Autorizzazione e concessione – Elementi costitutivi soggettivi e oggettivi dei beni comunali indisponibili

Autorizzazione e concessione – Elementi costitutivi soggettivi e oggettivi dei beni comunali indisponibili

1. Le società ricorrenti, premettendo di essere titolari di pubblici esercizi di bar, ristoranti e discoteche nella zona del porto canale di Rimini, a monte del lungomare, la quale era classificata quale “demanio marittimo”, hanno impugnato la determinazione del Dirigente del Patrimonio del Comune di Rimini n. 346 del 19.02.2018, pubblicata all’Albo Pretorio dal 06.03.2018, con la quale sono stati trasferiti dal “patrimonio disponibile” al “patrimonio indisponibile” del medesimo Comune i terreni ed i fabbricati denominati “Aree Marina Centro”, recentemente acquisiti dallo Stato in forza del c.d. “federalismo demaniale”.

Le ricorrenti hanno dedotto che:

– in ragione della loro formale demanialità le aree e gli immobili ivi insistenti sono state quindi gestite nel corso degli anni dalla Capitaneria di Porto prima, e dalla Regione e dal Comune poi, mediante l’affidamento in concessione d’uso a soggetti privati per l’esercizio delle molteplici attività commerciali sviluppatesi nella zona, e tra questi soggetti vi erano anche le odierne ricorrenti, alle quali venivano rilasciate concessioni demaniali marittime, che inizialmente venivano rinnovate a scadenza mediante provvedimento formale e che poi erano oggetto di proroga automatica ai sensi del D.L. n. 194/2009, conv. L. n. 25/2010, che ne disponeva la piena validità ex lege sino al 31 dicembre 2020;

– la condizione giuridica di dette aree demaniali veniva mutata a seguito della decisione del Comune di Rimini di acquisire la proprietà delle medesime in virtù delle possibilità offerte dalle norme del c.d “Federalismo Demaniale”, ovvero dall’art. 56 bis del D.L. n. 69/2013, conv. con Legge n. 98/2013, che prevedeva la facoltà per Comuni, Province e Regioni di richiedere allo Stato “il trasferimento in proprietà, a titolo non oneroso” di beni demaniali, previa loro sdemanializzazione;

– il medesimo articolo precisava che a tal fine gli Enti locali “presentano all’Agenzia del Demanio, entro il termine perentorio del 30 novembre 2013” (successivamente prorogato al 31 dicembre 2016 dall’art. 10, comma 6 bis, del D.L. n. 210/2015, conv. con Legge n. 21/2016) “una richiesta di attribuzione sottoscritta dal rappresentante legale dell’ente, che identifica il bene, ne specifica le finalità di utilizzo e indica le eventuali risorse finanziarie preordinate a tale utilizzo. L’Agenzia del demanio, verificata la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della richiesta, ne comunica l’esito all’ente interessato entro sessanta giorni dalla ricezione della richiesta. In caso di esito positivo si procede al trasferimento con successivo provvedimento dell’Agenzia del demanio”;

– allo scopo il Comune di Rimini, mediante istanze formulate all’Agenzia del Demanio in data 17.09.2013 ed in data 28.11.2014, richiedeva previamente che fosse attivata la procedura di sclassifica delle aree ai sensi dell’art. 35 Cod. Nav., per il loro passaggio dal “demanio marittimo” al “patrimonio disponibile” dello Stato, e la richiesta del Comune veniva valutata positivamente dallo Stato, onde con decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto con l’Agenzia del Demanio, n. 220 del 13.12.2016 veniva disposta la sdemanializzazione di tutto il compendio immobiliare denominato “Aree Marina Centro”, posto tra Viale Cristoforo Colombo, Lungomare Tintori, Largo Boscovich e Piazzale Fellini, di complessivi mq. 22.780, con conseguente passaggio del medesimo al “patrimonio disponibile” dello Stato;

– pertanto, dopo aver richiesto ed ottenuto la formale sdemanializzazione delle aree il Comune di Rimini, mediante istanza proposta all’Agenzia del Demanio in data 08.06.2016, ne richiedeva il trasferimento in proprietà a titolo gratuito ai sensi dell’art. 56 bis del D.L. n. 69/2013, conv. con Legge n. 98/2013, e dell’art. 10, comma 6 bis, del D.L. n. 210/2015, conv. con Legge n. 21/2016, e con decreto dell’Agenzia del Demanio in data 17.03.2017, prot. 2017/4137, l’istanza veniva accolta così che, conseguentemente, veniva disposto il trasferimento in proprietà al Comune di Rimini delle aree sopracitate, che entravano quindi a far parte del “patrimonio disponibile” del medesimo Comune, così come espressamente disciplinato dal medesimo art. 56 bis, che al comma 6 prevede che “I beni trasferiti, con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile delle regioni e degli enti locali. Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascun ente territoriale, a decorrere dalla data di sottoscrizione dell’atto formale di trasferimento del bene di cui ai commi 2 e 3, nel possesso giuridico e con subentro del medesimo in tutti i rapporti attivi e passivi relativi al bene trasferito”;

– la legge in esame introduce una procedura che ha inizio con la necessaria sdemanializzazione del bene, il quale perde la sua natura “demaniale” ed entra così a far parte del “patrimonio disponibile” dello Stato, e prosegue con il passaggio del bene medesimo dal “patrimonio disponibile” dello Stato al “patrimonio disponibile” del Comune (o di altro Ente locale che ne faccia richiesta), con successione ex lege “in tutti i rapporti attivi e passivi relativi al bene trasferito”;

– tuttavia il Comune di Rimini, dopo aver acquisito al proprio “patrimonio disponibile” il suindicato compendio immobiliare, con l’impugnato provvedimento del Dirigente del Patrimonio n. 346 del 19.02.2018, disponeva il trasferimento dell’intero compendio immobiliare dal “patrimonio disponibile” al “patrimonio indisponibile” dell’Ente;

– le società ricorrenti hanno sostenuto di avere subito un pregiudizio dal provvedimento impugnato, perché esse potevano contare, per effetto del trasferimento dei beni nel “patrimonio disponibile” del Comune e del conseguente “subentro” in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, secondo quanto previsto dall’art. 56 bis, comma 6, del D.L. n. 69/2013, conv. con Legge n. 98/2013, sulla costituzione di un rapporto di carattere privatistico con il Comune in relazione alla natura disponibile del bene, mentre la decisione impugnata rischierebbe di compromettere e rendere impossibile una siffatta soluzione.

Ciò premesso, le ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità del provvedimento impugnato chiedendone l’annullamento.

Si è costituito il Comune di Rimini, il quale in via preliminare ha eccepito l’inammissibilità, ovvero la improcedibilità del ricorso, per carenza di interesse in quanto nessuno degli atti che hanno determinato la destinazione pubblica (PSC RUE Accordo territoriale) è stato impugnato neppure come atto presupposto, e in quanto la delibera di Giunta del 2018 che ha motivato sulla natura del bene confermandolo non è stata impugnata; l’Amministrazione ha altresì eccepito l’inammissibilità del ricorso per cumulo soggettivo illegittimo. Nel merito, il Comune di Rimini ha sostenuto l’infondatezza del ricorso.

Con ordinanza n. 41 del 1.2.2023 il Collegio ha respinto la domanda cautelare delle ricorrenti per il difetto del fumus boni juris.

Nel corso dell’udienza di smaltimento del giorno 17 luglio 2025, tenuta da remoto, il Collegio ha sottoposto al contraddittorio delle parti la questione sollevata d’ufficio della inammissibilità del ricorso per difetto di interesse, in quanto le ricorrenti hanno ottenuto dal Comune di Rimini una concessione d’uso delle aree detenute in precedenza, per cui le ricorrenti non hanno chiarito quale sia l’interesse a sostenere che il rapporto con l’Amministrazione abbia in realtà natura privatistica di locazione, così che difetta l’allegazione di una lesione attuale e concreta derivante dalla contestata fonte pubblicistica del diritto di godimento dei beni.

All’esito di tale udienza di smaltimento il Collegio ha trattenuto la causa in decisione.

2. In via preliminare occorre valutare il profilo della ammissibilità del ricorso.

Il Collegio ritiene che il ricorso sia inammissibile per i motivi già sottoposti d’ufficio al contraddittorio delle parti nel corso della udienza di smaltimento del giorno 17 luglio 2025.

Le ricorrenti, le quali a seguito del provvedimento impugnato hanno ottenuto la concessione d’uso delle aree in precedenza detenute quali concessionarie, neppure dopo che il Collegio ha sollevato la riferita questione d’ufficio, hanno dimostrato quale sia l’interesse diretto, concreto e attuale a configurare il rapporto con l’Amministrazione non in tale chiave pubblicistica, ma in chiave privatistica di rapporto locatizio. Insomma le ricorrenti non hanno spiegato quali siano le maggiori utilità concrete nel configurare il rapporto in termini privatistici piuttosto che pubblicistici, considerando che le ricorrenti hanno ottenuto dal Comune di Rimini una concessione d’uso delle aree detenute in precedenza, cioè uno strumento che può fornire ai beneficiari utilità e vantaggi non inferiori a quelli assicurati dal contratto di locazione. Insomma difetta l’allegazione di una lesione attuale e concreta derivante dalla contestata fonte pubblicistica del diritto di godimento dei beni in luogo di quella privatistica pretesa dalle ricorrenti.

Il ricorso è quindi inammissibile.

Per completezza il Collegio ritiene opportuno esaminare anche i rilievi di inammissibilità formulati dal Comune di Rimini.

Sul punto, il Collegio ritiene di prescindere dall’eccezione di inammissibilità del ricorso collettivo, in quanto sono più liquidi gli altri profili di inammissibilità rilevati dall’Amministrazione resistente.

In particolare, è inammissibile il ricorso per carenza di interesse in quanto nessuno degli atti che hanno determinato la destinazione pubblica (PSC RUE Accordo territoriale) è stato impugnato neppure come atto presupposto. Sul punto il Collegio rileva che gli atti di destinazione sui beni hanno valore ricognitivo, ma possono comunque fondare presunzioni, le quali nel presente giudizio non sono state superate da prove contrarie. In tal senso rilevano gli atti che hanno creato sul piano soggettivo la destinazione a pubblica fruizione pubblico, cioè il PSC, il RUE, e particolarmente l’accordo territoriale di regolazione, con impatto territoriale e funzionale e di intervento sulle aree, non sono stati impugnati, nemmeno come atti presupposti.

Il ricorso non è supportato dal necessario interesse anche per l’altro profilo rilevato dal Comune di Rimini, in quanto la delibera di Giunta 2018 che ha motivato sulla natura del bene, confermandola, non è stata impugnata. Va infatti osservato che la qualificazione dei beni come beni patrimoniali indisponibili è un atto accertativo, il quale è stato effettuato in modo autonomo e motivato con delibera di Giunta n. 254 del 2018, non impugnata. Tale delibera di Giunta, che motiva autonomamente sul punto, non è atto meramente confermativo che possa essere superato dall’annullamento della impugnata determina dirigenziale n. 346 del 2018. Quindi l’omessa impugnazione della citata Delibera di Giunta del 2018 ha comportato una perdita di interesse da parte delle ricorrenti, in quanto, anche in caso di accoglimento del presente ricorso, tale atto resterebbe non impugnato e quindi efficace con il suo contenuto sulla qualificazione dei beni considerati, non potendo certo essere ritenuto un atto meramente consequenziale.

Dunque il ricorso è inammissibile.

3. Ferma l’inammissibilità del ricorso, sotto tutti i concorrenti -autonomi- profili suesposti- il Collegio osserva, ad abundantiam e per completezza, che esso sarebbe anche infondato nel merito.

Come già anticipato sopra, in applicazione della disciplina normativa del “federalismo demaniale”, il Comune di Rimini ha ottenuto il trasferimento a titolo gratuito, dallo Stato a proprio favore, dell’Area Marina Centro, la quale quindi, secondo la procedura indicata dalla disciplina normativa, prima è stata sdemanializzata, poi è entrata nel patrimonio disponibile dello Stato e successivamente è entrata nel patrimonio disponibile del Comune come previsto da tale legge, in virtù dell’art. 56 bis del D.L. n. 69/2013, conv. con Legge n. 98/2013 che disciplina il federalismo demaniale, che al comma 6 prevede che “I beni trasferiti, con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile delle regioni e degli enti locali. Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascun ente territoriale, a decorrere dalla data di sottoscrizione dell’atto formale di trasferimento del bene di cui ai commi 2 e 3, nel possesso giuridico e con subentro del medesimo in tutti i rapporti attivi e passivi relativi al bene trasferito”. Con un successivo atto, impugnato nel presente giudizio, tale area è stata trasferita dal patrimonio disponibile del Comune a quello indisponibile, e ciò, in tesi, avrebbe provocato un pregiudizio agli odierni ricorrenti, beneficiari di concessioni balneari marittime, in quanto solo la conservazione della qualità di bene del patrimonio disponibile comunale avrebbe consentito di conservare le concessioni balneari, in ragione del principio dettato dall’ultima carte del citato comma 6. Comunque, all’esito della trasformazione del regime giuridico qui descritta, e a seguito della Deliberazione di Giunta n. 254 del 06/09/2018 (ad oggetto “Federalismo demaniale. Compendio immobiliare denominato aree marina centro da piazzale Fellini a largo Boscovich, fra lungomare Tintori e viale Cristoforo Colombo. Concessioni d’uso a favore degli attuali utilizzatori”), i ricorrenti beneficiano, per le medesime aree prima occupate, di concessioni d’uso dietro pagamento di canone a prezzo di mercato.

3.1. Con il primo motivo le ricorrenti hanno lamentato che la decisione del Comune di Rimini di inserire nel proprio “patrimonio indisponibile” (procedimento di riqualificazione) le aree e gli immobili acquisiti a titolo gratuito dallo Stato in forza del “federalismo demaniale” sarebbe illegittima per la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento.

Il Collegio ritiene che la doglianza non meriti accoglimento.

L’atto di classificazione ha natura di atto meramente ricognitivo e vincolato, per il quale quindi non costituisce motivo di illegittimità la mancanza dell’avviso di avvio del procedimento. Trattasi altresì di un atto generale, riguardando l’intero retrospiaggia di Rimini, per cui, in applicazione dell’art. 13 della legge n. 241 del 1990, non è prevista la comunicazione di avvio del procedimento. Peraltro gli atti di destinazione effettivi del cd. triangolone, in ragione della natura di atti urbanistici, hanno visto la piena possibilità di partecipazione delle ricorrenti, secondo le forme proprie degli atti generali per i quali non è prevista la comunicazione di avvio; nonostante tale possibilità, le ricorrenti hanno scelto di non partecipare al procedimento. Comunque il provvedimento di classificazione di Giunta comunale n. 254 del 2018, successivo alla determinazione gravata nel presente giudizio, e non impugnato con i motivi aggiunti, ha tenuto conto, dandone atto, della posizione delle ricorrenti.

Insomma la censura è infondata, sia in quanto le ricorrenti non sono parti del procedimento di trasferimento dal patrimonio disponibile comunale a quello indisponibile, sia perché le ricorrenti non hanno allegato convincenti argomenti che avrebbero potuto esporre in sede procedimentale. Quindi la mancata interlocuzione non integra un vizio di legittimità, per le plurime previsioni conformi racchiuse negli atti di programmazione “a monte” (PSC, RUE, accordo territoriale) che individuano l’interesse alla destinazione di pubblico servizio; peraltro, sotto altro punto di vista, l’atto può dirsi comunque ricognitivo dei due requisiti stabiliti dalla giurisprudenza ai fini dell’acquisizione al patrimonio indisponibile, cioè il requisito soggettivo e oggettivo.

3.2. Con il secondo motivo le ricorrenti hanno sostenuto che difetta un requisito essenziale per l’acquisizione al patrimonio indisponibile, cioè che si tratti di “beni destinati ad un pubblico servizio” come previsto dall’art. 826 c.c.

Il Collegio ritiene che la doglianza sia infondata.

La censura delle ricorrenti è generica, non circostanziata, ed è smentita dalla ricostruzione del Comune secondo cui invece l’area in esame è destinata al pubblico servizio.

Più nello specifico, il Comune di Rimini ha classificato nel patrimonio indisponibile una porzione di area del lungomare destinata a fruizione pubblica; si tratta di una fascia compresa tra la spiaggia e i primi edifici alberghieri, già ad utilizzo turistico con aree date in concessione ai privati e prevalenza di impianti sportivi-ricreativi (cfr. foto doc. 27B amministrazione). Quindi Marina Centro dovrebbe essere trasformata in maniera analoga alla frazione di Parco del Mare già realizzata; in buona sostanza, il lungomare a fruizione pubblica è già stato adeguato – nella sua parte preminente – al Parco del mare, e il Comune intende completare quest’ultimo incorporando Marina Centro, interclusa tra tale Parco, la spiaggia e il porto.

Ad avviso delle ricorrenti, la classificazione del bene sarebbe illegittima per una dissociazione tra il modello legale e lo stato di fatto, in quanto, nella loro prospettazione, i beni in questione sarebbero immobili destinati all’esercizio di attività commerciali e non riguarderebbero alcun pubblico servizio, non solo attuale ma nemmeno potenziale, poiché non vi sarebbe alcun atto pubblico che specifichi l’intervento che dovrebbe realizzarsi su tali beni. Le ricorrenti hanno inoltre rimarcato che, in base all’art. 826, comma 3, del codice civile, i beni appartenenti al patrimonio indisponibile si connotano per l’attuale destinazione a un pubblico servizio, come impressa da una specifica scelta dell’amministrazione (Consiglio di Stato, sez. V – 2/2/2021 n. 965); le ricorrenti hanno richiamato anche la giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui «Affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826, comma 3, c.c., deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo) della manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e dell’effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio; in difetto di tali condizioni e della conseguente ascrivibilità del bene al patrimonio indisponibile, la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio disponibile, al di là del “nomen iuris” che le parti contraenti abbiano inteso dare al rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione…»(Cass. civ., Sez. Un., 25 marzo 2016, nr. 6019; conf.; Corte di Cassazione, sez. II civile – 28/1/2022 n. 2682; T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I – 3/10/2022 n. 1626). In tal senso, le Società ricorrenti hanno sostenuto di avere subito un pregiudizio dal provvedimento impugnato, perché esse potevano contare, per effetto del trasferimento dei beni nel “patrimonio disponibile” del Comune e del conseguente “subentro” in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, secondo quanto previsto dall’art. 56 bis, comma 6, del D.L. n. 69/2013, conv. con Legge n. 98/2013, sul mantenimento o sulla costituzione di un rapporto di carattere privatistico con il Comune in relazione alla natura disponibile del bene, mentre la decisione impugnata comporta la percorribilità del solo strumento pubblicistico della concessione.

Orbene, il Collegio osserva che lo strumento urbanistico del 2016 prevede di destinare a Parco del Mare tutta la fascia fronte mare (arenile compreso) da Torre Pedrera a Miramare.

In merito alla sussistenza dei due elementi costitutivi necessari per fondare il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, sono riscontrabili nel caso in esame sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo.

Sotto il profilo soggettivo, il Comune ha adottato numerosi atti univocamente orientati al godimento collettivo dell’area di cui si discute, tra i quali il PSC del 2016 (che prevede all’art. 3.2 la finalità turistica del Parco del Mare tra l’arenile e la città costruita), il RUE (art. 61 NTA, che promuove la massimizzazione della fruizione pubblica) e l’accordo territoriale del Parco del Mare (che contempla per le aree in fregio all’arenile un’area verde attrezzata di alta qualità, accessibilità e fruibilità, per un passaggio graduale dalla spiaggia all’urbanizzato, con gli obiettivi della mobilità sostenibile e miglioramento del micro-clima urbano).

Sotto il profilo oggettivo invece, la zona ospita già porzioni di verde e strutture sportive e di divertimento all’aperto, con alcune strutture commerciali (cfr. corredo fotografico e documentale prodotto dall’Amministrazione resistente). Dunque, le attrezzature sportive e ricreative già soddisfano bisogni di natura generale, e lo strumento concessorio è coerente con l’accessibilità garantita a una pluralità indifferenziata di soggetti interessati; i beni menzionati sono dunque già destinati a un pubblico servizio, trattandosi di strutture aperte all’intera collettività; la minima parte residua (compresa l’area di cui si discorre) deve essere ragionevolmente attratta nel più ampio Parco del Mare in gran parte realizzato, attraverso un ammodernamento consistente nella rinaturalizzazione dell’attuale strada carrabile (da trasformare in pedonale).

Quindi nell’approvazione del progetto non può ravvisarsi l’ipotesi di una destinazione al pubblico servizio “pro futuro” incompatibile con la sussistenza della necessaria condizione oggettiva.

Insomma l’approvazione del progetto dell’iniziativa pubblica assistito da specifico finanziamento ben può segnare il momento iniziale dell’attribuzione al bene del carattere della indisponibilità (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 2/10/2020 n. 5779).

Quindi sussistono entrambi gli elementi costitutivi necessari per fondare il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, cioè sia l’elemento soggettivo che quello oggettivo. Ne consegue che correttamente l’Amministrazione ha utilizzato lo strumento della concessione d’uso, in luogo del contratto di locazione invocato dalle ricorrenti, per affidare ai privati l‘utilizzo delle aree per cui è causa.

Ne consegue che anche il secondo ed ultimo motivo di ricorso è infondato.

4. Le peculiari connotazioni della controversia inducono a compensare tra le parti le spese di lite.

TAR EMILIA ROMAGNA – BOLOGNA, I – sentenza 02.09.2025 n. 951

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