1. Il ricorso, trattato oralmente a seguito della richiesta difensiva di discussione orale, accolta dal presidente titolare della sezione, è complessivamente infondato.
2. In via preliminare, occorre osservare che la difesa tenta di trascinare questa Suprema Corte sul terreno del fatto, dovendosi ricordare, a tal proposito, che al giudice di legittimità resta preclusa, in sede di controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai giudici di merito rispetti sempre uno standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal giudice per giungere alla decisione.
2.1. In ogni caso, con riferimento al vizio di travisamento della prova (su cui insiste ancora la difesa anche con il secondo rilievo di cui alla memoria di replica depositata in limine litis), questo ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, considerato che in tal caso, non si tratta di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione, ma di verificare se detti elementi sussistano. Tuttavia, in sede di giudizio di legittimità, la Corte di Cassazione, investita di un ricorso che indichi in modo specifico come il giudice di merito abbia, non erroneamente interpretato, ma indiscutibilmente travisato una prova decisiva acquisita al processo ovvero omesso di considerare circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati può, nei limiti della censura dedotta, verificare l’eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto (Sez. 3, n. 39729 del 18/0672009, B., Rv. 244623-01).
3. Nel caso di specie, si può constatare come il Tribunale di Catanzaro ha idoneamente valutato tutti gli elementi costituenti il presupposto essenziale del reato ex art. 279 d. lgs. 152/2006.
3.1. Premesso che trattasi di reato permanente – per la cui sussistenza è sufficiente l’esercizio di uno stabilimento che produce emissioni in assenza della prescritta autorizzazione – e di pericolo, essendo sufficiente la sola sottrazione dell’attività al preventivo controllo degli organi di vigilanza, senza necessità di verificare se le emissioni in atmosfera in concreto verificatesi superino o meno i valori limite stabiliti dalla legge e, poiché si tratta di reato proprio, riferibile al “gestore dell’attività” da cui provengono le emissioni, soggetto obbligato a richiedere l’autorizzazione (Sez. 3, n. 38182 del 26/10/2021, non massimata), nel caso di specie, tale obbligo incombeva pacificamente sull’odierno ricorrente.
3.2. In tal senso, rileva la circostanza per cui il servizio di gestione e conduzione dell’impianto di depurazione era svolto dalla (OMISSIS) S.p.A. nell’interesse del Comune di (OMISSIS), previo affidamento del servizio stesso. Pertanto, è corretto individuare nel ricorrente, in qualità di dirigente del Settore Gestione del Territorio del Comune di (OMISSIS), il soggetto tenuto a richiedere la predetta autorizzazione.
Egli era, peraltro, il legale rappresentante della società che, nel periodo di tempo di interesse, si occupava del servizio di depurazione, il quale avrebbe dovuto accertarsi di operare in presenza dell’autorizzazione, ciò che destituisce di fondamento anche il primo rilievo mosso nella memoria depositata in limine litis dalla difesa. A ciò va aggiunto che non vi siano particolari dubbi in ordine alla configurabilità della responsabilità del ricorrente, poiché la stessa sentenza richiama l’esistenza del capitolato speciale di appalto allegato al contratto sottoscritto con la società amministrata dall’imputato, il quale conteneva l’espressa previsione sulla cui base l’impresa appaltatrice si assumeva ogni responsabilità civile e penale anche in relazione alla mancanza delle pertinenti autorizzazioni, e ciò lo si rinviene anche nel capitolato speciale di appalto posto a compendio del contratto di affidamento del 28 aprile 2021.
3.3. Inoltre, l’affermazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 279, d. lgs. 152/2006 per l’emissione in atmosfera di sostanze (pericolose e non) in assenza di autorizzazione, comporta la prova della concreta produzione delle emissioni da parte dell’impianto, non potendo dirsi sufficiente la mera potenzialità produttiva di emissioni inquinanti (Sez. 3, n. 28355 del 01/07/2019). E, nel caso di specie, non vi è dubbio circa l’emissione di sostanze inquinanti connesse all’esercizio del servizio di gestione e conduzione dell’impianto di depurazione affidato alla (OMISSIS) S.p.A., atteso che ciò emerge dalla relazione redatta all’esito del monitoraggio eseguito sull’area di interesse.
4. Infine, anche al fine di evidenziare l’assoluta mancanza di pregio del rilievo svolto nella memoria depositata dal difensore in limine litis, occorre osservare che la procedura d’urgenza – con cui è stato consegnato l’impianto al vincitore della gara di appalto sul presupposto che il funzionamento dello stesso non poteva essere interrotto per motivi di igiene (trattavasi di impianto di depurazione dei reflui fognari di (OMISSIS)) – può giustificare l’adozione di misure straordinarie, ma non può mai giustificare la violazione delle norme ambientali: queste ultime devono essere rispettate anche in situazioni di urgenza, salvo specifiche deroghe previste dalla legge, nella specie insussistenti.
4.1. Non può, infatti, ritenersi invocabile la categoria dell’inesigibilità, come prospettato dalla difesa, la quale sostiene, in sostanza, che il funzionamento dell’impianto non poteva essere interrotto per motivi di igiene.
Sul punto la giurisprudenza di questa Corte, soprattutto in materia ambientale, è rigorosa e pacifica. Si è infatti già affermato, ad esempio in materia di smaltimento di rifiuti tossici o nocivi, che, per escludere la responsabilità dell’agente, cioè di colui che ha commesso l’azione incriminata (nel caso già esaminato da questa Corte, la gestione non autorizzata di discarica: Sez. 3, n. 4441 del 06/03/1996, Rv. 204423 – 01), è necessario rinvenire una determinata causa di giustificazione fra quelle positivamente disciplinate dall’ordinamento, non essendo invocabile un inesistente principio generale di inesigibilità della condotta, se non quando si traduca in una positiva causa di esclusione della punibilità (oggettiva o soggettiva). In tal senso, è speciale causa di esclusione della punibilità quella prevista dall’art. 191, D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, secondo cui il sindaco può emettere, per un periodo massimo di 18 mesi, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, nel rispetto, comunque, delle disposizioni contenute nelle direttive dell’Unione europea, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell’ambiente. In mancanza dell’ordinanza, tuttavia, la pubblica amministrazione non può invocare a giustificazione della accertata condotta illecita la necessità di tutelare la salute della popolazione. Questa Corte ha, poi, evidenziato come la gestione dei rifiuti costituisce infatti per i Comuni una assoluta priorità, in quanto incide su interessi di rango costituzionale, come la salute dei cittadini e la protezione delle risorse naturali, sicché non ha rilievo giuridico la insufficienza delle risorse, dovendo le stesse essere destinate in via prioritaria al soddisfacimento delle anzidette esigenze, rispetto ad altre (Sez. 3, n. 2109 del 10/01/2000, Mucci, Rv. 215527 – 01).
4.2. Il ricorso ad una procedura d’urgenza non può, conclusivamente, mai giustificare la violazione delle norme ambientali.
La tutela dell’ambiente è un valore costituzionale primario e assoluto (art. 9 e art. 41 Cost., riformati nel 2022). Nessuna esigenza, nemmeno quella dell’urgenza nei contratti pubblici, può prevalere su tale principio. L’urgenza procedurale non consente pertanto deroghe alla normativa ambientale, sicché anche in caso di somma urgenza ex art. 163 del Codice dei contratti pubblici, è obbligatorio il rispetto delle disposizioni ambientali.
4.3. Può dunque affermarsi il seguente principio: “Il principio di legalità in materia ambientale impone il rispetto assoluto delle norme poste a tutela del bene ambiente, indipendentemente dalla natura pubblicistica o urgente dell’intervento. La violazione delle norme penali a tutela dell’ambiente costituisce reato anche se motivata da esigenze straordinarie o di pubblica utilità”.
5. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’art. 616, cod. proc. pen., la condanna al pagamento delle spese processuali del ricorrente.
Cass. pen., III, ud. dep. 07.07.2025, n. 24717