Commerciale – Società – Azione individuale di responsabilità dell’amministratore di società, disciplina e presupposti

Commerciale – Società – Azione individuale di responsabilità dell’amministratore di società, disciplina e presupposti

1. Con atto di citazione notificato in data 19.7.2021 P.C. ha convenuto in giudizio innanzi alla Sezione Specializzata in Materia di Impresa del Tribunale di Roma M.L.B., chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “1. in via principale: accertare e dichiarare la responsabilità della signora B.M.L. ai sensi e per gli effetti dell’art. 2467 co. 6 e 7 c.c. per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, oltre che per aver intenzionalmente deciso e/o autorizzato il compimento di atti dannosi nei confronti del creditore, P.C.;

2. sempre in via principale: condannare la dott.ssa B.M.L. al risarcimento, in favore dell’odierno attore, dell’importo di Euro 55.160,74 oltre accessori di legge, in ragione degli atti dannosi commessi dalla stessa nell’esercizio della carica di amministratore della D. srl, oltre che dei danni tutti patrimoniali e non, subiti dal Sig. C.P. a causa della condotta di mala gestio realizzata dalla B., nella qualità dei amministratore della D. srl, ovvero nelle somme diverse minori o maggiori ritenute di giustizia, oltre rivalutazione monetaria ed interessi nella misura di Legge sulla somma rivalutata”.

A sostegno delle domande proposte, P.C. ha allegato di essere creditore della D. S.r.l., di cui la convenuta è stata amministratore unico, in ragione di quanto statuito dal Tribunale di Roma, in composizione monocratica, con la sentenza n. 2202/2017 del 6.2.2017, con la quale è stata liquidata in suo favore la somma di Euro 50.000,00 a titolo di risarcimento danni e la somma di Euro 5.160,74 quali spese di quel giudizio. E ha dedotto che M.L.B., quale amministratrice unica della società debitrice: i) ha depositato tardivamente il bilancio d’esercizio relativo all’anno 2013, peraltro senza che lo stesso fosse stato approvato dall’assemblea dei soci; ii) ha presentato i bilanci di esercizio per gli anni dal 2014 al 2017 oltre i termini di legge e di statuto; iii) non ha posto in liquidazione la società già a fare data dal 2014; iv) ha alienato l’immobile oggetto del contratto preliminare tra la D. S.r.l. e P.C.; e come tutte le condotte descritte abbiano comportato i pregiudizi oggetto della domanda giudiziale proposta dallo stesso nei confronti della convenuta.

Si è costituita nel giudizio di primo grado M.L.B., chiedendo l’accoglimento delle seguenti conclusioni: “Voglia l’ill.mo Tribunale adito, rigettare ogni avversaria domanda poiché infondata in fatto e in diritto.

Il tutto con vittoria di spese di lite da distrarsi in favore del (…) procuratore che si è dichiarato antistatario”.

Con sentenza n. 2601/2024 pubblicata il 12.2.2024 il Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di Impresa ha “condannato B.L., al pagamento, in favore di C.P. della somma di Euro 55.160,74, oltre rivalutazione monetaria in base agli indici Istat con decorrenza dall’aprile 2020 e fino al passaggio in giudicato della presente sentenza, ed oltre, ancora, gli interessi legali sul totale delle somme sopra liquidate, con decorrenza dal passaggio in giudicato della presente sentenza e fino all’integrale soddisfo.

Condannato B.M.L. alla rifusione, in favore di C.P., delle spese del presente giudizio, che ha liquidato in complessivi Euro 7.567,00 per compensi professionali – oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, da distrarsi in favore del procuratore costituito dichiaratori antistatario”.

Avverso la suddetta decisione ha proposto tempestivamente appello M.L.B., che ha dedotto l’insussistenza dei presupposti dell’azione individuale di responsabilità spettante al terzo, ai sensi dell’art. 2476, co. 7, c.c., non sussistendo condotte imputabili direttamente all’ex amministratrice convenuta (e odierna appellante); e, in ogni caso, la mancanza di un nesso causale tra le condotte illecite che avrebbe posto in essere la stessa quale ex amministratrice e il danno lamentato dall’attore, nonché il difetto di prova in ordine al danno come ritenuto sussistente e quantificato dal giudice di prime cure.

Si è costituito nel presente grado di giudizio P.C., che ha contestato la fondatezza delle censure svolte dall’appellante e ha concluso per il rigetto dell’impugnazione.

2. Come emerge dalle conclusioni rassegnate, ma invero anche da quanto allegato nell’introdurre il giudizio di primo grado, quella proposta da P.C. è non solo dichiaratamente, ma anche – e, forse, principalmente – l’azione di responsabilità proposta dal creditore sociale ai sensi dell’attuale co. 6 dell’art. 2476 c.c., disposizione introdotta dall’art. 378, co. 1, del D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 e applicabile al presente giudizio instaurato successivamente all’entrata in vigore di tale disposizione (il 16.3.2019).

Infatti, l’originario attore ha allegato soprattutto condotte dell’amministratore dannose non avuto riguardo esclusivamente allo stesso, titolare di una ragione di credito nei confronti della D. s.r.l., ma invero all’intero ceto creditorio: infatti, tali sono quelle di cui ai primi tre numeri sopra elencati.

Esclusivamente l’ultima condotta allegata riguarda un danno che sarebbe stato prodotto direttamente nella sfera giuridica del creditore attore, vale a dire l’alienazione di un immobile oggetto di un contratto preliminare tra la società e l’attore, e quindi afferisce alla domanda ai sensi del co. 7 dell’art. 2476 c.c. pure proposta da P.C. con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado unitamente a quella di cui al co. 6 della stessa disposizione.

3. Con riguardo all’azione di responsabilità spettante alla società ed esercitata dal singolo socio, ai sensi del co. 3 dell’art. 2476 c.c., quindi come sostituto processuale della titolare di tale azione, la Suprema Corte ha avuto modo di affermare che la società è litisconsorte necessario, e quindi, qualora non evocata in giudizio dall’attore, nei suoi confronti deve essere integrato il contraddittorio (cfr. Cass. civ., Sez. I, 26.5.2016, n. 10936Cass. civ., Sez. I, 4.7.2018, n. 17493 e Cass. civ., Sez. VI- 1, ord. 20.9.2021, n. 25317, la quale osserva come l’amministratore, in quanto munito di poteri di rappresentanza dell’ente, versa in una situazione di conflitto di interessi, che richiede la nomina di un curatore speciale).

Parimenti, anche nel caso di azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore (o dell’ex amministratore) proposta dal creditore sociale ai sensi del co. 6 dell’art. 2476 c.c. si deve affermare che la società sia litisconsorte necessario. Anche in questo caso, infatti, il creditore agisce quale sostituto processuale ai sensi dell’art. 81 c.p.c. della titolare dell’azione promossa.

Del resto, la Suprema Corte laddove, nell’affermare il litisconsorzio necessario della società nel caso di azione sociale proposta dal socio, ha ritenuto – avuto riguardo al testo all’epoca in vigore dell’art. 2476 c.c. – che “E’ vero che la norma in esame ha un indubbio contenuto ellittico, non contemplando espressamente l’azione sociale, né tanto meno il relativo procedimento autorizzativo: ma tale omissione (che, del resto, fa il paio con quella dell’azione dei creditori, parimenti omessa testualmente) non può considerarsi significativa di un’ontologica diversità di strutture delle due azioni parallele, a pena di un vulnus alla coerenza sistematica” (così Cass. civ., Sez. I, 26.5.2016, n. 10936).

4. Il co. 6 dell’art. 2476 c.c., nel testo applicabile al presente giudizio ratione temporis, dispone: “Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale”. L’ambito di legittimazione dei creditori è, dunque, diverso e più limitato rispetto a quello previsto dal co. 3 della stessa disposizione per il socio, che non è limitato alla sola integrità del patrimonio sociale, ma riguarda tutte le ipotesi di mala gestio suscettibili di provocare un danno alla società.

Il co. 6 dell’art. 2476 c.c. continua, nel secondo periodo, prevedendo che “L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti”. Non è però possibile trarre da tale previsione la conclusione per cui il creditore faccia valere, agendo ai sensi di tale disposizione, la propria ragione di credito, che peraltro è e resta nei confronti della società. Di contro, il periodo sopra riportato evidenzia come l’azione di responsabilità promossa dal creditore sociale ai sensi di tale comma, a differenza di quella ai sensi del comma successivo, sia volta a reintegrare il patrimonio sociale, al fine di consentire il pagamento dei creditori sociali, e non direttamente a conseguire l’adempimento o il risarcimento per l’inadempimento all’obbligazione vantata nei confronti della società.

Così ricostruita l’azione di responsabilità proposta dal creditore sociale nei confronti dell’amministratore ai sensi del co. 6 dell’art. 2476 c.c., si deve affermare che è necessaria la partecipazione a tale giudizio anche della società, titolare del credito risarcitorio. Ciò è desumibile – al pari di quanto ritenuto dal Supremo Collegio in relazione all’azione sociale di responsabilità esercitata dal socio – anche da alcuni dati testuali dello stesso art. 2476, co. 6, c.c., secondo cui “La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali”; e la “La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi”, i quali non pongono dubbi sul parallelismo tra l’azione sociale di responsabilità prevista dal co. 6, a promuovere la quale è legittimato il creditore sociale, e quella di cui al co. 3, a cui è legittimato il socio.

5. Venendo al caso in esame, la motivazione della sentenza appellata denuncia come il giudice di primo grado, pur richiamando giurisprudenza afferente esclusivamente alla diversa fattispecie attualmente prevista dal co. 7 dell’art. 2476 c.c. (peraltro, facendo riferimento al co. 6, vale a dire al testo dell’art. 2476 c.c. anteriore alla modifica disposta dall’art. dall’art. 378, co. 1, del D.Lgs. n. 14 del 2019), ha tuttavia ritenuto sussistenti i presupposti dell’azione sociale di responsabilità esercitata da P.C. quale sostituto processuale della D. S.r.l.

In particolare, nella sentenza appellata si afferma, preliminarmente e in diritto, che “l’utile accesso all’azione di cui all’art. 2476, VI co. oggi co. 7, c.c. presuppone che i danni subiti dal socio o dal terzo non siano solo il riflesso di quelli arrecati eventualmente al patrimonio sociale, ma siano stati direttamente cagionati ai soci o terzi, come conseguenza immediata del comportamento degli amministratori medesimi; tale azione individuale, pertanto, è rimedio utilmente esperibile solo quando la violazione del diritto individuale del socio o del terzo sia in rapporto causale diretto con l’azione degli amministratori”; e che “con riferimento all’azione individuale promossa dal terzo che abbia concluso con la società un contratto rimasto inadempiuto, par d’uopo precisare che la responsabilità che viene in rilievo per gli effetti di cui ai citati artt. 2476, VI co. oggi co. 7, o 2395 c.c. non può farsi discendere da un mero inadempimento contrattuale della società, ma postula la addebitabilità all’amministratore di attività ulteriori e diverse che, per la loro illiceità di natura extracontrattuale, ledano il diritto soggettivo patrimoniale del terzo”. Il giudice di prime cure ha ritenuto, quindi, che, “Nella fattispecie, all’esito delle emergenze istruttorie e segnatamente di quelle documentali, (…) debba pervenirsi all’accoglimento della domanda risarcitoria proposta nei confronti della parte convenuta attesa la riscontrata mala gestio operata dalla convenuta e l’insufficienza concreta del patrimonio sociale al soddisfacimento del credito de quo”, ritenendo sussistente la dedotta mala gestio, che viene ravvisata nella circostanza per cui ” il bilancio d’esercizio della D. S.r.l. al 31.12.2013 è stato depositato presso l’ufficio del Registro delle imprese della CCIAA di Roma soltanto il 02.02.2015 mentre il verbale di approvazione dell’assemblea dei soci è stato redatto in data 28.05.2014; i bilanci d’esercizio al 31.12.2014, 31.12.2015, 31.12.2016 e 31.12.2017 sono stati approvati tutti in data 14.03.2018 e depositati in CCIAA in data 16.03.2018, oltre i termini di legge e di statuto”.

6. È opportuno evidenziare, da ultimo, come questo giudicante possa decidere la causa senza sottoporre alle parti la questione della non integrità del contraddittorio, che non viene rilevata dalle stesse e non è oggetto delle difese svolte dalle stesse con gli atti introduttivi o con le note per l’odierna udienza. Infatti, l’obbligo del giudice di stimolare il contraddittorio sulle questioni rilevate d’ufficio, stabilito dall’art. 101, co. 2, c.p.c., non riguarda le questioni di solo diritto, qual è quella in esame, ma quelle di fatto ovvero quelle miste di fatto e di diritto, che richiedono non una diversa valutazione del materiale probatorio, bensì prove dal contenuto diverso rispetto a quelle chieste dalle parti ovvero una attività assertiva in punto di fatto e non già mere difese (cfr. Cass. civ., Sez. III, 9.1.2024, n. 822Cass. civ., Sez. III, 5.5.2021, n. 11724).

Ciò osservato, ritenuto che il giudizio di primo grado si è celebrato senza che allo stesso partecipasse la D. S.r.l., litisconsorte necessario dello stesso, ai sensi dell’art. 354, co. 1, c.p.c. deve essere dichiarata la nullità della sentenza n. 2601/2024 emessa dal Tribunale di Roma – Sezione Specializzata in Materia di Impresa il 12.2.2024 e la causa deve essere rimessa al primo giudice, come previsto da tale disposizione.

7. Le spese di entrambi i gradi di giudizio – che si liquidano nella misura indicata in dispositivo, avuto riguardo quanto a quelle del presente grado di appello all’attività difensiva svolta dalle parti in ragione della definizione della stessa all’esito della prima udienza di trattazione – devono essere poste a carico di P.C., avendo questi dato luogo alla nullità della sentenza di primo grado e all’esito del presente grado di giudizio, non avendo citato in giudizio la D. S.r.l., pur avendo espressamente proposto nei confronti di M.L.B. anche l’azione ai sensi del co. 6 dell’art. 2476 c.c., e non solo quella di cui al co. 7 dello stesso articolo, e avendo allegato per lo più circostanze rilevanti al fine di affermare la sussistenza di condotte di mala gestio che avrebbero arrecato un danno alle ragioni dei creditori, e non direttamente allo stesso.

Infatti, il giudice d’appello, qualora rinvii la causa al primo giudice, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., per integrare il contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario, deve provvedere in ordine alle spese del processo di secondo grado, condannando al pagamento delle stesse la parte riconosciuta soccombente per avere dato causa alla nullità che ha determinato il rinvio; inoltre, ove abbia elementi sufficienti per stabilire a chi debba essere attribuita l’irregolarità che ha dato luogo alla rimessione, può decidere anche sulle spese di primo grado (cfr. Cass. civ., Sez. III, ord. 17.12.2024, n. 32933 ; Cass. civ., Sez. VI-2, ord. 6.5.2021, n. 11865).

App. Roma, Impresa, sent., 16.06.2025, n. 3774

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