Commerciale – Crisi d’impresa – Ammissibilità della domanda di ammissione al passivo nella procedura di amministrazione straordinaria

Commerciale – Crisi d’impresa – Ammissibilità della domanda di ammissione al passivo nella procedura di amministrazione straordinaria

Con ricorso depositato in data 5 luglio 2024 (omissis) espone di essere proprietaria dell’immobile sito in .. (nel quartiere denominato .., a poca distanza dallo stabilimento industriale .. e dai suoi parchi minerali), piano terra, in catasto al foglio .., particella .. , sub. .., cat. .. classe .. , vani .. , avendolo acquistato in data 30 novembre 2015, e in cui risiede dal 1994. Il fabbricato, secondo la prospettazione di parte ricorrente, in ragione della sua posizione a ridosso dello stabilimento industriale, e stato danneggiato nel temsoggetto all’aggressione costante dalle polveri minerali che fuoriescono dall’acciaieria e che vengono continuamente sversate nell’atmosfera durante i processi di produzione industriale all’interno dell’area “parchi minerali”

Per queste ragioni, l’istante ha ritenuto di azionare un credito risarcitorio nei confronti di (omissis) per l’asserita riduzione di valore che l’immobile avrebbe subito dal novembre 2015 lino alla data della domanda.

Con decreto del 4 giugno 2024, il Giudice Delegato Dott.ssa Vincenza Agnese, in adesione al progetto di stato passivo proposto da Commissari Straordinari, ha escluso il credito con la seguente motivazione: “Escluso per €23.000,00 trattandosi di pretesa risarcitori a, non oggetto di transazione tra le part, contestata dall’Amministrazione Straordinaria, non adeguatamente provata e, comunque, necessitante di approfondimenti istruttori non compatibili con la presente cede sommaria”.

Quali motivi di opposizione e di richiesta di riforma del provvedimento adottato la ricorrente .. nel ricorso proposto ex art.98 L. fall., ha esposto che:

– il fabbricato di cui e proprietaria e danneggiato, imbrattato e soggetto all’aggressione costante delle polveri minerali che fuoriescono dallo stabilimento industriale .., necessitando di importanti lavori di manutenzione con cadenza straordinaria;

– la domanda de qua quand’anche ultratardiva e ammissibile in ragione della prosecuzione dell’attività dannosa di intollerabile immissione di polveri, senza soluzione di continuità dal 2015 (anno di acquisto dell’immobile di cui a causa) anche durante la procedura concorsuale e sino all’attualità;

– le immissioni, continuate nel tempo, integrano un illecito permanente il cui danno non e stato di immediata percezione, richiedendo un accertamento della intollerabilità dell’attività immissiva e dell’antigiuridicità della condotta;

– il credito azionato non e prescritto, neppure in parte, stante che il termine prescrizionale comincia a decorrere per univoca giurisprudenza “dalla prima manifestazione del danno” che non può farsi risalire al primo evento immissivo del gennaio 2015. Infatti, in tema di illecito istantaneo con effetti permanenti la prescrizione inizia decorrere da ogni giorno successivo a quello in cui il danno si e manifestato e comunque dal momento in cui il danneggiato ha contezza della sua risarcibilità;

– sussiste la legittimazione passiva di (omissis) anche per i danni successivi al 1° novembre 2018, a nulla rilevando che dalla già menzionata data l’impianto sia stato condotto in affitto da altro soggetto, rimanendo la procedura proprietaria dell’area, dei beni e dei macchinari costituenti l’azienda, con conseguente responsabilità nei confronti dei terzi. Inoltre, (omissis) mantiene il pieno possesso di intere aree escluse dal contralto di affitto e dalle quali non può escludersi la provenienza delle polveri che offendono l’abitato tarantino;

– è stata fornita prova dell’esistenza di costanti immissioni di polvere e di altre sostanze provenienti dallo stabilimento siderurgico di (omissis) e del danno patito dai cittadini residenti nel quartiere (omissis) per mezzo di copiosa documentazione nonché a mezzo della giurisprudenza consolidatasi e passata in giudicato in diversi Tribunali italiani;

– l’intollerabilità delle immissioni deve ritenersi provata anche alla luce di quanto statuito dalla Suprema Corte con sentenza n. 18810/2021, costituendo l’attività immissiva dell’impianto siderurgico “fatto notorio”;

– è documentato che le opere previste dal Piano Ambientale, al fine di evitare le immissioni di polveri che pregiudica la vivibilità dei luoghi, si sono rivelate incapaci di ridurre il fenomeno dello spolverio sull’abitato. Peraltro, a causa del cambiamento climatico e dei sempre più frequenti eventi estremi, il disagio anche e divenuto ancor più insopportabile, aggravato dal fatto che molte aree dello stabilimento sono ancora prive di copertura che eviti il già menzionato fenomeno;

– ai fini della quantificazione del credito risarcitorio azionato e stato utilizzato il criterio equitativo adottato dalla giurisprudenza in analoghi giudizi, nei quali era stato riconosciuto a favore di alcuni residenti del quartiere un danno pan al 20 % di valore dell’immobile per il periodo ante 2015. Tale criterio deve essere, tuttavia, corretto da ulteriore indice incrementale volendosi evitare che gli indennizzi siano di molto inferiori ed incongrui rispetto a quelli liquidati per i danni subiti nel periodo predetto.

Con memoria, depositata in data 14 gennaio 2025, si è costituita (omissis), in persona dei Commissari Straordinari, contestando la ricostruzione avversaria ed insistendo per il rigetto dell’opposizione, per i seguenti motivi:

– l’opposizione e inammissibile in quanto ultratardiva essendo stata proposta ben oltre il termine annuale di cui all’articolo 101 L. fall., senza che sia stata fornita prova della non imputabilità a parte ricorrente del ritardo nella proposizione della domanda. Anche assumendo, come nella prospettazione avversaria, che la percezione dell’antigiuridicità del comportamento e del danno sia intervenuta solo dopo 5 anni da primo fenomeno immissivo da parte di (omissis) (del 21 gennaio 2015 – data di ammissione di .. alla procedura di amministrazione straordinaria), il termine annuale sarebbe in ogni caso decorso;

– oltre che inammissibile la domanda, e altresì parzialmente prescritto il diritto risarcitorio azionato, considerato che nell’illecito permanente da un lato il diritto al risarcimento del danno sorge, continuativamente, via via che il danno si produce, ma dall’altro ugualmente si prescrive in modo continuativo se non esercitato entro 5 anni dal momento in cui si verifica;

– difetta la legittimazione passiva di (omissis) poiché gli eventuali fenomeni immessivi occorsi successivamente al 1° novembre 2018 devono imputarsi ad (omissis)., che in tale data ha iniziato a condurre in affitto il complesso produttivo;

– non è configurabile a carico della procedura resistente un’automatica responsabilità in qualità di proprietaria per i danni cagionati da condotta dell’affittuario dell’impresa, atteso che la responsabilità ex art.2051 c.c. implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all’evento lesivo. L’ulteriore l’assunto secondo cui sussisterebbe la legittimazione passiva della resistente in ragione del fatto che eventuali immissioni potrebbero derivare dalle aree escluse dal contratto di affitto con (omissis) è del tutto indimostrato;

– risulta assolutamente carente la prova in ordine all’ an della pretesa creditoria. Non può essere condivisa la ricostruzione di parte avversaria nella parte in cui asserisce che le immissioni, legate allo spolverio, costituisce “fatto notorio” sia perché non costituisce cognizione comune e generale in possesso della collettività nel tempo e nel luogo della decisione sia perché i precedenti giurisprudenziali – che ad avviso di parte ricorrente determinerebbero la notorietà del fatto – si riferiscono a fenomeni immessivi occorsi in un periodo temporale antecedente alla data di apertura dell’Amministrazione straordinaria. Durante il periodo di amministrazione straordinaria, inoltre, i limiti emissioni non risultano essere stati mai superati dalla procedura ne tanto meno e stata data prova del fatto contrario volto a dimostrare il superamento dei normali livelli di tollerabilità di cui all’articolo 844 c.c. durante il periodo di amministrazione straordinaria a cui la società che gestisce l’impianto siderurgico e sottoposta;

– neppure e dimostrato il nesso causale tra i lamentati fenomeni di spolverio e la svalutazione degli immobili potendo quest’ultimo essere stato determinato da altri fattori condizionanti di carattere generale e non legati ai fenomeni di spolverio lamentati dall’opponente. Le allegazioni di parte ricorrente, inoltre, sono prive di qualsiasi specificità idonea a dimostrare le conseguenze pregiudizievoli delle immissioni sull’immobile per il quale a causa;

– l’immobile in parola a stato acquisito da parte ricorrente nel novembre 2015 in condizione di piena consapevolezza della situazione di degrado ambientale in cui versava il quartiere .., circostanza quest’ultima che ha influito sulla determinazione del prezzo di acquisizione dell’immobile de quo. La ricorrente si e, dunque, esposta volontariamente alle conseguenze patrimoniali negative derivanti dalla situazione di grave inquinamento ambientale del quartiere, accertata già alla fine dell’anno 2005;

– sotto il profilo della quantificazione equitativa del danno la previsione dell’art. 1226 c.c. interviene quando vi sia certezza del fatto generatore e sia impossibile provare l’ammontare preciso del danno stesso. Parte ricorrente avrebbe dovuto non solo allegare i valori OMI riferibili al primo semestre 2015 e al secondo semestre 2020 ma anche avrebbe dovuto indicare i valori immobiliari medi nella citta di Taranto, di modo da decurtare dalla percentuale di diminuzione di valore quella non specificamente ascrivibile ai fenomeni immissivi lamentati. E ancora, la valutazione del danno non dovrebbe ignorare il generale degrado economico e sociale in cui ormai da decenni purtroppo versa il quartiere (omissis) anche per cause che nulla hanno a che fare con fenomeni di spolverio ovvero, più in generale, con (omissis) .

Nel corso del procedimento e stato autorizzato uno scambio di memorie difensive e all’udienza del 7 maggio 2025 il Giudice ha trattenuto il contenzioso in riserva per la decisione collegiale.

Osserva preliminarmente il Collegio che, in via generale, lo spartiacque annuale per la proposizione delle domande tardive, nella previsione della legge fallimentare, e fissato a pena di decadenza.

Dal decorso dei dodici mesi sorge una presunzione di inammissibilità della domanda che il creditore può superare soltanto se dimostra che il ritardo e in concreto dipeso da una causa a lui “non imputabile”.

La non imputabilità dell’impedimento subito e, dunque, il fatto costitutivo (Cass. 5 settembre 2018 n.21661) di quella che e una forma di rimessione in termini.

La formula impiegata dall’art. 101, co. 4, L. fall e significativamente la stessa che si rinviene nell’art. 1218 c.c.; viene mutuata la nozione di “causa non imputabile” contemplata dalla norma paradigmatica sull’adempimento delle obbligazioni. Questo significa che chi agisce deve esporre e documentare circostanze utili ad escludere l’ascrivibilità a se dell’impedimento che ha inibito la presentazione tempestiva della domanda sintagma “causa non imputabile”, peraltro, rimanda a fattori estranei alla volontà della parte, richiama i concetti di forza maggiore, caso fortuito ed errore incolpevole di fatto, che e l’errore riferibile all’interessato, non evitabile usando la normale diligenza.

Aggiunge ancora la Cassazione che, affinché sia ammissibile una domanda oltre il termine annuale e pure indispensabile che questi eventi, che trascendono dal controllo dell’istante, presentino il carattere dell’assolutezza, e non già dell’impossibilita relativa o ancor più di una mera difficolta (Cass. 6 novembre 2023 n. 30846).

Sintetizzando il principio, il creditore non deve aver provocato – neppure indirettamente – l’inosservanza del termine, deve averla unicamente subita.

Tuttavia, ciò non è ancora sufficiente.

La Suprema Corte si è anche curata di precisare che, una volta che il diritto alla proposizione della domanda può essere esercitato dal creditore supertardivo, la domanda deve comunque essere proposta entro un preciso recinto temporale, individuato nel termine di un anno decorrente dal momento in cui si verificano le condizioni per la partecipazione al passivo fallimentare ovvero dalla maturazione del credito, e questo coerentemente con le regole processuali del sistema delle insinuazioni, alla luce dei principi costituzionali di parità di trattamento di cui all’art. 3 Cost. e del diritto di azione in giudizio di cui all’art. 24 Cost. (v. Cass., 13 maggio 2021, n. 12735Cass., 2 febbraio 2021, n. 2308Cass., 17 febbraio 2020, n. 3872).

Tanto considerato in via di principio, preme ora chiarire che, invero, nella specie, l’istante lamenta l’esistenza di un danno permanente, di natura prededotta perché sorto nel corso del procedimento (essendo stato l’immobile acquistato in corso di procedura), consistente nel deprezzamento dell’immobile di cui è proprietaria, cagionato dall’attività svolta dall’acciaieria che, inquinando, avrebbe determinato una perdita di valore del proprio cespite a far tempo dall’acquisto (novembre 2015) sino all’attualità (data di deposito della domanda- novembre 2023).

Tuttavia, rileva evidenziare che (omissis), ammessa all’amministrazione straordinaria il 21 gennaio 2015, a far tempo da 1° novembre 2018, ha affittato il complesso produttivo di cui è proprietaria a (omissis), cessando da tale data, di esercitare l’attività asseritamente inquinante che avrebbe cagionato il danno lamentato dall’istante. Il passaggio di consegne nella gestione del complesso produttivo è fatto pubblico notorio, ammesso pacificamente da parte ricorrente.

Per tale ragione, il credito risarcitorio vantato da (omissis) nei confronti di (omissis), nel caso in cui ne fosse accertata l’esistenza, dovrebbe al più riguardare l’arco temporale che decorre dal 30 novembre 2015, data di acquisto dell’immobile di cui è causa, al 1° novembre 2018, anno nel quale l’odierna resistente ha cessato di esercitare l’attività inquinante e, quindi, di cagionare il danno lamentato.

La domanda di ammissione allo stato passivo di (omissis) avrebbe, perciò, dovuto essere proposta, al più tardi, entro un anno dal trasferimento della gestione dell’acciaieria ad (omissis) e, quindi, entro il 31 ottobre 2019 termine che si pone già a distanza di 4 anni dall’acquisto dell’immobile di cui è causa, arco temporale certamente sufficiente per una percezione del danno e della svalutazione del cespite (anche considerato che la ricorrente ha dedotto di abitare nel medesimo immobile dal 1994).

Orbene, atteso che l’istanza di ammissione allo stato passivo è stata avanzata solo in data 18 novembre 2023, quindi ben 5 anni dopo la fuoriuscita di .. dalla gestione del sito produttivo, la domanda riferita al periodo 30 novembre 2015/1° novembre 2018 è da ritenersi ultra-tardiva e, quindi, senz’altro inammissibile.

Quanto al periodo successivo (dal novembre 2018 sino alla proposizione della domanda nel novembre 2023), prospetta in via gradata parte ricorrente la persistenza di una responsabilità di (omissis) per il danno determinatosi, responsabilità che tuttavia sarebbe di altra natura, non più come esercente dell’attività inquinante, bensì unicamente nella sua qualità di proprietaria del sito produttivo, essendo stata l’attività produttiva trasferita ad (omissis).

Sul punto è possibile richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza europea e fatti propri anche da quella nazionale che, nel corso degli anni, si sono interrogate sulla possibilità di configurare una forma di responsabilità in capo al proprietario del sito inquinante che non ha direttamente cagionato l’inquinamento (ex multis, Cons. St. sent. n. 4248 del 2020CGUE sent. n. 534/2015).

In particolare, è stato chiarito che laddove il danno si sia verificato a causa della condotta di un terzo, sul proprietario incolpevole non grava alcun obbligo di recupero ambientale.

Tale assunto discende, innanzitutto, dalla Direttiva n. 2004/35/CE che declina i principi comunitari del “chi inquina paga” e di precauzione e fornisce indici ermeneutici di rilievo sistematico.

In applicazione della menzionata Direttiva, deve ritenersi che il proprietario incolpevole non possa essere chiamato a rispondere per la condotta inquinante a titolo di oggettiva responsabilità imprenditoriale, cioè, gravante su di esso in ragione del mero dato dominicale (cfr. T.A.R. Roma, 4 maggio 2020, n. 4590).

In tal senso si sono espresse anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U. 1 febbraio 2023 n. 3077), statuendo che a carico del proprietario del sito inquinato che non abbia direttamente causato il danno non può essere imposto l’obbligo di eseguire le misure di messa in sicurezza di emergenza e di bonifica, possedendo le misure anzidette una connotazione ripristinatoria di un danno già prodottosi che le rende non assimilabili alle misure di prevenzione che, viceversa, il proprietario del sito è obbligato ad assumere in quanto idonee a contrastare un evento di danno non ancora realizzatosi.

Pertanto, se in virtù del principio di derivazione europea del “chi inquina paga” il proprietario che non ha cagionato l’inquinamento non ha l’obbligo di bonifica e di messa in sicurezza del sito danneggiato (in quanto misure aventi natura ripristinatoria) poiché non ritenuto soggetto responsabile, a fortiori non può essergli imposto l’obbligo di risarcire i danni che quell’inquinamento ha cagionato in capo a terzi, in quanto rimedio avente il medesimo connotato ripristinatorio.

Peraltro, il codice dell’ambiente (D.lgs. n. 152/2006) individua compiutamente gli obblighi che sussistono in capo al proprietario incolpevole e questi sono limitati a quanto previsto dall’art. 253 D.lgs. n. 152/2006 in tema di oneri reali e privilegi speciali immobiliari.

La menzionata sentenza della Corte resa a Sezioni Unite precisa, altresì, che al proprietario che non abbia causato l’inquinamento sono inapplicabili anche i criteri di imputazione della responsabilità aquiliana di cui agli artt. 2050 e 2051 c.c., dal momento che la disciplina definita nel Codice dell’ambiente ha carattere di specialità rispetto alle norme del Codice civile che contemplano la specifica posizione del proprietario incolpevole.

Ne consegue che l’obbligo di adottare le misure utili a fronteggiare la situazione di inquinamento rimane unicamente a carico di colui che di tale situazione sia stato responsabile per avervi dato colposamente o dolosamente causa, non potendosi addossare al proprietario incolpevole dell’inquinamento alcun obbligo né di bonifica, né di reintegro nei confronti dei terzi.

A tale conclusione si addiverrebbe, peraltro, anche facendo applicazione degli ordinari principi sanciti dalle norme del Codice civile in tema di responsabilità aquiliana, anche se nel caso di specie non applicabili in quanto recessivi rispetto alla menzionata normativa speciale.

L’art. 2051 c.c., sulla responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato. La funzione della norma è quella di imputare la responsabilità in capo a chi si trova nella condizione di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo perciò considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non, quindi, necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta (Cass. 20 novembre 2005. n. 26086).

In altri termini, i tratti salienti della responsabilità ex art. 2051 c.c. sono costituiti, sul piano causale, dalla derivazione del danno da una situazione di pericolo connessa in modo immanente alla res e, sul versante soggettivo dell’imputazione della responsabilità, dall’esistenza di un potere di fatto, effettivo, sulla res che consenta di intervenire per impedire o rimuovere le anzidette situazioni di pericolo: potere che, nel caso di specie, (omissis) non aveva più a causa del subentro nella gestione dell’attività dell’acciaieria da parte di..

Le medesime considerazioni possono essere svolte anche rispetto alla responsabilità per l’esercizio di attività pericolose di cui all’art. 2050 c.c.

Difatti, anche tale ipotesi presuppone l’esercizio di una attività pericolosa in capo al soggetto danneggiante che viene, quindi, chiamato a rispondere del danno che cagiona con lo svolgimento dell’attività pericolosa: esercizio che, come rilevato, non competeva più in capo all’odierna resistente.

La presunzione di colpa a carico del danneggiante, posta dall’art. 2050, presuppone il previo accertamento dell’esistenza del nesso eziologico, la prova del quale incombe al danneggiato, tra l’esercizio dell’attività e l’evento dannoso, non potendo il soggetto agente essere investito da una presunzione di responsabilità rispetto ad un evento che non è ad esso riconducibile in alcun modo (cfr. Cass. 27 luglio 2012 n.13397).

Accenna, infine, parte ricorrente al possibile nesso causale tra il danno da deprezzamento dell’immobile e le immissioni che potrebbero essere derivate dalle porzioni immobiliari di proprietà di .. rimaste estranee al contratto di affitto ad (omissis) .Tuttavia, tale deduzione si rivela del tutto generica e priva di adeguato supporto fattuale o argomentativo, risultando, dunque, inidonea a fondare alcun apprezzamento giuridico, atteso che – in realtà – la prospettazione del danno è integralmente riferita all’attività svolta dall’acciaieria e non alle porzioni immobiliari non adibite a tale specifica destinazione produttiva.

Tanto considerato, anche per il danno dedotto che si sarebbe determinato con riferimento al periodo novembre 2028-novembre 2023 la domanda non può trovare accoglimento.

Su un piano ulteriore, è altresì opportuno evidenziare che un danno patrimoniale da deprezzamento dell’immobile non è nel caso di specie neppure astrattamente ipotizzabile, dal momento che il bene del quale si discute appartiene ad una peculiare categoria di immobili, di edilizia popolare, che soggiace alle regole previste dalla legge n. 560/1993 (comprese significative limitazioni alla successiva vendita), è stato acquistato quando già (omissis) era in amministrazione straordinaria, nel novembre del 2015, ad un prezzo fortemente esiguo (€ 31.958,08), sia in quanto calmierato dalle regole dell’edilizia popolare, sia in virtù dell’ubicazione in zona in allora notoriamente insalubre, come documentato dalla stessa parte ricorrente.

Il pregiudizio ha inciso anticipatamente, pertanto, sul valore del bene già in fase di determinazione del prezzo di compravendita. Ciò esclude la configurabilità di un pregiudizio patrimoniale successivo, non essendovi un reale diminuzione di valore rispetto al parametro di raffronto rappresentato dal prezzo vantaggioso originario.

In altre parole, il valore di partenza del bene teneva già conto della situazione ambientale e della criticità dell’area di riferimento. In tal senso l’immobile è stato comperato ad un prezzo particolarmente basso proprio in quanto situato in un territorio contrassegnato notoriamente dalla presenza di fattori negativi. Il danno potenziale si è allora tradotto in uno specifico prezzo di mercato del bene al momento dell’acquisto; detto prezzo così contenuto in termini assoluti ha, per un verso, incorporato il pregiudizio, per altro verso, lo ha assorbito.

Il prezzo pagato già rifletteva il rischio ambientale e la condizione deteriore del perimetro topografico, tanto che il corrispettivo concordato di fatto ha del tutto neutralizzato il pregiudizio ora lamentato.

Per tutto quanto esposto, l’opposizione non può che essere rigettata.

La complessità e novità delle questioni giuridiche affrontate legittima l’integrale compensazione tra le parti delle spese di lite.

Trib. Milano, II civ e crisi d’impresa, decr., 12.06.2025, n. 4771

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