*Autorizzazione e concessione – Concessione demaniale, garanzia del principio della concorrenza e tutela dell’interesse pubblico generale

*Autorizzazione e concessione – Concessione demaniale, garanzia del principio della concorrenza e tutela dell’interesse pubblico generale

1.- È appellata la sentenza con la quale l’adito TAR dell’Emilia Romagna ha respinto il ricorso proposto dall’odierna appellante per l’annullamento del provvedimento conclusivo negativo in riferimento alla “pratica Sigepro” n. 416/2020, prot. n. 10978/2021, emesso dal Comune di Ravenna e notificato in data 19 gennaio 2021, nonché degli atti ad esso presupposti, tra cui il preavviso di diniego ex art. 10-bis, legge n. 241/1990 del precedente 18 dicembre 2020, il parere reso dall’Agenzia del Demanio – Direzione Regionale dell’Emilia-Romagna – con nota 18939 del 14 dicembre 2020 e il parere reso dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato ivi richiamato, oltre a tutti gli connessi, ancorché non conosciuti.

2.- Più in particolare, la controversia ha ad oggetto il ricorso presentato dalla s.r.l. Terme di Punta Marina, quale concessionaria di un bene appartenente al demanio marittimo e soggetto esercente l’attività di stabilimento termale in località Punta Marina del Comune di Ravenna, Lungomare Cristoforo Colombo, n. 161, avverso il provvedimento datato 19 gennaio 2021 di diniego di valutazione preventiva, espresso dal medesimo Comune di Ravenna, sulla scorta del conforme parere dell’Agenzia del Demanio – Direzione Regionale dell’Emilia-Romagna, sull’istanza presentata dalla medesima società al fine di ottenere la variazione della concessione demaniale marittima per l’ampliamento e la ristrutturazione del complesso termale marittimo.

3.- La concessione in questione venne assentita con atto formale in data 31 dicembre 2003, originariamente per circa mq. 12.559, con decorrenza dal 6 dicembre 1993 al 5 dicembre 2043, e quindi per una durata complessiva di cinquanta anni, al fine di consentire l’ammortamento di tutte le opere di cui si compone il complesso termale.

Con atto suppletivo n. 31/2007, il Comune autorizzò la società all’ampliamento dei manufatti costituenti il complesso termale, e cioè delle opere di difficile rimozione, per una superficie di mq. 5.219,41, a fronte dei precedenti mq. 3.888,00.

Poi, con ulteriore atto suppletivo n. 22/2008, il medesimo Comune concesse la variante essenziale alla ristrutturazione con ampliamento dei manufatti esistenti, nonché la sanatoria delle opere realizzate senza titolo abilitativo.

Infine, con ulteriore atto suppletivo n. 20/2011, l’Amministrazione comunale rideterminò, riducendoli, i confini dell’area concessa (in particolare, riducendoli dagli originari mq. 12.559,00 agli attuali mq. 12.010,00, di cui mq. 4.222,00 occupati da impianti di difficile rimozione, mq. 1.774,00 occupati da opere di facile rimozione e mq. 23,40 occupati da strutture precarie temporanee).

4.- All’attualità, l’interesse imprenditoriale della società ricorrente sarebbe quello di ottenere l’approvazione di un nuovo progetto recante l’introduzione di modifiche materiali al contenuto dell’originaria concessione e, al contempo, la previsione di un nuovo e più lungo termine di scadenza della durata della concessione medesima, che verrebbe così estesa sino al 2062, allo scopo di consentire l’ammortamento dell’ingente investimento economico previsto dal prefato progetto.

5.- Le Amministrazioni tutte, per quanto di rispettiva competenza, si sono invece opposte alla predetta richiesta, ritenendo che questo nuovo progetto non soddisfa la normativa interna ed europea sulla tutela della concorrenza e parità degli operatori economici, in quanto, attraverso la previsione di nuove e costose opere concernenti apparentemente l’oggetto della concessione, si mirerebbe, in realtà, surrettiziamente, ad ampliare la durata della concessione medesima, in spregio alla rigida normativa prevista per la modifica del contenuto sostanziale delle concessioni di beni pubblici, senza che ciò sia oltretutto necessario, né indispensabile, per attuare l’originaria concessione.

6.- In sintesi l’esponente, con il ricorso introduttivo, ha dedotto i seguenti vizi: «1. Violazione di legge art. 3 Legge 241/1990 – art. 175 d.lgs. 50/2016 – art. 43 Direttiva 2014/23 UE – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione – Travisamento dei presupposti – Errore di fatto e di diritto; 2. Violazione di legge art. 3 Legge 241/1990 – artt. 18 e 24 regolamento di esecuzione del codice della navigazione – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione – Errore di fatto e di diritto; 3. Violazione di legge art. 3 Cost. e art. 3 Legge 241/1990 – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione e per disparità di trattamento».

Ha in sostanza lamentato come vi sarebbe stato un difetto di istruttoria e come erroneamente non sarebbe stato compreso che le modifiche progettuali richieste non alterano in alcun modo la natura della concessione originaria, trattandosi di lavori meramente complementari e supplementari, tali per cui non si potrebbe definirli tecnicamente o economicamente separati dalla concessione iniziale, senza gravi inconvenienti per l’Amministrazione concedente, e che l’importo delle nuove opere non supera il cinquanta per cento (50%) dell’importo dell’opera iniziale oggetto di concessione.

7.- Nel respingere le predette censure, l’adito TAR dell’Emilia Romagna ha escluso che l’amministrazione comunale sia incorsa in alcuna violazione dell’art. 43 della Direttiva 2014/23 UE e della disposizione di cui all’art. 175 del D. Lgs. n. 50 del 2016, ed ha in particolare affermato che “istanze contenenti progetti che, lungi dall’apportare alla concessione modifiche non prevedibili al momento dell’affidamento della stessa, risultano in concreto dirette unicamente ad implementare i profitti derivanti dalla gestione dello stabilimento termale avuto in concessione, con la conseguenza che tale interesse – essenzialmente di carattere imprenditoriale – è escluso che possa rientrare tra quelle esigenze pubbliche comportanti la necessità di modificare la concessione in quanto oggettivamente non prevedibili al momento dell’affidamento della concessione”, e inoltre che “La pretesa della società ricorrente contrasta, pertanto, sia con la disciplina comunitaria, e nello specifico con i principi di cui sono espressione gli artt. 49 (libertà di stabilimento), 56 (libertà di prestazione dei servizi) e 106 (non discriminazione) del Trattato dell’Unione Europea sia con la normativa nazionale di cui all’art. 175 del D. Lgs. n. 50 del 2016, sia, infine, con la specifica normativa nazionale concernente le concessioni relative alle acque minerali termali di cui al D. Lgs. n. 152 del 2006 che all’art. 8 ne prevede tassativamente la temporaneità, con durata delle stesse non superiore ai trenta anni.”.

8.- L’appello ha lamentato:

I. Error in iudicando sul primo motivo di ricorso – Violazione di legge ex art. 3 l.n. 241/1990 – art. 175 d.lgs. n. 50/2016 – art. 43 Direttiva 2014/23 UE – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione – Travisamento dei presupposti – Errore di fatto e di diritto.

Si torna ad insistere sul fatto che il provvedimento impugnato sarebbe viziato da difetto di motivazione, in riferimento all’art. 3, legge n. 241/1990 e all’art. 24, Regolamento di esecuzione del Codice della Navigazione (d.P.R. n. 328/1952), in quanto lo stesso non recherebbe alcuna motivazione né in merito alla funzionalità della concessione suppletiva all’esercizio dell’originario titolo concessorio, in termini di strumentalità e accessorietà, né in merito a un suo eventuale affidamento ad altro concessionario. Parimenti, nello stesso provvedimento non vi sarebbe traccia di alcuna valutazione delle ragioni fattuali e giuridiche poste dalla società a sostegno della propria istanza.

Inoltre, si afferma che il primo giudice avrebbe erroneamente escluso l’applicazione delle previsioni recate dall’art. 43, Direttiva 2014/23 UE, dall’art. 175, d.lgs. n. 50/2016 e dall’art. 175, d.lgs. n. 50/2016, nella parte in cui riconoscono la possibilità di apportare modifiche alla concessione, durante il periodo di efficacia, pur sussistendo i relativi presupposti, ossia la necessità che la modifica derivi da circostanze che una stazione appaltante non ha potuto prevedere utilizzando l’ordinaria diligenza e che la stessa non alteri la natura generale della concessione.

II. Error in iudicando sul secondo motivo di ricorso – Violazione di legge: art. 3 l.n. 241/1990 e artt. 18 e 24 d.P.R. 15 febbraio 1952, n. 328 “Regolamento di esecuzione del codice della navigazione” – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione – Errore di fatto e di diritto.

Si censura la correttezza della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la domanda formulata dal concessionario risulta in contrasto con le norme del Trattato euro-unitario relative al diritto di stabilimento, alla libera circolazione dei servizi e alla concorrenza, e si torna ad insistere sul fatto che la procedura prevista dalle norme del citato regolamento di esecuzione del codice della navigazione è pienamente idonea a soddisfare i principi di trasparenza e partecipazione. In particolare, l’art. 24 del d.p.r. 328/2016 prevede, per la domanda di variazione, che si segua lo stesso procedimento previsto per la pubblicazione della domanda di concessione ex art. 37 codice navigazione. Tale procedimento viene aperto con la pubblicazione della domanda, ai sensi dell’art. 18 d.P.R. n. 328/1952, in virtù del quale è prevista la pubblicazione della domanda mediante affissione nell’albo del comune dove è situato il bene, con l’invito a tutti coloro che possano avervi interesse a presentare, entro il termine indicato, le osservazioni che credano opportune ovvero domande concorrenti.

III. Error in iudicando sul terzo motivo di ricorso – Violazione di legge art. 3 Cost. e art. 3 l.n. 241/1990 – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione e per disparità di trattamento.

Il primo giudice avrebbe erroneamente escluso anche la lamentata disparità di trattamento rispetto ad un similare progetto proposto dalla società Riminiterme S.p.A., conclusosi in quel caso in senso favorevole all’istante, ammettendosi la modifica della concessione, sia quanto all’oggetto, sia quanto alla durata, al fine di consentire alla società proponente di rientrare dei cospicui finanziamenti effettuati.

9.- Hanno resistito il Comune di Ravenna e l’Agenzia del Demanio, quest’ultima anche nella sua articolazione regionale.

10.- Con ordinanza interlocutoria n. 7323/2024, il Collegio ha disposto procedersi, ai fini del decidere, a verificazione, volta ad accertare:

i) l’originario titolo concessorio e le successive modificazioni, esemplificando la descrizione anche attraverso piantine illustrate con diverse colorazioni e sintetizzando i metri quadrati occupati;

ii) il nuovo progetto presentato, chiarendo in particolare in cosa consistano le nuove opere, qual è la nuova estensione in metri quadrati occupati, in quale modo le nuove operano interagiscono con le precedenti ovvero si autonomizzano da esse;

iii) illustrare in particolare se tali opere siano necessarie o indispensabili per attuare la originaria concessione, ovvero se le medesime rappresentino una evoluzione autonoma dell’originario progetto, tale da incidere e, se sì, in qual modo e in qual misura, sull’oggetto generale della originaria concessione.

11.- Con successiva ordinanza collegiale n. 7642/2024, preso atto della comunicazione del 13 settembre 2024, con cui il Politecnico di Torino faceva presente che, considerato l’oggetto dei quesiti, presso il Dipartimento indicato nella prefata ordinanza n. 7323/2024 non vi sono docenti che possono svolgere la prestazione richiesta, mentre la suddetta potrebbe essere utilmente espletata da docenti appartenenti al Dipartimento Interateneo di Scienze, Progetto e Politiche del Territorio – DIST, è stato nominato un nuovo verificatore in sostituzione di quello nominato in precedenza.

12.- Con istanza depositata in data 24 settembre 2024, il Comune di Ravenna ha chiesto revocarsi l’ordinanza n. 7323/2024, come reiterata dalla successiva ordinanza n. 7642/2024.

A supporto, il Comune di Ravenna ha addotto l’inutilità della verificazione dal momento che la concessione in questione non ricadrebbe nell’ambito di applicazione della normativa recata dall’art. 43, direttiva UE 2014/23 e dall’art. 175, decreto legislativo n. 50/2016, in quanto non di appalto/concessione di lavori o di servizi si tratterebbe, bensì di mera concessione di bene demaniale, e quindi di un contratto attivo, di per sé sottratto a tale disciplina.

13.- Con successiva memoria del 31 ottobre 2024, la s.r.l. Terme di Punta Marina ha invece insistito affinché si procedesse ad effettuare la disposta verificazione, lamentando in rito la insussistenza dei presupposti per procedere alla sua revoca, non essendosi verificati fatti nuovi o nuove esigenze nel procedimento, e nel merito insistendo per la necessità di appurare i fatti di causa, evitando ulteriori dilazioni.

14.- Con ordinanza interlocutoria n. 8941/2024, il Collegio ha preliminarmente evidenziato la inammissibilità della ridetta istanza sul rilievo della insussistenza di fatti sopravvenuti, o anche anteriori ma successivamente conosciuti, tali da comportare una diversa valutazione dei fatti di causa, ed ha anche motivato nel merito le ragioni della infondatezza della pretesa, sostanzialmente incentrate sulla necessità di appurare i fatti principali della causa alla base del secondo motivo di appello, riproduttivo del corrispondente secondo motivo di ricorso originario, che censura l’eccesso di potere e il difetto di istruttoria in cui sarebbe asseritamente incorsa l’Amministrazione comunale nel respingere l’istanza, sul rilievo che autorizzarla significherebbe alterare la sostanza della concessione, facendo applicazione proprio dell’art. 24, d.P.R. n. 328/1952 (regolamento di attuazione del codice della navigazione).

Inoltre, ha indicato al nominato verificatore l’accertamento di due ulteriori circostanze di fatto emerse dai ridetti atti difensivi di parte, e cioè:

iv) descrivere a chi fa capo la proprietà del complesso immobiliare termale e quella dello stabilimento balneare con bar e ristorante, mediante allegazione di documentazione ufficiale proveniente dai Registri Immobiliari (non è affatto chiara, in particolare, la proprietà dello stabilimento con bar e ristorante: nei documenti 1, 2, 3 del fascicolo di primo grado, lo stesso viene infatti qualificato come “pubblico”, mentre negli atti processuali l’aggettivazione “pubblico” non viene quasi mai riprodotta;

v) descrivere da chi, secondo quali tempi e modalità e nei confronti di chi, vengono resi i servizi bar e ristorante.

15.- Concessa al verificatore proroga del termine di deposito della verificazione con ordinanza collegiale n. 2057/2024, in data 7 maggio 2025 è stata infine depositata la relazione di verificazione corredata dei documenti e delle risposte del verificatore alle osservazioni presentate dai consulenti nominati dalle parti.

16.- Le parti hanno ulteriormente insistito sulle rispettive tesi difensive, prendendo a riferimento anche gli esiti della verificazione.

17. Alla udienza pubblica del 16 settembre 2025, la causa è passata in decisione sulla previa discussione delle parti.

18.- L’appello è infondato.

19.- È anzitutto infondato il primo motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di ricorso di primo grado, con cui si deduce Violazione di legge art. 3 Legge 241/1990 – art. 175 d.lgs. 50/2016 – art. 43 Direttiva 2014/23 UE – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione – Travisamento dei presupposti – Errore di fatto e di diritto.

Erra infatti la società ricorrente ad insistere sulla applicazione della normativa recata dall’art. 43, direttiva UE 2014/23 e dall’art. 175, decreto legislativo n. 50/2016, in quanto essa ha un ambito oggettivo di efficacia ben preciso e delimitato, che riguarda le concessioni di lavori e di servizi, e non anche le concessioni di beni pubblici intesi quali contratti attivi di valorizzazione o concessione di beni pubblici in senso patrimoniale, sul dirimente rilievo, da cui dipende la differenza sostanziale tra i due istituti, che nelle concessioni di lavori e servizi l’Amministrazione affida la gestione di un servizio d’interesse pubblico a un operatore economico che assume il rischio operativo, mentre nelle concessioni di beni demaniali, quale è la concessione che qui ricorre, invece, l’Amministrazione concede a titolo oneroso un bene per un uso privato o pubblico, senza che vi sia l’affidamento di un servizio né un rischio operativo in senso proprio. Almeno, nulla di ciò è specificatamente emerso sulla base degli atti e dei documenti di causa.

I contratti attivi della P.A. restano infatti regolati dal diritto nazionale (art. 823 ss. c.c., codice della navigazione, d.lgs. 42/2004, ecc.), non dal codice dei contratti pubblici, oltre che dal diritto dell’Unione (principi dei Trattati: concorrenza, trasparenza, parità di trattamento e diritto derivato: in particolare, la direttiva 123/2006 in riferimento ai servizi del mercato interno).

Non occorre quindi interrogarsi se, ai sensi degli artt. 43, direttiva 2014/23 UE e 175, decreto legislativo n. 50 del 2016, «1. la necessità della modifica derivi da circostanze che una stazione appaltante non ha potuto prevedere utilizzando l’ordinaria diligenza; 2. la modifica non alteri la natura generale della concessione».

Va di conseguenza corretta la motivazione del TAR nella parte in cui, nel respingere il primo motivo di ricorso, ha dato per presupposta la applicazione del ridetto quadro normativo, motivando che “Innanzitutto si deve osservare che l’amministrazione comunale resistente, con l’adozione del provvedimento di respingimento dell’istanza della ricorrente non è incorsa in alcuna violazione dell’art. 43 della Direttiva 2014/23 UE e della disposizione di cui all’art. 175 del D. Lgs. n. 50 del 2016; norma, quest’ultima, mediante la quale detta Direttiva è stata recepita nell’ordinamento nazionale. Il diniego opposto dal Comune è infatti basato su una corretta interpretazione della normativa comunitaria e della normativa nazionale di cui al D. Lgs n. 50 del 2016, ove entrambe portano univocamente ad escludere dall’applicazione della citata normativa europea e nazionale, istanze contenenti progetti che, lungi dall’apportare alla concessione modifiche non prevedibili al momento dell’affidamento della stessa, risultano in concreto dirette unicamente ad implementare i profitti derivanti dalla gestione dello stabilimento termale avuto in concessione, con la conseguenza che tale interesse – essenzialmente di carattere imprenditoriale – è escluso che possa rientrare tra quelle esigenze pubbliche comportanti la necessità di modificare la concessione in quanto oggettivamente non prevedibili al momento dell’affidamento della concessione”.

20.- È poi infondato il secondo motivo di appello, ripropositivo del corrispondente motivo di ricorso di primo grado, con cui si censura la Violazione di legge art. 3 Legge 241/1990 – artt. 18 e 24 regolamento di esecuzione del codice della navigazione – Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione – Errore di fatto e di diritto.

Questa volta, la violazione di legge, sub specie di difetto di motivazione, viene lamentata non in riferimento al codice dei contratti pubblici, bensì in relazione al regolamento di attuazione del codice della navigazione, pacificamente applicabile alla vicenda all’esame.

Più in particolare, secondo la società ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto che la domanda formulata dal concessionario risulta in contrasto con le norme del Trattato euro-unitario relative al diritto di stabilimento, alla libera circolazione dei servizi e alla concorrenza, e la stessa è così tornata ad insistere sul fatto che la procedura prevista dalle norme del citato regolamento di esecuzione del codice della navigazione sarebbe pienamente idonea a soddisfare i principi di trasparenza e partecipazione.

La suddetta doglianza è infondata, in quanto non è qui in discussione la idoneità della procedura prevista dall’art. 24 del d.p.r. 328/2016 a rendere chiare ed evidenti alla collettività le ragioni di pubblico interesse sottese alla variazione della concessione di bene pubblico, bensì si tratta di stabilire se le ragioni addotte dall’Amministrazione a sostegno del diniego di sottoporre a variazione la concessione, sulla base del nuovo progetto presentato, siano legittime.

Il fatto che per la domanda di variazione si segua lo stesso procedimento previsto per la pubblicazione della domanda di concessione ex art. 37 codice navigazione, e cioè che il procedimento viene aperto con la pubblicazione della domanda ai sensi dell’art. 18 d.P.R. n. 328/1952, in virtù del quale è prevista la pubblicazione della domanda mediante affissione nell’albo del comune dove è situato il bene, con l’invito a tutti coloro che possano avervi interesse a presentare, entro il termine indicato, le osservazioni che credano opportune ovvero domande concorrenti, non significa infatti che il concessionario proponente possa rivendicare, sempre e comunque, il diritto alla ridetta pubblicazione, ove accada, come nel caso che qui ricorre, che difettino alla radice le condizioni in base alle quali l’Amministrazione ritenga sussistente l’interesse pubblico generale alla variazione della concessione in atto.

Il prefato art. 24 “Variazioni al contenuto della concessione” del regolamento di esecuzione del codice della navigazione (d.P.R. n. 328/1952) prevede infatti che “La concessione è fatta entro i limiti di spazio e di tempo e per le opere, gli usi e le facoltà risultanti dall’atto o dalla licenza di concessione. Qualsiasi variazione nell’estensione della zona concessa o nelle opere o nelle modalità di esercizio deve essere richiesta preventivamente e può essere consentita mediante atto o licenza suppletivi dopo l’espletamento della istruttoria. Qualora, peraltro, non venga apportata alterazione sostanziale al complesso della concessione e non vi sia modifica nell’estensione della zona demaniale, la variazione può essere autorizzata per iscritto dal capo del compartimento, previo nulla osta dell’autorità che ha approvato l’atto di concessione.

Nell’atto impugnato non solo la motivazione non manca, ma essa è anche chiara e idonea a palesare le ragioni per le quali non si può procedere a pubblicazione del progetto.

Il contenuto della proposta avanzata palesa infatti non una reale esigenza di modificare l’oggetto della concessione per rimediare a eventi imprevisti o imprevedibili da parte dell’Amministrazione, ma al contrario denota la volontà della società proponente di assicurarsi una proroga di fatto automatica della concessione medesima, in spregio degli ormai noti principi europei di concorrenza e parità tra gli operatori economici, sotto le spoglie e con l’apparenza che si stia allungando il termine di durata della concessione al solo fine di consentire l’ammortamento dei cospicui investimenti programmati.

L’istanza è dunque stata interpretata e qualificata dall’Amministrazione per quello che precisamente era, e cioè una domanda in cui erano, allo stesso tempo e inscindibilmente, chieste sia l’autorizzazione agli interventi, sia la proroga della concessione.

Né coglie nel segno l’ulteriore argomento secondo cui vi sarebbe stata una integrazione postuma della motivazione in giudizio, posto che la posizione dell’Amministrazione è stata netta fin dal principio, ossia che la domanda della proponente non era suscettibile di essere accolta alla luce dei principi unionali di concorrenza e parità di trattamento.

Anche gli esiti della disposta verificazione giudiziale hanno confermato la legittimità dell’operato dell’Amministrazione, in quanto le opere programmate superano oggettivamente i limiti di spazio e di tempo concessi, modificano sensibilmente gli usi e le facoltà risultanti dall’atto e dalla licenza di concessione, e realizzano una alterazione sostanziale del complesso della concessione senza che vi sia «necessità di realizzare opere per un miglioramento della struttura» (ricorso, pag. 5).

È infatti stato inequivocabilmente accertato che possono dirsi «indispensabili» le sole opere di manutenzione, ordinaria e straordinaria, che per inciso già gravano sul concessionario sulla base del titolo, dovendo egli riconsegnare il bene pubblico alla collettività in buono stato di manutenzione.

La indispensabilità non riguarda invece le restanti e più importanti opere programmate dalla società proponente, quelle cioè che richiedono l’esborso dei cospicui investimenti in ragione dei quali si pretende l’allungamento considerevole della durata della concessione.

Queste opere, che eventualmente l’Amministrazione, se lo riterrà, potrà considerare opportune e adeguate ad una gestione più efficace del bene demaniale, potranno al limite essere valutate in sede di riattribuzione della concessione, al momento in cui essa sarà giunta alla sua naturale scadenza.

21.- Infine infondato è il terzo motivo incentrato sulla Violazione di legge art. 3 Cost. e art. 3 Legge 241/1990 e l’Eccesso di potere per carenza e vizio della motivazione e per disparità di trattamento, posto che, in disparte la già evidenziata dal TAR insussistenza delle condizioni per potere raffrontare il progetto della odierna proponente a quello presentato da un’altra società nell’ambito di un’altra vicenda concessoria, che secondo la odierna ricorrente avrebbe ricevuto positivo avallo dall’Amministrazione, è comunque sia dirimente osservare che, secondo la pacifica giurisprudenza amministrativa, anche laddove fosse dimostrata una raffrontabilità in concreto tra due situazioni, a prevalere in ogni caso è la tutela dell’interesse pubblico generale e il rispetto della legalità, sicché eventuali pregresse illegittimità perpetrate non possono giustificare la commissione di ulteriori illegittimità.

Nel caso all’esame, per quanto appena illustrato, la illegittimità dell’azione amministrativa sarebbe evidente ove il progetto di variazione venisse accolto, posto che la variazione dell’oggetto e degli usi di una concessione di bene pubblico non possono essere strumentalizzati al fine di ottenere l’ingiusto allungamento dei termini di durata della concessione, in spregio del pari diritto degli altri operatori economici a concorrere per il medesimo bene al termine della concessione.

22.- In definitiva, l’appello va respinto, mentre la sentenza impugnata va confermata, anche se corretta e integrata nella motivazione, nei sensi sopra illustrati.

23.- Le spese della verificazione sono poste definitivamente a carico della società appellante secondo la soccombenza. A questo proposito si rammenta che in sede di conferimento dell’ufficio si era previsto un anticipo sul compenso spettante al verificatore nella misura di euro 1.500,00, provvisoriamente a carico della società appellante, da corrispondersi prima dell’inizio delle operazioni peritali, e che la somma definitiva verrà liquidata all’esito del deposito, da parte del verificatore, dell’istanza definitiva di liquidazione, ove si riterrà detta somma insufficiente a coprire gli onorari e le spese vive della verificazione.

A ciò si provvederà con separato decreto collegiale.

24.- Le spese del giudizio sono liquidate nella misura indicata in dispositivo anch’esse secondo la soccombenza.

CONSIGLIO DI STATO, VII – sentenza 24.10.2025 n. 8266

Scrivici una domanda su questo Articolo

Le domande saranno affrontate nel prossimo incontro live