Commerciale – Società – Amministratore di una s.r.l. revocato e definizione dei criteri di quantificazione del danno

Commerciale – Società – Amministratore di una s.r.l. revocato e definizione dei criteri di quantificazione del danno

Sulla revoca dell’amministratore di S.r.l.

Come noto, l’art. 2383, comma 3 c.c. in materia di s.p.a. prevede che gli amministratori sono revocabili dall’assemblea in qualunque tempo, anche se nominati nell’atto costitutivo, salvo il diritto dell’amministratore al risarcimento dei danni nel caso in cui la revoca avvenga senza giusta causa.

L’ordinamento non disciplina, invece, l’ ipotesi della revoca volontaria di amministratore di s.r.l., difettando un richiamo in tal senso: l’art. 2475 c.c., infatti – dettato per l’appunto in materia di amministrazione relativa al tipo societario in parola – al comma 2 non contiene un rinvio generalizzato all’art. 2383 c.c., ma soltanto ai commi 1, 4 e 5, di tale norma, riguardanti fattispecie che esulano dal tema in esame.

La lacuna deve essere superata mediante ricorso analogico alla disciplina generale del mandato oneroso, fattispecie generale cui è riconducibile il rapporto societario che lega la società all’amministratore, trovando la sua fonte negli atti societari tipici (atto costitutivo, statuto, delibere assembleari).

Come affermato di recente da Cass. civ., Sez. I, Ordinanza, 14/02/2023, n. 4586, infatti, “La revoca dell’amministratore di società a responsabilità limitata può essere disposta in ogni tempo dall’assemblea dei soci, anche in assenza di giusta causa ma, essendo il rapporto di amministrazione riconducibile quale species a sé stante al genus del mandato, l’amministratore revocato ante tempus senza giusta causa ha diritto al risarcimento del danno, per il principio posto dall’art. 1725, comma 1, c.c., salvo espressa pattuizione statutaria o convenzionale in senso contrario”.

Ferma la facoltà del mandante di revocare in qualunque momento il mandatario, l’art. 1725 c.c. prevede il diritto del mandatario di ottenere il risarcimento dei danni (da intendersi come indennizzo, stante la liceità della revoca, diversamente quantificato a seconda che si tratti di mandato a tempo determinato, v. art. 1725, comma 1 c.c., o indeterminato, v. art. 1725, comma 2 c.c.), salvo che ricorra una giusta causa.

Del resto, come affermato da Cass, civ., Sez. I, Sent, 26/01/2018, n. 2037 “La facoltà di revocare a propria discrezione gli amministratori trova, pertanto, un limite nel presupposto della giusta causa: non, però, nel senso che questa sia condizione di efficacia della deliberazione di revoca, la quale resta in ogni caso ferma e non caducabile (salvi eventuali vizi suoi propri), assumendo, invece, la giusta causa il più limitato ruolo di escludere in radice l’obbligo risarcitorio, altrimenti previsto a carico della società per il fatto stesso del recesso anticipato dal rapporto prima della sua scadenza naturale, come stabilita all’atto della nomina”.

Sulla giusta causa

Per giurisprudenza consolidata (cfr. Cass. civ., Sez. I, Sentenza, 14/05/2012, n. 7425 ) è ritenuta “giusta causa” di revoca degli amministratori quella circostanza o fatto sopravvenuto, non necessariamente integrante un inadempimento, tale da influire negativamente sulla prosecuzione del rapporto, ad esempio facendo venir meno l’affidamento riposto dai soci, al momento della nomina, sulle attitudini e sulle capacità dell’amministratore, o, in generale, facendo venir meno il rapporto di fiducia tra soci e amministratore. Sul punto, ancora, Cass, civ., Sez. I, 15/10/2013, n. 23381 ha affermato che “l’accertamento del venir meno del rapporto fiduciario, quale presupposto della delibera di revoca, è rilevante ai fini di integrare una giusta causa di revoca del mandato solo quando i fatti che abbiano determinato il venir meno dell’affidamento siano oggettivamente valutabili come fatti idonei a mettere in forze la correttezza e le attitudini gestionali dell’amministratore. In caso contrario lo scioglimento del rapporto fiduciario deriva da una valutazione soggettiva della maggioranza dell’assemblea che legittima da un lato, il recesso ad nutum, e dall’altro che l’amministratore revocato senza una giusta causa richieda il risarcimento del danno derivatogli dalla revoca del mandato”.

Spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie (cfr. Trib. Milano 17.4.2021).

Le censure poste a fondamento della delibera di revoca

Nella delibera di revoca dell’amministratore del 7.12.2018 (…) ha sollevato nei confronti di G. una pluralità di addebiti, di tipo soggettivo, relativi alla mancanza di capacità gestorie, e di tipo oggettivo, relativi a comportamenti ritenuti espressione di negligenza professionale dell’odierno attore.

Nella propria comparsa di costituzione, inoltre, (…) ha rappresentato come sia stato irrimediabilmente compromesso il pactum fiduciae tra soci ed amministratori ” indipendentemente dalla fondatezza o meno degli addebiti contenuti nella delibera in data 7 dicembre”.

Preliminarmente osserva il collegio che, diversamente da quanto evocato dalla convenuta, la ricorrenza di una giusta causa di revoca dell’amministratore, quand’anche riconducibile alla compromissione del pactum fiducia^ deve essere verificata assumendo ad oggetto della valutazione esclusivamente le contestazioni formulate nella delibera, e non fatti ulteriori, tantomeno sopravvenuti. Come affermato da Cass, civ., Sez. I, Sentenza, 26/01/2018, n. 2037, infatti, “In tema di revoca dell’amministratore di società di capitali, le ragioni che integrano la giusta causa, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c. devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. In tale ambito spetta alla società l’onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, trattandosi di un fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitone”.

Nel merito delle censure sollevate, evidenzia il tribunale che esse risultano in gran parte generiche, soprattutto quelle di ordine soggettivo (“assenza di cultura amministrativa”, “attenzione al tornaconto personale” ” incapacità di relazionarsi con i collaboratori”); le censure di ordine oggettivo, invece, appaiono maggiormente circo stanziate (ancorché non sempre sufficientemente specifiche) e riguardano comportamenti tenuti da G. nello svolgimento dell’attività di responsabile della produzione, in occasioni di varie commesse affidate alla società (commesse di cui non sono mai chiariti i termini).

Al riguardo l’odierno attore ha eccepito che tali fatti, non riguardando lo svolgimento di attività gestoria in senso stretto, non possono essere validamente assunti a fondamento della giusta causa di revoca dell’amministratore.

Sul punto ritiene il collegio che nella struttura chiusa della s.r.l., a base personalistica, all’amministratore ben possa essere assegnato un ruolo esclusivamente operativo, talché la dedotta mancanza di capacità gestorie – suscettibile per l’appunto di essere valutata come giusta causa di revoca – necessariamente deve essere verificata alla luce dei parametri di diligenza e di perizia propri di quell’attività.

Ciò premesso, si evidenzia che i fatti oggetto di contestazione sono riconducibili in buona sostanza alla formulazione di preventivi reputati “eccessivi” dalla società.

In proposito ritiene il collegio che la formulazione di preventivi non compete direttamente al responsabile dell’ufficio di produzione, ma al soggetto responsabile dell’ufficio commerciale; per quanto allegato dalla stessa convenuta e confermato dai testimoni, N. era dotata di un apposito ufficio commerciale e la formulazione dei preventivi avveniva per l’appunto previo raccordo tra l’ufficio di produzione e quello commerciale. Conseguentemente, deve ritenersi che gli addebiti sollevati sul punto non siano, già da questo punto di vista, idonei a fondare nei confronti di(…) una giusta causa di revoca.

Qualora anche si voglia comunque intendere che le doglianze formulate abbiano ad oggetto errori di nella “quantificazione dei cicli produttivi” – attività preparatoria rispetto all’elaborazione di preventivi da parte dell’arca commerciale – si deve comunque evidenziare che le censure sollevate si risolvono per lo più in giudizi apodittici sull’ “eccessività” dei costi di produzione conteggiati dall’odierno attore.

Tale “eccessività” risulta meramente affermata dalla società, senza fornire adeguato supporto probatorio e, ancor prima, senza allegare elementi di fatto necessari per verificare la portata di quanto dedotto e apprezzarne l’incidenza in termini di pregiudizio per la società.

Laddove le censure sull’erroneità dei conteggi appaiono minimamente circostanziate (“Nella commessa (…) ha erroneamente quantificato i costi di lavorazione dei seguenti disegni: – disegno (…) quantificato in Euro 4.016,00 anziché in corretti Euro 3.016,00; disegno (…) quantificato in Euro 6.306,00 anziché in corretti Euro 4.822,00; disegno (…) quantificato in Euro 6.310,00 anziché in corretti Euro 4.818,00”), rileva i l collegio che gli scostamenti riferiti – e comunque non dimostrati – non sono idonei a rivelare un’ imperizia dell’amministratore, tantomeno tale da giustificarne la revoca, dal momento che: a) essi risultano di modesta entità e che, b) non è dato apprezzare la loro incidenza in concreto sulle sorti complessive della commessa.

Analogamente, nessuna prova è stata offerta in ordine alla responsabilità (tantomeno esclusiva) del direttore della produzione rispetto all’addebito di penali per ritardi o rispetto alla mancata conclusione di affari.

A margine, si osserva che le censure sollevate dalla società sono state avanzate, all’ interno in un rapporto tra le parti protrattosi per circa trent’anni, soltanto all’ indomani del riferito deterioramento dei rapporti personali tra l’odierno attore e gli altri soci; le contestazioni mosse, in realtà, risultano logicamente incompatibili con: a) la riconferma dell’ incarico effettuata dall’assemblea del 30.4.2018, sette mesi circa prima della revoca, laddove a (…) sono stati contestati anche fatti anteriori, risalenti al 2016; b) gli apprezzamenti espressamente formulati dall’assemblea il 18.1.2017 proprio all’operato dell’odierno attore quale componente del consiglio di amministrazione. In particolare, all’assemblea citata ” in considerazione dell’ importante opera prestata dai consiglieri a favore della società, in special modo dal Sig. (…) “, l’assemblea all’unanimità ha deliberato di attribuire all’odierno attore un compenso pari a Euro 175.000,00, superiore rispetto a quello degli altri consiglieri in misura pari al 75% circa (Euro 102.000).

In definitiva, nel caso in esame non risulta provata l’esistenza di “un grave inadempimento o una condotta contraria a correttezza”, suscettibile di compromettere il rapporto di fiducia tra soci e amministratore e di dar luogo alla revoca dell’amministratore per giusta causa (cfr. Cass. n. 21495/2020Cass. n. 2037/2018Cass. n. 7475/2017).

In assenza di giusta causa, è dovuto il risarcimento del danno (o, come già chiarito, indennizzo).

Sul risarcimento dei danni (indennizzo)

Diversamente da quanto eccepito dalla convenuta, il risarcimento del danno (indennizzo) spetta all’ex amministratore con incarico a tempo determinato ai sensi dell’art. 1725, comma 1 c.c. a prescindere dal fatto che la delibera di revoca sia stata impugnata o meno, essendo esclusivamente rilevante, ai presenti fini, soltanto la mancanza di una giusta causa di revoca.

Il danno subito dall’amministratore a tempo determinato deve essere quantificato sulla base dei compensi che egli avrebbe percepito nell’arco temporale compreso tra la data di efficacia della revoca e il termine di scadenza dell’ incarico. Reputa tuttavia il collegio che tale dato debba essere equitativamente temperato (con riduzione che si reputa congrua in misura pari al 50%) in ragione del rilievo per cui il riconoscimento dei compensi nella misura pattuita in sede assembleare rappresenta il corrispettivo di un’attività che viene effettivamente e correttamente svolta; essendo intervenuta la revoca, nel periodo in esame l’attività non è stata (ovviamente) svolta.

Dalla Delib. del 30 aprile 2018 risulta che l’assemblea aveva riconfermato (…) PER IL TRIENNIO SUCCESSIVO (esercizi dal 2018 al 2020, fino all’approvazione del bilancio al 31.12.2020).

Posto che la delibera di revoca è del 7.12.2018 e che l’ incarico sarebbe scaduto ad aprile 2021 (da statuto è previsto infatti che l’approvazione del bilancio debba avvenire entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio), deve ritenersi che a (…) spetti un indennizzo economico per un arco temporale sostanzialmente pari a 28 mesi.

Dalla narrativa delle parti emerge che i compensi venivano determinati annualmente. In assenza di una specifica pattuizione valida per il triennio in esame, deve essere assunta a fondamento della liquidazione la pattuizione dei compensi più recente disponibile, ossia quella contenuta nella Delib. del 18 gennaio 2017, con la quale è stato riconosciuto a G. un compenso diEuro 175.000,00.

Tenuto conto della riduzione equitativa esplicitata, deve quindi concludersi che all’odierno attore spetti a titolo indennitario la somma di Euro (175.000/12 X 28):2= 204.166,66.

Trattandosi di credito indennitario, lo stesso integra un’obbligazione di valore. Pertanto, la somma indicata deve essere rivalutata secondo l’indici ISTAT di variazione dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, con decorrenza dal 7.12.2018 (data della delibera di revoca).

Spettano inoltre gli interessi in misura pari al tasso legale, secondo equo apprezzamento ex art. 2056 c.c., precisandosi che tali interessi si applicano sulle somme rivalutate di anno in anno dalla data della revoca sino a quella di deposito della sentenza. Sulle somme rivalutate spettano poi gli ulteriori interessi legali dalla data di pubblicazione della sentenza al saldo.

Come già accennato, l’attore ha chiesto altresì ” il risarcimento del danno” includendo nella sua pretesa anche il pagamento dei compensi per l’attività svolta fino alla revoca.

La domanda attorea di condanna sul punto deve trovare accoglimento, ancorché impropriamente formulata (non si tratta infatti di risarcimento del danno, ma di adempimento), essendo essa sorretta dall’ indicazione di fatti costitutivi idonei e non essendo stato provato, da parte della società, alcun pagamento di compensi in favore di (…) per il periodo tra maggio 2018 e il 7.12.2018 (sostanzialmente 7 mesi).

Deve quindi concludersi che (…) ha diritto di ricevere dalla società anche il pagamento della somma ulteriore diEuro 175.000/12 X 7= 102.083,33.

Trattandosi di credito derivante da obbligazione di valuta, sulla somma indicata sono dovuti interessi in misura legale dalla data di notifica della citazione fino al saldo.

Sulle spese

Le spese seguono la soccombenza. Vengono liquidati i valori medi dei compensi previsti per ciascuna attività espletata, avuto riguardo allo scaglione applicabile in base al valore della causa, per come individuato sulla base del quantum complessivamente riconosciuto (260.000,01-520.000,00).

Trib. Brescia, sent., 09.07.2025, n. 3004

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