1. Con ordinanza n. 9/2023 del 21 novembre 2023, impugnata dinanzi a questo Tribunale con ricorso pendente sub R.G. n. 3392/2024, il Comune di Rieti ingiungeva la demolizione di una serie di strutture abusivamente realizzate nell’area esterna di pertinenza di un immobile condotto in locazione dalla M.A.R. S.r.l.s., che vi esercita attività di commercio al dettaglio (nell’ambito del settore non alimentare) in forza di autorizzazione n. 11/M, rilasciata dal medesimo Comune in data 15 novembre 2004.
2. Con successiva ordinanza prot. n. 22101 del 28 marzo 2024 l’amministrazione ordinava alla Società di cui sopra la cessione immediata dell’attività di vendita svolta abusivamente “limitatamente alle aree/locali non ricompresi nell’autorizzazione n. 11/M del 15.11.2004” e l’immediato ripristino della loro precedente destinazione d’uso, avendo riscontrato, in sede di sopralluogo, l’avvenuto ampliamento della superficie di vendita del suddetto esercizio commerciale realizzata “utilizzando, allo scopo, l’area di pertinenza esterna e i locali interrati non ricompresi nell’autorizzazione n. 11/M del 15.11.2004”.
3. Con il presente ricorso, notificato in data 17 maggio 2024 e depositato il 6 giugno 2024, la Società è insorta averso l’ordinanza prot. n. 22101/2024, deducendo un unico motivo, rubricato “Violazione dell’art. 97 Cost. Violazione e falsa applicazione del D.lgs. 267/2000; Eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e sviamento, nonché per illogicità manifesta. Violazione dei principi di legalità, proporzionalità e ragionevolezza per non avere l’Ente comunale atteso l’esito del giudizio già instato con ricorso R.G. n. 3392/2024 – Tar Lazio – Sede di Roma circa l’annullamento del provvedimento di demolizione e ripristino. Violazione e falsa applicazione del D.lgs. 114/1998 per manifesta incompetenza dell’organo adottante il provvedimento di cessazione dell’attività commerciale. Ingiustizia manifesta”.
In sintesi, la ricorrente lamenta: i) difetto di motivazione in violazione del principio di legalità di cui all’art. 1, co. 1 l. n. 241/1990, trattandosi di atto non vincolato che non darebbe conto del prevalente interesse pubblico perseguito, avendo peraltro il Comune di Rieti già emesso pregressa ordinanza di demolizione e ripristino in relazione alle opere edilizie asseritamente abusive; ii) falsità dei presupposti, non avendo l’amministrazione tenuto conto che le aree ove è stato contestato l’abusivo esercizio dell’attività di vendita sarebbero in realtà destinate a mero deposito temporaneo di merci ed esposizione; iii) adozione dell’ordine di cessazione dell’attività in pendenza del ricorso incardinato avverso l’ordinanza di demolizione n. 9/2023, con conseguente mancanza di “evidenza giudiziale” dell’abuso; iv) genericità della gravata ordinanza, non rinvenendosi dal suo contenuto testuale quale dovrebbero essere le aree/locali non ricompresi nell’autorizzazione n. 11/M del 15.11.2004, di cui si chiede ripristino della precedente destinazione d’uso; v) incompetenza del dirigente ad adottare il provvedimento de quo, riservato alla competenza del Sindaco ex art. 22, co. 6 e 7, d.lgs. n. 114/1998.
4. Il Comune di Rieti si è costituito in giudizio con memoria depositata in data 15 luglio 2024, corredata da documentazione, instando per il rigetto del ricorso.
5. L’impugnativa è stata notificata anche ai Sig.ri Vittorugo Troppa e Bruna Santopinto, evocati in qualità di controinteressati ma non costituitisi in giudizio.
6. All’udienza pubblica del 23 settembre 2025 il ricorso è stato discusso e trattenuto in decisione.
7. Il gravame è infondato.
8. In premessa va precisato che il ricorso avverso l’ordinanza n. 9 del 21 novembre 2023 (con la quale, come rappresentato in narrativa, l’amministrazione comunale ha ingiunto la demolizione di una serie di strutture realizzate in assenza dei necessari titoli abilitativi nell’area esterna di pertinenza del fabbricato ove è svolta l’attività commerciale della M.A.R.) è stato chiamato in discussione alla stessa udienza pubblica del 23 settembre 2025, e rigettato all’esito della relativa camera di consiglio, con la conseguenza che resta confermata la legittimità del provvedimento sanzionatorio in ragione della natura abusiva delle opere in contestazione.
9. Tanto puntualizzato, anche il presente gravame è privo di fondamento.
10. Principiando dalla doglianza (da esaminarsi in via prioritaria, in ossequio ai principi di diritto fissati da Ad. Plen. n. 5/2015) con cui si lamenta l’incompetenza del dirigente che ha sottoscritto l’atto, essendo esso devoluto alla sfera di attribuzioni del Sindaco, essa è manifestamente infondata alla luce della disciplina, di ordine generale, dettata dall’art. 107 TUEL, che demanda alla competenza degli organi dirigenziali le funzioni di gestione degli enti locali (tra cui, in particolare, l’adozione dei “provvedimenti di autorizzazione, concessione o analoghi, il cui rilascio presupponga accertamenti e valutazioni, anche di natura discrezionale, nel rispetto di criteri predeterminati dalla legge, dai regolamenti, da atti generali di indirizzo, ivi comprese le autorizzazioni e le concessioni edilizie”), giusta il disposto del comma 3, lett. f), e tenuto conto che, ai sensi del successivo comma 5, “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente testo unico, le disposizioni che conferiscono agli organi di cui al capo I titolo III l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti, salvo quanto previsto dall’articolo 50, comma 3, e dall’articolo 54”.
Alla luce di tali previsioni la giurisprudenza amministrativa, con specifico riferimento proprio alla norma invocata dal ricorrente, ha chiarito che “ai sensi dell’art. 107, comma 5, d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, l’art. 22, comma 7, d.lg. 31 marzo 1998 n. 114 – il quale individua nel sindaco l’autorità competente per le violazioni indicate da quella norma – deve essere interpretato nel senso che spetta al dirigente, e non al sindaco, la competenza a disporre la decadenza e la revoca dell’autorizzazione all’esercizio di attività commerciale, ovvero la chiusura immediata ai sensi del comma 6 della medesima norma (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14 maggio 2004, n. 3143)” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 7 marzo 2019, n.1566).
11. Anche le ulteriori censure dedotte con il ricorso sono prive di pregio.
12. L’amministrazione, all’esito di un sopralluogo svolto presso l’immobile condotto in affitto dalla Società ricorrente, titolare dell’autorizzazione commerciale n. 11/M del 2004, ha accertato l’esistenza, nelle relative pertinenze esterne, di una serie di strutture abusive in quanto prive dei necessari titoli abilitativi (gazebo, scaffalature metalliche ecc.), ordinandone conseguentemente la demolizione (con la sopra citata ordinanza n. 9/2023). In occasione di tale attività di controllo veniva altresì appurato che tali manufatti risultavano adibiti alla vendita e all’esposizione di merce, avendo pertanto gli stessi “de facto ampliato le dimensioni della capacità di vendita dell’esercizio commerciale (implementandone i volumi di traffico di clientela)”: ciò è stato verbalizzato nel rapporto edilizio n. 7 del 21 aprile 2022 e la successiva relazione integrativa redatta a seguito dell’ulteriore sopralluogo svoltosi il 26 ottobre 2023 (atti i cui estremi sono citati nel preambolo del provvedimento oggi gravato).
Con il verbale prot. n. 6516 del 27 novembre 2023 (anch’esso richiamato dall’ordinanza prot. n. 22101 del 2024) il Comune ha conseguentemente contestato al legale rappresentante della M.A.R. la violazione amministrativa consistente in “ampliamento della superficie di vendita commerciale in assenza della prevista autorizzazione comunale”, quale appunto accertata con la citata relazione integrativa al rapporto edilizio n. 7/2022, e richiamato gli artt. 25, co. 1 e 35, co. 3 della L.R. 6 novembre 2019, n. 22 (recante “Testo unico del commercio”).
Tali disposizioni prevedono che “Ai fini dell’apertura, del trasferimento di sede e dell’ampliamento della superficie di vendita delle medie strutture di vendita i soggetti interessati presentano al SUAP competente per territorio, mediante la modulistica unificata adottata dalla Regione, domanda di autorizzazione ai sensi del d.lgs. 222/2016” e “Chiunque eserciti l’attività di commercio al dettaglio in sede fissa in violazione delle disposizioni contenute nella presente legge è soggetto alle seguenti sanzioni: (…) d) in caso di assenza dell’autorizzazione prevista per le medie strutture di vendita di cui all’articolo 25, si applica la sanzione da euro 7.500,00 a euro 22.500,00 e la contestuale chiusura dell’esercizio”.
Ne consegue che con il provvedimento inibitorio oggi gravato l’amministrazione, in relazione all’accertato ampliamento della superficie di vendita dell’esercizio commerciale realizzato in assenza del necessario titolo abilitativo, ha ordinato la cessazione dell’attività commerciale esercitata abusivamente, limitatamente a quella svolta nelle aree/locali non ricompresi nell’autorizzazione n. 11/M del 15.11.2004.
Tanto precisato, è priva di pregio la doglianza con cui la parte lamenta che la determinazione comunale di cui trattasi sarebbe viziata da falsità dei relativi presupposti, atteso che la deduzione secondo cui le aree interessate dal divieto non sarebbero adibite allo svolgimento dell’attività di vendita è sconfessata dagli esiti dell’accurata attività istruttoria condotta dai tecnici comunali, che risultano peraltro corroborati anche dalla corposa documentazione fotografica allegata al citato rapporto edilizio n. 7 del 21 aprile 2022 e alla successiva integrazione del 2023.
Risultano parimenti infondate le censure con cui la ricorrente deduce vizi di motivazione: il corredo motivazionale che sorregge l’ordinanza prot. n. 22101 del 2024, come integrato dal richiamo ai prodromici verbali e rapporti edilizi, si appalesa idoneo ad illustrare, in maniera completa, puntuale ed esaustiva, sia le ragioni sottese al divieto, sia il relativo ambito oggettivo, essendo lo stesso espressamente circoscritto alle porzioni non ricomprese nell’autorizzazione di cui la ricorrente è in possesso.
Diversamente da quanto sostenuto in ricorso, il provvedimento inibitorio di cui oggi trattasi è un atto sanzionatorio di natura non discrezionale, bensì strettamente vincolata all’accertamento dei relativi presupposti, ossia alla riscontrata violazione amministrativa consistente nell’esercizio di attività commerciale in difetto di preventiva autorizzazione, in contrasto con la disciplina del commercio di cui alla L.R. n. 22/2019, violazione all’evidenza distinta e autonoma rispetto a quelle urbanistico-edilizie già contestate con l’ordinanza di demolizione n. 9/2023.
Sicché non assume alcuna efficacia invalidante la circostanza che, alla data di adozione dell’ordinanza inibitoria oggi gravata, il ricorso R.G. n. 3392/2024 incardinato avverso il provvedimento demolitorio risultava ancora pendente, anche considerato, ad abundantiam, che quest’ultimo non è stato mai oggetto di un pronunciamento giurisdizionale di sospensione della relativa efficacia.
13. Non appare poi ultroneo rammentare che, per giurisprudenza consolidata, lo svolgimento dell’attività commerciale presuppone la regolarità urbanistico-edilizia dei locali ove essa è esercitata (“nel rilascio di un’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta. Di qui, l’esigenza dell’iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui l’attività commerciale è svolta”: così T.A.R. Lazio, sez. II bis, 5 maggio 2025, n. 8683; Cons. St., sez. VI, 25 giugno 2024, n. 5616. In senso conforme cfr. altresì, tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 15 novembre 2024, n. 9167; id., 25 giugno 2024, n. 5616; Cons. Stato, sez. VII, 31 maggio 2024, n. 4916; Cons Stato, Sez. V, 21 novembre 2023, n. 9963; id., 7 novembre 2022, n. 9786).
Nel caso di specie, il divieto di svolgimento dell’attività commerciale attiene soprattutto alle aree (i.e., le pertinenze esterne al fabbricato) occupate dalle strutture/manufatti abusivi contestati con la sopra citata ordinanza di demolizione, sicché comunque difetta il menzionato, necessario presupposto della regolarità urbanistico-edilizia.
14. In conclusione, il ricorso va rigettato.
15. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del Comune resistente nella misura determinata in dispositivo. Nulla spese nei confronti di Vittorugo Troppa e Bruna Santopinto, non costituitisi in giudizio, precisando il Collegio che tali soggetti, pur essendo stati evocati in causa in qualità di controinteressati, non assumono propriamente tale veste processuale.
TAR LAZIO – ROMA, II QUATER – sentenza 07.10.2025 n. 17137