Autorizzazioni e concessioni – Occupazione abusiva del demanio marittimo e obbligo di sgombero

Autorizzazioni e concessioni – Occupazione abusiva del demanio marittimo e obbligo di sgombero

1. Il ricorso è infondato.

2. Non merita accoglimento il primo motivo, a mezzo del quale si contesta la mancata (reiterazione della) comunicazione di avvio del procedimento e il difetto di motivazione.

2.1. Al riguardo, anche a voler trascurare che l’Amministrazione – dopo aver adottato un primo ordine di rimozione delle opere abusivamente realizzate su area demaniale nel 2010, nei confronti di precedenti proprietari – aveva già trasmesso la comunicazione ex art. 7 l. n. 241/1990 nel 2012 nei confronti della sig.ra -OMISSIS- basti osservare che “costituisce jus receptum che il provvedimento avente natura di atto vincolato – come quello in esame – non necessita di essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990, in quanto non è prevista, in capo all’amministrazione, la possibilità di effettuare valutazioni di interesse pubblico influenzabili da una fattiva partecipazione del soggetto destinatario, anche al fine di evitare l’inutile aggravio del procedimento (ex multis, Cons. Stato, Sez. IV, 22.08.2018, n. 5008). Per l’effetto, lo stesso non può essere invalidato per omessa osservanza delle norme che disciplinano la partecipazione endoprocedimentale del privato, ciò anche alla luce di quanto stabilito dall’art. 21-octies, secondo comma, primo periodo, l. n. 241/1990, essendo palese che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello concretamente adottato” (Cons. Stato, sez. VII, 21 ottobre 2022, n. 8993; in materia cfr., ex multis, anche il precedente della sezione, 23 ottobre 2023, n. 15572).

2.2. Dalla natura vincolata dell’atto discende, ulteriormente, l’insussistenza del vizio motivazionale allegato.

Sul punto, è sufficiente richiamare l’orientamento del Consiglio di Stato, da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi, secondo cui “i provvedimenti di demolizione sono atti vincolati il cui presupposto è costituito esclusivamente alla sussistenza di opere abusive; per la adozione di tali atti non è richiesta, quindi, una specifica motivazione circa la ricorrenza del concreto interesse pubblico alla rimozione, in quanto, verificata la sussistenza dei manufatti abusivi, l’amministrazione ha il dovere di adottare il provvedimento, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato compiuta a monte dal legislatore” (Cons. Stato, n. 8993/2022, cit., che rinvia a Cons. Stato, sez. II, 5 luglio 2019, n. 4662; cfr. in materia, tra gli altri, anche il precedente della Sezione, 3 aprile 2025, n. 6689).

3. È infondato anche il secondo motivo di ricorso, a mezzo del quale, in sostanza, si pone in dubbio l’appartenenza al demanio marittimo dell’area che il Comune assume abusivamente occupata.

In primo luogo, non merita accoglimento la censura per cui il Comune di Pomezia non avrebbe potuto fondare l’ordine di rimozione sugli estratti cartografici del SID – Sistema informativo del demanio marittimo e sulle risultanze catastali, ma avrebbe dovuto fare affidamento sulle sole risultanze del procedimento di delimitazione ex art. 32 cod. nav.

Come già chiarito in giurisprudenza:

– [i]l procedimento di delimitazione di un’area demaniale marittima ai sensi dell’art. 32 cod. nav. postula l’esistenza di un’obiettiva incertezza in ordine ai suoi confini (non essendo quindi a tal fine sufficiente una semplice non documentata asserzione della natura privata dell’area oggetto del provvedimento di autotutela), incertezza che il suddetto procedimento si propone di superare con l’accertamento dell’esatta posizione dei confini stessi (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 21 settembre 2006, n. 5567, C.g.a. 21 aprile 2010, n. 538). In particolare, secondo la prevalente giurisprudenza, le risultanze catastali ben possono costituire idoneo supporto istruttorio per individuare eventuali casi d’illegittima occupazione dei beni demaniali (o dei terreni collocati nelle fasce di rispetto), atteso che, a termini dell’art. 950 c.c., le mappe catastali rappresentano comunque mezzi di prova dotati di sufficiente grado di attendibilità (cfr. T.A.R. Calabria – Catanzaro, sez. II, 4 giugno 2007, n. 675)” (Tar Lazio, sez. II-quater, 31 luglio 2018, n. 8566);

– “il procedimento di delimitazione del demanio marittimo costituisce una mera facoltà e non un obbligo per l’amministrazione, la quale può essere esercitata sul presupposto che esista un ragionevole dubbio in ordine all’esatto confine del bene demaniale; ne consegue l’illegittimità di un ordine di sgombero non preceduto dall’effettuazione dello speciale procedimento in questione nel caso in cui ricorra un’oggettiva incertezza, da superare mediante un formale contraddittorio sull’esatta posizione dei confini (così Cons. giust. amm. 9 aprile 2018, n. 215 e giurisprudenza ivi richiamata; v. anche Cons. giust. amm. 10 febbraio 2014, n. 68). Tale esigenza non ricorre nel caso in cui non sussista alcun dubbio, in relazione sia alle risultanze catastali, sia alla loro coincidenza con le misurazioni effettuate in loco (Cons. Stato, sez. VII, 23 gennaio 2025, n. 502; cfr. anche ex multis i precedenti della Sezione n. 6689/2025, cit., e 16 maggio 2025, n. 9372 e giur ivi richiamata).

Orbene, dalla lettura del provvedimento emerge come l’Amministrazione indichi con specificità le aree demaniali abusivamente occupate (cfr. doc. n. 10, relazione di sopralluogo prot. 17 febbraio 2023, n. 18108, e relativi allegati, nonché doc. n. 1, verbale prot. n. 0621 del 2009 della Guardia Costiera) affidandosi alle risultanze del SID – Sistema informativo del Demanio Marittimo e a misurazioni effettuate nel 2009 e nel 2022 nel corso di appositi sopralluoghi.

Per un verso, “[q]uanto alla validità del S.I.D., ossia la cartografia aerofotogrammetrica riportante l’attuale consistenza e insistenza delle opere nella fascia del demanio, va rilevato che tale nuova modalità di misurazione delle aree demaniali consta di una banca dati integrata capace di gestire dati di natura cartografica e amministrativa, descrivendo l’estensione dei beni censiti, sicché l’univoca identificazione dei beni del demanio marittimo sul territorio comporta la ricostruzione documentata della linea giuridica che separa il demanio marittimo dalla proprietà di terzi (T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 29 aprile 2014, n. 1124)” (Tar Lazio, n. 8566/2018, cit.; cfr. sul punto anche Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2015, n. 4109).

Per altro verso, non sono stati prodotti elementi sufficienti a far desumere la dedotta incertezza dei confini invocata dalla parte ricorrente, atteso che la stessa si è limitata:

a) ad asserire (senza nulla dimostrare) che “le operazioni di riordino fondiario e di istituzione del catasto dei beni demaniali marittimi che hanno generato il SID [sarebbero] state curate in un contesto di dubbia legalità […] e con procedimenti di altrettanto dubbia attendibilità” (p. 9, ricorso);

b) a sostenere che le aree occupate nel caso di specie sarebbero allocate – per la maggior parte – nella particella 2402 (classificata come “ente urbano”) e, solo in minima parte, nella particella 2157 (intestata al demanio).

Invero, alcuna rilevanza ai fini in questione può essere attribuita alla catalogazione di una particella alla stregua di “ente urbano”, essendo tale dicitura semplicemente indicativa della presenza di fabbricati; “la classificazione di ‘ente urbano’ dell’area […è] element[o] insufficient[e] a definire il carattere privatistico della zona” (Tar Lazio, sez. II-ter, 3 novembre 2009, n. 10782; “È stato […] chiarito (cfr. nota dell’Agenzia del territorio, prot. 2871 in data 8 ottobre 2004) come l’iscrizione catastale […] alla classe ‘ente urbano’ designi tutti i fabbricati censiti al catasto urbano, cosicché non assume alcun significato in ordine alla natura dell’ente proprietario o dei diritti che insistono sull’area”, Tar Umbria, 10 marzo 2005, n. 83; cfr. sul punto anche le indicazioni dell’Agenzia del demanio, doc. 12, in atti).

Né, ai medesimi fini, potrebbe rilevare la consulenza tecnica, in atti, espletata nell’ambito di altro giudizio (tra parti diverse rispetto a quelle odierne e dinnanzi al giudice ordinario) e, comunque, in relazione ad altro immobile, atteso, peraltro, che l’unico dato in ipotesi ricavabile dalla stessa – ovverosia l’imprecisione della delimitazione operata ex art. 32 cod. nav. nel 1926 – a tacer d’altro (e fermo restando che l’ordine qui gravato si fonda sulle “misurazioni effettuate” in sede di sopralluogo e sulla “verifica delle mappe catastali del S.I.D.”), non sarebbe comunque utile a corroborare la posizione di parte ricorrente, invocando quest’ultima proprio l’applicazione delle risultanze del menzionato procedimento risalente al 1926, della cui perdurante validità il consulente dubita (cfr. p. 8, ricorso, laddove si legge: “il tratto di costa che ci occupa risulta essere stato oggetto di formale procedimento di delimitazione ex art. 32 cod nav. nell’anno 1926 e dunque è solo e solamente alle risultanze di detto procedimento che deve aversi riguardo per individuare la cd. dividente demaniale”).

Deve, infine, escludersi che la documentazione in atti (invero parziale, cfr. l’estratto “schema planimetrico”, all. 5) consenta di eliminare ogni dubbio in ordine al fatto che le opere dichiarate abusive fossero state, a loro tempo (nel 1955), regolarmente realizzate.

4. In ragione di tutto quanto esposto, il provvedimento impugnato risulta esente dai vizi rilevati da parte ricorrente.

5. Il ricorso va, pertanto, respinto.

6. Le peculiarità del caso, come emergenti in atti, giustificano la compensazione delle spese di lite.

TAR LAZIO – ROMA, V TER – sentenza 05.09.2025 n. 16042

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