1. Con il ricorso introduttivo la Curatela del fallimento (omissis) ha chiesto “volersi autorizzare, ex artt. 2905 c.c., 669 ter e 671 c.p.c., con provvedimento inaudita altera parte, sussistendo il pericolo nel ritardo, ovvero in subordine, previa instaurazione del contraddittorio, il sequestro conservativo di tutti i beni mobili e immobili, dei crediti e delle partecipazioni dei resistenti, sino a concorrenza degli importi appresso indicati: € 5.235.251,70 per (omissis) € 5.235.251,70 (omissis) € 5.235.251,70 (omissis) € 5.235.251,70 (omissis) € 4.816.320,54 (omissis) € 4.816.320,54 (omissis) € 4.816.320,54 (omissis) € 4.602.824,41. Con vittoria di spese e competenze del presente subprocedimento, oltre spese generali e accessori come per legge.”.
Con decreto del 27.2.2025, reso inaudita altera parte, è stato autorizzato il sequestro conservativo nei seguenti limiti di importo: – (omissis) 1.471.150,31; – (omissis) € 1.434.917,56; – (omissis) 1.471.150,31; – (omissis) € 1.434.917,56; – (omissis) € 1.321.657,24; – (omissis) 1.434.320,54.
Costituendosi, i resistenti in epigrafe hanno chiesto il rigetto del ricorso per le molteplici ragioni da ciascuno esposte nelle rispettive memorie di costituzione; con vittoria delle spese di lite.
Istruito il giudizio con le sole produzioni documentali delle parti, alla prima udienza del 20.3.2025 è stato riservato per la decisione.
2. Preliminarmente, si deve esaminare la posizione dell’amministratore (omissis).
Nella memoria del 21.3.2025 la difesa della Curatela fallimentare ha chiesto la riduzione parziale del sequestro conservativo già disposto nei confronti del predetto con decreto del 28.2.2025 “limitandolo al solo “danno ulteriore” effettivamente imputabile allo stesso, fino alla concorrenza dell’importo di € 101.946,92”.
Orbene, rispetto a tale amministratore, alla luce della somma imputata a titolo risarcitorio dalla Curatela ricorrente, si deve escludere (anche per quanto si dirà nel prosieguo) la sussistenza del periculum in mora. Invero, sul piano soggettivo non è stato dedotto alcun atto dispositivo dal quale si evinca che (omissis) intende sottrarre il proprio patrimonio alla garanzia generica di cui all’art. 2740 c.c. e sul piano oggettivo questo ha dimostrato che possiede un patrimonio immobiliare ampiamente sufficiente a garantire i creditori entro il predetto importo poiché “è proprietario esclusivo dell’immobile sito in (omissis) il cui valore è stato stimato in un importo tra € 255.000,00= ed € 285.000,00= (all. 5), nonché comproprietario per un terzo unitamente ai fratelli (omissis) dell’immobile sito in Bari di mq 540, il cui valore è stato stimato in un importo tra € 790.000. 00= e € 850.000,00= (all. 6), e dell’immobile sito in Bari di mq. 166, il cui valore è stato stimato in un importo tra € 250.000,00= e € 270.000. 00= (all. 7)” (v. pg. 26 della memoria difensiva e perizie estimative prodotte dai resistenti).
3. Le difese dei resistenti hanno, a vario titolo, sollevato l’eccezione di prescrizione rispetto al diritto al risarcimento del danno vantato in questa sede dalla Curatela ricorrente.
In tema, va preliminarmente chiarito che l’azione di responsabilità esercitata dal Curatore art. 146 l.fall., che ha come fine la reintegrazione del patrimonio della società fallita, cumula le diverse azioni previste dagli artt. 2393 e 2394 c.c. a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali, implicando una modifica della legittimazione attiva, ma non della natura giuridica e dei presupposti delle due azioni, che rimangono diversi e indipendenti, con conseguente possibilità per il curatore di cumulare i vantaggi di entrambe sul piano del riparto dell’onere della prova, del regime della prescrizione (art. 2393, co. 4, 2941, n. 7, 2949 e 2394 co. 2, c.c.) e dei limiti al risarcimento (art. 1225 c.c.).
Nel caso di specie la Curatela ricorrente ha esercitato (v. pg. 3 del ricorso) sia l’azione sociale di responsabilità (art. 2393 c.c.) che quella propria dei creditori sociali (art. 2394 c.c.).
Riguardo alla prescrizione, l’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore è soggetta al termine di prescrizione quinquennale con decorrenza dalla cessazione della carica, in virtù della sospensione del termine prevista dall’art. 2941, n. 7, c.c., mentre l’azione di responsabilità sub specie di azione dei creditori sociali ai sensi dell’art. 2394 c.c., pur quando sia esercitata dal curatore del fallimento, si prescrive in ogni caso nel termine di cinque anni (fatto illecito) con decorrenza dal momento dell’oggettiva percepibilità, da parte dei creditori, dell’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti, vale a dire dal momento in cui l’insufficienza del patrimonio sociale al soddisfacimento dei crediti risulti da qualsiasi fatto che possa essere oggettivamente conoscibile dai terzi. In ragione dell’onerosità della prova gravante sul Curatore, sussiste una presunzione iuris tantum di coincidenza tra il dies a quo di decorrenza della prescrizione e la dichiarazione di fallimento, spettando a colui che eccepisce la prescrizione la prova contraria della diversa data anteriore di insorgenza dello stato di incapienza patrimoniale (tra le altre, Cass. n. 24715/2015).
Nella fattispecie, le difese dei resistenti assumono che la stessa prospettazione della Curatela ricorrente – secondo cui la situazione di patrimonio netto negativo della società doveva desumersi dal bilancio dell’esercizio 2017 – colloca inevitabilmente l’oggettiva percepibilità dell’insufficienza dell’attivo al momento in cui il predetto bilancio, dopo essere stato approvato dai soci in data 22.2.2019, venne depositato presso il registro delle imprese in data 18.3.2019, con l’effetto di produrne la conoscenza legale in capo ai terzi e quindi anche ai creditori sociali.
A ben vedere, la Curatela assume in ricorso che sebbene dai bilanci depositati si evinca che solo nell’anno 2021 emerge l’erosione del capitale, in realtà questa va fatta risalire al 2017 (v. pg. 21). Pertanto, la difesa della Curatela colloca la conoscibilità dell’insufficienza patrimoniale solo con il deposito del bilancio al 31.12.2021.
Si è anche osservato da parte delle difese resistenti che il termine quinquennale può dirsi irrimediabilmente decorso alla data di deposito del ricorso per sequestro conservativo ove si consideri che dal bilancio 2017, depositato, in camera di commercio in data 18.3.2019, era possibile percepire l’insufficienza dell’attivo a soddisfare i debiti se è vero come è vero che il collegio sindacale nella propria relazione esprimeva “incertezza” sul principio di continuità aziendale adottato dagli amministratori nella redazione del bilancio, “avendo riscontrato che i piani di risanamento e le azioni correttive adottati dagli amministratori, ad oggi, non hanno prodotto gli effetti sperati anche per effetto di fattori esterni alla società, e che le prospettive di riuscire a superare la situazione di crisi sono incerte nell’esito. Le molteplici e rilevanti incertezze correlate ai risultati delle azioni correttive adottate dagli amministratori che ad oggi non hanno prodotto gli effetti sperati in termini di risanamento delle imprese del gruppo e le considerazioni espresse dal Revisore Indipendente nei paragrafi della propria relazione intitolati “Dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio” e “Elementi alla base della dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio”, inducono il collegio sindacale a maggioranza …a dichiarare di essere impossibilitati ad esprimere un giudizio sul bilancio chiuso al 31 dicembre 2017”.
Tuttavia, se è vero che quanto appena esposto emergeva dalla lettura della relazione al bilancio dei sindaci, è altrettanto vero che il bilancio medesimo, per di più approvato dai soci, rappresentava una situazione economico-patrimoniale ampiamente sufficiente a garantire la debitoria dal momento che nello stesso risultava un attivo totale di € 17.427.445 (composto da immobilizzazioni finanziarie – trattandosi di una holding -, da crediti e da disponibilità liquide), con utili di esercizio per € 1.412.740 (e un patrimonio netto positivo per € 1.624.505), a fronte di debiti non scaduti per € 15.802.940. Quindi, con l’approvazione e il deposito del bilancio 2017 i terzi non potevano avere l’obiettiva percezione dell’insufficienza della garanzia patrimoniale generica (art. 2740 c.c.), pur alla luce dei rilievi operati dai sindaci e dal revisore legale.
Con specifico riferimento ai sindaci occorre dare conto che il 12.4.2025 è entrata in vigore la legge n. 35/2025 che è intervenuta, tra l’altro, sul termine di prescrizione dell’azione di responsabilità nei confronti dei sindaci, introducendo un quarto comma nell’art. 2407 c.c., che prevede un limite temporale di cinque anni per l’esercizio dell’azione risarcitoria nei confronti dei membri del collegio sindacale che decorre dal deposito della relazione dei sindaci ex art. 2429 c.c., allegata al bilancio dell’esercizio in cui si è verificato il danno.
Tale previsione sulla prescrizione si applicherà alle condotte successive all’entrata in vigore di tale legge e, quindi, diventerà operativa a partire dai bilanci dell’esercizio 2024. Infatti, la disposizione sulla prescrizione disciplina un istituto di diritto sostanziale e non è stata prevista dal legislatore alcuna disposizione che preveda l’applicabilità della nuova normativa ai giudizi pendenti, cioè alle condotte anteriori all’entrata in vigore della riforma, sicché la retroattività va esclusa in ragione della previsione generale di cui all’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, secondo cui “la legge non dispone che per l’avvenire”. Del resto, sarebbe in conflitto con l’art 24 Cost. un’interpretazione della predetta disposizione che, pendente la precedente disciplina (codicistica) sulla decorrenza della prescrizione applicando la quale il diritto al risarcimento non è ancora estinto, determini l’estinzione di detto diritto quale effetto dell’entrata in vigore della nuova legge poiché, alla data di tale entrata in vigore, è ormai decorso il termine di prescrizione decorrente dal deposito della relazione dei sindaci.
Inoltre, come argomentato dalla Corte Costituzionale (sent. 115/2024) con riferimento ai revisori legali, rispetto ai quali il diritto al risarcimento del danno si prescrive, ex art. 15, co. 3, d.lgs. n. 39/2010, nel termine di cinque anni dalla data della relazione di revisione sul bilancio d’esercizio cui si riferisce riguarda l’azione sociale di responsabilità, mentre i soci e i terzi (come i creditori sociali) possono beneficiare di un termine di prescrizione quinquennale soggetto ad un dies a quo legato, come visto, all’effettiva percepibilità delle singole voci di danno. Per la Corte, infatti, sin dal deposito di una relazione inesatta o scorretta, il revisore è inadempiente verso la società che gli ha conferito l’incarico ed il suo inadempimento produce un danno alla società medesima, la quale può già far valere la pretesa risarcitoria. Quel medesimo termine non può invece valere per soci e terzi, i quali, fintantoché l’affidamento ingenerato dalla relazione erronea o scorretta non abbia determinato un concreto sviamento della loro posizione, non subiscono danni, sicché ad essi dovrà applicarsi la regola generale dell’effettiva percepibilità del danno.
Un siffatto argomentare può oggi valere, con l’entrata in vigore della legge n. 35/2025 che prevede, come la legge sulla responsabilità dei revisori, la decorrenza della prescrizione dal deposito della relazione, sicché per i danni arrecati ai creditori dalle condotte commissive o omissive dei sindaci la decorrenza della prescrizione va fatta pur sempre risalire al momento della possibilità per i terzi di percepire il danno.
Alla luce di quanto fin qui esposto, nella specie non può trovare applicazione la nuova disciplina sulla prescrizione per la responsabilità dei sindaci.
4. Si può passare all’esame del merito dell’azione cautelare proposta.
La difesa della Curatela ricorrente contesta la violazione dell’obbligo di rappresentazione veritiera e corretta nei bilanci dal 2017 (artt 2423 e 2426 c.c.), con particolare riferimento al “valore delle partecipazioni riportate in bilancio”, al “valore dei crediti” e al “valore dei debiti riportati in bilancio”. Da tale violazione la Curatela trae la conseguenza del danno patrimoniale alla società riveniente dalla prosecuzione dell’attività caratteristica pur trovandosi la (omissis) dal 2017 in una situazione di totale perdita del capitale sociale e quindi pur in presenza di una situazione che imponeva agli amministratori di mettere la società in liquidazione.
4.1. Con riferimento al “valore delle partecipazioni riportate in bilancio”, la Curatela ricorrente concentra la sua attenzione sulla partecipazione detenuta (omissis) adducendo che il patrimonio netto di quest’ultima ammontava nel 2017 ad € 9.376.515,00. Gli amministratori della (omissis) avrebbero, quindi, errato nello stimare detta partecipazione in € 11.859.322,00, con conseguente presunta erronea sovrastima di € 2.482.807,00.
La suddetta allocazione nel bilancio al 2107 viene così giustificata dagli amministratori nella nota integrativa: “Non si è ritenuta la sussistenza di perdite durevoli di valore con riferimento alla partecipazione in (omissis) tenuto conto della capacità di tale sub-holding di realizzare per il tramite delle proprie con frollate, dotate di un importante know-how nel settore immobiliare, delle costruzioni e dei calcestruzzi, flussi e risultati positivi nel prossimo futuro attraverso la gestione aziendale, nel ragionevole presupposto del buon esito del piano di ristrutturazione delle principali società del Gruppo”. Con la medesima motivazione, il suddetto valore di € 11.859.322,00 (costo storico) attribuito alla partecipazione detenuta nella (omissis) srl veniva confermato nelle annualità 2018, 2019 e 2020 e solo nel 2021 (omissis) riteneva di adeguare, nel bilancio d’esercizio, il valore della partecipazione detenuta nella (omissis) al patrimonio netto della stessa alla data del 31.12.2020 e dunque ad € 8.163.835,00.
Le difese dei resistenti hanno invocato l’insindacabilità del merito di tale scelta di gestione (c.d. business judgement rule).
Tuttavia, tale scelta appare in violazione dell’art. 2426 c.c. e del principio contabile OIC n. 21 che impongono di tenere conto dell’andamento economico della partecipata e del risultato conseguito nei singoli esercizi. Infatti, la predetta motivazione addotta nella nota integrativa non appare intrinsecamente coerente poiché nega la sussistenza di perdite durevoli del valore della partecipazione a fronte di dati contabili di segno opposto, Infatti, il patrimonio netto della (omissis) era in calo costante quantomeno dal 2015 (al 2015 € 10.880.202, al 2016 9.387.706, al 2017 € 9.376.515, con una differenza in tre esercizi pari a ben € 1.503.687). Del resto, fin da prima del 2016 (omissis) registrava perdite importanti, tanto che nel bilancio al 2016 si indicano perdite portate e nuovo per € 1.181.930; (v. doc. 12 fasc. ric.).
Si noti, inoltre, che il revisore legale, (omissis) nelle sue relazioni ai bilanci al 2019 e al 2020 rilevava la violazione dei predetti principi contabili (art. 2426 c.c. e OIC n. 21), criticando la scelta di non adeguare il valore della partecipazione (omissis) al valore del patrimonio netto.
In conclusione sul punto, si ritiene che gli elementi in atti siano sufficienti, tenuto conto di una valutazione sommaria propria della presente fase cautelare, per ritenere che la partecipazione in questione avrebbe dovuto essere iscritta al bilancio 2017 per un valore inferiore di € 2.482.807,00.
4.1.1. Con riferimento al “valore dei crediti”, la Curatela ricorrente lamenta che taluni dei crediti (v. prospetto a pg. 15 del ricorso) dal 2017 al 2022, sono rimasti invariati (o addirittura si sono incrementati) e sono stati comunque valutati sempre al valore nominale, senza operare la benché minima svalutazione in violazione dell’art. 2426 co. 1 n. 8) – oltre che del principio contabile OIC n. 15 – per cui i crediti devono essere iscritti al valore di presumibile realizzo.
Dalla documentazione in atti risulta in parte quanto lamentato dalla Curatela.
Nelle note integrative fino al bilancio al 31.12.2021, l’iscrizione di detti crediti al valore nominale viene così giustificata: “… non sono state operate rettifiche di valore in quanto ritenuti integralmente esigibili, sia in considerazione dei flussi attesi sia in considerazione delle consistenze patrimoniali nelle singole società”.
Solo con il progetto di bilancio al 31.12.2022 si dà atto che “Data la vetustà della formazione, molti di questi crediti hanno la caratteristica per essere considerati passibili di prescrizione …” ed esattamente dei crediti verso le partecipate (omissis) per un totale di € 2.366.389,00, crediti che per importi analoghi (di poco inferiori; v. prospetto pg. 17 del ricorso) risultavano presenti già nel bilancio al 2011.
Tuttavia, che tali crediti verso la (omissis) non fossero da svalutare integralmente al 2017, come assunto dalla Curatela, lo si evince dal fatto che nello stesso ricorso introduttivo si legge testualmente rispetto agli stessi:
-che “È appena il caso di precisare che, a fronte dell’invio di lettera di costituzione in mora da parte dei Curatori in del fallim. (omissis) data 12.10.2023 (doc. 16) (omissis) ha eccepito la prescrizione dei crediti vantati da (omissis) dichiarazione quanto meno stridente rispetto ai succitati rimborsi (doc.17). Giova, altresì, evidenziare che la (omissis) riporta nel bilancio al 31.12.2022 (ultimo bilancio depositato) a firma dell’amministratore unico (in carica dal 29.09.2016), approvato in data 12.07.2023, un debito per (omissis) di Euro 1.755.253,00 (doc. 18)”
– che “Anche per tale credito, a fronte dell’invio di lettera di costituzione in mora da parte dei Curatori, in data 12.10.2023 (doc. 19), la (omissis) nella persona del legale rappresentante (omissis) ha eccepito la prescrizione del credito vantato da (doc.20) e ciò benché lo stesso legale rappresentante, nel bilancio al 31.12.2022 predisposto in data 30.03.2023, esponga un debito verso (omissis) Euro 153.458,00 (doc.21)”;
– che “Anche in questa circostanza, a fronte dell’invio di lettera di costituzione in mora da parte dei Curatori, in data 12.10.2023 (doc.22), (omissis) nella persona (omissis) ha eccepito la prescrizione dei crediti vantati (omissis) (doc.23) e ciò sebbene continui ad esporre nel bilancio al 31.12.2022, approvato in data 12.07.2023 (doc.24), quale debito per finanziamento oltre 12 mesi, il debito verso (omissis) per l’importo di Euro 457.678,00.
Quindi, allo stato, è dalle stesse difese della Curatela che si desume che i crediti della (omissis) possono essere (almeno in parte) riscossi, con la conseguenza che avrebbero dovuto essere oggetto di una parziale svalutazione senza che però la difesa della Curatela ricorrente abbia depositato documentazione contabile dalla quale evincere il grado di esigibilità di tali crediti al 2017 (esercizio nel quale per la Curatela avrebbero dovuto essere integralmente svalutati), sì da poter stabilire l’entità della svalutazione.
Si noti al riguardo che nel verbale della riunione del collegio sindacale del 23.1.2017 (doc. 7 fasc. (omissis) tenutasi alla presenza del presidente del c.d.a. (omissis) si è rilevato che l’accantonamento di un fondo svalutazione crediti dell’importo di € 290.917,00 da parte della società non era congruo rispetto al valore dei crediti nei confronti di società del gruppo in considerazione della crisi economica e finanziaria in cui il gruppo medesimo versava e che, lo stesso, nel verbale della riunione del collegio sindacale del 17.10.2017 (doc. 8 fasc., anch’essa tenutasi alla presenza del presidente del c.d.a. della (omissis), il collegio sindacale stigmatizzava la non congruità dell’appostazione di un accantonamento al fondo svalutazione crediti dell’importo di € 263.674,00 a fronte del complicato contesto economico in cui in tale periodo stavano operando i debitori che erano per lo più società del gruppo. In nessuna di queste relazioni traspare il convincimento del collegio sindacale di una svalutazione integrale dei crediti, ma la necessità di aumentare il fondo svalutazione.
Rispetto agli altri crediti di cui al ricorso (v. pg. 18), di importi di gran lunga inferiori rispetto ai predetti crediti, non si rinvengono in atti elementi sufficienti (i prospetti di raffronto di tali crediti indicano importi molto diversi tra loro), anche in base ad una valutazione sommaria, per poter affermare la necessità della loro integrale svalutazione già al 2017.
In relazione al valore dei crediti appostati nei bilanci della (omissis) dal 2017 al 2022, occorre rilevare che nel ricorso introduttivo tale tema è funzionale alla dimostrazione della perdita del capitale sociale già nell’esercizio 2017, non avendo gli amministratori succedutisi operato una svalutazione dei crediti che sono stati appostati per almeno cinque esercizi per il loro valore nominale o addirittura superiore (v. prospetto a pg. 15 del ricorso), senza operare alcuna svalutazione, lamentando anche che l’”organo amministrativo non si è mai attivato per il recupero dei suddetti crediti, tanto che, dal 2017 al 2022, gli stessi sono rimasti invariati (o sono addirittura incrementati) nel loro importo”, ma senza indicare un danno autonomo quale conseguenza di tale dedotta omissione.
Nella memoria del 19.3.2025 si lamenta invece espressamente, quale ulteriore condotta di mala gestio, l’”Omessa azione di recupero”, assumendo che “L’amministrazione societaria non si è mai attivata per recuperare tali crediti, nonostante fossero presenti in bilancio fin dal 1993, e ha mantenuto la loro iscrizione come voci attive per incrementare artificiosamente il valore dell’attivo patrimoniale. Solo in un momento successivo e per mera convenienza (quando il rischio di inesigibilità era divenuto palese), gli stessi amministratori hanno proceduto alla svalutazione, ormai tardiva, determinando la perdita definitiva di tali crediti per prescrizione”.
Si è visto che dalle stesse difese della Curatela in ricorso si desume che i crediti della (omissis) (possono essere (almeno in parte) riscossi. Inoltre, la difesa della Curatela non ha allegato e né, tantomeno, fornito la prova che gli altri crediti (quelli pure indicati nel prospetto di pg. 15 del ricorso) siano effettivamente divenuti inesigibili in tutto o solo in parte e ciò incide sulla prova della sussistenza stessa del danno, oltre che sulla prova della sua entità. Anche sotto tale profilo, dunque, non è stata fornita, allo stato, la prova, anche solo presuntiva, della sussistenza stessa o comunque dell’entità del danno.
4.1.2. Con riferimento al “valore dei debiti riportati in bilancio”, la Curatela ricorrente assume che il debito verso (omissis) (di € 1.801.029,00) nel bilancio 2017 della (omissis) non avrebbe dovuto essere azzerato per intervenuta prescrizione a causa dell’effetto interruttivo della prescrizione ex art. 2945 c.c. a causa delle “appostazioni costanti nei bilanci di entrambe le società, creditrice e debitrice”.
In argomento, è noto che per la Suprema Corte il riconoscimento del diritto, al fine dell’interruzione della prescrizione (art. 2944 cod. civ.), richiede solo una manifestazione di consapevolezza dell’esistenza del debito, che può anche essere rivolta ad un terzo ovvero alla generalità. Pertanto, costituisce atto idoneo ad interrompere la prescrizione l’annotazione di un debito nel bilancio di una società di capitali, che è un atto sottoposto a forma legale di pubblicità, nel caso in cui tale annotazione sia accompagnata da tutti gli elementi specificativi dell’obbligazione (entità, causale, soggetto creditore). (Cass. 7143/2004; Cass. 6203/1991).
Tuttavia, nel caso di specie, a fronte di un’allegazione generica (“appostazioni costanti nei bilanci di entrambe le società, creditrice e debitrice”), non sono stati prodotti i bilanci (omissis) «società debitrice) anteriori a quello del 2017 per verificare le effettive annotazioni del debito (omissis) contenenti tutti gli elementi specificativi dell’obbligazione (come entità, causale e soggetto creditore).
Pertanto, rispetto a tale posta di bilancio non si ritiene che, allo stato, debba essere presa in considerazione una rettifica.
4.2. Dalle considerazioni che precedono, nei limiti dell’indagine propria della presente fase cautelare e alla luce di quanto documentato, emerge che il patrimonio netto rettificato (omissis) al 31.12.2017 è pari a -€ 858.302,00 (€ 1.624.505, patrimonio netto nel bilancio al 2017, -€ 2.482.807,00, differenza di valore da iscrivere a bilancio della partecipazione (omissis).
Quindi, il “danno generico” che si ritiene, allo stato, provato ex art. 2486 co. 3 c.c., è pari ad € 3.035.062,06, come dettagliato dai seguenti valori: patrimonio netto rettificato al 31.12.2017 -€ 858.302.00; patrimonio netto rettificato all’1.3.2023 (data della dichiarazione di fallimento della (omissis) 4.527.122,06 (cioè -€ 3.668.820,06, come da situazione contabile all’1.3.2023 (doc. 11 fasc. ricorrente), a cui somma -€ 858.302,00), meno costi di liquidazione inevitabili dall’1.1.2018 all’1.3.2023 (v.pg. 31 ricorso) pari ad € 633.758,00.
Tuttavia, la difesa della Curatela ha richiesto il sequestro conservativo per la voce di “danno generico” fino alla concorrenza di € 2.613.365,65, sicché, in base al principio della domanda, è entro tale (minor) somma che può essere autorizzato il sequestro conservativo per tale prima voce di danno.
5. La difesa della Curatela prospetta un “cumulo del risarcimento” tra “danno generico” (derivante dall’indebita prosecuzione dell’attività caratteristica della (omissis) dal 2017, anno nel quale la società fallita versava di fatto in uno stato di grave deficit patrimoniale), in base al criterio dei c.d. netti patrimoniali di cui all’art. 2486 c.c., e “danno ulteriore” derivante dalle condotte di cui al par. 3 del ricorso (“Rimborso finanziamento ex soci”, “Rimborso di finanziamenti in favore della (omissis)”, “Concessione di finanziamenti” e “Ricezione di finanziamenti da parte di altre società del gruppo”).
E’ noto che, ancor prima dell’introduzione dell’art. 2486 co. 3 c.c. la giurisprudenza aveva elaborato ai fini della quantificazione del danno conseguente all’indebita prosecuzione dell’attività caratteristica pur in presenza di una situazione che è causa di scioglimento della società il criterio dei c.d. netti patrimoniali e cioè un criterio equitativo di determinazione del danno che si fonda sulla presunzione che l’indebita prosecuzione dell’attività caratteristica è normalmente idonea a generare, in via immediata e diretta, un pregiudizio al patrimonio della società.
In effetti, per quanto qui specificamente interessa, qualora la società abbia maturato per perdite un patrimonio netto negativo (ricorrendo così la causa di scioglimento di cui all’art. 2484 n. 4 c.c.) la prosecuzione dell’attività della società, in continuità, senza porre in essere quelle attività volte alla conservazione dell’integrità e del valore del patrimonio sociale (cfr. art. 2486 co. 1 c.c.), è presuntivamente fonte di un danno al patrimonio sociale, sicché la differenza del deficit patrimoniale tra il momento dell’apertura di una procedura concorsuale e il momento in cui si è verificata la perdita totale del capitale sociale integra il danno che la società (e i suoi creditori che fanno affidamento sulla garanzia patrimoniale della stessa) ha concretamente subito.
Il criterio equitativo del c.d. netti patrimoniali è alternativo e non cumulabile con il danno determinato analiticamente, sicché qualora il curatore della società fallita lamenti, come nella specie, il danno sotto forma di differenza del patrimonio netto (c.d. “danno generico”) non è possibile cumulare tale danno con quelli derivanti dalle singole condotte addebitate agli amministratori che si sostanziano nella prosecuzione dell’attività caratteristica, perché tali danni sono ricompresi nella più ampia determinazione del danno che si ha con il ricorso al criterio dei c.d. netti patrimoniali. Ragionando diversamente, si moltiplicherebbero le voci di danno, contravvenendo alla funzione compensativa del risarcimento.
Quindi, nel caso che ci occupa tra quelle che la Curatela nel ricorso introduttivo definisce “Ulteriori responsabilità degli organi sociali” (par. 3) dopo avere prospettato principalmente la liquidazione della società. In particolare, la “Concessione di finanziamenti” e la “Ricezione di finanziamenti da parte di altre società del gruppo” altro non sono che prosecuzione di attività sociale e fonti autonome di danno. Tale danno, però, non può che restare assorbito nella più ampia liquidazione complessiva dello stesso operata con il criterio del c.d. netti patrimoniali.
Invece, il “Rimborso finanziamento ex soci” e il “Rimborso di finanziamenti in favore della (omissis) integrano condotte che non arrecano di per sé un danno al patrimonio della società, nel senso che non ne provocano un depauperamento, trattandosi di debiti pregressi che nel momento in cui sono stati pagati hanno fatto venir meno, per la parte coincidente con il pagamento (totale o parziale), il corrispondente debito della società, quindi non possono essere ricompresi nel danno risarcito con il predetto criterio equitativo che, come visto, ristora il danno arrecato al patrimonio della società. Del resto, rispetto a tali condotte la Curatela prospetta un pagamento preferenziale ai danni dei soli creditori sociali e non un danno patrimoniale per la società.
Al riguardo, sul piano della legittimazione, il pagamento preferenziale è sufficiente a legittimare il Curatore all’esercizio dell’azione di risarcimento ma tale circostanza non è anche sufficiente all’accoglimento della stessa, per il quale è invece necessario il verificarsi di un danno che si ha esclusivamente quando, per effetto del pagamento preferenziale, altri crediti di pari grado o di grado precedente siano rimasti insoluti (per tutte, Sez. Un. n. 1641/2017). Ne discende che il danno provocato da questo tipo di pagamenti riguarda l’intera “massa” di creditori, con conseguente legittimazione del Curatore ad esperire l’azione di responsabilità nei confronti degli amministratori che abbiano in situazione di crisi effettuato pagamenti a vantaggio di alcuni creditori, piuttosto che di altri in violazione del principio della par condicio creditorum.
Tuttavia, il Curatore deve determinare l’ammontare del danno cagionato e detto danno, definito “da maggior falcidia”, corrisponde alla differenza tra quanto i creditori pretermessi avrebbero percepito dal riparto fallimentare se il pagamento non fosse stato fatto, ed il creditore preferito si fosse insinuato al passivo fallimentare, e quanto hanno effettivamente percepito” (tra le altre, Trib. Milano, sent. 3090/2020).
violazioni inerenti alla “Indebita prosecuzione dell’attività” (par. 2) occorre individuare quali siano quelle inerenti Fattività caratteristica e quali astrattamente concepibili anche nella fase di
Nel caso in esame, la Curatela ha richiesto la restituzione dell’intera somma corrisposta alle mogli cessionarie dei crediti degli ex soci e alla (omissis).
5.1. Esaminando partitamente i due rimborsi, rispetto al “Rimborso finanziamento ex soci” (per complessivi € 644.391,01; v. doc. 37, 38 e 39 fase, ricorrente) si lamenta un pagamento preferenziale in violazione della postergazione prevista dall’art. 2467 c.c. Tuttavia, la Curatela attrice non ha allegato, né tanto meno provato, che tali finanziamenti sono stati in origine concessi, così come prevede l’art. 2467 co. 2 c.c., in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento. Come si legge in ricorso (v. pg. 23) tali finanziamenti vennero effettuati antecedentemente al 2005 dagli ex soci (omissis) ma non si specifica alcunché circa la situazione economico-patrimoniale della società quando tali finanziamenti vennero erogati, sicché non ricorrono i presupposti perché possa essere riconosciuta l’invocata postergazione.
Va, però, evidenziato che la Curatela non ha invocato solo la postergazione di tali crediti lamentando anche che, al di là di questa, gli amministratori hanno operato “… comunque, preferendo le succitate (omissis) rispetto ad altri creditori”. Quindi, si prospetta un pagamento preferenziale di tali crediti chirografari rispetto agli altri creditori privilegiati, perché antergati e comunque (qualora i primi venissero inverosimilmente integralmente tutti soddisfatti dopo l’avvenuto pagamento di tutti i crediti prededucibili inerenti alla procedura fallimentare) chirografari, perché violato il principio della distribuzione proporzionale tra creditori di pari rango in caso di insufficienza di attivo per il pagamento integrale di tutti tali creditori.
La difesa della Curatela ha allegato e documentato che “Sono ammessi al passivo (insinuazioni tempestive e tardive) crediti (privilegiati €5.624.349,78 e chirografari €43.049.394,59) per complessivi €48.673.744,37 (docc. 73 e 74)” e se si tiene conto dalle situazioni patrimoniali in atti della (omissis) degli anni precedenti alla sentenza dichiarativa di fallimento dell’1.3.2023 (ed, in particolare, della situazione contabile all’1.3.2023; v. doc. 11 fase, rie.), pur volendo prescindere da possibili rettifiche a talune poste di tali situazioni, l’attivo fallimentare non appare in grado di soddisfare Tingente predetta debitoria alla quale, pur se pagati tutti i creditori privilegiati, danneggiati da tale pagamento preferenziale, resterebbe da ripartire in proporzione con tutti gli altri creditori chirografari anche quanto indebitamente ricevuto dalle “mogli ex soci” (v. prospetto a pg. 23 del ricorso).
Si aggiunga che tali rimborsi sono intervenuti nel corso degli anni quando, come visto in precedenza, (omissis) si trovava (sostanzialmente) in una situazione di squilibrio economico-patrimoniale che era nota agli amministratori o comunque da questi colpevolmente ignorata.
5.1.1. Con riferimento al “Rimborso di finanziamenti in favore (omissis) (per complessivi € 408.448,00; v. doc. 31 fasc. ric.), valgono le stesse considerazioni appena sviluppate con riferimento al “Rimborso finanziamento ex soci”.
5.2. Quindi, sul punto il danno complessivamente arrecato ai creditori sociali della (omissis) ammonta ad € 1.052.839,00 (cioè € 644.391,01+ € 408.448,00).
6. Si può così concludere che il danno complessivo risarcibile ammonta ad € 3.666.204,65 (ossia € 2.613.365,65 per “danno generico” + € 1.052.839,00 per “danno ulteriore”), salvo quanto si dirà nel prosieguo in ordine all’imputazione del “danno specifico” ai singoli amministratori.
7. Per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori succedutisi nel tempo, occorre avere riguardo alle rispettive posizioni dagli stessi assunte: (omissis) (componenti del c.d.a. dal 3.10.2016 al 18.2.2020, il primo amministratore unico dal 30.10.2020 al 10.3.2022 ed il secondo amministratore unico dal 10.3.2022), (omissis) componente del c.d.a dal 30.3.2018 al 18.5.2018 e amministratore unico dal 18.2.2020 al 30.10.2020).
Nonostante la presenza di un amministratore delegato nel c.d.a. (omissis) che le difese degli amministratori senza deleghe definiscono “plenipotenziario”), è noto che il compito relativo alla redazione del bilancio di esercizio non può essere oggetto di delega in favore di uno o più componenti del consiglio di amministrazione, e, secondo quanto disposto dagli artt. 2381 co. 4 e 2423 c.c., gli amministratori sono collegialmente tenuti a redigere il bilancio secondo i principi ex lege previsti, sicché tutti gli amministratori, anche quelli privi di deleghe, sono solidalmente responsabili quanto al rispetto degli obblighi di legge inerenti alla redazione del bilancio, fra i quali quelli di cui si è dato conto in precedenza e che si è ritenuto essere stati violati.
Ne deriva che tutti i predetti amministratori sono responsabili per l’indebita prosecuzione dell’attività caratteristica (omissis) fin dal 2017 (“danno generico”), anno nel quale la società fallita versava in uno stato di deficit patrimoniale che sarebbe emerso nel caso di una corretta appostazione delle suddette voci di bilancio.
Né può condividersi quanto assunto dalle difese degli amministratori secondo cui (omissis) dal momento dell’insediamento del c.d.a. nominato in data 3.10.2016 e quanto meno fino all’approvazione del bilancio dell’esercizio 2017, deliberata dall’assemblea dei soci in data 22.2.2019, non versava nella causa di scioglimento costituita dalla riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, ipotizzata dalla Curatela soltanto in relazione e dietro la rettifica a posteriori delle risultanze del bilancio relativo all’esercizio 2017. Di conseguenza, tutte le operazioni gestorie che vennero poste in essere fino al 22.2.2019, data di approvazione del bilancio dell’esercizio 2017, neppure astrattamente possono essere censurate sotto il profilo dell’omesso accertamento del verificarsi della causa di scioglimento costituita dalla riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, proprio perché la stessa ricorrente ha affermato che tale situazione doveva desumersi dalla situazione patrimoniale ed economica rappresentata dal bilancio relativo all’esercizio 2017, o meglio dalla rettifica a posteriori di talune risultanze di tale bilancio di esercizio, e quindi giammai prima della sua effettiva approvazione in data 22.2.2019.
In realtà, come si desume dal tenore del ricorso, ciò che viene contestato agli amministratori è non avere rilevato tempestivamente la perdita del capitale sociale della (omissis) che avrebbe dovuto essere verificato almeno con la fine dell’esercizio al 31.12.2017 e non con l’approvazione del suo bilancio, avvenuta solo il 22.2.2019 (gli amministratori, infatti, non possono essere assimilati a soggetti terzi estranei alle dinamiche societarie). Compito del c.d.a. è quello di redigere il bilancio, secondo i principi di contabilità imposti dalla legge, da sottoporre all’attenzione dell’assemblea per farlo approvare nei termini di legge da parte di questa, sì da consentire ai soci di verificare alla chiusura di ogni esercizio annuale quale sia la situazione economico-patrimoniale della società. Resta fermo, tuttavia, che gli amministratori sono tenuti (anche quelli privi di deleghe avvalendosi delle relazioni periodiche dell’amministratore delegato) ad un monitoraggio costante per verificare la tenuta economico-patrimoniale della società al fine di intervenire tempestivamente con gli opportuni provvedimenti in caso di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale (artt. 2447,2485 e 2486 c.c.). Quindi, gli amministratori della (omissis) avrebbero dovuto già all’inizio del 2018, se non già nel corso dell’esercizio 2017 (a prescindere dall’approvazione del bilancio al 2017 da parte dell’assemblea), avere chiara la situazione patrimoniale della società, in base ad una corretta valutazione delle poste contabili, e rendersi conto dell’avvenuta perdita del capitale sociale già nel 2017, convocando “senza indugio” l’assemblea per l’adozione dei rimedi previsti dakk’art. 2447 c.c., in assenza dei quali avrebbero dovuto “senza indugiò” ex art. 2485 co. 1 c.c. rilevare il verificarsi della causa di scioglimento e adottare gli adempimenti di cui all’art. 2484 co. 3 c.c.
In ogni caso, pur volendo seguire le prospettazioni delle difese degli amministratori, la percezione della sussistenza della perdita del capitale sociale non poteva essere successiva al 22.2.2019 (data di approvazione del bilancio 2017 da parte dell’assemblea), con la conseguenza che il danno differenziale tra c.d. netti patrimoniali andrebbe verificato raffrontando il netto patrimoniale al marzo 2023, epoca di apertura della procedura fallimentare, e quello al febbraio 2019, cioè poco più di un anno dopo rispetto a quello preso in considerazione in precedenza per determinare il danno (cioè netto patrimoniale alla fine del 2017), sicché, tenuto conto della sommarietà del giudizio proprio della presente fase cautelare, si riserva un eventuale approfondimento tecnico nella fase di merito.
In ordine alla responsabilità degli amministratori privi di deleghe nel periodo in cui era in carica il c.d.a. (3.10.2016-18.2.2020) e cioè (omissis) (quest’ultimo solo dal 30.03.2018 al 18.05.2018), in relazione ai pagamenti preferenziali “Rimborso finanziamento ex soci” e “Rimborso di finanziamenti in favore della (omissis) giova ricordare che in tema di società di capitali, gli amministratori privi di deleghe non sono responsabili per una generale omissione di vigilanza, ma, in ragione del dovere di agire informati ex art. 2381 c.c., rispondono delle conseguenze dannose della condotta degli amministratori esecutivi solo quando non abbiano impedito fatti pregiudizievoli di quest’ultimi, in virtù della conoscenza o della possibilità di conoscenza di elementi tali da sollecitare il loro intervento, alla stregua della diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze (tra le altre, Cass. 15054/2024). Dunque, gli elementi costitutivi della responsabilità solidale degli amministratori non esecutivi sono, sotto il profilo oggettivo, l’inerzia, il fatto pregiudizievole antidoveroso altrui e il nesso causale tra i requisiti, e, sotto il profilo soggettivo, la colpa la quale, a sua volta, si atteggia o nell’inadeguata conoscenza del fatto di chi ha in concreto cagionato il danno, o nella colposa ignoranza del fatto altrui per non avere colto i segnali d’allarme dell’altrui illecita condotta pur percepibili con la diligenza della carica, ovvero ancora nell’inerzia colpevole, per non essersi utilmente attivati al fine di scongiurare l’evento evitabile con l’uso della diligenza predetta (Cass. 10739/2024).
In relazione al “Rimborso finanziamento ex soci”, questo avvenne per somme consistenti in un arco temporale di circa sette anni in favore delle (tre) mogli degli (omissis) sicchè tenuto conto dell’entità delle somme rimborsate (complessivi € 644.391,01) e dei rapporti di parentela intercorrenti tra questi soggetti è ragionevole ritenere che del pagamento di tale somme eseguito o fatto eseguire dall’amministratore delegato anche lui parente dei predetti, gli amministratori privi di deleghe erano a conoscenza (si noti che le frazioni di rimborso sono tutte avvenute quando era in carica il c.d.a.; v. pg. 23 ricorso).
In relazione al “Rimborso di finanziamenti in favore della (omissis) pur volendo ammettere che gli amministratori privi di deleghe non ne fossero a conoscenza, avrebbero dovuto, usando l’ordinaria diligenza essere a conoscenza, almeno acquisendo informazioni in sede di redazione del bilancio di esercizio di ciascun anno, atteso che l’amministratore delegato in un arco temporale di sei anni stava rimborsando un’ingente somma (totali € 408.448,00).
Le frazioni di rimborso di tale finanziamento sono avvenute dal 2018 al 2022 (v. prospetto a pg. 24 del ricorso), sicché di quello del 2020 risponde solo l’amministratore unico (omissis) € 78.832,53 (v. memoria del 21.3.2025 della Curatela ricorrente), di quelli 2021-2022 per € 43.740,11 risponde solo l’amministratore unico (omissis) dal 30.10.2022 al 10.3.2022), mentre l’amministratore unico (tale dal 10.3.2022) non risponde, come tale, poiché l’ultima frazione di rimborso risale all’11.2.2022 (v. doc. 31 fasc., ricorrente).
Ne discende che (omissis) per il periodo in cui è stato amministratore delegato è responsabile per complessivi € 3.543.632,01, (omissis) per il periodo in cui è stato presidente del c.d.a. e amministratore unico è responsabile per complessivi € 3.587.372,12, mentre è responsabile per complessivi € 3.543.632,01 (quanto a (omissis) si evita il conteggio del quantum di responsabilità poiché, come visto, rispetto a questi deve escludersi il periculum in mora).
8. Quanto alla responsabilità dei componenti del collegio sindacale (omissis) presidente dal 3.10.2016 al 14.12.2020, (omissis) componente dal 3.10.2016 al 14.12.2020 e componente (omissis) dal 3.10.2016 al 7.10.2019), occorre premettere che il potere di controllo dei sindaci non si esplica soltanto sulla base delle informazioni offerte dagli amministratori, ma anche attraverso i poteri di indagine loro attribuiti, con la conseguenza che il lamentato adempimento parziale degli obblighi informativi da parte dell’organo amministrativo non vale ad escludere la responsabilità dei sindaci.
L’obbligo di vigilanza che la legge impone ai sindaci si concretizza, secondo i giudici di legittimità, in un monitoraggio concreto e costante della gestione, potendo i sindaci, in presenza di informazioni insufficienti o lacunose da parte degli amministratori, attivarsi in proprio per acquisire gli elementi mancanti.
I sindaci devono svolgere autonomamente ispezioni e controlli e chiedere al consiglio di amministrazione precisazioni e chiarimenti in relazione alle operazioni sociali, non già con un molo passivo di meri ricettori delle informazioni degli amministratori ma con un molo attivo di ricerca dei necessari elementi di valutazione attraverso l’esercizio tempestivo dei poteri ispettivi che la legge impone ai sindaci di esercitare.
Pertanto, pur non rispondendo in modo automatico di ogni fatto dannoso aziendale, i sindaci, per essere esonerati da responsabilità, rispondono se non hanno esercitato i poteri istruttori ed impeditivi affidatigli dalla legge (tra le altre, Cass. 14073/2022).
Con particolare riferimento ai poteri impeditivi, la Suprema Corte ha chiarito che “il sindaco dovrà fare ricorso agli altri strumenti previsti dall’ordinamento, come i reiterati inviti a desistere dall’attività dannosa, la convocazione dell’assemblea ai sensi dell’art. 2406 cod. civ. (ove omessa dagli amministratori, o per la segnalazione all’assemblea delle irregolarità di gestione riscontrate), i solleciti alla revoca delle deliberazioni assembleari o sindacali illegittime, l’impugnazione delle deliberazioni viziate, il ricorso al tribunale per la nomina dei liquidatori ex art 2487 cod. civ., la denunzia al tribunale ex art. 2409 cod. civ. o all’autorità giudiziaria penale, ed altre simili iniziative” (Cass 24045/2021).
La difesa della Curatela assume che “dall’esame delle scritture contabili, si evince la natura fittizia di innumerevoli poste, la falsità dei bilanci, nonché il completo azzeramento del capitale sociale – perdurato, senza soluzione di continuità, sino alla data del fallimento – quanto meno sin dall’esercizio 2017. In tale periodo, le condotte omissive dei componenti il collegio sindacale, preposto all’attività di controllo dell’osservanza della legge e dello statuto sociale – e incaricato anche della revisione dei conti – hanno contribuito significativamente alla determinazione dell’ingente deficit accertato dopo il fallimento” e che “In considerazione della durata dell’ufficio, della rilevanza delle false attestazioni contenute nelle relazioni ai bilanci e, più specificamente, della gravità delle omissioni imputate – correlata alla natura apparente dei plurimi illeciti perpetrati dagli amministratori – il danno cagionato dai sindaci e dal Revisore unico coincide con quello cagionato dagli amministratori”, affermando anche che i sindaci non hanno esercitato i “poteri sostitutivi che secondo l’id quodplerumque accidit avrebbero condotto ad una più sollecita dichiarazione di fallimento”.
In effetti, sebbene i sindaci non fossero incaricati anche della revisione contabile, demandata dapprima ad una società di revisione, la (omissis) e dal 31.7.2018 al revisore unico (omissis) si ritiene siano responsabili in solido con gli amministratori per non essersi attivati esercitando i poteri di intervento riconosciuti dalla legge come, quello che sarebbe stato più efficace nella specie, e cioè la denunzia al Tribunale ex art. 2409 c.c.
Invero, sin dalla relazione al bilancio chiuso al 31.12.2015 (doc. 3 fasc. il collegio sindacale evidenziava di avere sollecitato più volte l’organo amministrativo a redigere il bilancio di esercizio, di avere preso atto della dichiarata impossibilità di esprimere un giudizio sul bilancio della società incaricata della revisione, (omissis) (anche a causa della mancata rettifica del valore delle partecipazioni da parte degli amministratori della (omissis) in quanto ritenuto da questi ultimi interamente realizzabile), ed invitato l’assemblea dei soci a considerare gli effetti di tale giudizio e ad assumere gli opportuni provvedimenti prima dell’approvazione del bilancio relativo all’esercizio 2015, oltre ad avere preso atto che le azioni correttive poste in essere dagli amministratori relativamente al risanamento del gruppo non avevano a quella data prodotto gli effetti sperati. All’esito, il collegio sindacale esprimeva parere non favorevole all’approvazione del bilancio.
I rilievi di cui si è appena riferito vennero successivamente reiterati nelle relazioni ai bilanci relativi agli esercizi 2016 (doc. 4 fasc. (omissis) 2017 (doc. 5 fasc. (omissis) 2018 (doc. 6 fasc. (omissis) in merito ai quali il collegio sindacale, dopo avere dettagliatamente formulato le proprie osservazioni critiche, dichiarava di essere impossibilitato ad esprimere un giudizio, invitando l’assemblea dei soci ad assumere gli opportuni provvedimenti.
Analogamente, si è visto che nelle riunioni del collegio sindacale degli anni 2017, 2018, 2019 e 2020 si è reiteratamente rilevata la non congruità degli accantonamenti appostati nei vari bilanci rispetto al valore dei crediti nei confronti di società del gruppo in considerazione della crisi economica e finanziaria in cui il gruppo medesimo versava.
Rimasto inascoltato l’invito ripetuto all’assemblea dei soci di assumere gli opportuni provvedimenti, sarebbe dovuto essere il collegio sindacale, in presenza di una situazione espressione di gravi irregolarità reiterate da parte degli amministratori e foriere di danni al patrimonio sociale, a ricorrere all’istituto della denunzia al Tribunale ex art. 2409 c.c. ovvero a richiedere ex art. 2485 c.c. (viste le numerose osservazioni fatte dagli stessi sindaci sulle annotazioni dell’attivo dei vari bilanci) lo scioglimento della società per la perdita effettiva del capitale sociale. Né a quest’ultimo proposito rileva che il controllo della contabilità fosse demandato ad un revisore legale, poiché le criticità evidenziate dagli stessi sindaci nelle varie relazioni ai bilanci di esercizio (anche alla luce dei rilievi del revisore) avrebbero dovuto imporre un approfondimento anche per verificare il rispetto della disposizione sullo scioglimento della società ex art. 2484 c.c. e comunque un intervento più incisivo piuttosto che rimettersi soltanto alla volontà dell’assemblea, tenuto conto che compito dei sindaci è quello di tutelare con la propria attività di controllo informato e attivo non solo la società ed i soci, ma anche la posizione dei terzi, come i creditori sociali.
Dunque, in relazione al “danno generico” sussiste la responsabilità dei sindaci per omessa adeguata vigilanza.
Quanto ai pagamenti preferenziali di cui si è detto (“Rimborso finanziamento ex soci” e “Rimborso di finanziamenti in favore della (omissis) non si può non rilevare che si è trattato di pagamenti per importi complessivamente consistenti e avvenuti in più esercizi e in più soluzioni, oltre al fatto che buona parte degli stessi è stata eseguita durante il periodo in cui il collegio sindacale era in carica, senza che nulla, al riguardo, abbia rilevato il collegio, né lo stesso è tanto meno intervenuto per evitare che siffatti pagamenti venissero ripetuti, come poi avvenuto.
Al riguardo, non ha pregio la deduzione difensiva per cui i sindaci non essendo tenuti al controllo della contabilità non erano tenuti a verificare tali pagamenti, poiché il controllo sull’osservanza della legge e dello statuto demandato ai sindaci impone loro comunque di verificare la legittimità dei pagamenti più rilevanti che nella specie sono stati eseguiti in violazione della previsione di cui all’art. 2741 c.c.
Ne discende che anche in relazione al “danno ulteriore” è individuabile una responsabilità dei sindaci per omessa vigilanza.
In tema di responsabilità dei sindaci, la legge n. 35/2025, entrata in vigore il 12.4.2025, ha introdotto un tetto massimo alla loro responsabilità patrimoniale: il comma 2 del novellato art. 2407 c.c. stabilisce che, nei casi di colpa, la responsabilità concorrente dei sindaci è limitata ad un multiplo del compenso annuo percepito, secondo tre fasce. Per i compensi fino a 10.000 € euro annui, si applica un risarcimento massimo pari a quindici volte il compenso; per i compensi tra 10.000 e 50.000 € annui il risarcimento può arrivare sino a dodici volte il compenso; per i compensi superiori a 50.000 € annui il risarcimento è limitato a dieci volte il compenso.
Pur in assenza di una previsione di diritto intertemporale che preveda la retroattività della legge in generale e di tale previsione normativa, diversamente dalla portata della nonna relativa alla decorrenza della prescrizione di cui si è detto in precedenza (novellato art. 2407 co. 3 c.c.), si ritiene che il nuovo testo del comma 2 dell’art. 2407 c.c. si applichi anche ai fatti pregressi all’entrata in vigore della legge medesima, trattandosi di previsione lato sensu procedimentale poiché si limita ad indicare al Giudice un criterio di quantificazione del danno (tetto massimo), senza che una tale interpretazione incida sulla permanenza del diritto stesso al risarcimento, limitando solo il quantum rispetto a soggetti comunque responsabili in solido con gli amministratori (del resto, la Suprema Corte (ordinanze nn. 5252/2024 e 8069/2024) con riguardo al criterio equitativo di risarcimento del danno di cui all’art. 2486 c.c. ha affermato che In tema di risarcimento del danno da responsabilità promossa dal curatore fallimentare ex art. 146 l.fall. nei confronti dell’amministratore, il meccanismo di liquidazione del “differenziale dei netti patrimoniali”, di cui all’art. 2486, comma 3, c.c., come modificato dall’art. 378, comma 2, del d.lgs. n. 14 del 2019, c.d. codice dell’impresa (CCII), è applicabile, in quanto latamente processuale, anche ai giudizi in corso al momento della entrata in vigore di detta norma, atteso che essa stabilisce non già un nuovo criterio di riparto di oneri probatori, ma un criterio, rivolto al giudice, di valutazione del danno rispetto a fattispecie integrate dall’accertata responsabilità degli amministratori per atti gestori non conservativi dell’integrità e del valore del capitale dopo il verificarsi di una causa di scioglimento della società).
Si ritiene che il limite previsto dalla norma vada riferito a ogni singolo evento dannoso causato dal sindaco, nel senso che l’indicazione del tetto massimo non riguarda cumulativamente tutte le condotte dannose, ma ciascuna delle condotte dalle quali deriva un danno, come si evince anche dalla lettera della norma (“i sindaci che violano i propri doveri sono responsabili per i danni cagionati alla società che ha conferito l’incarico ai suoi soci, ai creditori e ai terzi nei limiti di …”) che fa riferimento alla violazione dei doveri dai quali deriva un danno, manifestando, quindi, la necessità di un nesso tra ciascuna violazione ed il danno. D’altronde, non si tratta di un’esimente della responsabilità del sindaco, ma solo di una limitazione quantitativa della sua responsabilità in relazione al danno conseguente ad una sua condotta colposa.
Inoltre, il dato di riferimento deve essere non il compenso annuo “percepito”, come si legge nel testo legislativo, ma il compenso annuo netto riconosciuto al sindaco, perché altrimenti la norma, limitativa della responsabilità patrimoniale, paradossalmente non potrebbe essere applicata qualora la società fosse inadempiente verso il sindaco. Pertanto, il termine percepito va inteso come compenso effettivamente riconosciuto al sindaco e quindi importo netto deliberato.
Nella specie, solo il sindaco (omissis) (peraltro, presidente del collegio) ha indicato gli importi lordi del suo compenso: “Nel caso di specie, peraltro, i compensi deliberati in favore del (omissis) ammontanti ad Euro 3.900,00 lordi per ciascuno degli ami sino al 2019 e ad Euro 2.900,00 lordi per il 2020 – non sono mai stati effettivamente corrisposti allo stesso dalla (omissis). In assenza di ulteriori elementi in atti e di specifiche contestazioni sul punto, si può prendere approssimativamente come base di riferimento per la determinazione del quantum debeatur per i tre sindaci, in questa fase sommaria, l’importo di € 3.000,00 (compenso fino al 2019) in relazione al “danno generico” da prosecuzione dell’attività da parte della (omissis) poiché l’omessa vigilanza si è concretizzata già prima del 2019, l’importo di € 3.000,00 (compenso fino al 2019) per il “danno ulteriore” per l’omesso controllo sui rimborsi alle mogli degli ex soci, poiché tali rimborsi sono avvenuti entro il 2019, e l’importo di € 2.000,00 (compenso 2020) in relazione al “danno ulteriore” per l’omesso controllo sui rimborsi alla (omissis) rispetto al quale l’omesso controllo si è concretizzato essenzialmente a cavallo degli anni 2019/2020 per i pagamenti eseguiti fino al 2022.
Quindi, i tre sindaci rispondono ciascuno per tale importo: € 120.000,00 e cioè € 90.000 (15 x € 3000 x 2) più € 30.000,00 (15 x 2000).
9. Venendo all’esame della responsabilità del revisore legale (omissis) (che ha assolto tale ruolo dal 31.7.2018), occorre preliminarmente precisare, in tesi generale, che in base a quanto previsto dalla direttiva 2013/34/UE e dalla direttiva 2014/56/UE, nonché dalla normativa interna di recepimento (d.lgs. n. 39/2010, come integrato dal d.lgs. n. 135/2016), al revisore legale compete unicamente l’attività di revisione legale dei conti e non anche la funzione di vigilanza ex art. 2403 c.c. (propria unicamente del sindaco). Il revisore legale è tenuto al controllo della contabilità ed assume il ruolo di garante della qualità dell’informativa economico-finanziaria dell’impresa revisionata. Il suo incarico è finalizzato ad assicurare la verifica della corretta appostazione dei dati contabili nel bilancio della società e, di conseguenza, della corretta gestione contabile dell’ente, al fine di assicurare la conoscibilità, in capo ai terzi, delle effettive modalità di gestione contabile, dell’effettività del patrimonio, nonché a tutelare l’ordinato svolgimento della concorrenza e del mercato.
Ai sensi dell’articolo 15 dlgs. 39/2010, il revisore legale (e le società di revisione) risponde in solido con gli amministratori nei confronti della società che gli ha conferito l’incarico, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai suoi doveri. Ciò che connota la responsabilità del revisore è proprio quella dell’inadempimento nell’esecuzione del proprio incarico ricevuto dalla società e per tale si intende la mancata o la errata applicazione dei principi di revisione come causa della non correttezza del giudizio espresso, arrecando così un danno sia alla società sottoposta a revisione sia agli utilizzatori del bilancio (così anche, Trib. Milano 29.6.2023, per cui “Le norme del D.Lvo 39/2010 descrivono in modo compiuto l’ambito della verifica demandata dall’ordinamento al revisore contabile e l’ampiezza del dovere di verifica funzionale allo svolgimento di tale compito, che non può non estendersi alla valutazione di coerenza e congruità, sotto il profilo tecnico contabile, di tutte le singole voci del bilancio sociale e delle operazioni rappresentate in contabilità”).
Quindi per far valere la responsabilità nei confronti del soggetto incaricato della revisione legale occorre provare l’inadempienza degli obblighi propri del revisore per violazione dei principi di revisione, senza che il revisore sia tenuto a vigilare su atti di cattiva gestione da parte degli amministratori (compito che spetta al sindaco), resistenza del danno causato dal comportamento degli amministratori e il nesso causa-effetto tra il danno e il comportamento del professionista incaricato.
Nel caso che ci occupa si legge nel ricorso che “La responsabilità dei sindaci e del Revisore viene acclarata già con la relazione al bilancio di esercizio al 31.12.2017, datata 11.02.2019 nella quale detto organo rilevava: “..sussiste incertezza in ordine all’utilizzo della continuità aziendale avendo riscontrato che i piani di risanamento e le azioni correttive adottati dagli amministratori, ad oggi non hanno prodotto gli effetti sperati anche per effetto di fattori esterni alla società, e che le prospettive di riuscire a superare la situazione di crisi sono incerte nell’esito. Le molteplici e rilevanti incertezze correlate ai risultati delle azioni correttive adottate dagli amministratori che ad oggi non hanno prodotto gli effetti sperati in termini di risanamento delle imprese del Gruppo, e le considerazioni espresse dal Revisore Indipendente nei paragrafi della propria relazione intitolati “Dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio” e “Elementi alla base della dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio”, inducono il Collegio Sindacale – a maggioranza – nelle persone del Presidente (omissis) effettivo dichiarare di essere impossibiliti ad esprimere un giudizio sul bilancio chiuso al 31.12.2017. …Il Sindaco Effettivo (omissis) sulla base delle proprie valutazioni, considerato quanto espresso dal Revisore Indipendente, esprime parere non favorevole all’approvazione del bilancio chiuso al 31.12.2017”. Identiche, ricopiate argomentazioni, vengono riproposte dal medesimo Collegio Sindacale (con l’esclusione (omissis) dimessosi in data 7 ottobre 2019 per sopravvenuti impegni personali) nella Relazione al bilancio chiuso al 31.12.2018 (v. pg. 39).
In realtà, proprio nelle relazioni del (omissis) del 5.2.2019 (al bilancio 2017) e dell’1.2.2020 (al bilancio 2018) nei paragrafi “Dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio” e “Elementi alla base della dichiarazione di impossibilità di esprimere un giudizio” (nel quale si dà specificamente conto delle ragioni sottese a detta impossibilità), lo stesso dichiara di non esprimere “un giudizio sul bilancio di esercizio” per non essere “stato in grado di acquisire elementi probativi sufficienti ed appropriati su cui basare” il giudizio. Quindi, in assenza di specifiche contestazioni riguardo alle motivazioni espresse dal revisore circa l’impossibilità di esprimere un giudizio compiuto sui predetti due bilanci si deve escludere che tale determinazione del revisore concreti un suo inadempimento.
Si deve poi escludere che il revisore (omissis) sia responsabile per i predetti atti di mala gestio relativi ai pagamenti preferenziali “Rimborso finanziamento ex soci” e “Rimborso di finanziamenti in favore della (omissis)” poiché, come visto, al revisore non spetta il controllo sugli atti gestori degli amministratori.
10. Sul periculum in mora, è noto che affinché venga autorizzato il sequestro conservativo deve essere accertato il fondato timore del creditore di perdere le garanzie del proprio credito ex art. 671 c.p.c. che può essere desunto alternativamente sia da elementi obiettivi, attinenti alla circostanza qualitativa e quantitativa del patrimonio del debitore in rapporto proporzionale con l’ammontare del credito, sia da elementi soggettivi riguardanti il comportamento processuale ed extraprocessuale del debitore che rendano verosimile l’eventualità di un depauperamento del suo patrimonio ed esprimano l’intenzione di sottrarsi all’adempimento dei propri obblighi, segnatamente ponendo in essere atti dispositivi idonei a provocare l’eventuale svuotamento o riduzione del suo patrimonio, sottraendolo all’esecuzione forzata.
Nella specie, in assenza di elementi soggettivi dai quali desumere il periculum, le difese dei resistenti assumono che l’imponente valore complessivo del patrimonio immobiliare di tutti i resistenti, responsabili in solido, è in grado di garantire il soddisfacimento dell’eventuale risarcimento del danno.
Tuttavia, occorre precisare che, come già deciso in un precedente di questa Sezione Specializzata (ord. 25.7.2018), nell’ipotesi di obbligazione solidale, nella valutazione del pericolo ai fini della concessione della tutela cautelare deve avere riguardo al patrimonio del singolo condebitore e non a quello di tutti i soggetti coinvolti, atteso che ogni diversa conclusione contrasterebbe con la struttura e la ratio della solidarietà, che si tradurrebbe in una difficoltà e non in un vantaggio per il creditore (si pensi al caso dell’esclusione della responsabilità di uno o più dei soggetti convenuti il cui patrimonio è stato considerato al fine di escludere il periculum in mora in cui il patrimonio del soggetto o dei soggetti che invece vengono condannati al risarcimento del danno è incapiente; in analoga materia, la Cassazione ha da tempo chiarito che nel caso in cui l’azione revocatoria sia stata proposta nei confronti di più coobbligati in solido, la valutazione dell’”eventus damni” dev’essere compiuta in relazione a ciascuno dei patrimoni residui singolarmente considerati, dal momento che, potendo il creditore richiedere il pagamento dell’intero a ciascuno dei condebitori, non può assumersi che la sua condizione rimanga invariata qualora, per avere piena soddisfazione, sia tenuto ad escutere più soggetti distinti; sent. Cass. 5252/2024).
A tal proposito, la Suprema Corte ha precisato che l’obbligazione solidale determina la costituzione non già di un unico rapporto obbligatorio con pluralità di soggetti dal lato attivo e/o dal lato passivo, bensì di tanti rapporti obbligatori, fra loro distinti, quanti sono i condebitori in solido (tra le altre, Cass. n. 379/2005; Cass. n. 4364/2001). Quindi, l’obbligazione solidale si fraziona, anche fuori dai casi di beneficio di escussione, in una pluralità di rapporti corrispondenti al numero degli obbligati, ognuno avente ad oggetto l’intera ed identica obbligazione ed a ciascuno di tali rapporti è correlata la garanzia generica del patrimonio di ogni condebitore, ex art, 2740 c.c. con i poteri che al creditore competono a tutela della garanzia medesima, compreso il sequestro conservativo (in questi termini, anche Trib. Napoli, 7.7.2006). D’altronde, ai sensi dell’art. 1292 c.c., ove non sia diversamente stabilito, il creditore è libero di agire per 1’adempimento per la totalità nei confronti di ciascuno dei debitori.
Quindi, per verificare la sussistenza del pericolo di perdita della garanzia patrimoniale ex art. 671 c.p.c. occorre avere riguardo al patrimonio di ciascuno dei resistenti rispetto ai quali si è ritenuto sussistere il fumus boni iuris e nei limiti di questo.
Il sindaco (omissis) (ritenuto responsabile per € 120.000,00) appare titolare di un patrimonio immobiliare, consistente nella piena proprietà di tre appartamenti in Bari ed uno in Bernalda, che, anche come si desume dalla perizia dalla sua difesa prodotta, è sufficiente a garantire il credito risarcitorio della Curatela.
Quanto agli altri resistenti, anche tenendo conto delle perizie di parte da questi depositate, alcuno di loro è titolare individualmente di un patrimonio che possa garantire l’entità del risarcimento del danno in precedenza determinato. Pertanto, il sequestro conservativo va autorizzato nei confronti di (omissis) resisi responsabili, per quanto esposto, della violazione di doveri inerenti alla rispettiva carica.
In particolare, il sindaco (omissis) è titolare di un usufrutto/diritto di abitazione su un immobile in Bari che non appare da solo sufficiente a garantire il credito risarcitorio per € 102.000,00, visto che nell’atto di donazione di questo immobile del 2.8.2007 il valore dello stesso è indicato in € 44.535,00.
Infine, sul requisito del periculum in mora, non colgono nel segno le difese dei resistenti che lamentano che la Curatela ricorrente ha introdotto il giudizio cautelare dopo due anni dall’apertura della procedura fallimentare, poiché tale lasso temporale non ha fatto venir meno le già prospettate esigenze cautelari.
11. Restano assorbite in questa fase le ulteriori questioni sollevate dalle parti.
12. Si rimette al merito del giudizio la regolamentazione delle spese di lite.
Trib. Bari, ord., 24.04.2025