempre in Italia, per cui ben solide e certe devono essere le giustificazioni per conseguire un tale obiettivo prevalendo sull’interesse pubblico alla stabilità degli elementi identificativi della persona, tra cui il cognome: e come già la Prefettura di -Beta-, anche questo Collegio allo stato non ravvisa presenti simili giustificazioni, anche senza considerare i profili eccentrici della domanda.

4.1. In conclusione, la decisione assunta dalla Prefettura si fonda su di un’adeguata istruttoria, è sufficientemente motivata e non confligge né con le norme né con la giurisprudenza formatasi in subiecta materia: sicché il ricorso va respinto; naturalmente, il -Alfa- potrà in futuro ripresentare una richiesta per il cambio del proprio cognome, ma, si auspica, diversamente motivata e comprovata.

4.2. Le spese compensate per un terzo, seguono per il reso la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

TAR LOMBARDIA – BRESCIA, I – sentenza 28.07.2025 n. 721 

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