Autorizzazioni e concessioni – Impugnazione in sede giudiziaria dell’autorizzazione per l’istallazione di una stazione radio-base per telefonia mobile

Autorizzazioni e concessioni – Impugnazione in sede giudiziaria dell’autorizzazione per l’istallazione di una stazione radio-base per telefonia mobile

1. Preliminarmente il Collegio osserva che trova applicazione nel caso in esame il rito speciale di cui all’art. 12-bis d.l. n. 68/2022, che impone la partecipazione della Presidenza del Consiglio– Dipartimento per la Trasformazione Digitale, quale parte necessaria.

Tuttavia l’eccezione di inammissibilità sollevata da INWIT in ragione dell’iniziale omessa notifica alla Presidenza del Consiglio non è fondata, poiché solo con l’ordinanza di questo Tribunale n. 300/2025 è sorto a carico della ricorrente l’obbligo di integrare il contraddittorio, ai sensi dell’art. 49 c.p.a., e tale obbligo risulta successivamente adempiuto.

2. L’eccezione di inammissibilità per carenza di interesse del ricorso principale e dei motivi aggiunti è, invece, fondata per le ragioni che seguono.

3. La ricorrente afferma di risiedere e possedere taluni immobili in via -OMISSIS-, allegando tre distinti profili di lesione: A) la compromissione del panorama; B) il danno alla salute per esposizione a campi elettromagnetici; C) il deprezzamento del compendio immobiliare.

A tal riguardo è ormai acquisito in giurisprudenza il principio per cui la vicinitas non è sufficiente, di per sé sola, a radicare l’interesse al ricorso, che postula la puntuale allegazione di uno specifico e comprovato pregiudizio che l’intervento causa al ricorrente (ex multis, Ad. Plen. Cons. Stato n. 22/2021).

Anche questo Tribunale ha di recente ha inteso dare continuità all’orientamento (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5034) secondo cui è necessario fornire la «prova concreta (o quantomeno un principio di prova) del vulnus specifico inferto dagli atti impugnati alla sfera giuridica degli stessi ricorrenti»; deve, in particolare, trattarsi di «pregiudizi concreti e oggettivi, che non possono esaurirsi in una mera prospettazione soggettiva e arbitraria di ipotetici immissioni di campi elettromagnetici asseritamente pregiudizievoli alla salute». Nella fattispecie questo Tribunale ha affermato quanto segue: «Un onere siffatto non è stato assolto dai ricorrenti, che si sono limitati ad allegare – in maniera generica e indistinta – un presunto deprezzamento delle loro proprietà immobiliari, senza precisare se e come la stazione radio base possa incidere effettivamente sul relativo godimento al punto da diminuirne il valore, o l’esposizione a radiazioni elettromagnetiche asseritamente nocive, pur queste rientrando ampiamente nei limiti prescritti dalla normativa in materia e considerati sicuri allo stato delle più accreditate conoscenze scientifiche (senza, peraltro, considerare che i predetti limiti sono stati di recente innalzati, per effetto dell’art. 10 della l. n. 214/2023, ad un valore di 15 V/m, ben più elevato di quello applicato ratione temporis all’impianto, pari a 6 V/m). L’azione (…) è finalizzata alla contestazione di un’infrastruttura di rete – e più in generale, di una tecnologia di comunicazione, qual è il 5G – di comprovata sicurezza, oltre che già assentita a diversi livelli decisionali (a partire da quello governativo, attraverso la sua inclusione nel «Piano Italia 5G» e nel P.N.R.R.). Un’iniziativa siffatta, nel contesto di un processo finalizzato alla tutela di specifiche e ben individuate posizioni soggettive, appare inammissibile, tanto più quando – come nel caso di specie – «le autorità a ciò preposte (in particolare, ARPA) abbiano escluso che l’opera potesse impattare negativamente sotto il profilo sanitario, con una valutazione certamente non sostituibile da una prospettazione soggettiva dei privati in funzione dell’esercizio di una correlativa azione impugnatoria, a pena di introdurre, attraverso l’elevazione di un astratto interesse alla legalità a criterio di legittimazione, un’inammissibile (perché priva di base legale) azione popolare sulla base di considerazioni e prospettazioni del tutto soggettive del singolo ricorrente» (Cons. Stato, sez. VI, 13 agosto 2020, n. 5034, cit.).». (in questi termini T.A.R. Veneto, 27 gennaio 2025, n. 119).

Si tratta di principi che – contrariamente a quanto ritenuto da parte ricorrente – si attagliano anche al caso in esame, ben diverso da quello scrutinato da questo Tribunale nella sentenza 27 gennaio 2025, n. 109, nel quale la lesione derivante dall’ingombro dell’impianto di telefonia era in re ipsa, trattandosi di una SRB ubicata «praticamente davanti l’uscio del fabbricato in costruzione destinato ad abitazione della ricorrente».

4. Occorre, poi, sottolineare che l’interesse al ricorso, tanto sotto il profilo del presunto danno alla salute, quanto sotto quello del pregiudizio alla veduta panoramica, dev’essere verificato in concreto, caso per caso, alla luce delle circostanze allegata dalle parti e documentate in atti (ex multis, Cons. Stato, sez. IV, 26 aprile 2023, n. 4205; id., 13 maggio 2022, n. 3772).

In tale prospettiva si inserisce anche il principio espresso dalla giurisprudenza (T.R.G.A. Trentino-Alto Adige, Trento, 17 marzo 2023, n. 40), secondo il quale la verifica dell’interesse ad agire comporta un indispensabile «controllo di meritevolezza dell’interesse sostanziale in gioco», alla luce dei valori costituzionali di riferimento (artt. 24 e 111 Cost.). Tale scrutinio funge da presidio contro l’abuso del processo, ossia contro l’attivazione della giurisdizione in forme eccedenti o devianti rispetto alla tutela realmente riconosciuta dall’ordinamento, che finirebbero per aggravare inutilmente il giudizio in violazione del principio del giusto processo richiamato anche dall’art. 2 c.p.a..

5. Ebbene, alla luce dei suddetti principi, la ricorrente – a fronte delle puntuali contestazioni delle parti resistenti – non ha assolto l’onere di fornire un principio di prova in merito a concreti pregiudizi che, a suo dire, potrebbero derivarle dalla realizzazione dell’opera.

5.1. Quanto al pregiudizio al “panorama”, l’impostazione della ricorrente risulta smentita già in punto di fatto.

Dalla documentazione fotografica acquisita agli atti (si vedano, in particolare, il doc. n. 4 della produzione di parte ricorrente e il doc. n. 41 della produzione del Comune resistente) emerge che l’impianto per cui è causa non si trova nelle immediate vicinanza dell’abitazione della ricorrente, dalla quale risulta separato da terreni agricoli e schermato da una fitta vegetazione arborea. In particolare la vegetazione si frappone stabilmente tra l’immobile e la SRB e ne occlude alla vista la base di sostegno e una parte dell’antenna stessa, come già evidenziato da questo Tribunale nella sede cautelare.

Si deve, quindi, escludere che la veduta sia stata compromessa in maniera seria e rilevante, come invece richiesto dalla giurisprudenza per radicare l’interesse a ricorrere. Difatti la semplice percezione dell’opera, peraltro parziale e mitigata dalla vegetazione, costituisce un fastidio soggettivo, non un danno giuridicamente apprezzabile.

Inoltre la servitù di panorama non è un diritto riconosciuto ex lege: essa può sorgere soltanto per titolo o per usucapione, evenienza neppure allegata in questa sede. In mancanza, l’interesse alla conservazione della veduta si riduce a un mero interesse di fatto ovvero in un’aspettativa soggettiva alla inalterabilità dello skyline, non tutelabile in sede giurisdizionale, senza uno specifico titolo o senza la prova di una compromissione effettiva e apprezzabile.

Sotto questo specifico profilo, merita di essere condiviso il recente orientamento giurisprudenziale secondo il quale «l’interesse alla tutela della visuale panoramica costituisce “un interesse di mero fatto, come tale, di regola, inidoneo a configurare una lesione giuridicamente rilevante utile ad integrare la condizione dell’interesse a ricorrere”, richiamando una pronuncia della Suprema Corte secondo la quale “….la panoramicità del luogo consiste in una situazione di fatto derivante dalla bellezza dell’ambiente e dalla visuale che si gode da un certo posto, che può trovare tutela nella servitù altius non tollendi… Nondimeno, il diritto di veduta consistente nella fruizione di un piacevole panorama ….esige che di esso sia previamente accertata l’esistenza. Ebbene, la veduta panoramica può essere acquistata, oltre che in via negoziale (a titolo derivativo), anche per destinazione del padre di famiglia o per usucapione (a titolo originario), necessitando, tuttavia, tali modi di costituzione non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta….l’esistenza del diritto di veduta del panorama non può essere riconosciuta, indicandone la fonte nella mera preesistenza della visuale rispetto all’opera contestata. Ove bastasse, ai fini di ritenere validamente costituita la servitù di veduta panoramica, la mera esistenza in fatto di detta veduta, prima che l’opera contestata ne compromettesse l’esercizio, sarebbe leso il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali” (Cassazione civile, Sez. II, 22 giugno 2023 n. 17922).

È bensì vero che la visuale panoramica, anche se priva di una diretta protezione giuridica, può rappresentare una qualità che incide sulla migliore fruibilità dell’immobile e quindi sul suo valore economico e in questo senso, come ricordato dalla Adunanza plenaria, la sua compromissione può, in concreto, integrare i presupposti di un pregiudizio idoneo a configurare l’interesse a ricorrere, ma deve comunque trattarsi di un pregiudizio effettivo e “serio”: deve cioè trattarsi di una visuale effettivamente fruibile e connotata da evidenti, peculiari e qualificati profili di pregio, proprio per evitare che l’iniziativa giudiziaria finisca per essere piegata a fini meramente emulativi o comunque estesa sino a ricomprendere profili di danno meramente soggettivi, disancorati da dati di realtà» (in questi termini, Cons. Stato, Sez. IV, 6 agosto 2025 n. 6958, nonché Cons. Stato, Sez. IV, 6 settembre 2024, n. 7464).

5.2. Quanto al pregiudizio alla salute, il Collegio, pur prendendo atto della condizione di fragilità della ricorrente (peraltro non direttamente, né causalmente correlata all’esistenza dell’impianto in questione), sottolinea che il parere dell’A.R.P.A.V. attesta il rispetto dei limiti di esposizione elettromagnetica fissati dal d.P.C.M. 8 luglio 2003, mentre la ricorrente non ha articolato contestazioni tecniche circa l’erroneità delle rilevazioni o l’inadeguatezza dei parametri di legge.

In particolare, la ricorrente non ha censurato con puntuali motivazioni tecniche l’iter valutativo (parametri, scenari emissivi, input modellistici, coefficienti cautelativi), limitandosi a criticare, in via generale, il ricorso all’analisi modellistica senza indicare errori, incongruenze o dati alternativi di verifica in situ. Né sussiste quella straordinaria vicinanza tra l’immobile e l’impianto de quo (il Comune indica circa 85 metri, mentre la ricorrente assume circa 60 metri considerando la porzione più prossima delle pertinenze), tale da suffragare la necessità di rispettare limiti addirittura inferiori.

Secondo la stessa giurisprudenza invocata dalla ricorrente (Cons. Stato, Sez.VI, 19 aprile 2024, n. 3573) «al fine di radicare oltre alla legittimazione, derivante dalla incontestata vicinitas, l’interesse al ricorso, è sufficiente che il ricorrente prospetti una possibile nocività per l’ambiente circostante per effetto del possibile superamento dei limiti normativi di esposizione ai campi elettromagnetici», mentre, nel caso di specie, risulta il contrario, e cioè che sussistono pericoli per la salute al di sotto della soglia minima fissata dalla legge.

Né può giovare alla ricorrente il richiamo ad alcuni studi (prodotti in atti), che si limitano a prospettare rischi teorici senza confrontarsi con le peculiari condizioni del sito (ad esempio, pendii, vegetazione, conformazione del terreno, venti, ecc.). Tali studi non sono idonei a scalfire il quadro normativo vigente, nel quale il legislatore – a tutela della popolazione – ha fissato valori-soglia ritenuti sicuri, demandando ad A.R.P.A.V. la verifica preventiva e successiva del loro rispetto che, come già detto, è stata effettuata con esito favorevole.

5.3. Non è stato provato neppure il deprezzamento economico dell’immobile.

La ricorrente ha depositato una perizia di parte, non asseverata, nella quale sono formulate stime ipotetiche sul presunto minor valore dell’immobile in conseguenza della vicinanza dell’impianto, senza tuttavia indicare i criteri oggettivi seguiti, né confrontare i dati con valori di mercato reali, né menzionare transazioni comparabili nell’area di riferimento. In assenza di parametri verificabili, la relazione si traduce in una mera opinione tecnica di parte, come tale non idonea a dimostrare l’interesse a ricorrere.

Va inoltre ribadito che, come già emerso sul piano paesaggistico, l’impianto risulta in gran parte schermato dalla vegetazione arborea, il che rende del tutto indimostrata la tesi secondo cui la sola presenza della SRB sarebbe percepita come elemento di degrado, tale da incidere significativamente sul valore di mercato del bene.

6. In definitiva, nessuno dei tre profili di pregiudizio dedotti – compromissione del panorama, rischio alla salute e deprezzamento immobiliare – è stato adeguatamente dimostrato. Per l’effetto il ricorso principale e quello per motivi aggiunti devono essere dichiarati inammissibili per carenza di interesse.

7. La declaratoria di inammissibilità del ricorso principale e quello per motivi aggiunti priva la controinteressata -OMISSIS- dell’interesse a coltivare il ricorso incidentale, che deve essere dichiarato improcedibile.

8. Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite tra le parti, in ragione della definizione in rito del giudizio.

TAR VENETO, III – sentenza 29.09.2025 n. 1635

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